"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 novembre 2008

Mons. Sako: il voto sul ritiro delle truppe Usa nasconde il “fragile equilibrio” iracheno

Fonte: Asianews

Parlare di largo consenso in merito all’approvazione del piano di ritiro delle truppe irachene “non è corretto”. Il presidente aveva chiesto una larga maggioranza, ma chi non era d’accordo sulla proposta di legge “ha preferito disertare la seduta andando in pellegrinaggio alla Mecca”, lasciando ai colleghi deputati “il compito di votare”. È il commento fatto ad AsiaNews da mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – in merito al piano di ritiro delle truppe Usa dall’Iraq.
Ieri il parlamento iracheno con 148 voti favorevoli su 198 deputati presenti – 35 i voti contrari, 86 gli assenti – ha ratificato lo Status of Forces Agreement (Sofa): esso prevede che l’esercito Usa in Iraq – composto da 150mila soldati – entro il giugno 2009 dovrà ritirarsi nelle città e rimanere a disposizione per eventuali interventi di emergenza. La partenza definitiva è fissata per la fine del 2011. Ora la legge dovrà essere ratificata dal Consiglio di presidenza iracheno, composto dal capo di Stato Jalal Talabani (curdo) e dai vice-presidenti Tareq Al Hashemi (sunnita) e Adel Abdul-Mahdi (sciita). Spetterà poi ai cittadini iracheni la parola finale sulla normativa, mediante referendum popolare – invocato a gran voce dalla minoranza sunnita, come merce di scambio per il voto parlamentare – che dovrebbe svolgersi entro il luglio del 2009.
“Il voto rappresenta un passo in avanti – dice mons. Sako – ma tutto può succedere, perché la situazione è ancora precaria. Non c’è niente di stabile e definitivo, il Paese attraversa una fase di fragile equilibrio che può crollare in ogni momento”.

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Del resto la seduta parlamentare che ha portato all’approvazione dell’accordo è stata tutt’altro che tranquilla, con la frangia radicale sciita che ha più volte intonato slogan di protesta contro “l’occupazione americana”. Contrario all’accordo il leader Muqtada al-Sadr, che ha intimato ai suoi seguaci di innalzare bandiere nere in segno di lutto e di chiudere le sedi del movimento in tutto il Paese per i prossimi tre giorni. Soddisfazione parziale, invece, dal fronte sunnita, che si è visto riconoscere alcune richieste significative in materia di “riforme politiche”; tra queste vi è anche la revisione della legge che impedisce agli ex quadri del partito Baath del rais Saddam Hussein di ricoprire incarichi ufficiali nel Paese.
“L’Iraq è ancora profondamente diviso al suo interno", sottolinea l’arcivescovo di Kirkuk. "Non si può parlare di unità nazionale e anche il governo ne è cosciente. Ciascuno cerca di conquistare maggiore influenza nel proprio territorio e anche la capitale, Baghdad, che dovrebbe rappresentare il simbolo dell’unità, è in realtà suddivisa in settori in cui predomina una fazione ben precisa”.
Pianificare il ritiro delle truppe americane può essere positivo per il cammino verso l’autonomia del Paese, ma resta il rischio concreto di “una guerra civile se la nazione resta abbandonata a se stessa”. Mons. Sako sottolinea altri due punti essenziali: la linea che intenderà adottare Barack Obama in tema di politica estera e la minaccia nucleare iraniana. “Non è possibile prevedere quali iniziative prenderà il nuovo presidente americano, ma le sue decisioni avranno un peso fondamentale negli sviluppi futuri di tutta la regione. La minaccia nucleare iraniana – conclude il prelato – è un pericolo concreto per l’Iraq e per tutti i Paesi del Golfo. Il Medio Oriente è in bilico e il cammino di pace ancora molto lungo”.

Archbishop Sako: vote on U.S. troop withdrawal conceals Iraq's "fragile equilibrium"

Source: Asianews

Speaking of a broad consensus over the approval of the plan to withdraw U.S. troops "is not correct." The president had asked for a large majority, but those who did not agree with the proposed law "preferred to avoid the session by going on pilgrimage to Mecca," leaving to their fellow lawmakers "the task of voting." These are some of the comments made to AsiaNews by Louis Sako, archbishop of Kirkuk, over the plan to withdraw U.S. troops from Iraq.
Yesterday, the Iraqi parliament approved, by a vote of 148 in favor out of 198 lawmakers present - there were 35 votes against, and 86 lawmakers absent - the Status of Forces Agreement: it stipulates that the U.S. forces in Iraq - composed of 150,000 soldiers - would have to withdraw to the cities by June of 2009, remaining available for possible emergency operations. Their definitive departure is set for the end of 2011. Now the law must be ratified by the Iraqi presidency council, made up of head of state Jalal Talabani (Kurdish) and vice-presidents Tareq Al Hashemi (Sunni) and Adel Abdul-Mahdi (Shiite). The Iraqi citizens will have the last word on the measure, through a popular referendum - clamored for by the Sunni minority, in exchange for their vote in parliament - expected to be held by the end of July 2009.
"The vote represents a step forward," says Archbishop Sako, "but anything can happen, because the situation is still precarious. There is nothing stable or definitive, the country is going through a phase of fragile equilibrium that could collapse at any moment."

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The parliamentary session that approved the measure was anything but tranquil, with the radical Shiite fringe repeatedly chanting protest slogans against "the American occupation." The leader Muqtada al-Sadr is against the agreement, and has told his followers to display black banners as a sign of mourning, and to close the offices of the movement all over the country for the next three days. But there is partial satisfaction among the Sunnis, who have seen some of their requests for "political reforms" recognized; these include the revision of the law that prevents former members of the Baath party of rais Saddam Hussein from holding office in the country.
"Iraqis still profoundly divided within itself," emphasizes the archbishop of Kirkuk. "One cannot speak of national unity, and even the government recognizes this. Everyone is trying to gain greater influence in his own territory, and even the capital, Baghdad, which should represent the symbol of unity, is in reality subdivided into sectors controlled by very specific factions."
Planning the withdrawal of American troops could be positive for the country's journey toward autonomy, but there remains the concrete risk of "a civil war if the nation is left to itself." Archbishop Sako emphasizes two other essential points: the foreign policy stance that Barack Obama intends to take, and the Iranian nuclear threat. "It is not possible to predict what initiatives the new American president will take, but his decisions will have a fundamental effect on future developments in the entire region. The Iranian nuclear menace," the prelate concludes, "is a concrete threat for Iraq and for all the countries of the Gulf. The Middle East is hanging in the balance, and there is a long way to go on the journey of peace."

28 novembre 2008

L'Unione Europea pronta ad accogliere 10.000 iracheni

Fonte: BBC

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

L'Unione europea si è detta pronta ad accogliere fino a 10.000 rifugiati iracheni, molti dei quali vivono in condizioni di estrema difficoltà in Giordania e in Siria. L'accordo è stato raggiunto giovedì nel corso di una riunione a Bruxelles durante la quale i ministri degli interni hanno ricevuto una nuova relazione sulle condizioni nei campi profughi. La Germania ha dichiarato che accoglierà circa 2.500 dei rifugiati. Sarà data priorità a quelli che hanno esigenze mediche, alle vittime di torture, alle madri nubili ed alle minoranze religiose. L'agenzia dell'ONU per i rifugiati, l'UNHCR, ha accolto l'impegno dell'Unione europea giudicandola un "passo positivo" e sottolineando come avesse pressato per 18 mesi l'Unione Europea perchè offrisse maggiore protezione ai rifugiati iracheni in pericolo. Finora solo il 10% di quelli reinsediati dall'UNHCR hanno trovato una sistemazione nei paesi dell'Unione Europea, soprattutto in Svezia e nei Paesi Bassi, riporta da Bruxelles Oana Lungescu della BBC. La Svezia afferma di aver accolto circa 18.000 richiedenti asilo iracheni nel 2007 - più della metà del totale che è entrata nella UE lo scorso anno. La Svezia ha una consolidata comunità irachena che ammonta a circa 100.000 persone, ma afferma che altri paesi della UE dovrebbero accogliere una quota maggiore di iracheni fuggiti in gran parte dalla violenza e dalla povertà.

Non è un impegno vincolante
Un portavoce del ministero dell'interno britannico ha affermato che il Regno Unito "ha già dimostrato la sua chiara determinazione a sostenere i profughi iracheni attraverso il programma Gateway, con oltre 200 persone reinsediate nel Regno Unito dal mese di aprile ed altre in arrivo nei prossimi mesi". "Continueremo a lavorare con i nostri partner europei per garantire che i profughi iracheni siano reinsediati in tutta Europa", ha aggiunto. Un gruppo di esperti che ha visitato i campi profughi iracheni in Medio Oriente ha recentemente riportato un peggioramento delle condizioni della maggior parte dei rifugiati i cui risparmi stanno finendo e che non hanno ottenuto i permessi di lavoro, hanno segnalato i media tedeschi.
La decisione dell'Unione Europea circa il reinsediamento dei profughi è volontaria e non vincolante, ed è improbabile che inverta l'attuale tendenza, dice il nostro corrispondente. Finora la maggior parte dei rifugiati iracheni sono stati accolti dagli Stati Uniti, dal Canada e dall'Australia.

EU ready to accept 10,000 Iraqis

Source: BBC

Many poor Iraqis live precariously in neighbouring countries
The European Union says it is ready to accept up to 10,000 Iraqi refugees, many of whom are living in extreme hardship in Jordan and Syria. The agreement came at an EU meeting in Brussels on Thursday, where interior ministers received a new report on conditions at refugee camps. Germany said it would take in about 2,500 of the refugees.
Priority will be given to those with medical needs, torture victims, single mothers and religious minorities.
The UN refugee agency, the UNHCR, welcomed the EU pledge as a "positive step", saying it had been pressing the EU for 18 months to offer more protection to vulnerable Iraqi refugees.
So far, only 10% of those resettled by the UNHCR have found a home in EU countries, mainly Sweden and the Netherlands, the BBC's Oana Lungescu reports from Brussels.
Sweden says it received about 18,000 Iraqi asylum seekers in 2007 - more than half the total that entered the EU last year. Sweden has a well-established Iraqi community totalling about 100,000 but says other EU countries should take in a bigger share of Iraqis, who have mostly fled violence and poverty.

Not a binding commitment

A UK Home Office spokesperson said the UK had "already shown its clear determination to support Iraqi refugees through the Gateway Programme, with over 200 people resettled in the UK since April and more arriving in the coming months".
"We will continue to work with our European partners to ensure that Iraqi refugees are resettled across Europe,"
the spokesperson added.
An EU expert group that toured Iraqi refugee camps in the Middle East recently said conditions were worsening for most of the refugees, because their savings were dwindling and they did not have work permits, German media reported.
The EU decision to resettle the refugees is voluntary, rather than binding, and is unlikely to reverse the current trend, our correspondent says. So far, most Iraqi refugees have been taken in by the United States, Canada and Australia.

Padre Amer Youkhanna (Iraq). Non ho altro da dire se non che sono triste per questo.

By Fr. Amer Youkhanna

Perché schiacciare l’innocenza? Perché distruggere la bellezza? Perché rovinare la civiltà.?
Perché calpestare ricordi? Perché danneggiare le strutture? Perché stroncare un sogno? Perché oggi siamo così?
Il seminario ed il Babel College di Baghdad sono luoghi per me così familiari che non avrei mai immaginato di non riconoscerli o di non sentirli come casa mia. Quando ho visto le ultime foto, quelle scattate dopo che l’esercito USA che aveva occupato il Babel College lo ha lasciato, ho visto come tutto è stato distrutto, ridotto, danneggiato … e quello che non avrei mai immaginato potesse succedere è successo. Mi sono sentito estraneo a quei luoghi, non vi ho ritrovato i miei tanti, bei ricordi … non ho visto le nostre foto sulle pareti del corridoio, non ho sentito l’eco delle nostre risate, non ho visto me stesso in tutto ciò che facevo quando ero lì … la guerra non distrugge solo il presente ma anche il passato, non solo ciò che c’è oggi, ma anche i bei ricordi di un ieri che sembra così lontano da far pensare che forse era un secolo fa … Ricordo quando ero seminarista a Baghdad dove ho vissuto per ben 4 anni e mezzo, ricordo quando tornavano i sacerdoti che celebravano i loro anniversari di sacerdozio. Quando ci raccontavano i loro ricordi belli e brutti di ogni angolo del seminario.
Guardando quelle foto ho detto a me stesso: cosa ho da raccontare nel futuro? Cosa mi hanno lasciato? La guerra ha cancellato una parte significativa della mia storia … non ho altro da dire se non che sono triste per questo.

Questa è una riflessione ricevuta da Baghdadhope da Padre Amer Youkhanna su ciò che è successo al Seminario Maggiore Caldeo di San Pietro di Baghdad ed al Babel College.
Per la storia che ha ispirato Padre Youkhanna clicca
qui

Fr. Amer Youkhanna (Iraq). I have nothing more to say except that I am sad for this

By Fr. Amer Youkhanna

Why crushing the innocence? Why destroying the beauty? Why ruining the civilization? Why trampling on the memories? Why damaging the buildings? Why breaking off a dream? Why are we so today?
The Seminar and the Babel College in Baghdad are places so familiar with me that I could never imagine not to recognize them or not to feel them as my home. When I saw the last photos, those taken after the U.S. army that had occupied the Babel College moved out from it, everything was destroyed, reduced, damaged ...
What I would never imagined would happen happened. I felt myself alien to those places, I didn’t find there my many, happy memories ... I did not see our photos on the walls of the corridor, I did not hear the echo of our laughters, I did not see myself in everything I used to do when I was there ... the war does not only destroys the present but also the past, not only what we have today but also the happy memories of a past that seems so distant to make one think that perhaps it was a century ago ... I remember when I was a seminarist in Baghdad where I lived for 4 years and a half, I remember the priests coming back after celebrating their anniversaries of priesthood. I remember when they used to tell us about the happy and sad memories of every corner of the Seminar.
Looking at those photos I said to myself: what will I have to tell in the future? What did they leave me? The war erased a very important part of my history ...

I have nothing more to say except that I am sad for this.

This is a reflection received by Baghdadhope by Fr. Amer Youkhanna on what happened to the Chaldean Major Seminar of St. Peter in Baghdad and to the Babel College.
For the story that inspired Fr. Youkhanna click here

27 novembre 2008

Iraq: Sako (Kirkuk) "Fuga dei cristiani destabilizzante per tutto il medio oriente"

Fonte: SIR

“L’Iraq senza cristiani è un Paese più povero. Sarebbe disastroso per la convivenza, per la tolleranza e questo non solo per l’Iraq ma per tutto il Medio Oriente”. A ribadirlo con forza è stato l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako, intervenuto oggi alla giornata conclusiva del convegno nazionale Cei dei delegati diocesani per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. L’arcivescovo ha ricordato la situazione in cui versano attualmente le comunità cristiane, “metà della quali ormai rifugiate all’estero, sottoposte a violenze, stupri, omicidi e rapimenti con false motivazioni religiose. L’Iraq è un paese in preda ai terroristi i cui capi non sono iracheni ma di paesi stranieri, la classe culturale è dispersa. I cristiani - ha aggiunto - sono presi come capro espiatorio, da eliminare, da cacciare via, in vista della istituzione di uno stato islamico. Sono considerati ‘dhimmi’, ovvero cittadini di seconda classe”, con tutto quello che ne consegue in termini di diritti e libertà.
“Possiamo celebrare i nostri culti ma non possiamo annunciare il Vangelo. Ci sono musulmani che in segreto vengono a chiedere il battesimo, ma poi sono costretti a fuggire. Non esiste libertà di coscienza, dunque non sono ammesse conversioni ad altre religioni”. Tutto ciò non impedisce il dialogo: “con l’islam c’è il dialogo della vita. Ai nostri fratelli musulmani testimoniamo la nostra fede in Dio con la fedeltà, la morale cristiana, la pazienza, il perdono, l’umiltà. Testimoniamo Dio con la carità. I cristiani - ha poi precisato mons. Sako - sono in Iraq da prima dell’Islam, sono i pionieri della civiltà irachena, hanno tradotto i testi di medicina, di giurisprudenza, di letteratura, di filosofia, hanno sempre difeso l’integrità territoriale, agendo con fedeltà, lealtà e onestà verso il loro Paese. Ecco perché un Iraq senza cristiani è un Iraq più povero e non più la culla della convivenza”.

Iraq: Sako (Kirkuk) "The Christian's flight destabilises all the middle east"

Fonte: Sir

“Without Christians, Iraq is a poorer country. It would be a disaster for cohabitation, for tolerance, and not only for Iraq but for all the Middle East”. This was powerfully repeated by the Chaldean archbishop of Kirkuk, mgr. Louis Sako, as he spoke today on the final day of the national meeting the of diocesan delegates for ecumenism and inter-religious dialogue, promoted by the Italian Bishops Conference. The archbishop spoke of the situation in which the Christian communities currently are, “one half of whom have by now fled abroad or undergo abuse, rape, murder and abductions, under false religious pretexts. Iraq is a country torn by terrorists, whose leaders are not Iraqis but come from foreign countries, the cultural class has been scattered away. Christians – he added – are taken as scapegoats, to be eradicated, to be kicked out, with a view to establishing an Islamic state. They are considered ‘dhimmi’, i.e. second-rate citizens”, with all this implies in terms of rights and freedoms.
“We can celebrate our cults but we cannot announce the Gospel. There are Muslims who secretly come asking to be baptised, but then they are forced to escape. There is no conscientious freedom, so conversions to other religions are not allowed”. However, this does not hinder dialogue: “there is the dialogue of life with Islam. To our Muslim brothers, we testify our faith in God through faithfulness, Christian morality, patience, forgiveness, humbleness. We testify God through charity. Christians – pointed out mgr. Sako – have been in Iraq since before Islam, they are the pioneers of the Iraqi civilisation, they have translated the texts of medicine, law, literature, philosophy, they have always defended the geographical integrity, behaving faithfully, loyally and honestly towards their country. That’s why an Iraq without Christians is a poorer Iraq, it is no longer the cradle of cohabitation”.

26 novembre 2008

In Unitate Spiritus

Fonte: Conferenza Episcopale Italiana

Convegno nazionale dei delegati diocesani per l'ecumenismo ed il dialogo interreligioso.

La difficile testimonianza dei cristiani in Oriente: l'Iraq e l'India.
Per l'Iraq interviene Monsignor Louis Sako,
Arcivescovo Caldeo di Kirkuk

Ore 9.30 Roma, Clarhotel, Via Lorenzo Mossa 4

UNEDI: ufficio Nazionale per l'Ecumenismo ed il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana
Circ.ne Aurelia 50
00165 Roma
06 66398301

Babel College: storia di una requisizione e di un accordo. Intervista a Mons. Shleimun Warduni, Ausiliare del Patriarca Caldeo.

By Baghdadhope


Si delineano i contorni della vicenda del Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana in Iraq di proprietà della chiesa caldea che a metà di novembre è stata “restituita” dall’esercito americano che l’aveva occupata nel marzo del 2007.
Lo stesso uso del verbo restituire fatto da questo blog nel dare la
notizia lo scorso 14 novembre è infatti impreciso secondo Monsignor Shleimun Warduni, Ausiliare del Patriarca Caldeo che ha trattato la vicenda con gli americani.


Baghdadhope lo ha sentito a proposito:
“Restituire qualcosa, e nel nostro caso si sta parlando di edifici istituzionali, presuppone una richiesta di prestito o di uso. Richiesta che non c’è mai stata. Il Patriarcato di Babilonia dei Caldei non ha mai concesso l’uso degli edifici del Babel College o del Seminario Maggiore caldeo di San Pietro all’esercito americano. Quindi come possono restituire una cosa che non ci hanno chiesto?”
Monsignore, quali sono state le tappe della vicenda dal punto di vista delle trattative con l’esercito USA?
“Da quando l’edificio è diventato una base americana mi ci sono recato almeno 15 volte, da solo e due volte accompagnato dal Rettore del Babel College, Mons. Jacques Isaac. Fin dalla prima volta ho tenuto a chiarire ai soldati americani che ciò che avevano fatto occupando il Babel College, che ricordiamo ha al suo interno una cappella, era stato di trasformare in un luogo di guerra ciò che invece era un luogo di pace, di preghiera e di studio. Le nostre richieste di ritornare in possesso dell’edificio non sono state però accolte ed il collegio è diventato una base militare operativa.”
L’accordo ora raggiunto è che gli USA, che lo hanno intanto sgomberato, restaurino ciò che è stato danneggiato..
“All’inizio di novembre sono stato contattato telefonicamente dal comando americano che si è detto pronto a riconsegnare alla chiesa caldea il collegio. Sempre telefonicamente la mia risposta è stata che il Patriarcato non avrebbe accettato nessuna consegna se non preceduta dal restauro del collegio, del Seminario Maggiore, e delle chiese di San Pietro e Paolo e di San Giacomo.
Questa posizione diede il via ad una sorta di braccio di ferro. Gli americani risposero che erano pronti in ogni caso ad abbandonare il collegio ed il Patriarcato sottolineò come la cosa avrebbe certamente trovato vasta eco nei mezzi di informazione che già si erano occupati delle sue sorti. Dopo qualche giorno gli americani si dissero disposti a compiere i lavori di restauro. Con Mons. Isaac mi recai così al Babel College dove consegnammo loro una lista di tutto ciò che c’era negli edifici e dove fu ribadito che gli edifici, danneggiati dall’uso e dall’incuria, devono essere riportati alle antiche condizioni, o attraverso il restauro da parte dello stesso esercito USA o attraverso l’erogazione di fondi che la chiesa userebbe a tal fine. Dopo qualche altro giorno, infine, avemmo l’assicurazione che gli edifici saranno restaurati.”
Monsignore, i soldati americani occupavano di fatto l’edificio del Babel College, che responsabilità hanno nei confronti di quello del seminario e delle due chiese che ha citato?
“Il Seminario, sebbene non alloggiasse soldati americani, è stato da essi colpevolmente trascurato e saccheggiato impunemente sotto i loro occhi. Quando ho chiesto loro di intervenire per fermare i ladri, o anche solo chi sul suo prato portava a pascolare le bestie entrando da un varco nel muro di cinta, mi hanno risposto che non era loro compito. E questo sebbene fossero stati loro a buttarne giù le porte per controllarlo lasciandole poi aperte per mesi. I furti sono finiti solo quando di difenderlo si sono occupati i membri di Sahwa che hanno chiuso il varco nel muro esterno.”
Cosa è stato rubato dal seminario?
“Tutto praticamente. Comprese le attrezzature elettroniche. Ciò che non è stato rubato è stato distrutto. Su un condizionatore era addirittura stato scritto “Questo è prenotato”. Si vede che il ladro non aveva avuto tempo di rubarlo ma aveva voluto comunque assicurarselo dichiarandosene proprietario. Grazie a Dio però la biblioteca non è stata toccata, si vede che i libri non erano interessanti…”
Gli americani quindi si sono impegnati a restaurare il seminario ammettendo implicitamente di non averlo preservato. E le chiese? Avevano occupato anche le chiese?
“No, ma dalla chiesa di San Pietro e Paolo avevano prelevato i banchi che sono stati restituiti in pessime condizioni, non certo come li avevano trovati..”
Anche dalla chiesa di San Giacomo avevano preso qualcosa? Come mai hanno promesso di restaurarla?
“In realtà la chiesa di San Giacomo non si trova nel comprensorio del collegio, del seminario e della chiesa di San Pietro e Paolo, e se ha bisogno di restauro è perché è stata bruciata in un attacco terroristico nell’ottobre del 2004. Gli americani con essa non c’entrano ma durante uno dei miei incontri con loro l’avevo visitata in compagnia di un generale iracheno e di uno americano che in quell’occasione si era comunque impegnato a restaurarla. Ogni volta che mi recavo al Babel College gli americani mi domandavano sempre quando i cristiani sarebbero tornati a Dora, ed io sempre rispondevo loro che sarebbe stato difficile vederli tornare in massa se neanche le chiese erano più in grado di accoglierli.”
Ora che l’impegno americano c’è come procedono i lavori?
“I lavori di restauro si dividono tra quelli del Babel College e quelli del seminario e delle due chiese. Tutti saranno supervisionati da un ingegnere da noi incaricato. Prima che lasciassi l’Iraq gli americani mi hanno comunicato che per quanto riguarda quelli da fare al Babel College saranno dati in appalto ad una ditta irachena il cui titolare mi ha personalmente assicurato che farà un buon lavoro. In ogni caso tra qualche giorno sarò di ritorno a Baghdad e controllerò come stanno procedendo.”
Monsignore, pensa che se non ci fossero stati gli americani i danni agli edifici, che comunque la chiesa caldea aveva dovuto abbandonare nel gennaio 2007 a causa della pericolosità della zona dove si trovano, il tristemente famoso quartiere di Dora, avrebbero potuto essere maggiori?
“Posso dire che prima dell’arrivo degli americani c’erano le guardie nominate dalla chiesa e che l’occupazione da parte dell’esercito USA può essere stata interpretata da alcune frange terroristiche come segno di un accordo tra esso e la chiesa. Un accordo che, ripeto, non c’è mai stato. In ogni caso non amo l’uso del condizionale e posso parlare solo della realtà di oggi.”
E come la descriverebbe?
“La situazione in Iraq cambia molto velocemente ed è diversa da zona a zona. Così, ad esempio, il 15 novembre abbiamo celebrato una Santa Messa a Dora per ricordare la riapertura, avvenuta esattamente un anno prima, della chiesa di San Giovanni Battista. Una bella notizia quindi. Il giorno dopo però l’esplosione di un autobomba nel centro di Baghdad ha danneggiato la Nunziatura Apostolica anche se, grazie a Dio, nessuno è rimasto ferito. Il 24 novembre un ordigno è esploso davanti alla chiesa armena nel centro di Kirkuk danneggiandola. La definirei una situazione fatta di alti e bassi, certamente lontana però dal fare dell’Iraq un paese pacificato”

Babel College: story of a requisition and an agreement. Interview with Msgr. Shleimun Warduni, Auxiliary of the Chaldean Patriarch.

By Baghdadhope

Other particulars of the story of Babel College, the only Christian theological faculty in Iraq belonging to the Chaldean church, that in mid-November has been "returned" by the American Army that had occupied it on March 2007 come out.
The same use of the verb “to return” done by this blog in reporting the piece of news on November 14 is imprecise according to Msgr. Shleimun Warduni, Auxiliary of the Chaldean Patriarch who dealt with the matter with the Americans.

This is what he told to Baghdadhope:
"To return something, and in our case we are talking about institutional buildings, presupposes a request for a loan or for its use. A request that was never done. The Patriarchate of Babylon for the Chaldeans never granted the use of the buildings of Babel College or the Chaldean Major Seminary of St. Peter to the American army. So how can they return something that was never requested? "
What were the stages of the story from the perspective of the negotiations with the U.S. army?
"Since the building became an American base I went there at least 15 times, alone and twice accompanied by the rector of Babel College, Msgr. Jacques Isaac. From the very first time I explained to the American soldiers that what they had done occupying the Babel College that, it must be recalled, has a chapel inside, was to transform in a place of war what was instead a place of peace, prayer and study. Our requests to regain possession of the building were not accepted and the college became an operational military base."
The agreement now reached with the U.S. Army that in the meantime has moved out from it, is that it will restore what has been damaged ..
"At the beginning of November I was contacted by telephone by the American command that said to be ready to return the college to the Chaldean Church. My answer to that call was that the Patriarchate would not accept any handover if not preceded by the restoration of the college, of the major seminary, and of the churches of St. Peter and Paul and St. James. This position gave way to a sort of tug-of-war. The Americans said they were ready in any case to move out from the college and the Patriarchate stressed how such a case would have certainly found wide echo in the media who had already reported on its fate. After a few days the Americans said to be ready to make the restoration. With Msgr.Isaac I went to the Babel College where we delivered to the Americans a list of everything that was in the buildings, and where it was confirmed that the buildings, damaged by use and carelessness, must be given back as they were through the restoration by the U.S. army or through funds that the church would use for this purpose. After a few more days, finally, we were assured that the buildings will be restored."
The American soldiers occupied the Babel College, which responsibility do they have towards the seminar and the two churches you mentioned?
"Even if the Seminar did not house American soldiers it was culpably neglected and looted with impunity under their eyes. When I asked them to intervene to stop the thieves, or at least those who used to carry their animals to graze on its lawn entering a passage through the external wall, they replied that it was not their task. And this although they had knocked down its doors to check and clear it leaving them open for months. The thefts finished only when the members of Sahwa began to defend it closing the passage through the wall."
What was stolen from the Seminar?
"Everything, in practice. Including electronic equipment and the kitchen. What was not stolen was destroyed. On a conditioner someone had even written "This is booked." Probably the thief had had not time to steal it but he wanted to secure it declaring himself as its new owner. Thanks God, however, the library was not touched, maybe the books were not interesting ... "
So the Americans bound themselves to restore the seminar implicitly admitting not to have preserved it. And what about the churches? Did they occupy also the churches?
"No, but they took the benches from the church of St. Peter and Paul and they were returned in very bad conditions, surely not as they had been found .."
Did they take something from the church of St. James too? Why did they promise to restore it?
"The church of St. James is not in the area of the College, the seminary and the church of St. Peter and Paul, and if it needs to be restored it is because it was burned in a terrorist attack on October 2004. The Americans have nothing to do with it but during one of my meetings with them I went there with an Iraqi general and an American one who, at that time, promised to restore it. Every time I went to the Babel College the Americans used to ask me when the Christians would go back to Dora, and I always answered them that it would be difficult to see them going back en masse if they had no churches to pray into."
Now, after the U.S. commitment, how are the works proceeding?
"The restoration works are divided between those in Babel College and those i the seminar and the two churches. They will be supervised by an engineer appointed by us. Before my leaving Iraq the Americans told me that as for the restoration works in the Babel College they will be given out by contract to an Iraqi company the owner of which personally assured me that he will do a good job. In any case in a few days I will be back in Baghdad and I will check how the works are proceeding."
Do you think that if the Americans did not occupy the buildings that the Chaldean church had to leave on January 2007 because of the danger of the area, the sadly famous district of Dora, damages could have been worse?
"I can say that before the arrival of the American there were guards appointed by the church and that the occupation by the United States Army may have been interpreted by some fringes of terrorism as a sign of an agreement between it and the church. An agreement that, I repeat, was never signed. In any case I do not like the use of conditional and I can only speak of the reality of today."
And how could you describe this reality?
"The situation in Iraq changes very quickly and is different from area to area. Thus, for example, on November 15 we celebrated a Mass to remember the reopening which occurred exactly one year before of the church of St. John the Baptist in Dora. A good piece of news then. But the day after the explosion of a car in central Baghdad damaged the Apostolic Nunciature although, thanks God, no one was injured, and on November 24 a bomb exploded in front of the Armenian church in central Kirkuk damaging it. I could define the situation as one of ups and downs, but certainly far from making Iraq a pacified country."

Vandalism at the Chaldean Seminar A room of the Chaldean Seminar

Mons. Warduni: "In Iraq ancora grave la situazione per i cristiani"

Fonte: Radiovaticana


Il Parlamento iracheno si sta per esprimere sull’accordo che prevede il ritiro delle truppe USA dal Paese. Il patto firmato la scorsa settimana, dopo un lungo e difficile negoziato tra Baghdad e Washington, prevede il ritiro di almeno 150mila soldati americani entro il 2011. Intanto, la situazione sul terreno continua a rimanere grave, in particolare per la minoranza cristiana, oggetto di continue violenze.
Ce ne parla mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei:


L'auspicio del Papa per la pace in Iraq nell'incontro con mons. Warduni
intervista di Luca Collodi

Iraq: Warduni (Baghdad) "Il Papa porta nel cuore l'Iraq e prega per i cristiani e la pace"

Fonte: SIR

“L’Iraq è nel nostro cuore. Ricordiamo sempre i cristiani, preghiamo per loro e per la pace nel Paese”. Con queste parole oggi Benedetto XVI ha salutato, al termine dell’udienza, il vicario patriarcale di Baghdad, mons. Shlemon Warduni. A riferirle al Sir è lo stesso vicario caldeo: “Il Papa si è mostrato molto interessato alla causa irachena e ha voluto sapere come stanno i cristiani del nostro Paese. Io gli ho portato i saluti di tutte le comunità ed in particolare di quella di Mosul che da settimane ormai vive una persecuzione senza precedenti, costretta dalla violenza ad abbandonare la città. L’incontro è durato pochissimi minuti nei quali ho avuto la certezza che il Pontefice segue e conosce da vicino quanto accade in Iraq”.
“Le parole di Benedetto XVI – dichiara Warduni – ci aprono alla speranza in vista del Natale prossimo. Domenica sarà la prima di Avvento e nella nostra parrocchia abbiamo organizzato una tre giorni di ritiro e di solidarietà. Venerdì avremo una conferenza sulla Vergine Maria, sabato il raduno dei bambini e dei giovani, anche universitari e domenica una grande festa con una pesca benefica per raccogliere fondi per acquistare dei mezzi di trasporto per portare i bambini a scuola”.

Iraq: Warduni (Baghdad) "The Pope prays for Christians and for peace and carries Iraq in his heart"

Source: SIR

“Iraq is in our hearts. We always remember the Christians, we are praying for them and for peace in the country.” With these words, Benedict XVI greeted the Patriarchal Vicar of Baghdad, Mgr Shlemon Warduni, at the end of today’s audience. The Chaldean vicar told the SIR: “The Pope has shown a deep interest in the Iraqi cause and wanted to know how are Christians in our country. I brought him the greetings of all our communities, especially the one of Mosul that for several weeks has been suffering persecutions and is fleeing the city to escape violence. The meeting lasted only few minutes, but I had the certainty the Pontiff knows and is concerned about what is happening in Iraq.”
“Benedict XVI’s words – declared Mgr Warduni – are giving us hope in this time leading up to Christmas. Next Sunday will be the first Sunday of Advent and we have organised a three-day solidarity retreat in our parish, Our Lady of the Sacred Heart. We will have a conference on the Virgin Mary on Friday, a meeting for children, young people and university students on Saturday and big party with a lottery on Sunday to raise money to buy a school bus to carry children to school.”

24 novembre 2008

La Germania sostiene il piano per i profughi iracheni

Fonte: DW-WORLD.DE

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

I ministri della UE discuteranno il piano per i profughi la prossima settimana I ministri degli interni degli stati federati tedeschi hanno dato il loro appoggio al piano del ministro degli interni Wolfgang Schaeuble che prevede di accogliere fino a 2500 rifugiati iracheni cristiani nel quadro di un accordo dell’Unione europea. L’appoggio è stato dato lo stesso giorno in cui il Commissario Speciale delle Nazioni Unite per l'Iraq, Staffan de Mistura, ha espresso la sua preoccupazione per la situazione dei cristiani iracheni in Iraq nel corso dei colloqui con il Cancelliere tedesco Angela Merkel a Berlino.
De Mistura ha affermato che un ulteriore esodo deve essere fermato e ha invitato la Germania e altri paesi dell'Unione europea a sollecitare Baghdad nel dare maggiore protezione ai gruppo di minoranza. Il Ministro degli Interni del Brandeburgo Joerg Schoenbohm (CDU), che è presidente della Conferenza dei ministri degli Interni nella di Potsdam venerdì 21 novembre ha dichiarato che l'Europa deve aiutare i cristiani che non sono stati in grado di tornare in Iraq. Basandosi sulle statistiche citate dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Schaeuble ha detto che dal 3 al 3,5% dei due milioni di profughi iracheni potrebbero non fare ritorno a casa, aggiungendo che circa 10.000 cristiani iracheni potrebbero trovare rifugio in Europa e che la Germania è pronta ad accogliere il 25% di essi mentre la maggior parte sono destinati ad andare in Canada o negli Stati Uniti.
La Germania pensa al futuro a lungo termine
Il Ministro degli Interni dell’Assia, Volker Bouffier (CDU), ha sottolineato che il processo prevede il re-insediamento dei profughi a lungo termine e che essi dovrebbero frequentare un corso trimestrale di integrazione che comprenderebbe anche l'insegnamento della lingua. Bouffier ha sottolineato che i non-cristiani non sarebbero automaticamente esclusi. "Se è necessario contribuire a causa della miseria e delle avversità vorremmo occuparci dei cristiani in particolare." Ma ha detto anche che ciò non significa rifiutare persone nelle stesse difficili condizioni.
Il ministro degli Interni di Berlino Ehrhart Koerting (SPD) ha detto che ai rifugiati potrebbe inizialmente essere garantito un permesso di soggiorno triennale che potrebbe essere rinnovato e infine portare all’ottenimento della cittadinanza tedesca.
Gli stati tedeschi rispondono all’appello dell’UNHCR.
L'UNHCR ha rivolto all'inizio della settimana un invito agli stati tedeschi ad accettare i profughi iracheni. In un'intervista esclusiva con la Deutsche Welle, Stefan Teloeken, portavoce dell'UNHCR in Germania, ha detto che una piccola parte dei due milioni di profughi ospitati nei paesi confinanti con l'Iraq non sono stati né in grado di tornare a casa né di integrarsi nei paesi di accoglienza. "Per queste persone dobbiamo trovare dei paesi terzi", ha detto giovedì. "C’è un programma istituito a tale scopo e ci auguriamo che molti paesi vi aderiscano.”
"La Germania potrebbe essere un paese che accoglie i rifugiati iracheni particolarmente bisognosi di protezione. Esiste una tradizione di accoglienza dei profughi iracheni qui in Germania. Ci sono molti richiedenti asilo e molti iracheni che hanno trovato protezione qui e vivono come rifugiati". I ministri degli interni dell'UE discuteranno la questione la prossima settimana. Schaeuble ha espresso la speranza che un accordo possa essere raggiunto, ma ha aggiunto anche che l'accettazione dei rifugiati sarebbe volontaria.

German States Back Iraqi Refugee Plan

Source: DW. WORLD.DE

Germany's state interior ministers have given their backing to German interior minister Wolfgang Schaeuble's plans to accept up to 2,500 Iraqi Christian refugees in the framework of a European Union agreement.
This comes on the same day as the UN's Special Commissioner for Iraq, Staffan de Mistura, expressed his concern about the situation of Iraqi Christians in Iraq in talks with the German Chancellor Angela Merkel in Berlin. De Mistura said a further exodus had to be stopped and called upon Germany and other EU countries to urge Baghdad to give more protection to the minority grouping.
Brandenburg Interior Minister Joerg Schoenbohm (CDU), who is Chairman of the Conference of Interior Ministers meeting in Potsdam, said Friday (Nov. 21) that Europe had to help Christians who were not able to return to Iraq.
Drawing on statistics cited by the UN High Commissioner for Refugees, Schaeuble said 3 to 3.5 percent of the two million or so Iraqi refugees could not be expected to return home. He said some 10,000 Iraqi Christians could find refuge in Europe, and that Germany was prepared to take in up to 25 percent of them. The majority are due to go to Canada or the United States.
Germany is thinking long-term
Hessen's Interior Minister Volker Bouffier (CDU) stressed that the process foresaw long-term resettlement of the refugees and that they would be expected to take part in a three-month integration course, which would also involve language teaching.
Bouffier stressed that non-Christians would not be automatically ruled out.
"If help is needed because of misery and adversity, then we would like to look after the Christians in particular." But he said that didn't mean rejecting people in the same difficulties.
Berlin's Interior Minister Ehrhart Koerting (SPD) said the refugees would initially be given three-year residence permits. These could be renewed and lead eventually to German citizenship.
German states responding to UNHCR appeal
The UNHCR made an appeal earlier this week to German states to accept Iraqi refugees. In an exclusive interview with Deutsche Welle, Stefan Teloeken, a spokesman for UNHCR Germany, said a small fraction of the two million refugees sheltering in countries neighboring Iraq were neither able to return home nor to integrate into their host countries.
"For these people we have to find third countries," he said on Thursday. "There is a program set up to this end and we hope that many countries will join this program."
"Germany could be a country that takes in Iraqi refugees that are particularly in need of protection. You know that there is a tradition of taking in Iraqi refugees here in Germany. There are a lot of asylum seekers here and a lot of Iraqis who have found protection here and are living as refugees in Germany."

EU interior ministers are due to discuss the issue next week. Schaeuble expressed hope that an agreement could be reached, but he also said the acceptance of refugees would be voluntary.

La chiesa cattolica in Georgia. Intervista a Sua Ecc. Mons. Giuseppe Pasotto, Amministratore Apostolico del Caucaso dei Latini

Fonte: ICN da Fides

La Chiesa cattolica è presente in Georgia da circa otto secoli, a partire dal sec. XIII. La sua lunga storia si presenta principalmente come attività missionaria nei secoli XIII - XVI ad opera dei Francescani e dei Domenicani, l'attività missionaria nei secoli XVII - XVIII ad opera dei Teatini, l'attività missionaria dalla II metà del sec. XVIII alla II metà del sec. XIX ad opera dei Cappuccini e finalmente l'attività dalla II metà del sec. XIX ad oggi ad opera prevalentemente del clero locale. In Georgia, i cattolici, circa cinquantamila persone, hanno tre riti: latino, armeno e siro-caldeo. Rappresentano l'un per cento della popolazione, che nella sua stragrande maggioranza è ortodossa, con una presenza di musulmani pari all'11 per cento.
Padre Giuseppe Pasotto, veronese, è entrato ancora giovane tra gli Stimmatini ed è stato ordinato sacerdote il 12 maggio 1979 dal Cardinale Lucas Moreira Neves. Ha esercitato nella diocesi di Verona il ministero di animatore vocazionale, formatore ed insegnante in diverse scuole. Si trova in Georgia dal 10 settembre del 1994 I primi mesi vengono passati a Tbilisi, la capitale del Paese, per imparare la lingua e comprendere i primi elementi di una cultura e di un mondo completamente diverso, da poco uscito dalla caduta dell'Impero sovietico. All'inizio della sua opera missionaria, Padre Pasotto segue in particolare la comunità di Axalsheni e inizia insegnamento della lingua italiana nell'Università statale di Kutaisi. Nel dicembre 1996 viene nominato Amministratore Apostolico del Caucaso e praticamente assume le funzioni di Vescovo della Georgia, Armenia e Azerbajan per i cattolici di rito latino. Durante la visita alla Comunità della Georgia dell'8-9 novembre 1999, Giovanni Paolo II annuncia la nomina di Padre Giuseppe Pasotto a Vescovo con la sede titolare di Musti.
Eccellenza, come ha valutato la crisi georgiana? Ci sono stati segnali che hanno preceduto il conflitto? C'è chi sostiene che una delle ragioni di questo conflitto sia determinata dal petrolio ed in particolare dall'oleodotto che attraversa la Georgia ed anche l'Ossezia del Sud. Che valutazione fa rispetto a quest'aspetto del problema?
Pur considerando che l'instabilità nella regione caucasica è sempre stata presente, non avevo percepito i segnali di un conflitto che doveva nascere così in fretta. Non c'è dubbio che l'attenzione che le grandi potenze, Stati Uniti e Russia in testa, hanno su quest'area, nasca anche da questo. L'America ha investito molti aiuti per il rinnovo dell'esercito georgiano e per la formazione dei suoi quadri. Però, che questa guerra sia nata per questo motivo, lo trovo un pò azzardato. Il petrolio è uno degli elementi, insieme a quello di rendere instabile ancora di più quest'area del mondo e all'elemento nazionalistico: quella terra è Georgia - si dice - e prima o poi deve tornare ad essere Georgia; quella zona è importantissima, fa parte del nostro territorio e non la molleremo mai. D'altra parte, la storia del popolo georgiano è sempre stata legata ad una posizione geografica.
Che cosa caratterizza la presenza cattolica in Georgia?
Nel cammino storico, la presenza cattolica ha sempre costituito un legame tra queste popolazioni e l'occidente, è sempre stata una strada che apriva all'occidente, alla cultura occidentale. Coloro che fanno cultura in questi territori sono cattolici. Per quanto riguarda il futuro, non so cosa accadrà: la Chiesa Cattolica è molto meno importante rispetto alle altre confessioni, perché è molto più piccola, ma è una presenza significativa e apprezzata da sempre. I georgiani hanno di continuo cercato e avuto contatti con Roma. Oggi, a livello statale, non siamo riconosciuti come Chiesa. Non abbiamo personalità giuridica, anche se c'è stima nei nostri confronti. Bisognerà vedere cosa porterà il futuro anche nel campo teologico rispetto al rapporto con la Chiesa Ortodossa, ad esempio.
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Quali sono i terreni attraverso i quali si esplica l'opera di evangelizzazione?
Un primo grosso impegno che affrontiamo è quello dell'ecumenismo. La Georgia è una terra che ha particolare bisogno di comunione per via delle diversità di razze, popoli e lingue, ma anche di religioni, chiese e riti. La comunità cattolica ha il dovere di testimoniare il valore dell'unità, della comunione, dell'universalità della fede cristiana. Viviamo in una terra evangelizzata fin dai tempi apostolici e vogliamo mettere in risalto la priorità della comunione, come dono e contributo per tutti. Ci ha aiutato molto da questo punto di vista il Sinodo che abbiamo tenuto nel 2006. Sta divenendo sempre più difficile il rapporto con la Chiesa ortodossa. Ultimamente sono sorte anche questioni serie nella vita quotidiana, create specialmente da qualche gruppo di fanatici. Purtroppo ancora non siamo riusciti a far riconoscere la validità del sacramento del battesimo amministrato nella Chiesa cattolica. I giovani incontrano gravi difficoltà quando si sposano e da noi è normale che a formare una famiglia siano cattolici e ortodossi. Ma se si sposano in una chiesa ortodossa i cattolici vengono ribattezzati; se invece il matrimonio si celebra in una parrocchia cattolica sono gli ortodossi a venire esclusi dalla loro Chiesa. Una situazione che, in tantissimi casi, porta i giovani ad allontanarsi dalla pratica religiosa. Con gli ortodossi non siamo riusciti a dialogare su questa come su altre questioni. Continuiamo fraternamente a insistere perché non possiamo, come pastori, fare questo ai nostri giovani.
Gli altri impegni della Chiesa quali sono?
Un altro impegno è quello culturale, della formazione. Stiamo conducendo un grande lavoro nel campo educativo, fondamentale per il dialogo con la società. Abbiamo anche un istituto di teologia che ha professori e studenti non solo cattolici. C'è anche un centro culturale e pensiamo anche di aprire nuove strutture con l'obiettivo della formazione. Il terzo punto è il servizio laicale. C'è una Caritas efficiente, nata nel '93-'94, insediata bene nella situazione locale, molto attiva, che sa lavorare molto bene e in maniera trasparente. Ha svolto un servizio straordinario, curando i malati, accogliendo i poveri e i bambini. Ora la Caritas deve diventare sempre più espressione della comunità e dobbiamo pensare anche alla formazione e a dare lavoro. Per il futuro stiamo puntando alla formazione alla carità. Possiamo contare, in particolare, sull'opera dei camilliani che hanno un poliambulatorio, un centro per ragazzi disabili e anche un grande ospedale in Armenia.
Come si presenta la situazione del Paese rispetto al problema della povertà?
Gran parte della gente vive a livello rurale e conduce una vita povera che fa impressione. Nelle città i salari sono troppo bassi e c'è una piccola parte della popolazione che vive molto bene. E' ancora molto difficile la vita nel suo insieme, c'è una parvenza di benessere, che poi sparisce nei paesi. C'è poi da considerare il fenomeno dell'immigrazione, che coinvolge un milione e mezzo-due milioni di georgiani che vivono fuori del loro paese: le donne a fare le badanti in occidente, i mariti che lavorano in Russia. Le famiglie sono molto divise e disgregate.
Nel 1999 Papa Giovanni Paolo II fece visita alla Georgia. Che ricordi ha?
Con quella visita, i cattolici georgiani si sono sentiti portati in alto. Ancora adesso trovo persone che ricordano la visita del papa e che hanno deciso per questo di impegnarsi nella loro fede. Quella visita fu marcata da un rapporto ecumenico significativo: il Papa è venuto qui per amare, per portare parole d'amore nei confronti di tutti. Dopo quella visita, le cose qui sono divenute sempre più difficili, ma questo è stato dovuto a situazioni di carattere politico e alle difficoltà che ci sono nel rapporto con la Chiesa ortodossa, che spero presto possano essere superate.
Ci può dare un quadro numerico della presenza della Chiesa?
Siamo venti sacerdoti di rito latino: due georgiani, un francese, il resto italiani e polacchi. Abbiamo venticinque comunità e diverse congregazioni religiose maschili e femminili. Ci sono quindici chiese mentre cinque che sotto l'Urss vennero requisite e consegnate agli ortodossi non ci sono state ancora restituite. Puntiamo molto sul laicato a cui diamo sempre più responsabilità. Stiamo pure formando dodici diaconi permanenti. Inoltre alla comunità latina si aggiungono un sacerdote siro-caldeo, con due comunità molto attive di circa tremila fedeli, e gli armeni con una decina di sacerdoti e un vescovo. Abbiamo anche un piccolo seminario: i seminaristi sono cinque. Quest'anno abbiamo ordinato un sacerdote.

23 novembre 2008

La sorte dei cristiani iracheni discussa alla Camera dei Deputati.

By Baghdadhope

La sorte delle minoranze irachene è tornata ad interessare la politica italiana negli scorsi giorni presente con diversi rappresentanti in Iraq. “Preoccupato delle persecuzioni anti-cristiane nella zona di Mosul” si è detto infatti il nostro Ministro degli Esteri Franco Frattini durante un
incontro avvenuto a Baghdad con il suo omologo iracheno Hoshyar Zebari che, da canto suo, lo ha rassicurato che in Iraq non c’è persecuzioni delle minoranze e che il governo ha intrapreso tutte le azioni necessarie a ristabilire la sicurezza ovunque necessario. Un’azione lodata dal ministro Frattini che ha dichiarato l’apprezzamento italiano del nuovo e più forte impegno assunto dal governo iracheno a protezione delle minoranze. Impegno che però, secondo molte testimonianze non sembra stia sortendo l’effetto sperato. A Mosul, città teatro delle violente azioni che hanno avuto come vittime i cristiani ad ottobre, sebbene presidiata da 35.000 soldati inviati dal governo centrale le famiglie cristiane stentano a tornare. A poco servono gli incentivi economici offerti dal governo che ammontano a 1300 $ per ogni nucleo familiare che dovesse decidere di tornare in città dopo esserne fuggito. “Abbiamo bisogno di sicurezza ma sfortunatamente la sicurezza a Mosul è fatta solo di immagini in TV” ha dichiarato infatti all’IWPR Safa Nathir Kamu, un ingegnere cristiano riparato ad Erbil.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati dal solo quartiere di Al-Hamadaniya a Mosul sono fuggite ad ottobre circa 1000 famiglie, ma solo un terzo di esse vi ha fatto ritorno. Un ritorno che, quando avviene, è più legato alla necessità di riprendere a lavorare ed a studiare, o alle condizioni di vita di chi magari ha trovato come unico rifugio una chiesa, che alla reale convinzione della ristabilita sicurezza. Convinzione minata dall’ultimo episodio che ha visto come vittime due
sorelle cristiane brutalmente uccise in un attacco che ha anche distrutto la loro casa, e che ha provocato la morte della loro madre deceduta in ospedale a causa delle ferite riportate.

Non della sorte dei cristiani iracheni ma di quella dei 3500 membri dell’Organizzazione Mojahedin del Popolo Iraniano, considerati dai mullah iraniani “infedeli” e “nemici di dio” e detenuti nel campo di Ashraf, nella provincia irachena di Diyala, si sta invece occupando una delegazione composta da Marco Perduca, vicepresidente del senato del Partito Radicale Nonviolento, Antonio Stango del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, e Yuliya Vassilyeva di Nessuno tocchi Caino. I detenuti sono secondo quanto afferma Marco Perduca nel suo blog
Perdukistan a rischio perché il passaggio del controllo del campo al governo di Baghdad potrebbe voler dire per loro l’espulsione verso l’Iran come richiesto dal regime di Tehran, richiesta, si afferma nel blog, che ha già trovato consenso tra alcuni esponenti del governo iracheno.

Per quanto riguarda l’Italia da segnalare sono gli sviluppi parlamentari dell’
interpellanza urgente presentata alla Camera dei Deputati lo scorso 30 ottobre (in concomitanza con l’approvazione da parte del Senato di una mozione bipartisan sulle persecuzioni delle comunità cristiane nel mondo) dal deputato del Partito della Libertà, Renato Farina (e firmata da altri 36 deputati del PdL, della Lega Nord Padania, del Partito Democratico e dell’Unione di Centro) in cui si sottolineava la reazione di passività del governo iracheno e di indifferenza e inerzia delle forze militari americane e dei responsabili dell'Onu alla “pulizia etnica” in corso nei confronti della minoranza cristiana irachena. Interpellanza che si concludeva con la richiesta al governo italiano di intervenire per sensibilizzare sulla questione quello iracheno, le autorità americane ed i rappresentanti dell’ONU e con quella di avere risposta sui passi che il nostro governo intende compiere per l’affermazione dei valori della democrazia e della libertà di religione.
Risposta a questa interpellanza si è avuta il 19 novembre con l’intervento del sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Enzo Scotti, che ha sottolineato l’accettazione senza riserve della mozione presentata in Senato e le mozioni presentate alla Camera il 10 novembre, tutte riguardanti le violenze nei confronti dei cristiani nel mondo, e quindi l’attenzione che il governo sta avendo per la questione delle minoranze religiose ed in particolare quella cristiana. Lo stesso Scotti ha poi parlato delle quote garantite alle minoranze per le prossime elezioni provinciali (1 seggio ai cristiani in 3 province) definendole “misura inferiore alle aspettative degli esponenti cristiani ma considerata positivamente dal rappresentante dell'ONU, De Mistura”. Frase che ha suscitato la reazione in fase di replica dell’On. Renato Farina, primo firmatario dell’interpellanza urgente, che, ripetendo il termine usato al riguardo da Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario caldeo, ha definito la decisione sulle quote riservate alle minoranze “un’elemosina”, aggiungendo che, visto che in origine la legge elettorale prevedeva 15 seggi destinati alle minoranze di cui 13 ai cristiani, dire che va bene che ora essi siano ridotti a tre è “una stupidaggine.”
Lo stesso Farina ha poi proposto la creazione di un osservatorio che controlli la pratica delle libertà e faccia pressioni perché esse vengano rispettate sui governi dei paesi dove operano i nostri soldati facendo valere anche “il peso del nostro sacrificio.”
Clicca su “leggi tutto” per i nomi dei 37 deputati firmatari dell’interpellanza urgente presentata alla Camera dei Deputati il 30 ottobre.

Binetti Paola PD
Bruno Donato PdL
Capitanio Santolini Luisa UdC
Centemero Elena PdL
Comaroli Silvana Andreina LNP
Consolo Giuseppe PdL
Dal Lago Manuela LNP
De Girolamo Nunzia PdL
Dell'Elce Giovanni Pdl
Di Centa Manuela PdL
Dima Giovanna PdL
Distaso Antonio PdL
Farina Renato PdL
Galati Giuseppe PdL
Gibelli Andrea LNP
Gioacchino Alfano PdL
Goisis Paola LNP
Gottardo Isidoro PdL
Lainati Giorgio PdL
Lehner Giancarlo PdL
Lunardi Pietro PdL
Malgieri Gennaro PdL
Marinello Giuseppe Francesco Maria PdL
Pepe Mario PdL
Mazzoni Riccardo PdL
Mazzuca Giancarlo PdL
Moles Giuseppe PdL
Moroni Chiara PdL
Munerato Manuela LNP
Mussolini Alessandra PdL
Oliverio Nicodemo Nazzareno PD
Orsini Andrea PdL
Pagano Alessandro PdL
Polidori Catia PdL
Polledri Massimo LNP
Porcu Carmelo PdL
Rainieri Fabio LNP
Rivolta Erica LNP
Santelli Jole PdL
Sbai Souad PdL
Speciale Roberto PdL
Toccafondi Gabriele PdL
Vanalli Pierguido LNP
Vignali Raffaello PdL
Vitali Luigi PdL
Volontè Luca UdC
Zacchera Marco PdL
Zorzato Marino PdL

20 novembre 2008

Deceduta anche la madre delle ragazze cristiane uccise a Mosul

By Baghdadhope

Il 12 novembre, nel quartiere di Alqahira di Mosul, l’uccisione mirata di due ragazze cristiane aveva riportato il terrore nella comunità già coplita dagli eventi dello scorso ottobre che avevano causato la fuga dalla città di migliaia di persone ma che sembravano essere stati fermati dal massiccio intervento delle forze di sicurezza del governo centrale. A morire il 12 ottobre erano state Lamia e Walàa Sobhy Salloha mentre la madre, rimasta ferita nel corso dell’attacco, era stata ricoverata in non gravi condizioni presso l’ospedale di Mosul come aveva riferito Asianews. Due giorni fa però la donna, Salma Giargis, le cui condizioni si erano intanto aggravate è deceduta portandosi quindi a tre le vittime della violenza di una settimana fa. Come riportato dal sito web Ankawa.com i funerali sono stati celebrati nella chiesa di Mar Paulos e la sepoltura è avvenuta nel cimitero di Wadi Ekab, ad ovest di Mosul.

Mother of the two girls killed in Mosul dead too

By Baghdadhope

On November 12, in the district of Alqahira in Mosul, the targeted killing of two Christian girls restored terror in the community already hit by the events of last October that led to the fight from the city of thousands of people but that appeared to have been stopped by the massive intervention of the security forces of the central government. To die on October 12 were Lamia and Walàa Sobhy Salloha while their mother, wounded during the attack, had been hospitalized in not serious conditions in Mosul as reported by AsiaNews. Unfortunately, as reported by the website Ankawa.com the woman, Salma Giargis, whose conditions had worsened in the meanwhile, died two days ago bringing to three the victims of the violence of a week ago. Funerals were celebrated in the church of Mar Paulos and the burial took place in the cemetery of Wadi Ekab, west of Mosul.

Turismo religioso: Mons. Warduni (Iraq) "Promuovere pellegrinaggi dove c'è guerra"

Fonte: SIR

“Bisogna prendere risoluzioni ferme per promuovere il turismo religioso nelle nazioni dove c'è la guerra che è come gridare: basta guerra, regni la pace”. È quanto ha affermato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare del patriarcato caldeo di Baghdad, intervenendo alla tavola rotonda “Il turismo quale veicolo di pace e di dialogo interreligioso e interculturale” che ha aperto Aurea 2008, la Borsa del turismo religioso e delle aree protette in corso presso la Fiera di Foggia (fino al 22). “Nei nostri paesi – ha proseguito Warduni – si trova la Santa Bibbia viva: la Mesopotamia del Paradiso terrestre, Ninive di Giona, Babilonia, Ur dei Caldei, le chiese dei primi tempi del cristianesimo”. “Tutta questa ricchezza – ha denunciato il presule – non può essere utilizzata a causa della guerra e si perdono occasioni di dialogo, per l'incontro religioso e l'interdipendenza culturale”. Per Warduni “il pellegrinaggio è un tesoro di esperienza religiosa, sociale e culturale dove si incontrano le tradizioni di molti popoli” e “dal turismo religioso provengono tanti benefici, non solo personali, ma anche nazionali e internazionali”. “Le nostre culture antiche – ha concluso il vescovo – chiamano quelle dell'occidente per dialogare ed arricchirsi a vicenda. Esse diventano dei mezzi per portare alla pace e alla fratellanza universale”.

19 novembre 2008

Ex consigliere iracheno al Post: L'estremismo religioso è la maggiore minaccia per le minoranze.


di Brenda Gazzar

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

L'estremismo religioso è la più grave minaccia per le minoranze in Iraq ed in ultima analisi potrebbe vedere il paese già dilaniato dalla guerra svuotato di queste popolazioni, ha dichiarato ieri al Jerusalem Post un ex consigliere del presidente iracheno Jalal Talabani.
Si ritiene che più del 40 per cento dei cristiani siano emigrati dall'Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein e che l'Iraq stia ora assistendo ad una migrazione di massa della minoranza religiosa yazida verso l'Europa, ha detto Mirzan Hassan Dinnayi, uno yazida curdo che fu consigliere di Talabani in materia di minoranze nel primo semestre del 2005 e che ora vive in Germania.
Solo il mese scorso un gran numero di cristiani sono stati cacciati da Mosul, nel nord dell'Iraq, e da altre città, ha detto Dinnayi. "Il pericolo più grande per loro è l'estremismo religioso islamico in Iraq e la 'islamizzazione' della società - questo è ciò che spaventa le comunità religiose di minoranza," ha dichiarato in un'intervista prima di tenere una lezione presso il Centro Harry S. Truman per la promozione della pace della Hebrew University.
"Il pericolo è nelle uccisioni basato sull'identità [religiosa]", ha detto. Il peggior scenario è rappresentato "dalla fuga che svuoterà l'Iraq delle sue comunità minoritarie". Altre minoranze religiose nel paese comprendono i Mandei, gli Shabaks e un piccolo numero di ebrei. Circa il 60% degli iracheni sono sciiti, e il 34% sono sunniti.
Gli yazidi, per esempio, che si stima costituiscano il 2,5% della popolazione irachena e praticano una delle più antiche religioni in Medio Oriente, sono stati gravemente presi di mira in tre occasioni nel 2007.
Il 15 febbraio del 2007, nella città yazida di Shaikhan, "centinaia di radicali musulmani" distrussero e bruciarono il tempio, centri culturali, automobili e negozi, spararono senza ragione contro case e cittadini, e chiesero che gli Yazidi lasciassero la zona ed emigrassero , ha riferito Dinnayi nel corso della sua conferenza. Il giorno successivo decapitarono una donna yazida, una madre di quattro figli.
Il 22 aprile 2007, 24 lavoratori yazidi furono uccisi a Mosul da un gruppo di uomini armati. Gli aggressori furono aiutati dalla polizia il cui quartier generale ordinò lo sgombero di tutti i checkpoints dalla zona.
Il giorno dopo, un sempre più intenso movimento anti-yazida costrinse 820 studenti a lasciare le loro facoltà presso l'Università di Mosul, città da dove sono fuggite tutte le famiglie della comunità. Nell'agosto del 2007 gli estremisti attaccarono nel distretto di Sinjar uccidendo 311 persone e ferendone 800, senza contare i 70 dispersi.
Non solo vi fu mancanza di leggi a protezione di tali minoranze, ha aggiunto Dinnayi, quanto ci sono pochi meccanismi che permettano l'attuazione di quelle già esistenti. Mentre la costituzione irachena protegge i diritti di tutti i suoi cittadini, "fino ad ora nulla della costituzione è stato messo in pratica per quanto riguarda le minoranze".
Una soluzione è stata "la solidarietà internazionale" a favore di tutte le minoranze ha sottolineato Dinnayi. Un altro sarebbe la stabilizzazione della situazione della sicurezza in Iraq e un eventuale passaggio ad uno stato democratico ed ad "uno stato di diritto". Oltre a ciò un ufficiale curdo nel nord dell'Iraq ha proposto di istituire una "zona sicura" nella Piana di Ninive per la minoranza cristiana. La regione autonoma, dove l'assiro sarebbe la lingua ufficiale, avrebbe autorità legislativa ed esecutiva. Tuttavia, ha detto Dinnayi, ci sono state molte discussioni circa la fattibilità e anche la saggezza di una tale mossa.
"Se questa 'islamizzazione' della società e la radicalizzazione dell'Iraq si rafforzerà" una cosa che Dinnayi prevede, "quale legge scritta potrà proteggere questa piccola isola in un oceano di radicalismo islamico?"
Nel frattempo la maggior parte dei membri delle minoranze che hanno sofferto delle misure di "Arabizzazione" imposte dal regime di Saddam Hussein nel nord dell'Iraq, comprese le fughe in altre parti del paese, i trasferimenti forzati e la confisca dei beni, non è ancora stato compensato, ha detto l'avvocato Said Pirmurat, uno specialista in diritto penale iracheno, anch'egli relatore ieri presso il Truman Centre. Mentre una soluzione a queste politiche è stata proposta con l'adozione dell'articolo 140 della Costituzione del 2005 le misure previste non sono state attuate.
L'articolo 58 della legge amministrativa di transizione irachena del 2004 recita inoltre che tutte le terre confiscate devono essere restituite ai loro proprietari o che essi debbano essere compensati, "ma il governo iracheno ha ignorato questo articolo," ha detto Pirmurat, anch'egli, come Dinnayi, uno yazida che vive in Germania .
Sia gli yazidi che gli ebrei hanno sofferto a causa delle misure decise dal regime di Saddam, come ad esempio il sequestro dei beni, il trasferimento forzato e la distruzione dei villaggi. Gli yazidi, in particolare, ne hanno sofferto perché curdi e membri di una minoranza religiosa, ha spiegato Pirmurat.
Uno studio dell'Università di Hannover (Germania) stima che proprietà per un valore di circa 18 miliardi di dollari siano state confiscate agli ebrei ha aggiunto Pirmurat. "L'articolo 58 lascia aperta la possibilità anche per gli ebrei di chiedere ciò che è stato loro confiscato nel corso di quegli anni".

Former Iraqi adviser to Post: Religious extremism is top threat to minorities

Source: The Jerusalem Post

by Brenda Gazzar

Religious extremism is the biggest threat facing minorities in Iraq today and could ultimately see the war-torn country emptied of these populations, a former adviser to Iraqi President Jalal Talabani told The Jerusalem Post on Tuesday.
More than 40 percent of Christians are believed to have emigrated from Iraq since the fall of Saddam Hussein and Iraq was now seeing a mass migration of the Yazidi religious minority to Europe, said Mirzan Hassan Dinnayi, a Kurdish Yazidi who was Talabani's adviser on minorities in the first half of 2005, and now lives in Germany.
Just last month, large numbers of Christians were driven out of Mosul in northern Iraq and other cities, he said.
"The biggest danger for them is Islamic religious extremism in Iraq and the 'Islamization' of the street - this is what scares religious minority communities," Dinnayi said in an interview, before giving a lecture at the Hebrew University's Harry S. Truman Center for the Advancement of Peace.
The danger "is the killing based on [religious] identity," he said. The worst-case scenario, he said, was "that the displacement that is happening will empty Iraq of its minority communities."
Other religious minorities in the country include the Mandaeans, the Shabaks and a small number of Jews. Roughly 60% of Iraqis are Shi'ites, and 34% are Sunnis.
The Yazidis, for example, who make up an estimated 2.5% of Iraq's population and practice one of the most ancient religions in the Middle East, were targeted in three large-scale attacks in 2007.
On February 15, 2007, in the Yazidi city of Shaikhan, "hundreds of radical Muslims" destroyed and burned the Yazidi temple, cultural centers, cars and shops, shot aimlessly at houses and citizens and demanded that the Yazidi people leave the area and emigrate, Dinnayi said in his lecture. The next day, they beheaded a Yazidi mother of four children.
On April 22, 2007, 24 Yazidi workers were killed in Mosul by a group of gunmen. The attackers were aided by the police, whose headquarters ordered all checkpoints to move away from the area. The next day, an intensifying anti-Yazidi movement caused 820 students to leave their faculties at the University of Mosul, where all Yazidi families have now left.
And in August 2007, extremists attacked in the Sinjar district, killing 311 people, wounding 800 and leaving 70 missing.
Not only was there a lack of laws to protect these minorities, Dinnayi said, there are few mechanisms to implement the laws that did exist.
While the Iraqi constitution protects the rights of all its citizens, "nothing from the constitution until now has been implemented regarding minorities," he said.
One solution was "international solidarity" for all minorities, he said. Another would be the stabilization of the security situation in Iraq and an eventual transition to a democratic state and "a state of laws."
In addition, one Kurdish official in northern Iraq has proposed establishing a "safe zone" in the Nineveh Plain for the Christian minority. The autonomous region, where Assyrian would be the official language, would have legislative and executive authorities. However, Dinnayi said, there were many questions about the feasibility and even the wisdom of such a move.
"If this 'Islamization' of the street and radicalization in Iraq becomes stronger," something he expects, "which written law can protect this small island in an ocean of Islamic radicalism?"
Meanwhile, most of the minority members who suffered from "Arabization" measures imposed by Saddam Hussein's regime in northern Iraq, including displacement, forced relocation and confiscation of property, had still not been compensated, said attorney Said Pirmurat, a specialist in Iraqi criminal law who also lectured at the Truman Center on Tuesday.
While a solution to these policies was sought with the adoption of Article 140 of the Constitution of 2005, the measures have not been implemented.
In addition, Article 58 of the Iraqi Transitional Adimnistrative Law of 2004 says that all confiscated lands must be returned to their owners or be compensated for, "but the Iraqi government has ignored this article," said Pirmurat, a Yazidi who also lives in Germany.
Both Yazidis and Jews had suffered from measures instituted by Saddam's regime, such as sequestration of property and displacement and destruction of villages. Yazidis in particular had suffered because they were both Kurds and members of a religious minority, he said.
One study from the University of Hanover in Germany estimated that some $18 billion worth of property was confiscated from the Jews, Pirmurat said.
"Article 58 leaves an opportunity also for Jews to claim what was confiscated from them during these years," he said.

18 novembre 2008

Iraq: Integralisti islamici ai cristiani, "Non c'è posto per voi nel paese"

Fonte: SIR

Continuano le intimidazioni alla comunità cristiana irachena. E questa volta a parlare non sono solo le armi. E’ di oggi la notizia, diffusa dall’agenzia Aina, che “un vescovo cristiano ha ricevuto una lettera di minacce dal gruppo fondamentalista islamico, Ansar al-Islam, affiliato ad Al Qaeda in cui si ordina ai cristiani di lasciare il Paese in massa”. Nel testo, pubblicato in lingua araba dal sito del quotidiano on line Al-Ittihad, si legge che “il Segretariato generale degli aderenti alla Brigata dell’Islam ha deciso di rivolgere agli infedeli crociati cristiani di Baghdad e delle altre province, l’ultimo avvertimento perché lascino immediatamente e in modo permanente l’Iraq e si uniscano a Benedetto XVI e ai suoi seguaci che hanno calpestato i simboli più grandi dell’umanità e dell’Islam”. La lettera afferma inoltre che “non c’è posto in Iraq per gli infedeli cristiani da adesso in poi” pena il taglio della gola come “sta accadendo ai cristiani di Mosul”. La minaccia, l’ennesima nella tormentata vita dei cristiani iracheni, va ad aggiungersi ad una lunga serie di vessazioni da loro subite e che vanno dal pagamento della “jizya”, una tassa in cambio di protezione, all’imposizione del hijab, fino alle conversioni forzate per arrivare e stupri, omicidi e distruzione delle abitazioni.

Iraq: Islamic fundamentalists to Christians: "There's no room for you in this country"

Source: SIR

Threats against the Iraqi Christian community go on. And this time it is not just weapons that do the talking. The news was relayed today by the agency Aina that “a Christian bishop received a threatening letter from the Islamic fundamentalist group Ansar al-Islam, a member of Al Qaeda, ordering Christians to leave the country all together”. The text, published in Arabic language by the website of the online daily news service Al-Ittihad, states that “the Secretary General of the members of the Islamic Brigade decided to give the Christian crusader infidels of Baghdad and the other provinces the last warning, to leave Iraq immediately and permanently and join Benedict XVI and his followers, who have trampled on the greatest symbols of humanity and Islam”. In addition, the letter says that “there’ll be no room in Iraq for the Christian infidels from now on”, on pain of slitting their throats as “it is happening to the Christians of Mosul”. The threat, the umpteenth in the troubled life of the Iraqi Christians, adds up to a long series of persecutions they have suffered, ranging from the payment of the “jizya”, i.e. protection money, to the imposition of the hijab, to forced conversations and even rapes, murders and the destruction of their homes.

17 novembre 2008

Meeting di Cipro: Mons. Sleiman (Baghdad) "Testimone di un popolo che soffre"

Fonte: SIR

by Simona Mengascini, inviata SIR a Cipro
“I cristiani non sono protagonisti della lotta politica, ma moneta di scambio tra protagonisti maggiori”. È questo il quadro che in una conferenza stampa al Meeting della Comunità di Sant’Egidio, è stato dipinto da mons. Jean Benjamin Sleiman, vescovo latino di Baghdad, a proposito della difficile situazione della comunità cristiana irachena, praticamente dimezzata dall’inizio della guerra. “Io sono testimone di un popolo che soffre e che si sente umiliato – ha detto il vescovo – a causa di problemi storici ‘congelati’ dal regime ma anche di problemi quotidiani reali, come il prezzo della benzina o del gas, aumentato di venti volte”. Il prelato ha spiegato che i cristiani, fuggiti da Baghdad e Mosul non rientreranno facilmente. Riguardo all’annuncio dato ieri del ritiro delle truppe americane nel 2011, mons. Sleiman ritiene che non basterà se non si abbandona la violenza come “linguaggio della politica”. Alla provocatoria domanda se era meglio per i cristiani la vita sotto Saddam, mons. Sleiman ha risposto che il regime aveva provocato “un’alienazione delle menti e delle scelte” ma che con la “libertà” venuta dopo la guerra è arrivata “l’anarchia”. Sull’elezione di Obama il vescovo ha raccontato che nel suo paese non c’è stato entusiasmo “perché nella nostra esperienza cambiano i presidenti americani ma non cambiano le strategie”.

Cyprus meeting: Mgr. Sleiman(Bishop of Baghdad) "Witness to the suffering of a nation"

Source: Sir

by Simona Mengascini, SIR correspondent in Cyprus
“Christians are not playing a leading role in the political fight, but are trading money for chief protagonists.” This is what Mgr Jean Benjamin Sleiman, Latin Bishop of Baghdad, described in a press conference during the forum organised by the Sant’Egidio community, commenting the difficult situation the Iraqi Christian community, reduced to a half since the beginning of the war, is actually facing. “I am witnessing to people who are suffering and feeling humiliated,” said the bishop, “due to historical problems ‘frozen’ by the regime but also to serious daily problems, such as the price of fuel or gas which has increased by 20 times.” The prelate explained that Christians fleeing from Baghdad and Mosul are not likely to come back. Concerning yesterday’s announcement of US withdrawal by 2011, Mgr Sleiman believes that this will be ineffective if violence continues to be the “language of politics.” When asked whether life under Saddam was actually better for Christians, Mgr Sleiman replied that the regime “had caused the alienation of mind and choices,” but after the war freedom came along with “anarchy.” As for Obama's election, the bishop said in his country there was no enthusiasm, as “from their experience, presidents have changed but not their strategies.”

«L’islam si sta trasformando in una fabbrica d’odio»


di Antonio Risolo


«Con questo atteggiamento l’islam porta all’estremismo fanatico. Si sta trasformando la religione in una fabbrica dell’odio».
La denuncia, decisa, è del vescovo caldeo di Erbil, monsignor Rabban Al Quas. Lo abbiamo incontrato mentre ascoltava i ragazzi della schola cantorum nella chiesa adiacente l’arcivescovado.
Eccellenza, la persecuzione dei cristiani, soprattutto nella provincia di Mosul, ormai prosegue a ritmi quasi quotidiani.
«Non solo a Mosul, dove proprio due giorni fa sono state assassinate due sorelle. Non abbiamo più lacrime per piangere i nostri fratelli che ci vengono portati via. Questo è il frutto del fanatismo, di una mentalità inculcata già nelle scuole, il frutto dei disegni criminali di Al Qaida e dei “Fratelli musulmani”. Non c’è solo Mosul. La persecuzione è in atto anche a Bassora, dove i cristiani sono trucidati, le loro case e i loro negozi dati alle fiamme. Ma anche a Bagdad registriamo episodi, anche se non se ne parla quasi più».
Per arginare questo fenomeno si parla di revisione della Costituzione...
«Difficile una revisione della Carta, ma non impossibile. Occorre avere un governo centrale forte. Faccio un esempio: Bagdad dice che possiamo costruire case, scuole e chiese. Bene, il governo provinciale di Mosul non ci concede le autorizzazioni».
Eccellenza, il Kurdistan è una realtà particolare, se l’Irak fosse un Paese fortemente federato, ci sarebbe più sicurezza per i cristiani?
«Dipende tutto da Bagdad. Sono divisi anche su questa ipotesi. Ci sono forti pressioni da Siria, Iran e Arabia Saudita. Per i curdi sono importanti le radici, la terra... per altri è importante la religione. Nel Paese ci sono 600mila cristiani su una popolazione di 28 milioni. Prima del 2003 erano oltre un milione. Ne sono spariti 400mila tra morti e in fuga. La presenza di americani e inglesi è utile al governo regionale, soprattutto per l’addestramento dei peshmerga e delle nuove leve».
Infatti, polizia e intelligence sono ancora nelle mani delle vecchie generazioni...
«Molti vecchi poliziotti di Saddam Hussein sono ancora amici dei terroristi. Vedono i cristiani come nemici dei musulmani. Nei giorni scorsi, a Bagdad, il nostro Patriarca ha incontrato il premier Nuri Al Maliki. C’è stato anche un accordo sulla sicurezza, ma appena due giorni dopo sono arrivate le minacce dei terroristi. Anche il primo ministro del Kurdistan, Nechirvan Barzani, ha alzato la voce per una revisione della Carta costituzionale, minacciando di abbandonare il governo centrale. Ma anche i cristiani hanno qualche colpa, non sono uniti come dovrebbero, forse per paura. Hanno paura di andare a votare, vogliono una quota di seggi garantita. No, dobbiamo unirci, noi siamo una sola chiesa, una sola fede. Questa frammentazione ci rende deboli. Chiedo alla comunità internazionale che si adoperi per la revisione della legge elettorale, per i seggi proporzionali alle varie rappresentanze politiche e religiose».
Arrivano minacce prima dei massacri?
«Arrivano intimidazioni dirette, quasi tutte di questo tenore: convertiti o muori. C’è chi non uccide in nome dell’islam, ma per denaro. Sono frequenti rapimenti di sacerdoti e suore a scopo di estorsione. Io ho fede, prego, credo nel futuro. Sto parlando con voi italiani, in nome del Signore arrivi un messaggio anche ai vostri politici: facciano pressioni sui nostri governanti. Si adoperino, come fa il Santo Padre, perché una Costituzione elaborata per la comunità islamica diventi una Costituzione in grado di garantire i diritti di tutti».