"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 marzo 2022

Cardinale Patriarca Mar Louis Sako: i cristiani potrebbero sparire dall'Iraq

By Baghdadhope* -  العربي الجديد

In un'intervista rilasciata a العربي الجديد (The New Arab) il patriarca della chiesa caldea Cardinale Mar Louis Raphael Sako ha espresso i propri timori su una possibile sparizione della componente cristiana dall'Iraq. 
La continua emorragia che sta interessando i nuclei familiari cristiani della Piana di Ninive e di altre aree settentrionali del paese è dovuta, secondo Mar Sako, alla presenza di milizie armate ed alla contemporanea assenza di piani per la ricostruzione di ciò che le guerre, l'occupazione da parte dell'ISIS e le successive operazioni militari per porvi fine hanno causato. 
Tutto ciò fa dell'Iraq un ambiente insicuro per i cristiani.   
"Non vorrei che arrivasse il giorno in cui in Iraq non ci fossero più cristiani ma sfortunatamente questa è una possibilità alla luce delle persistenti discriminazioni contro di essi" ha dichiarato il Patriarca aggiungendo tra i fattori che ne mettono a rischio la presenza nel paese la corruzione dei partiti, l'assenza di servizi come scuole e strutture sanitarie, di opportunità lavorative e le milizie armate e le bande criminali che operano alla luce del sole e contro le quali il governo non può reagire. 
Milizie e bande che "rappresentano un pericolo per la società irachena nel suo insieme e per i cristiani in quanto minoranza" che hanno paura di tornare alle proprie case e che anche quando lo fanno non sono sostenute dal governo che, è l'esempio che fa il patriarca Sako, non ha aiutato nella ricostruzione delle case i costi della quale sono stati sostenuti solo dalla Chiesa.   
Riferendosi alla Brigata Babilonia, la formazione paramilitare cristiana formatasi  con intento anti-ISIS  contro la quale già in passato Mar sako aveva espresso il suo dissenso, il Patriarca ha affermato che "c'è un gruppo armato che afferma di essere un gruppo cristiano ma che in realtà non rappresenta i cristiani ed i loro sentimenti di umanità e tolleranza e fa parte delle Unità di Protezione Popolare," Unità che "si pensa rappresentino l'intera popolazione ma che in realtà sono divise su basi religiose, settarie o nazionali" ed il cui scopo non è più la lotta al terrorismo ma il perseguimento dei propri interessi. 
Anche Baghdad comunque, e non solo il nord del paese, è interessata dall'emigrazione dei cristiani il cui numero è in continua diminuzione, una situazione che Mar Sako attribuisce alle discriminazioni cui sono soggetti ed alla confische delle loro proprietà a proposito delle quali il Patriarca ha ricordato l'operato del comitato a proposito voluto dal leader sciita Muqtada al Sadr che "è stato in grado di recuperare un certo numero di case anche se non ci sono stime precise al riguardo." 
Un comitato che si suppone operasse su base governativa ma, fa notare Mar Sako, il governo è debole e non in grado di imporre la legge sugli individui e sui gruppi che hanno confiscato le proprietà dei cristiani.  
A proposito del governo Mar Sako insiste infatti sulla sua debolezza dovuta al fatto che "in Iraq i partiti non operano per rafforzare lo stato quanto piuttosto per indebolirlo" e prova ne è che persone arrestate al mattino per corruzione o altri reati alla sera siano libere e di esse non si parli più. In Iraq, aggiunge, non c'è un solo stato che rappresenti la legge ma armi e soldati incontrollabili al di fuori di esso.  
"Quando il governo invita i cristiani a tornare in patria" aggiunge Mar Sako, si suppone debba creare per loro le condizioni favorevoli a farlo e non solo "parlare attraverso i mezzi di comunicazione per averne un vantaggio politico." 
"I cristiani" afferma, "non hanno visto soddisfatte neanche le loro più semplici richieste ed i rappresentanti politici cristiani da una parte non hanno mantenuto le loro promesse e dall'altra si sono uniti a schieramenti politici più ampi, senza contare il fatto che la maggioranza di loro non è stata eletta dai cristiani." 
L'intervista di The New Arab ha poi toccato il tema della storica visita di Papa Francesco in Iraq nel 2021 a proposito della quale il Patriarca Sako ha affermato che il Papa non è un governante, un banchiere o un'autorità in grado di cambiare la situazione in Iraq ma la sua visita è stata importante per quanto riguarda il dialogo ed il cambiamento di mentalità con i suoi discorsi sulla tolleranza, la fratellanza tra musulmani e cristiani e tra tutti gli esseri umani e la rinuncia alla violenza. 
Il governo iracheno, ha aggiunto Mar Sako, "ha lavorato bene per quanto riguarda la copertura mediatica della visita del Santo Padre ma avrebbe dovuto trarre vantaggio da essa e dai suoi risultati per portare avanti una serie di progetti a favore del popolo iracheno mentre invece è preoccupato solo dei conflitti politici." 

29 marzo 2022

Dove i cristiani svaniscono: la fuga dal Medio Oriente raccontata da Janine Di Giovanni

Angiola Codacci -Pisanelli

Il titolo è un omaggio a Henri Carter-Bresson: «Noi fotografi abbiamo a che fare con cose che svaniscono di continuo, e quando sono svanite non c’è modo di farle tornare indietro. Non possiamo sviluppare e stampare un ricordo», ha detto il famoso creatore di immagini che non si cancellano più dalla memoria di chi le ha viste.
Ma a svanire, nel libro “The vanishing” di Janine Di Giovanni (Bloomsbury), sono persone, famiglie, un popolo intero: i cristiani del Medio Oriente, sempre meno numerosi nella terra in cui la loro religione ha avuto origine. «Tra cent’anni non ce ne saranno più, ho detto a un sacerdote del posto», ha raccontato l’autrice. «Lui mi ha risposto: “Un secolo? Che ottimismo: ci vorranno a stento quarant’anni…”».
Di Giovanni ha iniziato a frequentare la zona trentacinque anni fa e l’ha girata in lungo e in largo mentre lavorava come corrispondente di guerra: un settore che tristemente vede il Medio Oriente come una fonte inestinguibile di notizie. 
Arrivata nel 1987 per occuparsi della prima intifada, Di Giovanni ha seguito poi la guerra in Iraq, la Siria, il Libano. Dei conflitti che hanno segnato la fine del secolo scorso non ne ha saltato uno: Bosnia, Ruanda, Cecenia, un altro territorio islamico, dove ha corso più rischi: «Ero entrata senza visto e sono rimasta fino alla fine. I russi stavano chiudendo il cerchio intorno al villaggio dov’ero, rintanata in una casa con dei soldati ceceni. Non sapevo come scappare, quando ho visto arrivare l’intermediario che avevo pagato per farmi entrare clandestinamente. Mi ha dato uno scialle per coprirmi la testa, mi ha messo in braccio un bambino urlante e mi ha detto che da quel momento ero sorda e muta. Mi hanno fatto salire su un camion e sono riuscita a scappare così: poco dopo i russi sono entrati nel villaggio e hanno massacrato tutti».
La sua scelta è sempre stata di andare come indipendente, non “embedded” con i militari «che ti fanno parlare solo con il capo del villaggio e non con i ragazzi del posto». E di ascoltare tutti, «anche i soldati israeliani durante la prima intifada: ero convinta che fossero dalla parte del torto ma nel mio libro ho dato voce anche al loro punto di vista». Tra le atrocità incontrate, il triste record lo assegna all’esercito siriano: «Lì torturano a morte anche i bambini», racconta. Tutte le guerre hanno elementi comuni: uno dei più tragici è il bombardamento degli ospedali: «Quando lo fa Israele a Gaza dice che lì si nascondevano terroristi, ora i russi dicono di farlo per errore ma c’è un calcolo preciso. Se uccidi un solo chirurgo, uccidi centinaia di persone: i feriti che lui avrebbe salvato e ora sono destinati a morire. È più che un crimine di guerra: è il male assoluto».
In mezzo alle urla e alle esplosioni, Di Giovanni è stata colpita da un evento silenzioso: la diminuzione continua della componente cristiana della popolazione. «In Iraq sono stati cacciati dall’Isis, ma non è solo la violenza a spingere alla fuga», ha raccontato presentando il libro presso il Centro Studi Americani, a Roma, dove è venuta per regalarne una copia a Papa Francesco. «I cristiani hanno pochi figli, e quei figli una volta cresciuti scelgono di emigrare in cerca di migliori condizioni di vita». E già questo per lei è stato uno choc: «Io vengo dagli Stati Uniti, un Paese giovane: mio padre è arrivato qui da Napoli da bambino con suo padre che fuggiva dal fascismo. Ma loro hanno vissuto nello stesso territorio per oltre duemila anni, e adesso stanno svanendo».
Il saggio intreccia giornalismo e memoir, le informazioni sulle guerre vissute in prima persona e le emozioni che quando lavora Di Giovanni si impone di mettere a tacere. E la storia delle religioni, legata a quella dei colonizzatori, europei cristiani che arrivavano come padroni nella terra in cui erano nati Gesù e i personaggi della Bibbia. 
La struttura del libro disegna una geografia dell’assenza: Iraq, Gaza, Siria, Egitto. Dopo aver visto chiese, magari brutte ma accoglienti, in ogni parte del martoriato mondo che frequentava, è a Mosul, durante «l’invasione americana dell’Iraq», che Di Giovanni si rende conto «che tutte queste antiche popolazioni erano in grande pericolo di scomparire, di essere inghiottite come Giona nel ventre della balena. Caldei, babilonesi sumeri, accadici, tutti i rami intrecciati del cristianesimo antico erano minacciati dall’estinzione».
Particolarmente precaria è la situazione dei cristiani di Gaza, circa un migliaio di persone che, oltre ad affrontare le difficoltà di tutti i non ebrei, vengono ostracizzate dalla maggioranza musulmana («Elias al-Jalda, il portavoce della Chiesa Greca Ortodossa nella Striscia di Gaza, accusa Hamas di rendere sempre più difficile il passaggio della frontiera con Israele per i cristiani, sottoponendoli a perquisizioni invasive, e di spingerli a matrimoni con musulmani»). Il racconto della Siria è alla luce del paradosso che vede la roccaforte del potere della famiglia Assad proprio a Damasco, città legata a quel momento fondamentale per la storia del cristianesimo che è stata la conversione di un cittadino romano che sarebbe diventato San Paolo.
Qui Di Giovanni incontra le suore di Maaloula che rifiutano di mettersi al sicuro lasciando il convento e le persone di cui si occupano, e il vescovo Antoine Chbeir, un cattolico maronita libanese che malgrado tutto confida nel regime di Assad per la sopravvivenza dei cristiani della regione: «La relazione tra cristiani e musulmani sono buone, grazie agli alawiti che governano. Gli alawiti sono una parte della comunità islamica che è stata perseguitata dai sunniti, che li considerano eretici». E quindi, confida il vescovo come molti altri cristiani siriani, «capiscono i problemi di una religione minoritaria e sono pronti a proteggere i cristiani dai sunniti, che formano la maggioranza dell’islam».
Tra gli egiziani copti, invece, Di Giovanni si sofferma sulla storia di Adhan, uno degli “Zabbaleen” che gestiscono la spazzatura della “Garbage City” del Cairo: ma sindaco e governo, denuncia, stanno affidando la gestione a ditte straniere, anche italiane, «per punire la minoranza cristiana». Mary invece ricorda che non si era mai sentita cristiana prima che arrivasse al potere Sadat, che si scontrò con il patriarca copto quando volle indicare come base della costituzione la sharia, il diritto tradizionale islamico. «Quello è stato l’inizio della fine», ricorda Mary: quando tutta la sua famiglia ha iniziato a emigrare. Lei resta, perché spera ancora di costruire con i vicini musulmani una comunità condivisa, dove però lei e le sue figlie non siano costrette a indossare il velo.
Dopo tante guerre vissute in prima linea, Di Giovanni la guerra in Ucraina la sta seguendo in una posizione diversa. Fa parte della commissione Onu che si occupa di “transitional justice”, dove si stanno già preparando i processi contro i crimini che i russi stanno commettendo. «Insegniamo alle persone come raccogliere prove delle violenze, in modo che abbiano i requisiti per servire come testimonianze in tribunale». Perché già mentre la guerra è in corso, Di Giovanni pensa a come finirà: «È strano a dirsi ma una guerra è importante che “finisca bene”: cioè con una giustizia riparativa. Se non punisci chi l’ha scatenata, se le vittime non hanno la sensazione di aver ricevuto in qualche modo giustizia, nasce il bisogno di vendetta. Che è la radice di un nuovo conflitto».
A chi le chiede come ha potuto scrivere un libro che parla di Dio dopo aver conosciuto tutte le guerre del mondo, Di Giovanni risponde citando l’eroismo dei buoni: i medici, i volontari ma anche tutte le persone comuni che dopo un bombardamento si danno da fare per aiutare e ripulire «sapendo che corrono il rischio di un secondo bombardamento che colpisca proprio loro». 
Ma potrebbe citare una frase che si legge all’inizio di “The Vanishing”, dove paragona la religione al rapporto che lei ha ancora, grazie ai mille ricordi di un’infanzia passata insieme, con il fratello Joseph morto anni fa: «Allo stesso modo, la religione offre memorie condivise, una serie di rituali che durano nel tempo, tradizioni che possono essere trasmesse ai figli: la nostra intimità condivisa, i nostri segreti».

25 marzo 2022

Musica tradizionale al Festival di Mosul anche nei pressi di una chiesa distrutta dall'Isis. Per l'Italia il gruppo Ars Nova Napoli.

By Baghdadhope*

Il sito Ankawa.com ha pubblicato il programma del Mosul Traditional Music Festival che si sta tenendo in questi giorni e che ospita gruppi musicali dall'Iraq, dalla Francia, dalla Spagna e dall'Italia con la presenza del gruppo partenopeo Ars Nova Napoli che si esibirà con un repertorio di canti e musiche tradizionali del Sud Italia 
L'iniziativa "Ascoltare l'Iraq," svoltasi per la prima volta a dicembre 2020 e che mira alla preservazione della cultura musicale della città e dell'Iraq in genere,  è stata realizzata in collaborazione con Action for Hope e con il Book Forum di Mosul, uno spazio culturale aperto nel 2018 e dove donne ed uomini si incontrano sulla base dei comuni interessi per la letteratura, l'arte e la musica, ed è parte del programma UNESCO "Far rivivere lo spirito di Mosul" 
Il festival si tiene nel Museo di Mosul, nell'antico caravanserraglio di Khan al Gormouk nella città vecchia, nella storica cittadella di Erbil ed anche nei pressi del cortile della chiesa dell'Immacolata distrutta al tempo dell'occupazione di Mosul da parte dell'ISIS ed anch'essa parte del progetto UNESCO per il restauro del patrimonio religioso e culturale della città.   
A margine dell'iniziativa si terrà una mostra di calligrafia araba dell'artista Muhammad Abd Almuttalib, una sessione di improvvisazione musicale in una delle case storiche della città recentemente restaurata ed un tour dei siti archeologici. 


EWTN launches Arabic-language news agency based in Iraq


EWTN Global Catholic Network has launched an Arabic-language news service headquartered in Erbil, Iraq, Michael P. Warsaw, EWTN's chairman and CEO, announced March 25, on the Solemnity of the Annunciation.
The Association for Catholic Information Middle East and North Africa, or ACI MENA, will publish original news content in Arabic using a network of correspondents across the region. The news agency will operate from the campus of Erbil’s Catholic University (CUE.)
A ceremony marking the occasion was held in Erbil, which included Archbishop Bashar Warda of the Chaldean Catholic Archdiocese of Erbil.
“I am pleased to announce that EWTN has begun a service reporting news from the embattled and underserved Christian communities in the Middle East,” Warsaw said.
“This is an important milestone in the growth of EWTN News around the globe, and I am pleased that we are taking this significant step to better serve our courageous brothers and sisters in the region who have endured so much," he said
“Because it is published in Arabic, this agency will also augment the service offered by ACI-Africa, our Nairobi, Kenya-based Catholic news agency, which EWTN launched in 2019 and which publishes content in English, French and Portuguese,” Warsaw added. 
“ACI MENA will provide a new voice to help spread the Gospel and news of the Church to these Christian communities in their own language.” 
Bashar Jameel Hanna, a Chaldean Catholic layman originally from Baghdad, will head EWTN's newly launched Arabic-language news service, ACI-MENA. The service will provide a new voice to help spread the Gospel and news of the Church to Christian communities in the Middle East and North Africa. 
Hanna studied philosophy and theology for nine years at the Babel College in Iraq and graduated with a degree in civil engineering from the University of Nantes in France. 
Hanna speaks Arabic, French, English, and Aramaic fluently, and has a significant understanding of classic Arabic.
“When war came around to Iraq, I lost friends and relatives and became a political refugee in Europe,” Hanna said. “Ten years later, I received a call to work on the reconstruction in the Nineveh plains, to rebuild the church of Mosul. Then, late last year, I received a call for the position of Editor-in-Chief with ACI MENA. And I heard the Lord say: ‘I took you from the ends of the earth; from its farthest corners I called you. I said, you are my servant; I have chosen you and have not rejected you' (Isaiah 41:9.)"
"Becoming ACI MENA’s Editor-in-Chief, to carry the message of love to the Arabic world still submerged in conflicts and persecution, may be a heavy cross … but He has risen!” Hanna added.
Alejandro Bermudez, executive director of the ACI Group, of which ACI MENA is now a part, called the news agency's launch "a major step forward for the ACI Group as well as for the larger EWTN News family."
"We are honored to expand our news coverage of the ancient and heroic communities in this region, providing them local, Vatican and world news in Arabic," Bermudez said. "ACI MENA will not be a simple translation of news in Arabic, but a local news agency written in Arabic for the Arabic-speaking world, which will also bring stories of local Christian communities to the rest of the world."

24 marzo 2022

Baghdad, card. Sako: con il papa per la pace in Ucraina


 Gli iracheni “sono contro la guerra”, la gente comune “desidera la pace” in Ucraina come nel proprio Paese, in televisione si moltiplicano gli appelli alla distensione perché “abbiamo sperimentato” in prima persona conflitti e violenze, e le loro conseguenze. 
Il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, esprime ad AsiaNews i timori per il nuovo fronte che si è aperto alle porte dell’Europa, in seguito all’invasione lanciata da Mosca contro Kiev. Con il rischio che possa trasformarsi in un conflitto su scala globale con l’uso di armi atomiche. Per questo domani la Chiesa irachena si unirà a papa Francesco, in occasione della consacrazione della Russia e dell’Ucraina al cuore immacolato di Maria. “Abbiamo previsto - spiega il primate caldeo - una funzione di preghiera al santuario mariano di Baghdad [Nostra Regina del Rosario, ndr]”.
A livello di governo, prosegue il porporato, non vi è “una posizione chiara” su una guerra che si inserisce “in una situazione complicata a livello regionale e mondiale”. Le autorità di Baghdad, che vantano solidi legami economici e militari con Washington e Mosca, “non possono fare una scelta di campo netta”. Tuttavia, la popolazione “ricorda lo stesso scenario vissuto 20 anni fa” con l’invasione statunitense e la caduta del regime di Saddam Hussein - come prima con la guerra in Kuwait.
“All’epoca - ricorda il card. Sako - io ero a Mosul. Siamo rimasti più di un mese sotto le bombe Usa”. La soluzione del problema, avverte, non può che passare “dal dialogo”. Se non vi è un confronto, uno scambio aperto di posizioni i danni “riguarderanno tutti. Nei giorni scorsi ho inviato una lettera all’arcivescovo di Kiev esprimendo la nostra solidarietà e vicinanza. Dall’Iraq preghiamo per la pace, il dialogo, per una soluzione delle controversie. Chi ha vissuto la guerra - ammonisce - sa quanti disastri può causare” tanto a livello umano quanto sul piano materiale.
Nel frattempo sul piano economico si cominciano a scorgere le prime conseguenze della crisi ucraina: nei giorni scorsi nel sud del Paese sono divampate proteste per l’escalation dei prezzi dei generi alimentari, che per i funzionari locali è legata al conflitto. Per una settimana il prezzo dell’olio da cucina e della farina è salito alle stelle nei mercati locali, innescando manifestazioni di malcontento che le amministrazioni hanno tentato di disinnescare annunciando provvedimenti a sostegno della spesa. Teatro della protesta la piazza centrale di Nassiriya, già epicentro della sollevazione popolare del 2019 contro la corruzione estesa poi a gran parte della nazione.
“L’aumento dei prezzi ci sta strangolando, sia del pane sia di altri generi alimentari” ha dichiarato all’Afp Hassan Kazem, un insegnante in pensione della città. “Riusciamo a malapena - ha aggiunto - a sbarcare il lunario”. Di recente il governo centrale ha annunciato misure per limitare le conseguenze dell’aumento dei prezzi su scala globale, stanziando una indennità di circa 64 euro per i pensionati con reddito inferiore ai 630 euro mensili; il bonus è esteso ai dipendenti pubblici che guadagnano meno di 310 euro. A questo si aggiunge la sospensione per due mesi dei dazi doganali sui prodotti alimentari, sui beni di consumo di base e sui materiali usati nei cantieri edili.
Gli iracheni sono “stanchi” delle sofferenze che hanno patito e vissuto in questi ultimi anni, che i vari governi hanno cercato di “affrontare” ma all’atto pratico sono rimasti “irrisolti”, accumulando nel tempo vari “fattori di crisi”. La visita del papa nel marzo dello scorso anno, ancora oggi un fatto attuale, “è stata un messaggio di gioia, di pace e di convivenza” per tutti. Per ricordare questo evento, conclude il patriarca, “abbiamo recitato la preghiera di san Francesco di Assisi, seguita da una particolare orazione rivolta da uno sciita, un sunnita e uno yazidi. Uniti all’insegna della pace”.

21 marzo 2022

Dialogue launched for establishment of Network of Religious Leaders to Prevent Violent Extremism in Iraq

March 20, 2022

On 19 March, the United Nations Development Programme (UNDP) in Iraq and the National Committee on the Implementation of the Strategy to Prevent Violent Extremism at the National Security Advisory launched the first dialogue session on the establishment of the Network of Religious Leaders to Prevent Violent Extremism in Iraq.
A high-level dialogue session included members of the National Committee on the Implementation of the Strategy to Prevent Violent Extremism and members of the Shiite and Sunni, Yazidi, Christian and Sabian endowments, in addition to the AlHussein Holy shrine. 
A key focus of the Network of Religious Leaders will be to promote moderate religious discourse and increase awareness and support to community initiatives on the Prevention of Violent Extremism in Iraq.
This dialogue session contributes to UNDP’s integrated approach to Preventing Violent Extremism and supporting social cohesion in Iraq, including support to the National Committee, through capacity development for sub-committees located in various governorates on implementing the strategy to Prevent Violent Extremism in Iraq, as well as the establishment of interfaith religious leader networks across Iraqi governorates on Preventing Violent Extremism.
UNDP Iraq Resident Representative Zena Ali-Ahmad states, “The establishment of a Network for Religious Leaders builds on UNDP Iraq’s support to the Government of Iraq in preventing violent extremism, with an integrated and comprehensive approach related to engagement with a cross-section of Iraqi society including religious leaders, youth, and civil society. It will strengthen social cohesion in Iraq.”
Mr. Ali Abdullah Albedeiri, Chairman of the National Committee on the implementation of the National Strategy to Prevent Violent Extremism, states, “The national committee gives priority to the influential role of religious leaders in society, which will be further enhanced through the network in spreading moderate discourse and will contribute to the implementation of the strategy.”
“There is a consensus among different religious sects on the need for this network. This session will provide important recommendations to proceed in forming a network to work on Preventing Violent Extremism,” states Ali Al-Qarawi, from the Al Hussein Holy Shrine.
“The meeting today on establishing the network has been open and transparent to advocate for moderate speech and combatting hate speech. The goal of the network is to monitor, analyse, and respond to hate speech that leads to conflict,” says Mohammed Salah Rashad, from the Sunni Endowment.
“Today’s initiative was a first step in establishing the network to support the strategy on Preventing Violent Extremism in Iraq. We agreed on mobilizing our communities to prevent violent extremism,” states Dr. Ihsan Jafar, from the Shia Endowment.
“Today we discussed several ideas and recommendations, and we are optimistic that we will implement good initiatives under this network to prevent violent extremism before it happens,” says Raad Jabbar, from the Minorities Endowment.
Support to the Prevention of Violent Extremism (PVE) in Iraq is part of UNDP’s Social Cohesion Programme to promote stronger, peaceful, and more cohesive communities in all areas of Iraq.

15 marzo 2022

Christian religious leaders visit Kurdistan 24 to show solidarity after missile attack

Wladimir van Wilgenburg

A Christian delegation led by Archbishop Bashar Matti Warda, the Archbishop of Erbil, visited Kurdistan 24 headquarters building after Sunday's attack in a show of solidarity.
The delegation led by Archbishop Mar Bashar Matti Warda, Archbishop of Chaldean Catholic Church dioceses in Erbil, included His Grace Bishop Mar Nathaniel Nazar, Archbishop of the Syriac Catholic Church in the Kurdistan Region and Kirkuk, His Eminence Bishop Mar Nicodemus Dawod Matti Sharaf, the Archbishop of Syriac Orthodox Church in the Kurdistan Region, Mosul, and Kirkuk.
The Kurdistan Region's Minister for Transportation and Communication Ano Abdoka, himself a Christian, also accompanied the delegation.
"It's a solidarity visit to show we are also part of this tragedy as well. We thank God there were no casualties, just some material damage that could be fixed," Archbishop Mar Bashar Matti Warda told Kurdistan 24.
"But the important message is that Iraq today is in desperate need that all politicians of Iraq come together, to solve and make the well-being of Iraq, and all Iraqis a priority," he said. "This shows Iraq still needs to work more and more for the well-being of the whole country."
"It's not just Erbil that is suffering," he added. "That's also a sign there is a weakness that could be solved only if politicians consider the well-being of Iraq a priority."
On Sunday, 12 ballistic missiles were fired at the Kurdish capital, causing substantial damage to residential buildings and the Kurdistan 24 headquarters.
Iraqi Prime Minister Mustafa Al-Kadhimi visited the Kurdistan Region on Monday and was received by Prime Minister Masrour Barzani. The two visited the site of the missile attack to survey the damage.

Il Patriarca caldeo Sako: le cause di canonizzazione dei nuovi martiri iracheni procedono “senza intoppi”

La causa per la canonizzazione dell’Arcivescovo caldeo Paulos Faraj Rahho sta procedendo “senza intoppi, e, a Dio piacendo”, il Vescovo martire sarà presto dichiarato beato, “insieme a padre Raghiid Ganni, e ai suoi compagni, e a suor Cecilia del Sacro Cuore”.
Con queste parole il Cardinale iracheno Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, ha voluto confortare le speranze di quanti – in Iraq e nel resto del mondo – attendono di vedere innalzare all’onore degli altari alcune figure di martiri che con le loro vicende hanno segnato il cammino recente delle comunità cristiane autoctone della Mesopotamia. Le “rassicurazioni” patriarcali sono state espresse lunedì 14 marzo, durante l’omelia della Divina Liturgia celebrata dal Patriarca Sako nella cappella della sede patriarcale di Baghdad, a 14 anni dal martirio dell’Arcivescovo Rahho.
Paulos Rahho, a quel tempo Arcivescovo di Mosul, fu rapito il 29 febbraio 2008 da un commando di uomini armati, che bloccarono l’auto su cui viaggiava e uccisero subito l’autista e due suoi accompagnatori. Dopo giorni di serrate trattative per la sua liberazione, il suo corpo senza vita fu ritrovato il 12 marzo, nei pressi di un cimitero abbandonato nel distretto di Karama.
Nel periodo successivo al 2003, anno dell’operazione militare a guida USA che aveva causato il crollo del regime di Saddam Hussein, la città di Mosul fu teatro di una escalation di violenze, crimini e rapimenti che presero di mira in maniera accentuata appartenenti alle locali comunità cristiane.
Il Sinodo dei Vescovi caldei già nel settembre 2016 aveva messo all’ordine del giorno di una sua riunione la necessità di avviare i processi di canonizzazione per martirio riguardanti l’Arcivescovo Rahho, suor Cecilia Moshi Hanna - uccisa a Baghdad nel 2002 – e padre Raghiid Ganni e i tre diaconi – Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho e Gassan Isam Bidawid – uccisi insieme a lui dal commando di terroristi che il 3 giugno 2007 aveva assaltato a Mosul la chiesa dello Spirito Santo. 
Il 27 agosto 2019, il vescovo Francis Kalabat, a capo dell’eparchia caldea di San Tommaso Apostolo a Detroit (USA), ha firmato la conclusione della fase diocesana delle cause di canonizzazione dell’Arcivescovo Rahho, di Suor Cecilia e di padre Raghiid insieme ai suoi tre compagni di martirio. Una copia degli atti e dei documenti raccolti durante la fase diocesana dei processi è stata inviata alla Congregazione per le Cause dei Santi.
Alla fine di ottobre del 2019 si era conclusa a Baghdad anche la fase diocesana della Causa di Beatificazione e Dichiarazione di Martirio dei 48 servi di Dio trucidati il 31 ottobre 2010 nella capitale irachena dal commando terrorista che assaltò la chiesa siro cattolica intitolata a Nostra Signora del Perpetuo Soccorso.

Razzi iraniani contro base USA a Erbil. Il Patriarcato caldeo: lo stallo nella formazione del governo mette a rischio il Paese

14 marzo 2022

Il Patriarcato caldeo deplora il lancio di missili che domenica 13 marzo ha sparso terrore tra la popolazione di Erbil, e alla luce del grave episodio richiama le forze politiche a superare lo stallo e i veti incrociati che in Iraq impediscono da mesi la formazione di un nuovo governo, indebolendo il Paese e esponendolo a operazioni destabilizzanti promosse da forze esterne.
Le preoccupazioni del Patriarcato caldeo sull’attuale, incerta fase politica attraversata dall’Iraq, sono state espresse in un comunicato firmato dal Patriarca Louis Raphael Sako, e diffuso dai canali ufficiali del Patriarcato caldeo dopo il lancio di missili caduti sulla capitale della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.
All’una del mattino di domenica 13 marzo, 12 missili balistici Fatih – 110, di fabbricazione iraniana, sono stati lanciati contro la base USA localizzata presso l’aeroporto di Erbil. 
Nelle vicinanze dell’area colpita si trova anche l’edificio di recente costruzione che ospita il Consolato USA nel Kurdistan iracheno. 
Il lancio di missili – come ha confermato ai media anche Omid Khoshnaw, attuale governatore di Erbil – non ha provocato vittime o feriti, ma soltanto danni materiali. 
Anche La sede della TV locale Kurdistan24 è stata danneggiata. 
L’attacco missilistico è stato rivendicato dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. Nel messaggio di rivendicazione, i Pasdaran hanno fatto riferimento alla presenza di una “delegazione militare israeliana segreta” presso la base Usa colpita. Dopo la rivendicazione, le autorità di Baghdad hanno convocato l’Ambasciatore iraniano per esprimere la loro formale protesta in merito all’attacco, mentre due tra più rilevanti Partiti iracheni, l’alleanza elettorale “Saeroun” (che fa capo al leader sciita Muqtada al Sadr) e il partito Democratico del Kurdistan, hanno chiesto la formazione di una commissione d’inchiesta per confermare o smentire la presunta presenza di squadre israeliane a Erbil.
Anche l’attacco di Erbil conferma a suo modo la ormai cronica debolezza politico-istituzionale del Paese dei due Fiumi, sempre permeabile ad azioni terroristiche o incursioni organizzate o compiute in territorio iracheno da apparati militari e d’intelligence legati a forze straniere. 
Davanti a tale situazione, il Patriarcato caldeo ribadisce che i problemi del Paese possono essere affrontati solo attraverso il dialogo tra le forse politiche e sociali, “per garantire un futuro migliore per tutti, e non attraverso armi distruttive”. 
Nelle attuali circostanze critiche, il Patriarcato caldeo esorta tutti gli iracheni a “stringere i ranghi e unire le forze per giungere alla formazione di un governo nazionale in grado di assumersi tutte le sue responsabilità, al fine di preservare la sicurezza del Paese da qualsiasi ricaduta negativa, soprattutto ora che le relazioni dell'Iraq con molti Paesi, in particolare i Paesi confinanti, hanno iniziato a migliorare e c'è speranza che nuovi passi possano essere fatti in questa direzione”.
In Iraq, la spartizione su base etnico-confessionale delle cariche istituzionali prevede che il Capo dello Stato sia scelto tra i rappresentanti politici curdi, mentre il Presidente del Parlamento deve essere un sunnita e il Premier deve essere sciita. 
Le elezioni parlamentari tenutesi il 10 ottobre 2021 hanno visto una netta affermazione della alleanza elettorale guidata dal leader sciita Muqtada al Sadr, che in Parlamento ora occupa 73 dei 329 seggi disponibili. Dalle elezioni è uscito invece ridimensionato il peso parlamentare dei Partiti sciiti filo-iraniani, che hanno duramente contestato i risultati. Finora non è stato possibile procedere alla formazione di un nuovo governo, né all’elezione di un nuovo Presidente.

In un messaggio di solidarietà con l'arcivescovo di Kyiv, il patriarca Sako augura pace ai popoli ucraino e russo

12 marzo 2022

In una lettera firmata ieri 11 marzo, indirizzata all'arcivescovo greco-cattolico di Kyiv, Metropolita Svyatoslav Shevchuk, il cardinal Louis Raphael Sako, Patriarca di Baghdad dei Caldei, esprime la sua solidarietà all'Arcivescovo Maggiore ucraino.
Lo riporta il sito del Patriarcato dei Caldei. "Seguiamo ciò che sta accadendo nel suo Paese e capiamo i suoi sentimenti, preoccupazioni e paure per il futuro, perché abbiamo vissuto in Iraq una situazione simile", scrive il card. Sako.
"Niente può giustificare il verificarsi di una guerra, prosegue il porporato iracheno, perché non è una soluzione ai problemi, ma piuttosto li complica e lascia effetti negativi, mentre il dialogo onesto, coraggioso e calmo tra popoli amanti della pace è l'unico modo per risolvere i problemi, purché ci sia un'occasione di dialogo".
Conclude la lettera scrivendo che il Patriarcato Caldeo "è solidale attraverso la preghiera e la speranza con le persone innocenti dell'Ucraina e della Russia, che in questi giorni stanno soffrendo".
"Signore della pace, dona la pace a questi due Paesi e al mondo intero".

11 marzo 2022

Iraq: Rebuilding churches as symbols of hope


Amid the rubble in the graveyard of the St. George Monastery in Mosul, a freshly painted white grave with a small red cross has become a sign of hope and perseverance.
After the Islamic terror group "Islamic State" (IS) destroyed both the graveyard and the monastery in 2014, financial aid from the US has helped rebuilding the site, along with the monastery of the Chaldean Antonian Order of St. Hormiz outside the city.
"IS used the monastery as a prison for Yazidis. One of the monks' cells was in use as a mosque, and the brass statue of Saint George was melted down," Samer Soreshow Yohanna, the abbot of the Chaldean monastery, told DW.
Luckily, he said, on the day of the invasion in June 2014, two monks were able to leave with the most valuable old manuscripts.
The abbot is now overseeing the rebuilding of churches. In Nineveh province alone, no fewer than 14 Christian buildings, belonging to different denominations, were destroyed.
The abbot recounts how, at the monastery, IS hired someone to remove the marble from the church on top of the hill. "When he used explosives, the dome turned over and killed the man," he said.
And then, after the liberation in 2017, civilians stole whatever IS had left behind. It hurt the young priest, as he came here often as a boy; his father and sister were also buried in the now ruined graveyard. 

Dwindling numbers
Most of his family — like so many Iraqi Christians — had left Iraq even before IS came to power. In the years after dictator Saddam Hussein was toppled, their numbers fell from around 1.5 million down to 400,000 at most.
Before 2003, some 24,000 Christians were still living in Mosul. 
After IS, a maximum of 350 returned.
"For the daily Mass, we now use one church with one priest. That's enough for the whole city," said Abbot Samer. But the restoration of other churches is proceeding nonetheless, mostly with foreign aid.
Before the Chaldean Bishop of Mosul, Najib Mikhael Moussa, celebrated the first Mass in the rebuilt church of St. George's Monastery, he had already formally reopened the Church of the Apostle Paul in Mosul.
In his opening words, he reminded the Iraqi officials and military officers who had joined civilians to celebrate the reopening that it was the local Muslims who cleaned up the churches after IS left. "Building bridges is not easy, but I am sure Mosul will be better than it was," he said.

Beacon of hope
The bishop also passed on the instructions Pope Francis had given him when he visited Mosul in 2021: Work hard and make the city better and safer.
"We want Christians to return voluntarily," he told DW.
The pope's visit, and the broad support it received from Iraqis, has been a beacon of hope for Iraq's Christians. As the pope pointed out, the reduction in the size of the Christian community had caused huge damage, "not only to the individuals and communities involved, but also to the community they left behind."
And that is why it is so important to rebuild churches and monasteries, even if there aren't enough Christians to fill them, said Bishop Najib's deputy, Father Boulos Thabet Habib. *
Not just because some of them date back to the fifth century, but because this is heritage which belongs to Nineveh — and not only to the Christians. "Rebuilding that heritage means rebuilding the whole community," he said.

Diversity means strength.
Mosul has to regain its diversity, with Muslims and Christians living alongside Yazidis once again, said Father Boulos Thabet Habib. "For diversity sends out a powerful message against terrorism, against IS. If Christians return, it is a sign for Muslims, too, that it is safe," he said.
In the Christian town of Karamlesh, outside Mosul, where the deputy bishop is based, of the once 1,200 families who lived there before IS, only 190 have returned.
While the deputy bishop admits he cannot force people to return, he also said that throughout history "this is what we Christians did, many times. In the wake of destruction, we come back to rebuild."
His people now mainly want to erase the scars of the IS occupation. Everything has to go back to how it was, or better. That is the psychology of the Iraqis, the deputy bishop said. "They want to erase the past. They feel that painful memories make people feel bad."
That is why a call to save the overturned dome of St, George's Church, as a symbol of the miracle that occurred, received only little support. People thought it more important to repair the damage than to remind themselves of how the person who tried to destroy the dome had been punished.
Moreover, it was the bishop himself who decided that the clockt ower should be kept just as IS had left it in the church he had rebuilt at Karamlesh. The new bronze bell — IS members stole all the bells to melt them down — now hangs in an open, concrete tower and is operated by hand. For the deputy bishop, this symbolizes what his community has survived, as well as its survival.

Reconciliation is crucial
At the same time, it's important to counter the image that, with the Jews leaving Iraq in the last century, it's now the Christians' turn, said Abbot Samer. "Like the Christians, Jews were an important part of Mosul."
To prevent history from repeating itself, reconciliation has become of the utmost importance, he said. "We talk about the ties between us and the Muslims, but the wounds have not yet healed. Muslims have suffered more — we only lost our properties," he said. Many Christians from Nineveh have built new lives in the neighboring Kurdish region in Iraq, mainly in Ankawa, the Christian enclave of Irbil, its capital. Even Abbot Samer has his seat there, in a newly built monastery housing Chaldean priests who fled from Baghdad and Mosul.
He admits that many Christians fear that violence will return. "They only come back to Mosul to work, they won't live here. Those who go back are businessmen, to farm their land or to arrange for their pension. And they usually have no children," he said.
That is why the clergy must set an example and rebuild. "To give hope, we go first. We could say: go back and rebuild, and we will join you afterwards. But no, we need to do this together," he said.
Abbot Samer agrees with Pope Francis, who said, after leaving Iraq, that he had seen with his own eyes that "the church lives on in Iraq."
"My mother wants me to buy a house for her in Ankawa," said the abbot. "My sister has already visited me here five times. The community can grow again, if people see signs of hope. If we build, we will make our own destiny."

*Bishop Boulos Thabet Habib is, since October 2021, the coadjutor bishop with the right of succession for the Chaldean diocese of Alqosh and not Mosul.
Note from Baghdadhope

9 marzo 2022

Erbil: Maria, 20 anni, uccisa dai parenti per la conversione al cristianesimo


Foto: Rudaw
Nella giornata internazionale della donna, dal Kurdistan iracheno arriva la notizia dell’omicidio di una giovane di circa 20 anni per mano di un familiare. La sua unica colpa, se così si può definire, è quella di aver scelto - lei, proveniente da una famiglia musulmana - di convertirsi al cristianesimo e farsi chiamare con nuovo nome: Maria. A conferma che il cammino di tolleranza e convivenza nel Paese, seppur bene avviato grazie anche alla visita lo scorso anno di papa Francesco e all’opera del patriarca di Baghdad il card. Louis Raphael Sako, sono ancora oggi un traguardo da raggiungere. E neppure il nord, la regione curda relativamente più tranquilla e capace in passato di ospitare decine di migliaia di cristiani e yazidi (oltre ai musulmani) in fuga dallo Stato islamico, è aliena da sacche di violenze di matrice confessionale.
La vittima - massacrata a colpi di coltello - si chiamava Eman Sami Maghdid, sebbene da tempo usasse il nome cristiano di “Maria” anche sui social, dove era molto popolare e seguita. L’omicidio risale al 6 marzo, ma solo ieri nella festa della donna sono emersi maggiori dettagli che fanno pensare a una “punizione” in famiglia per aver abbandonato l’islam, essersi emancipata dal nucleo di origine e aver abbracciato la religione cristiana, rendendosi “colpevole” di apostasia.
Il delitto è avvenuto nei pressi dell’aeroporto internazionale di Erbil, non distante da Ankawa, distretto a prevalenza cristiana di Erbil. Ad ucciderla sarebbe stato lo zio, con la complicità del fratello. In un primo momento era emersa la notizia dell’arresto di entrambi i presunti assassini, poi le Forze dell’ordine hanno parlato di un solo fermo (lo zio).
La ragazza era famosa per la sua lotta per i diritti delle donne, attivismo che - assieme alla conversione al cristianesimo - avrebbe sancito la “condanna” dei familiari i quali parlano invece di “controversie” e “dissidi” interni.
Una fonte istituzionale di AsiaNews, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, spiega che “dopo la conversione aveva scelto di farsi chiamare Maria”. I familiari “dicono che il cristianesimo non è la ragione” alla base dell’omicidio, legato invece “al fatto di voler vivere da sola, aver lasciato dopo quattro anni un marito che era stata costretta a sposare all’età di 12 anni, voler essere libera”.
Poi “non voleva mettere il velo, non voleva più seguire le tradizioni islamiche” e questo avrebbe armato la mano dei parenti, fino ad ucciderla. “Anche il padre - prosegue la fonte - dicono sia un venditore di frutta e verdura, quando in realtà ha un ruolo di imam ed è una personalità religiosa ben conosciuta all’interno della comunità islamica”.
“Hanno trovato il corpo - prosegue - legato da un nastro, gettato ai bordi della strada, con numerosi colpi di coltello”. Maria era una persona aperta, viveva con una amica ed era parte di una commissione che lottava per i diritti delle donne arabe e irachene. Ironia della sorte, la sua morte è arrivata proprio nei giorni in cui si celebra la giornata internazionale della donna a testimonianza di un cammino ancora lungo e faticoso in tema di diritti, rispetto della libertà di scelta anche e soprattutto in un contesto come quello islamico radicale.
A questo si affianca la punizione per la conversione: “Molti musulmani in questi anni - conferma la fonte di AsiaNews - sono diventati cristiani, ma la questione viene fatta passare sotto silenzio per non alimentare scontri e tensioni. Di tutta questa vicenda - conclude - restano la condanna di personalità cristiane, musulmane e governative curde per l’omicidio”.
E i molti video su Tik Tok dove aveva quasi 50mila follower e diffondeva messaggi di coraggio, lotta, emancipazione non esitando a mostrarsi mentre fumava, indossava vestiti “all’occidentale” e accusava: “Essere diversi, in Kurdistan, può causare la morte”. Aveva ragione.

8 marzo 2022

Iraq’s Christians are still waiting for a miracle

March 7, 2022

Our Lady of Salvation Church lies down a dusty side road off Baghdad’s bustling Nidhal Street.
Sloe-eyed Iraqi soldiers brandishing Kalashnikovs sat on their haunches outside.
As I approached the army checkpoint, one of them stubbed out his cigarette and reluctantly stumbled to his feet to peer at my press card. 
He waved me through with a: “welcome Mr John.”
The church, with its unmistakable whalebone arch, was the scene of one of the worst atrocities carried out by Al Qaeda linked gunmen when they slaughtered dozens of worshippers and two priests in 2010.
The towering, bomb proof blast walls were still painted with naive murals of a smiling Pope entwined with the Iraqi national flag.
Inside the church I found worshipper, Arbella, 58, and asked her if the papal pilgrimage to Iraq in March 2021 had made any real difference to her life and those of Baghdad’s shrinking Christian communities. “The Pope’s journey to see us was very brave and inspirational and I cried when he arrived at our church,” she said with a catch in her voice.
“But to be honest…nothing has really changed for the better for us since he came here.”
“My Muslim neighbours still look down on me and, as a Christian, I still live in fear, but I’m too old to move away now.”
It was the same story at nearby St Joseph’s Chaldean Cathedral, which had also been on the Pope’s itinerary.
70-year old Bassim told me: "It’s got a lot worse for Christians in the last twelve months. People are leaving and our churches are emptying slowly.”
I asked the Vatican press office for comment about follow up to the papal mission to Iraq and was referred to religious leaders on the ground, so I met with Chaldean Catholic Patriarch, Cardinal Louis Raphael I Sako who was one of architects of the Pope’s historic mission which included a ground breaking meeting with the leader of Iraq’s Shias, Grand Ayatollah Sistani
When I sat down with the 73-year old Cardinal he was still moved as he recalled the Holy Father emerging from the plane in Baghdad a year ago.“The first thing I saw was his white habit and his wide smile. I immediately thought of the dove of peace or an Old Testament prophet,” he said.
“Then, in his first speech to Iraqi politicians and religious leaders the Pope talked about brotherhood among Christians and Muslims and I was suddenly filled with hope. It was incredible.”
I put it to Sako that these were laudable, comforting words, but in the year since: had the Pope’s visit brought any benefit to Iraq’s persecuted Christians?
“When the Pope came here physical attacks on Christians had virtually stopped and I can say there is no violence now towards our people,” he replied.
“Also the Pope’s trip revitalised a special committee which investigates hate speech against any religious group.”
“Calls in mosques for violence against Christians is reported and looked into.”
I wondered if the Pope’s courage in traveling to Iraq had inspired thousands of Iraqi Christians who fled to countries like Lebanon, or further afield to Australia and the United States, to return?
“No, they haven’t come back,” said Sako sadly.
“Their return is just a dream. Christians left Iraq looking for shelter and freedom.The parents, in particular, may want to come back, but why would they? There is no security here, no dignity, no jobs.”
“They have new lives now with children in schools, they’ll never come back.”
In the context of the Pope’s visit Sako believes it is time, after 2000 years, for a new beginning for Christianity.
He continued: “One thing I keep repeating – and I’ve said this to the Pope – is that Muslims are part of our mission and we must love them. Also if Christians want to convert to Islam that’s fine. If Muslims want to convert to Christianity, that’s also ok.”
“Perhaps now is the time to separate religion and the state and build a secular state in Iraq,” he said, “one that is not hostile to religion, but rather respects all religions while not including religion in politics. I think this would guarantee coexistence.”
Regarding the Pope’s message of fraternity I asked the Cardinal could he find it in his heart to forgive the jihadists who slaughtered so many Christians or drove them from their homes?
Without hesitation Sako replied : ‘It’s hard but, yes I can, as a Christian, of course I can – as Jesus told Peter we should.”
“He or she who forgives is stronger than those taking revenge.
I was speaking with Sako at time of simmering tensions in Iraq. Almost five months since a general election Iraqi politics are in turmoil with Shia, Sunni and Kurd factions fiercely squabbling over the Presidency – that’s even before a new government is formed.
The power vacuum is potentially leaving Christians and other minority religions, once again, vulnerable to attack.
“It’s terrible,” said Sako. "There’s no one in charge and militias are growing in strength, which is a big threat to our communities.”
In the last twelve months since the Pope was here more Christians joined the exodus from Iraq or sought refuge in Iraqi Kurdistan.
There’s one lone Christian remaining in the southern Iraq city of Nasiriyah – population half a million. He has to travel to Basrah or Baghdad to pray.
And Reverend Canon Faiz Jejez at St George’s Anglican Church, Baghdad, was very gloomy as he told me there were now no Iraqi Anglicans in the country.
Jejez also claimed all Christians would be gone from Iraqi soil in ten years.
I wondered what was Sako’s vision about the future of Christianity in Iraq.
Sako smiled: “We’ll always be here. There’s around 500,000 of us now and I hope we’ll grow.”
Closing our conversation I asked about the proposed beatification of two priests murdered in the attack on the Lady of Salvation Church in 2010.
Father Taher Saadallah Boutros and Father Wassim Sabih tried to save their parishioners after 80 were taken hostage. Heroically Boutros told them: “Kill me but let the worshippers go in peace." The gunman responded: “Convert to Islam because in any case you will die,” and then they shot him in the head.
“Beatification is a long process,” said Sako,”but we aim to have it completed this year for the two priests and for some worshippers who were killed.”
Cardinal Sako is a warm, generous man with a kind heart and he has led Iraqi Christians through unimaginable horrors. It was his courage and determination which helped make Pope Francis’s mission happen
However, as I said my goodbyes I realised that although the Pope’s visit had turned world attention on the plight of Iraq’s Christians, very little has changed for the better in the last twelve months for persecuted Chaldean and Syriac communities who now face possible fresh threats from Muslim militias.
An Anglican aide in Baghdad put it starkly: “The Pope’s visit brought little benefit to Christians – but at least it didn’t make matters worse.”

7 marzo 2022

Iraq calls for the start of grouping pilgrims from Assisi to Ur


The Iraqi embassy in Italy participated in the celebration held in the city of Assisi in the Supreme Cathedral of St. Francis in remembrance of the first visit of His Holiness Pope Francis to Iraq, while the Iraqi ambassador, Safiya Al-Suhail, called for the start of grouping pilgrims from Assisi to Ur and reopening the Italian schools in Iraq. 
 The Embassy said in a statement received by the Iraqi News Agency (INA), that "Ambassador Safiya Talib Al-Suhail, the cadres of the embassy, members of the Iraqi community, and a number of young Iraqi activists from number of European cities participated in the celebration that carried the slogan (from Assisi to Ur)", indicating, that "the celebration came in conjunction with the ceremony held by the Iraqi state in Ur on the occasion of the National Day of Tolerance, which the Iraqi state adopted as a national day on the occasion of the historic visit of His Holiness Pope Francis to Iraq. The celebration was held in the Church of San Francesco in the historic Italian city of Assisi, and included the establishment of a mass under the auspices of Monsignor Rami Al-Qiblan, according to the Syriac Catholic rites, in coordination with the Diocese of Assisi, and a harmonious performance of eastern and western ecclesiastical rites, with the participation of Iraqi priests and students of the monastic order in Italy from the Iraqis." 
Noting that "the celebration was attended by the mayor of Assisi, Stefania Proietti, and a number of Italian humanitarian organizations that provided aid to areas affected by ISIS terrorist crimes, including Christian and Yazidi areas." 
 "The celebration included a live presentation of the Pope's weekly speech, which he delivers after the Angelus Prayer, in which he addressed his visit to Iraq last year, directing his greetings in his speech to Iraq and the events held in Assisi and Ur on this occasion," the statement added. Patriarch of the Chaldean Church from Ur, His Eminence Cardinal Louis Raphael Sako, sent a message in Arabic and Italian through a recorded video clip, in which he mentioned the importance of Pope Francis' visit, noting that it is the first visit by the Pope to Iraq throughout history.
The embassy indicated that " Assisi -Ur meeting on the occasion of the anniversary of the visit of Pope Francis' and the Iraqi National Day of Tolerance, witnessed holding of a dialogue session organized by the Spirit of Assisi Committee, an international organization concerned with the dialogue of peace and tolerance, moderated by the well-known Italian journalist Luca Jironico,* who accompanied the Pope on his visit to Iraq, the session, which was held in one of the church’s monasteries, witnessed the participation of their Excellences the ambassadors of the Republic of Iraq to Italy, the Holy See, the mayor of the city, in addition to representatives of the Chaldean churches, representatives of the Union of Islamic Communities, the Office of Ecumenism and Dialogue, the Italian Bishops’ Synod, a representative of the Yazidi community, and a group of members of the honorable Iraqi community. 
 "The session included an intervention by His Eminence Sheikh Abdullah Al-Taie, the representative of the Iraqi religious authority in holy Najaf, and the session was concluded by Mons. Domenico Sorino* (Bishop of Assisi)", the statement added. Iraq's ambassador to Rome, Safia Talib Al-Suhail, called in her speech during the four sessions that were held, to activate practical steps to achieve the goals of the Pope's visit to Iraq, including what His Holiness emphasized the importance of returning to Ur and his call for Christians to perform Hajj, stressing the importance of starting to group pilgrims and to be make the Italian city of Assisi the start to group the pilgrims to the Iraqi city of Ur, and Demanded reopening the Italian language schools throughout Iraq."

* Luca Geronico (note by Baghdadhope)
*Domenico Sorrentino 
 (Note by Baghdadhope)

Al-Araji heads to Dhi Qar to participate in National Day for Tolerance celebrations

By Iraqi News Agency 
March 6, 2022

Photo: INA

National Security Adviser Qassem Al-Araji went on Sunday to Dhi Qar Governorate to participate in the celebrations of the National Day for Tolerance.
The media office of the National Security Adviser stated, in a statement received by the Iraqi News Agency (INA), that "Al-Araji went to Dhi Qar Governorate, accompanied by a number of ambassadors of countries accredited to Iraq, the ambassador of the Vatican, and religious, cultural and social figures."
The statement explained, "The visit aims to attend the celebration that will be held on the land of Ur on the occasion of the National Day for Tolerance and the anniversary of the meeting of His Holiness Pope Francis with the supreme authority, Ali al-Sistani."

Patriarch Sako’s Sermon at the Memorial Mass on the 1st Anniversary of Pope Francis’ Visit to Iraq

By Chaldean Patriarchate
March 5, 2022

Pope Francis’ historic visit was a blessing to all Iraqis. it has charged Iraqis with enough support and hope to achieve their desire in having a life of solidarity, compassion and dignity. 
During our 1st visit to Rome this year as the heads and representatives of Iraqi Churches, we intended to thank His Holiness for taking the time to visit our beloved country.
Generously, he invited us to his headquarters in the Vatican on Monday, the 28th of February 2022. In the meeting, we expressed our appreciation for his precious visit to Iraq as a dove of peace, a messenger of fraternity and love. He said emotionally “I won’t forget my visit to Iraq… I am holding your country in my heart”.
My question is, do we Iraqis, carry Iraq in our hearts and minds as the Pope is doing?
Is Iraq an “act” of identity and belonging? 
A year has passed since the visit, and the resonance of special words like, fraternity, diversity, peace, harmony, let the weapons be silenced, the sweetness of coexistence, respect, cooperation and solidarity still rings in our memory. 
These are respectable ethical, national and religious “messages” that should be present and invested in our daily life.
The Iraqi Prime Minister Mustafa Al-Kadhemi has dedicated the 6th of March as an Annual National Tolerance and Coexistence Day, which would be an opportunity for working groups to make it a human, national and religious “daily feelings” that touches our souls and affects them the most. 
Keeping in mind that neither life nor religion is a tool for violence, killing and robbery, but rather a tool for spreading human and spiritual values including respect for the dignity and “human” rights of everyone as a brother and a citizen.
Unfortunately, after 19 years, we are still facing the chaos of the “state absence”, because everything relies on the political class and their interests. 
Therefore, and to find the right solutions for such situation, I suggest that the best investment of the visit is to focus on the following themes: Since the diversity of traditions, cultural heritage, languages and religions in Iraq represents a fountain for dialogue and unity among its components, it should be recognized, accepted, protected and handed over to future generations. 
It is important to set up home and school education on human values that should be common for all citizens, in addition to the religious message of tolerance, respect, love and cooperation, so as to motivate young people to be committed for doing goodness, practice charity, justice and freedom. 
The need for dialogue and meeting opportunities between different cultural and religious traditions in order to strengthen fraternity bonds; give priority to the peace logic; and adopt the language of dialogue to find integrated solutions for avoiding catastrophic problems. 
Establish a “Building Capacity” Center, focusing on tolerance, reconciliation and peace in order to overcome problems and strengthen partnership, and prepare local leaders to resolve conflicts and domestic violence as well as interconnecting with such cases. 
We Christians are part of this noble national project. We must get rid of dependence, complaints and immigration mentality, and assume our responsibility by cooperating with our citizens in consolidating relations and collaborate for the good of our citizens and overall country. 
During the meeting, Pope Frances stated: “We mustn’t abandon any available mean for making Christians feel that Iraq is their homeland, and that they are citizens with “full rights”, called to contribute to the land where they lived always” On the 1st anniversary of this historic visit, I would like to join Pope Francis in calling upon all Churches to continue walking together on the fraternity path towards unity, as the disciples of Jesus Christ. Hence, our impact will be greater by providing a positive image through our unity, faith testimony and morals. 
Pope Francis concluded with: "I encourage you to continue on this path, in order that your steps lead ultimately to full unity, which is the most important thing, through concrete initiatives; continuous dialogue; and fraternal love. Furthermore, Christians might shine as a prophetic sign of unity in the midst of a nation who suffered a lot from splits and conflicts”.
In this mass, let us pray for our country and the speedy formation of a national government, capable of reviving the country and providing services.
We also pray for peace in the world, especially for the end of the war between Russia and Ukraine that may “affect” peace in the whole world.
It is unfortunate that this war is a political suicide while both sides could have get together in a civilized dialogue to solve their problems.

Il Papa un anno fa in Iraq, messaggero di una pace ancora da costruire

Benedetta Capelli - Salvatore Cernuzio
5 marzo 2022

 

 “أهلا بك في الموصل يا قداسة البابا فرنسيس"  "Benvenuto Papa Francesco” 

Sembravano bendaggi i cartelloni che il 7 marzo di un anno fa a Mosul, cittadina dell’Iraq proclamata nell’agosto 2014 roccaforte dello Stato Islamico, salutavano l'arrivo di Papa Francesco. 
Bendaggi apposti dalla popolazione per fasciare ferite ancora evidenti: palazzi sventrati, muri con impresse chiazze di sangue, porte crivellate da proiettili, cumuli di macerie, luoghi di culto che portano i segni di un uso infausto come prigioni o tribunali. 
In questo centro del Kurdistan iracheno, Francesco arrivò in auto blindata, scrutando il panorama di totale devastazione ma anche il volto sorridente di bambini, anziani, uomini e donne - cristiani e musulmani - usciti dalle loro case senza mascherine per dimostrare al Papa che, dopo anni di dolore e di terrore, finalmente riuscivano a sorridere. 
Una colomba di pace
 “Alalà, alalà”, urlavano le donne riversatesi in strada dalle prime luci dell’alba. Grida di esultanza che hanno accompagnato il Papa lungo tutto lo storico viaggio in questa cerniera mediorientale, devastata da conflitti e dal terrore jihadista. 
È il cardinale Raphael Sako, patriarca di Baghdad dei caldei, a rievocare dopo un anno quei momenti. Per tutto il tempo è stato accanto al Vescovo di Roma, vivendo con lui questo pellegrinaggio che finora resta un unicum nella storia del papato. Dall’incontro con l’ayatollah degli sciiti, al-Sistani, al viaggio in elicottero sulla Piana di Ninive, tra le più colpite dal terrorismo; dalla visita ai luoghi di persecuzione di Qaraqosh, alla preghiera tra le rovine di Mosul tra doni e cecchini, o all’incontro interreligioso nel deserto di Ur dei Caldei.
“Quando arrivò nell’aeroporto, vestito di bianco – ricorda il porporato a Vatican News – sembrava una colomba discesa sulla nostra terra per dire: ‘Pace con voi, vivete nella pace’”.
Il dolore per tutte le guerre
Pace… Una parola comparsa in ogni discorso della trasferta irachena di Francesco. Una parola che si fa urgente in questi giorni in cui dall’Ucraina giungono i fragori della guerra che arrecano distruzione e morte nel cuore dell’Europa. Immagini e notizie che non lasciano indifferente il popolo dell’Iraq, piagato per anni da assalti, bombardamenti, sterminio di innocenti. “Quanto dolore, quanto dolore” dice Sako, “noi abbiamo già vissuto questo scenario. È terribile, è una situazione che ha creato miseria, povertà, migrazione, tante catastrofi”.
La visita del Papa, i suoi gesti “paterni”, sono stati “un messaggio fortissimo per dire ‘basta guerre’, che dobbiamo riconoscerci gli uni gli altri come fratelli, dialogare come persone mature, costruire la società in modo migliore ed evitare ogni scontro che è sempre catastrofico”.
Questo messaggio, alla luce dei drammi odierni in Ucraina, sembra essere rimasto inascoltato, osserva il cardinale: “La gente non ha dato ascolto a questa voce profetica… È necessario un dialogo costruttivo per cercare la pace. Tutto deve essere basato sui valori della dignità, della libertà, giustizia e sovranità dei Paesi”.
Un messaggio per cristiani e musulmani §
In Iraq, dove in questi giorni si svolgono iniziative per ricordare il viaggio evento del 2021, il messaggio del Papa non è caduto nel vuoto, ma è rimasto inciso nella mente dei cristiani come pure dei musulmani, ai quali Papa Francesco ha mostrato “il volto di un padre: non di un principe o un capo di Stato, ma di un uomo di Dio”. “La voce del Papa è molto presente tra noi”, assicura Sako. Difficile, d’altronde, dimenticare parole come quelle sussurrate dal Papa da un palco in mezzo alla sabbia rossa di Ur dei Caldei, mentre la polvere sollevata dal vento oscurava l’orizzonte dove si stagliava lo ziggurat di Ur-Nammu. Accompagnato dai leader delle diverse religioni, il Papa ricordava la profezia di Isaia, “spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci”, per osservare che invece “spade e lance sono diventate missili e bombe”.
Un anno dopo, tale riflessione trova conferma con la devastazione di Kiev e delle altre città ucraine, con le minacce nucleari, con la corsa agli armamenti piuttosto che al dialogo.
"Basta armi"
“Basta fabbricare armi!”,
esclama il cardinale Sako. “Le armi sono una minaccia per tutta l’umanità. E non si parla nemmeno di armi normali ma di armi nucleari che possono finire l’umanità. Che responsabilità...!”. “Il mondo, l’Occidente soprattutto – rileva il patriarca - ha perso i valori religiosi e umani: c’è tanta indifferenza, tanto egoismo, tutto è basato sul consumo, sugli interessi di parte. Dove va il mondo? Chi paga il prezzo di tutto questo? La gente povera che non ha nulla in Ucraina, così come in Siria, in Iraq, nello Yemen, Libia, tutta l’Africa… Coloro che producono armi, che si affrettano a vendere armi e crearne di nuove, quale coscienza hanno?”. §
Il perdono contro la tentazione della vendetta
La riflessione del patriarca di Baghdad è intrisa di amarezza. Un’amarezza che però non inficia la speranza in un futuro di pace. La stessa di cui parlò Francesco nell’ultima, affollatissima, Messa dell’8 marzo nello stadio Franso Hariri di Erbil, dove dal palco in cui campeggiava la statua della Vergine Maria mutilata dal Daesh, ringraziò la Chiesa irachena per il “perdono” dimostrato che rafforza “dalla tentazione di cercare vendetta, che fa sprofondare in una spirale di ritorsioni senza fine”. Cristo, “Buon Samaritano dell’umanità, desidera ungere ogni ferita, guarire ogni ricordo doloroso e ispirare un futuro di pace e di fraternità in questa terra”, disse il Pontefice.
Una vera e propria eredità per l’Iraq che il cardinale Sako vuole condividere con “i fratelli e le sorelle ucraini”. Un futuro oltre la guerra “La gente è molto preoccupata per la guerra, c’è tanta solidarietà perché l’abbiamo vissuta. È un Paese lontano da noi ma è forte la vicinanza umana”. In Iraq sono finite le guerre, “anche se continuano ad esserci lotte di potere e corruzione”, ed è nata una certezza: che dalla rovina e dalla distruzione ci si rialza, che è il Signore e non gli uomini ad avere in mano il destino del mondo e che, dice Sako, “c’è futuro oltre ogni guerra”.

Papa in Iraq: Assisi, domenica il pellegrinaggio-incontro “Da Assisi a Ur. Fratelli tutti”

5 marzo 2022

Domenica 6 marzo 2022 ad Assisi, alle ore 10 con la Messa in rito siro-cattolico presieduta da mons. Rami Flaviano Al-Kabalan nella Basilica Superiore San Francesco e dalle 11 alle 16:30 alla Cittadella Cristiana, si terrà il pellegrinaggio-incontro “Da Assisi a Ur. Fratelli tutti”.
“Da Assisi vogliamo rivivere quel giorno stringendo un legame tra la terra di San Francesco e la Piana di Ur, la terra di Abramo. Un modo anche di costruire la pace tra i popoli e riscoprire un luogo santo come quello di Ur, in terra irachena”, spiega il rogazionista iracheno padre Jalal Yako, tra i promotori dell’iniziativa. “Ancor di più oggi con i fragori della guerra che stanno arrecando distruzione, sofferenze e morte, siamo chiamati a diffondere gesti e a costruire ponti di speranza. La testimonianza che Papa Francesco ci ha offerto con la visita in Iraq lo scorso anno – afferma don Tonio Dell’Olio, presidente della Commissione Spirito di Assisi – non può e non deve cadere nell’oblio. Assisi ancora una volta si pone come un segno di pace e di incontro di fedi e culture diverse. L’auspicio è che si costruisca un ponte stabile tra la città di Francesco e Chiara e Ur che è radice delle fedi di Abramo”.
Alle ore 11:30 alla Cittadella Cristiana di Assisi, dopo il saluto di don Tonio Dell’Olio, seguiranno l’Angelus di Papa Francesco, in diretta streaming, poi il video-messaggio del Patriarca di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, e infine il saluto del sindaco di Assisi, Stefania Proietti.
Alle ore 15, sempre alla Cittadella Cristiana, si aprirà la Tavola rotonda moderata dal giornalista di Avvenire Luca Geronico, alla quale interverranno l’ambasciatore iracheno in Italia Safia Taleb Ali Al Souhail e quello dell’Iraq presso la Santa Sede, Rahman Farhan Abdullah Al-Ameri; padre Martin Baani della Chiesa caldea; un rappresentante Ucoii (Unione comunità islamiche in Italia); don Giuliano Savina dell’Ufficio ecumenismo e dialogo Cei, Ghazi Barakat della Comunità Yazida e Ivana Borsotto, presidente Focsiv. Le conclusioni saranno affidate a mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi. L’iniziativa è a cura della Commissione Spirito di Assisi in collaborazione con Patriarcato siro-cattolico e il Patriarcato Caldeo e con il sostegno di: Comune di Assisi, Ambasciata della Repubblica dell’Iraq presso la Santa Sede e Focsiv -Volontari nel mondo.

3 marzo 2022

“Da Assisi a Ur, Fratelli Tutti”, un convegno in ricordo del viaggio del Papa in Iraq


Da Assisi ancora una volta viene inviato un “messaggio di fraternità e pace, in un mondo che sta drammaticamente cambiando e dove questi valori sono sempre più a repentaglio anche a causa dell’attuale conflitto in Ucraina”.
La Commissione Spirito di Assisi, in collaborazione con il Patriarcato siro-cattolico e il Patriarcato Caldeo, con il sostegno del Comune di Assisi, dell’Ambasciata della Repubblica dell’Iraq presso la Santa Sede e di Focsiv -Volontari nel mondo, lancia quindi una iniziativa di preghiera, ma anche di incontri e dibattiti, domenica 6 marzo, ad un anno dalla preghiera dei Figli di Abramo di Papa Francesco a Ur dei Caldei, nel corso del suo 33.mo viaggio apostolico in Iraq.

Costruire ponti di speranza
“Da Assisi – spiega il rogazionista iracheno padre Jalal Yako, tra i promotori dell’iniziativa - vogliamo rivivere quel giorno stringendo un legame tra la terra di San Francesco e la Piana di Ur, la terra di Abramo. Un modo anche di costruire la pace tra i popoli e riscoprire un luogo santo come quello di Ur, in terra irachena”. “Ancor di più oggi con i fragori della guerra che stanno arrecando distruzione, sofferenze e morte – aggiunge don Tonio Dell’Olio, presidente della Commissione Spirito di Assisi - siamo chiamati a diffondere gesti e a costruire ponti di speranza. La testimonianza che Papa Francesco ci ha offerto con la visita in Iraq lo scorso anno, non può e non deve cadere nell'oblio. Assisi ancora una volta si pone come un segno di pace e di incontro di fedi e culture diverse. L'auspicio è che si costruisca un ponte stabile tra la città di Francesco e Chiara e Ur, che è radice delle fedi di Abramo”.

Il programma di "Da Assisi a Ur. Fratelli tutti"
Domenica prossima, quindi, nella Basilica Superiore San Francesco, alle 10 del mattino, si svolgerà una celebrazione eucaristica, in rito siro-cattolico, presieduta da monsignor Rami Flaviano Al-Kabalan.
Alla Cittadella Cristiana, a partire dall 11, si terrà il pellegrinaggio-incontro “Da Assisi a Ur. Fratelli tutti”. Dopo il saluto di don Tonio Dell’Olio, seguiranno l’Angelus di Papa Francesco, in diretta streaming, poi il video-messaggio del Patriarca di Baghdad, cardinal Louis Raphael Sako, e infine il saluto del sindaco di Assisi, Stefania Proietti.
Successivamente, alle 15, si aprirà la Tavola rotonda moderata dal giornalista di Avvenire Luca Geronico, alla quale interverranno l’Ambasciatore iracheno in Italia Safia Taleb Ali Al Souhail e quello dell’Iraq presso la Santa Sede, Rahman Farhan Abdullah Al-Ameri; padre Martin Baani della Chiesa caldea; un rappresentante UCOII (Unione comunità islamiche in Italia); don Giuliano Savina dell’Ufficio ecumenismo e dialogo CEI, Ghazi Barakat della Comunità Yazida e Ivana Borsotto, presidente Focsiv. Le conclusioni saranno affidate a monsignor Domenico Sorrentino, Vescovo di Assisi.