Intervista di Baghdadhope
“Perché in Europa, in Italia, nessuno si sta mobilitando per la questione dell’articolo 50?”
Il tono di Monsignor Warduni da Baghdad è di profonda delusione. Si riferisce alla legge elettorale per le prossime elezione dei consigli provinciali che nella sua prima stesura – bocciata dal consiglio presidenziale – conteneva un articolo, il numero 50, che riservava 15 seggi in sei province alle minoranze: 13 ai cristiani, uno agli Shabak ed uno agli Yazidi. Articolo che però, al momento della ripresentazione della legge da parte del parlamento per la nuova approvazione del consiglio presidenziale è stato cancellato.
Il consiglio presidenziale ha approvato la legge elettorale ma ha anche invitato i parlamentari a reintrodurre l’articolo 50, non siete soddisfatti?
“Assolutamente no. Noi ci aspettavamo la revoca della sua cancellazione non una sua revisione. Non possiamo essere soddisfatti. Siamo, anzi, molto preoccupati.”
Ci sono state molte manifestazioni in Iraq contro la cancellazione dell’articolo 50. Cosa intendete fare ora che la situazione sembra sospesa in attesa della decisione del parlamento?
“Continuare a far sentire la nostra voce sperando che il nostro appello venga raccolto, non solo in Iraq ma anche nel mondo. Ci sono in gioco i nostri diritti di cittadini, appartenenti ad una minoranza, è vero, ma sempre cittadini iracheni. Non interessa a nessuno?”
Lei, Monsignore, cosa farà?
“Tutto quello che posso. Oggi, ad esempio, ne parlerò nel corso di un incontro che avremo anche con dei musulmani nella chiesa di San Giuseppe, e poi nella sede di un’associazione di beneficenza caldea. Con me ci sarà forse Monsignor Gewargis Sliwa, vescovo della Chiesa Assira dell’Est. E’ necessario parlare, spiegare, far aumentare la consapevolezza di tutti su questo problema, su questa negazione dei nostri diritti. Speriamo solo che molta gente possa intervenire a questi incontri. A Baghdad c’è ancora molta paura, la gente ha paura di uscire per timore di attentati suicidi. Questa è la nostra vita: la legge che ci dimentica, l’elettricità che manca, il pericolo di morire in ogni momento.”
“Il mondo ci sta lasciando soli” conclude sconsolato Monsignor Warduni, ed in queste poche parole riecheggia il lamento della comunità cristiana irachena che sale agli onori della cronaca solo in poche occasioni, per lo più nefaste. Così il mondo intero si è – giustamente - interessato della sorte di Monsignor Faraj Paulus Rahho, il vescovo caldeo di Mosul rapito lo scorso febbraio e ritrovato cadavere il mese dopo, mentre la “questione dell’articolo 50” non sta ottenendo la stessa attenzione. Certo non si tratta di un rapimento, di una morte, di una delle solite notizie di violenza provenienti dall’Iraq, eppure a ben guardare si tratta di un vero e proprio infanticidio, quello della tanto vantata “democrazia irachena” che il mondo pretende sia in cammino verso il suo pieno sviluppo.
Che democrazia sarà se già dai suoi primi passi dimostra di non tenere in considerazione le proprie minoranze? Nessuno, che faccia parte del governo iracheno o abbia una posizione pubblica, ha mai risparmiato parole di rispetto verso i “fratelli cristiani,” ma la cancellazione dell’articolo 50 dimostra che erano solo parole, e che nella pratica gli iracheni cristiani non devono temere solo le azioni violente ma anche quelle legali.
E che democrazia è la nostra che ignora la lotta degli iracheni cristiani per poter rimanere nel proprio paese? Dove sono le associazioni ed i partiti sempre pronti ed attenti a difendere i diritti delle minoranze in questa occasione? Quali sono gli interessi che spingono al silenzio?
Come si fa a chiedere, sperare, che gli iracheni cristiani rimangano in patria per preservare le radici di una cristianità antichissima - loro ma anche nostra - a queste condizioni?
In Italia non c’è una comunità irachena cristiana numericamente importante tanto da poter organizzare una protesta o farsi ascoltare dai media.
Questa assenza può bastare a giustificare l’indifferenza? Dobbiamo davvero ammettere che Monsignor Warduni ha ragione a dire che stiamo lasciando soli gli iracheni cristiani?
Il tono di Monsignor Warduni da Baghdad è di profonda delusione. Si riferisce alla legge elettorale per le prossime elezione dei consigli provinciali che nella sua prima stesura – bocciata dal consiglio presidenziale – conteneva un articolo, il numero 50, che riservava 15 seggi in sei province alle minoranze: 13 ai cristiani, uno agli Shabak ed uno agli Yazidi. Articolo che però, al momento della ripresentazione della legge da parte del parlamento per la nuova approvazione del consiglio presidenziale è stato cancellato.
Il consiglio presidenziale ha approvato la legge elettorale ma ha anche invitato i parlamentari a reintrodurre l’articolo 50, non siete soddisfatti?
“Assolutamente no. Noi ci aspettavamo la revoca della sua cancellazione non una sua revisione. Non possiamo essere soddisfatti. Siamo, anzi, molto preoccupati.”
Ci sono state molte manifestazioni in Iraq contro la cancellazione dell’articolo 50. Cosa intendete fare ora che la situazione sembra sospesa in attesa della decisione del parlamento?
“Continuare a far sentire la nostra voce sperando che il nostro appello venga raccolto, non solo in Iraq ma anche nel mondo. Ci sono in gioco i nostri diritti di cittadini, appartenenti ad una minoranza, è vero, ma sempre cittadini iracheni. Non interessa a nessuno?”
Lei, Monsignore, cosa farà?
“Tutto quello che posso. Oggi, ad esempio, ne parlerò nel corso di un incontro che avremo anche con dei musulmani nella chiesa di San Giuseppe, e poi nella sede di un’associazione di beneficenza caldea. Con me ci sarà forse Monsignor Gewargis Sliwa, vescovo della Chiesa Assira dell’Est. E’ necessario parlare, spiegare, far aumentare la consapevolezza di tutti su questo problema, su questa negazione dei nostri diritti. Speriamo solo che molta gente possa intervenire a questi incontri. A Baghdad c’è ancora molta paura, la gente ha paura di uscire per timore di attentati suicidi. Questa è la nostra vita: la legge che ci dimentica, l’elettricità che manca, il pericolo di morire in ogni momento.”
“Il mondo ci sta lasciando soli” conclude sconsolato Monsignor Warduni, ed in queste poche parole riecheggia il lamento della comunità cristiana irachena che sale agli onori della cronaca solo in poche occasioni, per lo più nefaste. Così il mondo intero si è – giustamente - interessato della sorte di Monsignor Faraj Paulus Rahho, il vescovo caldeo di Mosul rapito lo scorso febbraio e ritrovato cadavere il mese dopo, mentre la “questione dell’articolo 50” non sta ottenendo la stessa attenzione. Certo non si tratta di un rapimento, di una morte, di una delle solite notizie di violenza provenienti dall’Iraq, eppure a ben guardare si tratta di un vero e proprio infanticidio, quello della tanto vantata “democrazia irachena” che il mondo pretende sia in cammino verso il suo pieno sviluppo.
Che democrazia sarà se già dai suoi primi passi dimostra di non tenere in considerazione le proprie minoranze? Nessuno, che faccia parte del governo iracheno o abbia una posizione pubblica, ha mai risparmiato parole di rispetto verso i “fratelli cristiani,” ma la cancellazione dell’articolo 50 dimostra che erano solo parole, e che nella pratica gli iracheni cristiani non devono temere solo le azioni violente ma anche quelle legali.
E che democrazia è la nostra che ignora la lotta degli iracheni cristiani per poter rimanere nel proprio paese? Dove sono le associazioni ed i partiti sempre pronti ed attenti a difendere i diritti delle minoranze in questa occasione? Quali sono gli interessi che spingono al silenzio?
Come si fa a chiedere, sperare, che gli iracheni cristiani rimangano in patria per preservare le radici di una cristianità antichissima - loro ma anche nostra - a queste condizioni?
In Italia non c’è una comunità irachena cristiana numericamente importante tanto da poter organizzare una protesta o farsi ascoltare dai media.
Questa assenza può bastare a giustificare l’indifferenza? Dobbiamo davvero ammettere che Monsignor Warduni ha ragione a dire che stiamo lasciando soli gli iracheni cristiani?