Fonte: Avvenire
di Camille Eid
"La nostra assoluta lealtà va all’Iraq. Se noi non fossimo attenti alle buone relazioni con i nostri fratelli musulmani, probabilmente avremmo subìto, qui a Kirkuk, la stessa sorte dei cristiani di Baghdad e Mosul." Dalle parole dell’arcivescovo caldeo della città settentrionale trabocca tutto il dolore per quanto succede nel suo Paese.
«Leggevo in questi giorni – dice monsignor Louis Sako – dei massacri subiti durante la Prima Guerra mondiale da armeni e assiro-caldei, di come gli assassini violavano le case private per uccidere persone inermi. Mi sembrava di leggere le cronache odierne. È inammissibile questo silenzio mondiale dinanzi a una tragedia che va avanti da cinque anni».
Eccellenza, si può parlare di pulizia etnica nel Nord?
"A Mosul è in atto una pulizia etnica simile a quella già avvenuta a Baghdad a suon di sequestri e uccisioni. In una settimana abbiamo contato dodici vittime cristiane. Questa campagna di intimidazione potrebbe avere motivazioni confessionali come opera di estremisti, ma potrebbe anche essere una spudorata azione politicizzata per raggiungere certi obiettivi, quali l’emarginazione dei cristiani, o almeno costringerli a lasciare la città. Per andare all’estero o per chiuderli in un ghetto cristiano? Se dietro gli attentati ci sono gli estremisti islamici, l’obiettivo non può che essere l’esodo dei cristiani verso altri Paesi. Ma ci sono probabilmente anche piani che vedrebbero una spartizione dell’Iraq. Ecco perché è importante per noi gridare la nostra assoluta lealtà all’Iraq. Non siamo stranieri in questa terra. Abbiamo sempre vissuto insieme a curdi, sunniti, sciiti e turkmeni e non vedo perché dobbiamo accontentarci di vivere in un ghetto."
È vero che le chiese rimarranno chiuse a Mosul?
"Su questo argomento c’è stata una gran confusione sulla stampa. Le chiese domani (oggi, ndr) non saranno affatto chiuse. Rimane tuttavia chiaro, data la pericolosa situazione, che non tutti i fedeli saranno in grado di uscire di casa. Molti cristiani non vanno più al lavoro o a scuola. Alcuni impiegati ufficiali di Mosul mi hanno appena riferito che il loro capo gli ha chiesto di non recarsi al lavoro perché teme per la loro incolumità."
Perché non c’è stata esplicita condanna degli assassini alla preghiera del venerdì?
" C’è purtroppo una sorta di oscuramento mediatico. Gli imam hanno il dovere di condannare quanto accade a Mosul. In fin dei conti, questi assassini danneggiano anche l’immagine dell’islam, specie in una città che rappresenta la culla della convivenza islamo-cristiana in Iraq. Ma, per essere sinceri, anche noi pastori cristiani abbiamo le nostre mancanze. Non vedo ancora un discorso ecclesiale chiaro e unito. In che cosa deve consistere questo discorso unito? Deve dare voce forte ai cristiani, proteggerli dal punto di vista pastorale e permettere loro di esprimersi riguardo le tematiche nazionali. Molti ci accusano di fare il gioco di una parte contro un’altra. Questo non è vero, ma è compito della Chiesa dirlo forte, gridare che siamo a favore di tutto l’Iraq e solo dell’Iraq."
Ci sono state proteste cristiane nei giorni scorsi contro la legge elettorale. Porteranno a una revisione?
"Sì, ci sono tentativi per reintrodurre l’articolo 50 che prevede una quota per le minoranze. Spero che insieme alle varie pressioni da parte dell’Onu e della Ue sul nostro governo possano portare a un risultato positivo."
Il pretesto addotto era l’assenza di un censimento dei cristiani…
"Questo vale per tutti. Non è mai stato condotto un censimento su base confessionale o etnica in Iraq. Si è sempre trattato di stime che spesso vengono deliberatamente gonfiate per dare maggior peso a un gruppo piuttosto che a un altro. Chi potrà accertare che gli sciiti sono il 61 per cento o che gli arabi sunniti sono il 20 per cento? Nessuno. Riguardo i cristiani, le cifre più attendibili parlano di 650/700mila fedeli prima della guerra, contro 350/400mila oggi."
Ossia 300mila partenze in pochi anni. Ma è vero che la Chiesa caldea ha chiesto ad alcuni Paesi di preparare un piano di accoglienza dei profughi cristiani?
"Questo no. Io ho partecipato a una delegazione di vescovi in Germania dove vive una folta comunità caldea. Abbiamo chiesto al governo di favorire l’integrazione dei profughi cristiani nel mondo del lavoro e di agevolare il ricongiungimento dei genitori rimasti soli qui. Penso che, con il ritorno alla normalità, molti di questi profughi faranno ritorno, come hanno fatto i curdi.
Non siamo stranieri qui e non vedo perché dovremmo ridurci a vivere in un ghetto."