"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

31 maggio 2011

Christians Promised Work Opportunities, Suitable Social Milieu

By Aswat al Iraq, May 30 2011
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Basra/Aswat al-Iraq: Basra's Governor promised to find work opportunities for the city's Christians and activate their social role through providing them with suitable milieu.
Dr.Khalaf Abdul Samad, during his visit to Chaldean Mar Afram Church and meeting Father Imad Al-Bunni of the Christian Chaldeans in the southern area of Iraq, said "the aim of this visit is to see the necessary requirements of the Christians in Basra, who have a long and deep tradition in the history of the city, as other social sectors here".
"The sufferings of the Christians in Iraq is due to forceful circumstances, so our duty is to facilitate their lives and provide them with work opportunities through the reconstruction of the province",
he added.
The church in Basra submitted some demands to the governor, including the rehabilitation of a church in old part of the city.
The Christian presence in Basra dates back before Islam coming into the area.After the establishment of the Iraqi state in 1920 they had a vital role in public administration and the private sector.
During 1970s, there were ten thousand families, but, now, the figure is less because many left the city during the Iraqi-Iranian war, the Gulf War I, the demise of the previous regime and the sectarian violence that engulfed the country.

Kirkuk, cristiani e musulmani uniti pregano la Madonna per la pace in Iraq

By Asia News, 31 m,aggio 2011,
di Joseph Mahmoud
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Foto di Ankawa.com

Cristiani e musulmani irakeni, uniti, hanno pregato la Madonna per la fine delle violenze nel Paese. I leader religiosi – cattolici, sciiti, sunniti, curdi – hanno lanciato delle colombe come segno di pace, nella speranza che l’Iraq possa superare conflitti e divisioni. È quanto è successo questa mattina, 31 maggio, a Kirkuk, nel nord dell’Iraq, dove l’arcivescovo caldeo mons. Louis Sako ha riunito le autorità politiche e religiose musulmane della città, per onorare la madre di Gesù al termine del mese mariano. Nel suo intervento, il prelato ha sottolineato il “valore” dell’incontro, in un periodo di “sofferenze”. Alle celebrazioni ha presenziato anche il vice-governatore, in rappresentanza dei vertici dell’amministrazione locale, insieme alle famiglie di due vittime del terrorismo: Ashur Yacob Issa, rapito e torturato a morte a metà mese, e un ufficiale di polizia musulmano, massacrato con altri 27 il 16 maggio.
Oggi si conclude il mese dedicato dalla Chiesa alla Madonna, una figura onorata e riverita non solo dai cristiani, ma capace di unire pure musulmani e membri di altre religioni. Per l’occasione, questa mattina l’arcivescovo caldeo di Kirkuk ha invitato le autorità politiche e religiose musulmane, per una preghiera comune. In città molti fedeli musulmani vengono in pellegrinaggio alla statua della Vergine, soprattutto le donne che pregano perché possa realizzarsi un desiderio o un miracolo.
Da tempo la giornata è occasione comune per cristiani e musulmani, per pregare per la pace e la stabilità della nazione e della regione di Kirkuk, colpita nelle ultime settimane da una serie di attentati e violenze che ha “scioccato” la popolazione. La preghiera ha avuto luogo questa mattina nella cattedrale, la corale ha cantato inni mariani, l’assemblea interconfessionale ha recitato i salmi 62 e 121, mentre un diacono ha intonato l’Annunciazione a Maria, tratta dal Vangelo di Luca, e un imam la Surat di Myriam, sullo stesso tema. Infine è intervenuto l’arcivescovo, mons. Sako, che ha indirizzato un saluto comune. Il momento più toccante, tuttavia, è stato la recita della preghiera universale alla Vergine, per chiedere la pace e la sicurezza, letta all’unisono da donne cristiana e musulmane in quattro lingue: araba, curda, turcmena e caldea.
Al termine delle celebrazioni, un imam sciita turcmeno, un imam sunnita arabo, un imam curdo e l’arcivescovo hanno lanciato delle colombe quali simbolo della pace. Alla celebrazione hanno partecipato il vice-governatore in rappresentanza delle istituzioni (il governatore era impegnato fuori città) e le famiglie di alcune vittime del terrorismo estremista a Kirkuk, cristiane e musulmane. Fra le altre personalità che hanno partecipato alla preghiera vi sono il presidente del Consiglio municipale, il capo della polizia, il capo dell’esercito e i leader dei partiti politici. La cattedrale era colma di gente, fedeli cristiani e musulmani di entrambi i sessi, senza divisioni né barriere.
Nel suo intervento, mons. Sako ha sottolineato il valore “dell’incontro fra cristiani e musulmani di Kirkuk”, in un periodo di “sofferenze” attraversate nelle ultime settimane a causa di “una violenza cieca e mortale”. Pur se “spaventati”, ha proseguito il prelato, “siamo uniti, cristiani e musulmani, per onorare la Beata Vergine Maria ‘Mariamana’. La persona della Vergine Maria è uno dei punti di incontro fra noi cristiani e musulmani – ha aggiunto l’arcivescovo di Kirkuk – ma esistono anche altri punti in comune. Tuttavia, vi sono anche differenze e questo è un aspetto normale, che dovrebbe essere riconosciuto, accettato e rispettato perché parte della volontà di Dio”.
“Il testo della Bibbia e del Corano
– continua il prelato – sulla Surat di Maryam hanno sottolineato questa convergenza notevole. Maria ci ha invitato a pregare ciascuno a modo proprio ma, andando oltre le parole, il valore ultimo è mantenere il rapporto intimo con Dio e rendere Dio sempre presente davanti ai nostri occhi, quale punto di riferimento per il nostro cammino alla ricerca del bene per tutti”. Egli ha augurato che i cristiani e i musulmani diventino “pilastri fondamentali per la città e dell’intero Paese per fede, cultura e morale” quali sostenitori “della pace, della giustizia e del diritto”.
Mons. Sako ha poi precisato che oltre all’incontro di oggi in chiesa, egli auspica momenti comuni anche nel santuario sciita e nella moschea “per costruire una vera e propria comunità fraterna, desiderosa di costruire la pace, la stabilità e la sicurezza”. Egli invita a non accettare “gli effetti devastanti della violenza”, ma di affidarsi al “linguaggio dei coraggiosi”, ovvero la ragione e il dialogo che conducano “a intese e accordi” per “consolidare “l’armonia fra le varie componenti”. “Basta violenze – afferma a gran voce – basta vivere ostaggio di tensioni e paure costanti” o come “stranieri nelle nostre città e nelle nostre case”.
“Noi cristiani irakeni
– conclude il prelato – siamo legati ai nostri fratelli musulmani, alle nostre radici e alla terra irakena. Siamo pronti a contribuire con qualsiasi sforzo per la riconciliazione, senza confinarci in ghetti chiusi e isolati dagli altri, né nei campi profughi allestiti per i migranti della diaspora”.

Kirkuk Christians and Muslims unite in prayer to Our Lady for Peace in Iraq

By Asia News, May 31, 2011
by Joseph Mahmoud
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Photo by Ankawa.com

Iraqi Christians and Muslims together prayed to Our Lady for an end to violence in the country. The religious leaders - Catholic, Sunni, Shia, Kurd – released doves as a sign of peace, in the hope that Iraq can overcome conflict and division. The event took place this morning, May 31, in Kirkuk, northern Iraq, where the Chaldean Archbishop Mgr. Louis Sako joined the Muslim religious and political authorities of the city to honour the mother of Jesus at the end of the month of Mary. In his intervention, the prelate spoke of the "value" of the encounter, at a time of "suffering." The prayer service was attended by the vice-governor, representing the leadership of local government, together with the families of two victims of terrorism: Ashur Yacob Issa, who was kidnapped and tortured to death earlier this month, and a Muslim police officer, massacred along with 27 others on May 16.
Today the month dedicated to Our Lady ends, a figure revered and honoured not only by Christians, but also capable of uniting Muslims and members of other religions. For the occasion, this morning the Chaldean archbishop of Kirkuk invited Muslim religious and political authorities to join in a common prayer. Many Muslims made a pilgrimage to the statue of the Virgin Mary, especially women who pray to the Mary to intercede on their behalf.
For some time now the day has become an occasion for Christians and Muslims to pray together for peace and stability in the nation and region of Kirkuk, which was hit in recent weeks by a series of attacks and violence that has "shocked" local people. The prayer was held this morning in the cathedral, the choir sang Marian hymns, the congregation recited the psalms 62 and 121, while a deacon sang the Annunciation to Mary, from the Gospel of Luke, and the imam the Surat Myriam on the same theme. Finally the Archbishop, Msgr. Sako, greeted all participants. The most touching moment, however, was the recitation of the Prayer to the Virgin Mary, for peace and security, read in unison by Christian and Muslim women in four languages: Arabic, Kurdish, Turkmen and Chaldean.
At the end of the celebrations, a Turkmen Shiite imam, a Sunni Arab cleric, a Kurdish imam and the Archbishop released doves as a symbol of peace. The celebration was attended by the vice-governor on behalf of the institutions (the governor had prior commitments that took him outside the city) and the families of some victims of extremist terrorism in Kirkuk, Christian and Muslim. Among the other dignitaries who attended the prayer was the president of the municipal council, the chief of police, the army chief and leaders of political parties. The cathedral was full of people, Christians and Muslims of both sexes, with no divisions or barriers.
In his speech, Mgr. Sako stressed the value "of the encounter between Christians and Muslims in Kirkuk," in a period of "suffering" because of "blind and deadly violence” of recent weeks. Although "frightened," said the prelate, "we are united, Christians and Muslims, to honour the Blessed Virgin Mary 'Mariamana'. The person of the Virgin Mary is a point of encounter between Christians and Muslims - added the archbishop of Kirkuk - but there are other points in common. However, there are also differences and this is a normal aspect, which should be recognized, accepted and respected as part of the will of God. "
"The text of the Bible and the
Koran - the prelate continues - on Surat Maryam points out this remarkable convergence. Mary invites us to pray, each in his or her own way, but going beyond words, the ultimate value is to maintain the intimate relationship with God and have God always before our eyes, as a reference point for our journey in search of the common good for all ". He said he hoped that Christians and Muslims become "pillars of the city and the entire country by faith, culture and morals" which advocate "peace, justice and law."
Archbishop Sako then stated that besides the prayer meeting today in church, he also hopes for moments of common prayer in the Shiite shrine and the mosque "to build a true community of brothers, eager to build peace, stability and security." He urged people not to accept "the devastating effects of violence," but to rely on the "language of the brave", that reason and dialogue that will lead "to understandings and accord” to "consolidate "harmony between the various components. " "No more violence – he said in a loud voice – enough of living like hostages to constant tension and fear" like "foreigners in our cities and our homes." "We Iraqi Christians - said the prelate - we are bound to our Muslim brothers, to our roots and the soil of Iraq. We are ready to help with any efforts for reconciliation, we do not want to live confined to ghettos isolated from others, neither in refugee camps set up for migrants in the Diaspora".

Othodox Christian shot to death in Mosul

By Asia News, May 30, 2011
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Iraq’s Christian community has been the victim of another targeted killing. This morning, an Orthodox Christian was killed in Mosul, northern Iraq. The dead man had been the victim of two attempted ransom abductions in the past, but in both cases, he was able to escape from his attackers. This time, the murderers waited for him as he went to work, firing at him several times in cold blood.
Sources, on condition of anonymity for security reasons, told AsiaNews that Arkan Jihad Yacob was an Orthodox Christian, and the vice director of a cement factory.
Born in 1948 in Mosul, the married father of four was the victim of two previous abduction attempts, ostensibly to extort ransom from his family. In both cases, he was quick enough to thwart his attackers.
This morning however, the men who went after him meant to kill and they succeeded. Arkan Jihad Yacob was shot several times as he made his way to work in an execution-style cold-blooded murder. His killers used a silencer.
The local community took part in Arkan’s funeral in Mosul’s Syro-Orthodox cathedral. With his death, Iraqi Christians find themselves again under attack from Muslim extremists.
The previous incident goes back to 16 May, in Kirkuk, when the body of a Christian man was found. He had been killed after being abducted, his body mutilated, because his family could raise US$ 10,000 to pay for the ransom (see “Kirkuk: young Christian abducted, tortured and beheaded,” in
AsiaNews, 16 May 2011).
Speaking to AsiaNews, sources in Iraq say that Christians continue to endure an atmosphere of tensions and fear, as they continue to be targeted for abductions, which end in blood when they are unsuccessful. (DS)

30 maggio 2011

Mosul: cristiano ortodosso ucciso a colpi di pistola

By Asia News
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Ancora un’esecuzione mirata contro la minoranza cristiana in Iraq. Questa mattina è stato ucciso un cristiano ortodosso a Mosul, nel nord del Paese. L’uomo già in passato era stato vittima di un paio di tentativi di sequestro a fini estorsivi, ma in entrambi i casi era riuscito a sfuggire ai rapitori. Questa volta i criminali lo hanno attesto mentre si recava al lavoro, freddandolo con numerosi colpi di pistola.
Fonti di AsiaNews a Mosul, anonime per motivi di sicurezza, confermano che la vittima è un cristiano ortodosso, vicedirettore di una locale fabbrica di cemento. Nato nel 1948 a Mosul, Arkan Jihad Yacob era sposato e padre di quattro figli. Già in passato egli era finito nel mirino dei criminali, che due volte avevano cercato di rapirlo per estorcere denaro alla famiglia. Tuttavia, la pronta reazione dell’uomo aveva sventato in entrambi i casi i tentativi di sequestro.
Questa mattina, invece, il commando ha colpito per uccidere. Sul tragitto fra l’abitazione e il luogo di lavoro, Arkan Jihad Yacob è stato ammazzato a sangue freddo con una vera e propria esecuzione. Il cristiano ortodosso è stato raggiunto da numerosi colpi di proiettile, sparati da armi dotate di silenziatore. La comunità locale ha partecipato ai funerali dell’uomo, che hanno avuto luogo nel pomeriggio nella cattedrale siro-ortodossa di Mosul.
La comunità cristiana irakena di nuovo nel mirino della frangia fondamentalista islamica, che il 16 maggio scorso aveva colpito a Kirkuk. Anche il quel caso la vittima era stata sequestrata, poi uccisa e mutilata perché la famiglia non era riuscita a pagare i 10mila dollari di riscatto richiesti dai malviventi (cfr. AsiaNews, 16/05/2011 Kirkuk: giovane cristiano rapito, torturato e decapitato). Da giorni le fonti di AsiaNews in Iraq denunciano un clima di tensione e paura. I cristiani sono vittime di sequestri che, se non vengono portati a segno, si concludono nel sangue. (DS)

26 maggio 2011

Iraq: la comunità cristiana scossa da un omicidio "disumano"

By Zenit
di Paul De Maeyer
87 i cristiani iracheni uccisi nel 2010, secondo l'Assyria Council of Europe

Una pattuglia della polizia irachena ha trovato lunedì 16 maggio a Kirkuk il corpo senza di vita di un giovane cristiano, Ashur Issa Yaqub (scritto anche Jacob). Il cadavere del ventinovenne, che era sposato ed aveva tre figli, era orrendamente sfigurato.
Come ha dichiarato all'Agence France-Presse (16 maggio) il capo della polizia della provincia di Kirkuk, il maggiore generale Jamal Taher Bakr, gli autori dell'omicidio hanno staccato quasi completamente la testa alla vittima. Il capo del dipartimento della Sanità della provincia, Sadiq Omar Rasul, ha confermato il lugubre fatto ed ha aggiunto che il corpo di Yacub presentava "segni di tortura e morsi di cani". Dettagli ancora più raccapriccianti sono stati forniti dall'Assyrian International News Agency (16 maggio). A Yacub sono infatti stati strappati gli occhi dalle orbite e tagliati gli orecchi. Come se non bastasse, la povera vittima è stata ritrovata con il volto scuoiato.
Yacub, che lavorava per una società edile, era stato rapito tre giorni prima, cioè sabato 14 maggio, sempre a Kirkuk, capoluogo dell'omonima provincia petrolifera situata in territorio curdo, a circa 250 chilometri a nord della capitale irachena Bagdad. I sequestratori, che secondo la polizia appartengono forse ad una cellula della rete terroristica di Al Qaeda, avevano chiesto alla famiglia della vittima un riscatto di ben 100.000 dollari, ma secondo una fonte di AsiaNews (16 maggio) le trattative "non sono andate a buon fine". Infatti, 100.000 dollari è una cifra molto alta per un Paese dove, secondo l'agenzia AFP, la retribuzione media giornaliera di un operaio edile è l'equivalente di 21 dollari.
Come ha riferito a Compass Direct News (18 maggio) un pastore evangelico, precedentemente al sequestro sconosciuti si sarebbero rivolti al datore di lavoro di Yacub, intimandogli di licenziare l'operaio "perché era un cristiano, ma lui ha rifiutato". Trattandosi di un imprenditore ricco ma irraggiungibile - così ha raccontato sempre il pastore, che per motivi di sicurezza ha voluto mantenere l'anonimato - hanno rapito e purtroppo anche ucciso Yacub.
L'uccisione definita "bestiale" e "un crimine efferato contro la religione, la nazione e l'umanità" dal segretario generale dell'Unione degli studenti e dei giovani assiro-caldei, Kaldo Oghanna, ha scosso profondamente la comunità cristiana. "E' una situazione molto grave, e tutti, la gioventù, si sentono senza speranza", ha detto l'esponente cristiano a Compass. Durissima è stata anche la condanna da parte dell'arcivescovo caldeo di Kirkuk, monsignor Louis Sako. "Nessun uomo che crede in Dio e ha un rispetto per la vita può commettere simili atti", così ha dichiarato in una prima reazione il presule, che ha parlato di un "gesto disumano" (AsiaNews).
L'arcivescovo è inoltre convinto che l'operaio sia stato sequestrato per i soldi. "E' stato rapito per il denaro. Questo succede, ma normalmente i rapinatori non torturano ed uccidono in questo modo", ha spiegato Sako in una conversazione al telefono con Compass Direct News. "E' come se fossero animali", ha continuato Sako. "Lo hanno ucciso immediatamente per spaventare la gente di Kirkuk e mandare il messaggio che se vengono rapiti devono pagare".
Invece per il deputato cristiano Imad Yohanna, anche lui di Kirkuk, Yacub è stato rapito a causa della sua appartenenza alla comunità cristiana. Secondo Yohanna -come ha riferito l'agenzia Associated Press (14 maggio) -, i cristiani sono obiettivi "facili" perché di norma pagano il riscatto senza opporsi, al contrario delle tribù arabe, che non esitano a ricorrere alle armi per liberare le persone sequestrate.
Anche se monsignor Sako dubita che si sia trattato di un gesto anti-cristiano, teme tuttavia che il brutale assassinio del padre di famiglia spingerà molti cristiani ad abbandonare la città. "A Kirkuk, pochissime famiglie cristiane avevano lasciato la città, ma questo è scioccante. Credo che dopo questo se ne andranno, perché questo è molto serio", ha detto l'arcivescovo a Compass.
L'accaduto rischia dunque di alimentare l'incessante flusso migratorio dall'Iraq dei cristiani o "assiri", come vengono anche chiamati. Un nuovo rapporto (1) realizzato dall'Assyria Council of Europe (ACE) - un organismo indipendente che mira ad aumentare all'interno dell'Unione Europea la sensibilità per la situazione dei cristiani iracheni - conferma infatti il drammatico calo del numero di cristiani nel Paese.
Dal 2004 al 2010, più del 60% della comunità assira ha abbandonato l'Iraq a causa del clima di terrore e i continui attacchi contro obiettivi cristiani. Con una popolazione stimata intorno ai 2 milioni, gli assiri - noti anche come siriaci e caldei - costituivano nel 2004 (ovvero il 1° anno dopo la caduta di Saddam Hussein) ancora il terzo più numeroso gruppo etnico dell'Iraq. Oggi, così ribadisce il rapporto, questo numero oscilla fra i 400.000 e i 600.000.
Secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR o UNHCR), il 13% di tutti i profughi iracheni registrati in Siria, Giordania, Libano, Turchia ed Egitto sono cristiani. Da parte sua, l'agenzia AINA calcola che fino al 40% dei rifugiati iracheni in Siria e Giordania è di origine assira. Inoltre, gli sfollati interni in Iraq sono circa 2,8milioni, di cui il 5% sono cristiani.
Il rapporto rivela inoltre che (almeno) 87 assiri sono stati uccisi nel periodo che va da gennaio a dicembre dello scorso anno, un dato che trasforma il 2010 nel secondo anno più sanguinoso dopo il 2004 (115 vittime). Mentre il maggior numero di singoli incidenti è stato registrato nella terza città dell'Iraq, cioè Mosul, la città con il più alto numero di cristiani uccisi è la capitale Bagdad, questo a causa dell'attacco terroristico del 31 ottobre scorso contro la cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza.
Il clima di insicurezza e l'estremismo colpiscono in particolare le donne e i bambini appartenenti alle varie minoranze, che secondo l'organizzazione Minority Groups International rappresentano "la sezione più vulnerabile della società irachena". Non portare il velo islamico (hijab) o vestirsi all'occidentale significa guai per le donne. Come indica il rapporto dell'Assyria Council of Europe, anche nei campi profughi le donne e le ragazze cristiane non sono al sicuro: sono molto esposte alla tratta di esseri umani e allo sfruttamento sessuale o sono costrette a prostituirsi.
"Oggi la situazione in Iraq è complessa", ha dichiarato Oghanna (Compass Direct News)."Noi temiamo - ha continuato il segretario generale della Chaldo-Assyrian Student and Youth Union - che i giorni a venire saranno duri per noi cristiani". C'è da sperare che si stia sbagliando...

Iraq: la comunidad cristiana, horrorizada por un asesinato “inhumano”

By Zenit
Por Paul De Maeyer, traducción del italiano por Inma Álvarez

87 cristianos iraquíes muertos en 2010, según el Assyria Council of Europe
Una patrulla de la policía iraquí encontró el pasado lunes 16 de mayo en Kirkuk el cuerpo sin vida de un joven cristiano, Ashur Issa Yaqub (escrito también Jacob), de 29 años, casado y con tres hijos. El cadáver estaba horriblemente desfigurado.
Según declaró a la Agence France-Presse (16 de mayo) el jefe de la policía de la provincia de Kirkuk, el mayor general Jamal Taher Bakr, los asesinos casi cortaron completamente la cabeza a la víctima. El jefe del departamento de Sanidad de la provincia, Sadiq Omar Rasul, confirmó el lúgubre hecho, y añadió que el cuerpo de Yacub presentaba "signos de tortura y mordeduras de perros".
Detalles aún más escalofriantes fueron proporcionados por la Assyrian International News Agency (16 de mayo). A Yacub se le arrancaron los ojos de las órbitas y se le cortaron las orejas. Como si no fuese suficiente, la pobre víctima fue encontrada con el rostro desollado.
Yacub, que trabajaba para una empresa de construcción, fue raptado tres días antes, es decir, el sábado 14 de mayo, siempre en Kirkuk, capital de la homónima provincia petrolífera situada en territorio kurdo, a unos 250 km al norte de la capital iraquí, Bagdad.
Los raptores, que según la policía pertenecen a una célula de la red terrorista de Al Qaeda, habían pedido a la familia de la víctima un rescate de 100.000 dólares, pero según una fuente de AsiaNews (16 de mayo) las negociaciones “no llegaron a buen fin”. De hecho, 100.000 dólares es una cifra muy alta para un país donde, según AFP, la retribución media diaria de un obrero de la construcción equivale a 21 dólares.
Según refirió a Compass Direct News (18 de mayo) un pastor evangélico, antes del secuestro, unos desconocidos se dirigieron al dueño de la empresa de Yacub, intimándole a despedir al obrero “porque era un cristiano, pero él se negó”.
Tratándose de un empresario rico pero inalcanzable – explicó el pastor, que por motivos de seguridad ha querido mantener el anonimato – raptaron y por desgracia también asesinaron a Yacub.
El homicidio, considerado "bestial" y "un crimen horrendo contra la religión, la nación y la humanidad” por el secretario general de la Unión de estudiantes y jóvenes asirio-caldeos, Kaldo Oghanna, ha afectado profundamente a la comunidad cristiana. "Es una situación muy grave, y todos, la juventud, se sienten sin esperanza”, dijo el líder cristiano a Compass.
Durísima ha sido también la condena por parte del arzobispo caldeo de Kirkuk, monseñor Louis Sako. "Ningún hombre que crea en Dios y tiene un respeto por la vida puede cometer semejantes actos”, declaró en una primera reacción el prelado, que habló de un “gesto inhumano” (AsiaNews).
El arzobispo está convencido también de que el obrero fue secuestrado por dinero. “Ha sido raptado por dinero. Esto sucede, pero normalmente los raptores no torturan y matan de esta forma”, explicó monseñor Sako en una conversación telefónica con Compass Direct News.
"Es como si fuesen animales", prosiguió. "Lo mataron inmediatamente para asustar a la gente de Kirkuk y mandar el mensaje de que si son raptados tienen que pagar".
En cambio, para el diputado cristiano Imad Yohanna, también de Kirkuk, Yacub fue raptado a causa de su pertenencia a la comunidad cristiana.
Según Yohanna – recoge la agencia Associated Press (14 de mayo) -, los cristianos son objetivos “fáciles” porque normalmente pagan el rescate sin oponerse, al contrario que las tribus árabes, que no dudan en recurrir a las armas para liberar a las personas secuestradas.
Aunque monseñor Sako duda de que se trate de un gesto anti-cristiano, teme sin embargo que el brutal asesinato de este padre de familia empujará a muchos cristianos a abandonar la ciudad.
"En Kirkuk, poquísimas familias habían dejado la ciudad, pero esto es un shock. Creo que después de esto se irán, porque esto es muy serio", dijo el arzobispo a Compass.
Lo sucedido corre el riesgo por tanto de alimentar el incesante flujo migratorio del Iraq de los cristianos o “asirios”, como también se les llama. Un nuevo informe (1) realizado por el Assyria Council of Europe (ACE) - un organismo independiente que intenta aumentar dentro de la Unión Europea la sensibilidad por la situación de los cristianos iraquíes – confirma de hecho el dramático descenso del número de cristianos en el país.
Entre 2004 y 2010, más del 60% de la comunidad asiria ha abandonado Iraq a causa del clima de terror y los continuos ataques contra objetivos cristianos. Con una población estimada en torno a los 2 millones, los asirios – conocidos también como sirios y caldeos – constituían en 2004 (es decir, el primer año tras la caída de Saddam Hussein) aún el tercer grupo más numeroso de Iraq. Hoy, reafirma el informe, este número oscila entre 400.000 y 600.000.
Según los datos del Alto Comisariado de las Naciones Unidas para los Refugiados (ACNUR o UNHCR), el 13% de todos los prófugos iraquíes registrados en Siria, Jordania, Líbano, Turquía y Egipto son cristianos. Por su parte, la agencia AINA calcula que hasta el 40% de los redugiados iraquíes en Siria y Jordania es de origen asiria. Además, los desplazados internos en Iraq son unos 2,8 millones, de los que el 5% son cristianos.
El informe revela además que (al menos) 87 asirios han sido asesinados en el periodo que va desde enero a diciembre del año pasado, un dato que transforma el 2010 en el segundo año más sangriento tras el 2004 (115 víctimas). Mientras que el mayor número de incidentes se registró en la tercera ciudad de Iraq, Mosul, la ciudad con más alto número de cristianos muertos es la capital Bagdad, esto a causa del ataque terrorista del 31 de octubre pasado contra la catedral siro-católica de Nuestra Señora del Perpetuo Socorro.
El clima de inseguridad y el extremismo afectan en particular a mujeres y niños pertenecientes a las diversas minorías, que según la organización Minority Groups International representan “el sector más vulnerable de la sociedad iraquí”. No llevar el velo islámico (hijab) o vestirse a la occidental significa problemas para las mujeres.
Como indica el informe del Assyria Council of Europe, ni siquiera en los campos de refugiados las mujeres y las jóvenes cristianas están seguras: están muy expuestas a la trata de seres humanos y a la explotación sexual, o son obligadas a prostituirse.
"Hoy la situación en Iraq es compleja", declaró Oghanna (Compass Direct News)."Tememos – prosiguió el secretario general de la Chaldo-Assyrian Student and Youth Union – que los días que vendrán serán duros para nosotros los cristianos". Es de esperar que se equivoque...

25 maggio 2011

Arcivescovo di Kirkuk premiato per la lotta a favore dei diritti umani


Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha ricevuto un premio per la sua battaglia a favore dei diritti umani in Iraq e il dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani. La Fondazione Stephanus ha consegnato il riconoscimento al prelato, in una cerimonia tenuta nei giorni scorsi a Francoforte, presso l’Università di teologia di San Giorgio. L’ente benefico tedesco fa riferimento alla Società internazionale per i diritti umani (Ishr) e si distingue per l’impegno a favore degli oppressi e perseguitati nel mondo. Per l’arcivescovo irakeno si tratta del terzo premio ricevuto, dopo il Defensor Fidei nel 2008 e il Pax Christi nel 2010.
Nel suo discorso di saluto, mons. Sako ha sottolineato l’importanza del dialogo islamo-cristiano, per rafforzare la coesistenza pacifica fra le due realtà e valorizzare la cultura della diversità e del rispetto reciproco. Egli ha ricordato la necessità di aumentare l’impegno a favore della pace e della stabilità in Iraq e ha invitato i cristiani del Medioriente – con un particolare riferimento agli irakeni – a ricoprire il ruolo di pionieri e a non cedere alle pressioni e alle violenze. Il prelato ha infine ribadito che l’Iraq è la patria dei cristiani ed è necessario trovare un “modus vivendi” che permetta di raggiungere gli obiettivi di pace, armonia e libertà.
La premiazione si è conclusa con una preghiera ecumenica per la pace, alla quale hanno partecipato sacerdoti, politici locali ed esponenti della società civile. Mons. Louis Sako, 62 anni, da anni è in prima fila nella battaglia a favore del dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani e nella difesa della minoranza cristiana nel Paese, spesso vittima di abusi e violenze. Per il suo impegno egli ha ricevuto l’ambito riconoscimento Pax Christi nel 2010 e il premio Defensor Fidei nel 2008 (cfr AsiaNews, 31/05/2008 Mons. Louis Sako: Non abbandonate i cristiani irakeni).

Archbishop of Kirkuk awarded for his struggle for human rights

By Asia News

Mgr Louis Sako
, archbishop of Kirkuk, has received an award for his fight for human rights in Iraq and interreligious dialogue between Christians and Muslims. The Stephanus Foundation presented the award to the bishop in a ceremony held recently in Frankfurt, at the St. George University of Theology. The German charity refers to the International Society for Human Rights (ISHR) and is distinguished by its commitment to the oppressed and persecuted in the world. It is the third prize for the Iraqi archbishop, after the Defensor Fidei in 2008 and Pax Christi in 2010.

In his acceptance speech, Mgr. Sako stressed the importance of Christian-Muslim dialogue, to strengthen peaceful coexistence between the two communities and enhance the culture of diversity and mutual respect. He mentioned the need to increase the commitment to peace and stability in Iraq and called on Christians in the Middle East - with particular reference to Iraqis - to fill the role of pioneers and not give in to pressure and violence. The prelate also reiterated that Iraq is the homeland of Christians and the need to find a "modus vivendi" that helps achieve the objectives of peace, harmony and freedom.

The ceremony ended with an ecumenical prayer for peace, which was attended by priests, local politicians and representatives of civil society. Archbishop Louis Sako, 62, has for years been in the forefront of the battle in favour of interreligious dialogue between Christians and Muslims in the defence of the Christian minority in the country, often the victim of abuse and violence. For his efforts he received the coveted Pax Christi award in 2010 and Defensor Fidei prize in 2008 (see AsiaNews, Mgr Louis Sako 31/05/2008: Do not abandon Iraqi Christians).

24 maggio 2011

Young Christian beheaded and mutilated in Northern Iraq

By Aid to the Church in Need, May 24, 2011

The murder of another Christian in the city of Kirkuk, Northern Iraq, has left the country’s faithful shaken. Twenty-nine year old Ashur Yacob Issa was kidnapped late Friday or early Saturday morning (13th or 14th May) and a ransom of approximately $100,000 was demanded of his parents. The young Catholic’s body was discovered beheaded and mutilated Monday morning (May 16th), after his poor family was unable to meet the kidnappers demand for money.
The Archbishop of Kirkuk, Msgr. Louis Sako denounced the murder and has appealed “to those who were capable of committing such an inhuman act...” that they think of the children they have left orphaned and the woman now a widow. If there is no human justice, sooner or later, there will be divine justice.
Violence against Christians in Iraq is high on the agenda, according to reports by the Catholic Church. Since, 2003 approximately 2,000 Christians have been killed, with dozens of attacks carried out. Six priests have been murdered, along with the death of one archbishop.
In an interview with the Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN), the Chaldean Catholic Archbishop Sako marvelled at the strength and faith of his community despite the threat of such terrible violence. “In all these years, I have never heard of a single Christian converting to Islam, despite the many threats.” On the other hand, he explained, Muslims regularly go to his church for the Sacrament of Baptism. But, “I am not allowed. This is no religious freedom!”

Chaldean Catholic Archbishop Bashar Warda of Erbil also spoke out saying that the murder was meant to be an intimidation tactic toward Christians so that in the future they will be more apt to pay ransoms on demand. Archbishop Warda suspected Islamists fundamentalists behind the recent act of violence and called on Muslim clerics to make clear to their faithful, that such murders are crimes against Humanity, and against Faith.

Syrian Catholic Archbishop Boutros Moshe of Mosul, told ACN that he did not believe that the direct motive behind the violence in the country was a religious one, rather it was due to the involvement of criminal gangs and driven by the thirst for money. Archbishop Moshe did say however, that it may be as a result of radical political movements willing to exploit criminals, and that “some even say the criminals are paid by the parties.”

A delegation from ACN is currently in Iraq evaluating the situation of the Church. Speaking with Iraqi Christians, they have found that most Iraqi Christians question the benefit of interreligious dialogue with Muslims. One priest added his opinion saying he did not know what they were to make of it [interreligious dialogue] as “the Muslims speak to us constantly about a ‘peaceful coexistence’, but then when something happens, violence does not seem to be condemned by Muslim clerics.” Another priest added that they [some Muslim clerics] will come when invited to preach, but will not listen in return.
Northern Iraqi Christians living in a community settlement close to the terrorist’s stronghold in Mosul, protect themselves from the terrorists (and criminals) with concrete walls, checkpoints and armed guards. “Armed gangs are a major problem in Mosul and its surrounding area,” said the settlement’s mayor. “We suspect that there are political parties in Iraq who pay these criminals who are hunting down Christians.” The mayor echoed words by Archbishop Warda saying that in some Iraqi Mosques, intolerance against Christians is still being preached.

Cattolici nel mirino in Iraq: quattro vescovi ne parlano con ACS




By Aiuto alla Chiesa che soffre, 23 maggio 2011

«Nessun uomo che crede in Dio e ha un senso umano può commettere tali atti». Con queste parole l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, ha commentato con ACS il brutale assassinio di Ashur Yacoub Issa. L’uomo, un operaio cristiano di 29 anni con tre figli, è stato rapito nella città nord-irachena nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 maggio. I rapitori hanno chiesto alla famiglia un riscatto di 100mila dollari, ma per i familiari non è stato impossibile trovare la somma necessaria e Ashur è stato ucciso.
Il suo corpo è stato trovato lunedì mattina, vicino al “Ponte Quattro” di Kirkuk, con evidenti segni di crudeli torture: decapitato e con gli occhi strappati dalle orbite. «Sabato scorso sono andato a trovare la famiglia del ragazzo, per pregare con loro e incoraggiarli» ha raccontato ad ACS il presule che si è rivolto anche alla polizia di Kirkuk «affinché facciano di tutto per proteggere la vita dei cittadini e loro proprietà». La violenza contro i cristiani è all’ordine del giorno in Iraq, e, dopo il brutale assassinio si temono ora ulteriori ritorsioni. Un grande senso di sdegno e di tristezza domina la popolazione, in particolare quella cristiana che però, malgrado la paura non ha smesso di credere intensamente. «Nonostante le innumerevoli minacce, in tutti questi anni non ho mai sentito parlare di conversioni dal cattolicesimo all’islam» ha raccontato monsignor Sako, ricordando invece dei molti musulmani che sono andati da lui a chiedere di essere battezzati. «Ma mi è proibito battezzarli, perché qui non c’è libertà religiosa».
«L’uccisione aveva lo scopo di intimidirci – ha dichiarato ad ACS l’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Warda cosicché, d’ora in poi, tutti paghino immediatamente il riscatto». Il presule si è rivolto alle guide religiose islamiche, affinché spieghino ai loro fedeli che un tale omicidio è un crimine contro l’umanità e non può essere giustificato da alcun credo. «È inconcepibile che in certe moschee si continui a predicare l’odio contro gli appartenenti ad altre fedi». A ferire ulteriormente i cristiani è stato il silenzio della comunità musulmana riguardo l’uccisione di Ashur Yacoub Issa. «Il clero musulmano ci parla sempre di coesistenza pacifica – hanno dichiarato alcuni sacerdoti alla delegazione di ACS al momento in Iraq – ma come ci può essere se nessuno condanna un simile delitto?».
Terza voce raccolta da ACS è quella dell’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Yohanna Petros Mouche, secondo cui le motivazioni religiose addotte ai crimini contro i cristiani coprirebbero meri interessi economici. «Alle bande interessano solo i soldi – ha spiegato ad ACS – anche se c’è la possibilità che i criminali siano strumentalizzati».
Un pensiero condiviso dal sindaco di un piccolo villaggio cristiano vicino Mosul che, parlando con ACS, ha affermato: «Siamo in molti a credere che le bande siano pagate da alcune correnti politiche radicali per dare la caccia ai cristiani».
Da Bagdad, infine, l’arcivescovo dei latini, monsignor Jean Sleiman, ha descritto ad ACS una situazione che non sembra dare segni di cambiamento. Le violenze continuano, anche se spesso in altre forme e l’esodo dei cristiani – in particolare dopo la strage del 31 ottobre nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso – non accenna a diminuire. «L’assassinio del giovane cristiano ha riaperto vecchie ferite e rianimato le paure. Ora è necessario che l’Iraq trovi presto il coraggio di affrontare i suoi problemi fondamentali: l'unità, la distribuzione delle risorse, la riconciliazione, la sicurezza e le contraddizioni nella nuova - ancorché buona – Costituzione», ha concluso il vescovo.
ACS – nel solo 2010 – ha sostenuto la presenza della Chiesa in Iraq con progetti pastorali per oltre 500mila euro.

19 maggio 2011

Ancient Chaldean church reopened in Turkey. Mgr. Warduni "Sign of unity"

By Baghdadhope*

Mardin, meaning fortress in Aramaic, is a town of about 65,000 inhabitants in the south east of Turkey near the border with Syria where a few days ago a small step forward the peaceful coexistence among different religions and denominations was taken.
In the presence of Mgr. Shleimun Warduni, Chaldean auxiliary bishop of Baghdad, and of many Chaldeans, priests and lay people arrived there from Istanbul but also from France and Belgium, the ancient church dating back to the IV century dedicated to Saint Hormisda, one of the patrons of the Chaldean church, has been reopened after years of restoration.
"There are a few Chaldean families in Mardin, 4 or 5, not more, but it was important to restore such an example of ancient and beautiful church," said Mgr. Warduni to Baghdadhope telling of his trip to Turkey.
"The attitude of the Turkish government towards the non-Islamic believers facilitated this project and the opening of the church was attended by the governor, the mayor and the police chief of Mardin. The Chaldean archeparchy of Diyarbakir is currently a vacant seat after the death of Archbishop Paul Karatash in 2005 and is headed by Mgr. François Yakan who lives in Istanbul.
As for the church of Saint Hormisda in Mardin the small number of families living there does not allow the presence of a Chaldean priest but, and this is truly a beautiful sign of unity among Christians, the church will be overseen by Father Gabriel Akyuz, a Syriac Orthodox priest in charge of all Christians, without distinction.
It is the same in Diyarbakir where there is a church dedicated to Mar Pethion, a martyr of the V century. The church is not operating even if it is regularly visited by both Christians and Muslims and it is in the care of an Armenian family and the Mass is occasionally celebrated by Father Yousif, another Syriac Orthodox priest. Turkey is a nation that bears plain signs of the Christianity that left there many important milestones of its history. During this trip, for example, I visited the tomb of Bishop James in the town of Nusaybin, the ancient Nisibis, where by tradition in the IV century Saint Ephrem founded a school of philosophy and theology which is of great importance in the history of the Church the East."
The reopening of the church in Mardin supported by the Turkish government can therefore be considered as a small step of the Chaldean church not so much towards the Western countries of the diaspora but towards its historic sites?
"Yes, a small but important step because it is a sign of the possible and peaceful coexistence in those lands of different religions and denominations in the name of God and of the cooperation among human beings."

Riaperta antica chiesa caldea in Turchia. Mons. Warduni: "Segno di unità"

By Baghdadhope*

Mardin, che in aramaico significa fortezza, è una cittadina di circa 65000 abitanti del sud est della Turchia quasi al confine con la Siria dove qualche giorno fa è stato fatto un piccolo passo avanti sul sentiero della convivenza pacifica tra diverse religioni e confessioni. Alla presenza di Mons. Shleimun Warduni, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, e di numerosi caldei, laici e sacerdoti, arrivati fin lì da Istanbul ma anche dalla Francia e dal Belgio è stata riaperta dopo anni di restauro l’antichissima chiesa risalente al IV secolo dedicata a Sant’ Hormisda, uno dei patroni della chiesa caldea.

“Ci sono poche famiglie caldee a Mardin, 4 o 5, non di più, ma era importante restaurare un esempio di chiesa così antica e bella” ha detto Mons. Warduni a Baghdadhope raccontando del suo viaggio in Turchia.
"La disponibilità del governo turco verso i non appartenenti all’Islam ha facilitato questo progetto ed all’apertura della chiesa erano presenti il governatore, il sindaco ed il capo della polizia di Mardin. L’arcieparchia caldea di Diyarbakir è attualmente sede vacante dopo la scomparsa dell’Arcivescovo Paul Karatash nel 2005 ed è affidata a Mons. Françoise Yakan che risiede ad Istanbul. Per quanto riguarda la chiesa di Sant’Hormisda a Mardin, invece, l’esiguità del numero delle famiglie non consente la presenza di un sacerdote caldeo ma, e questo è un vero e bellissimo segno di unità dei cristiani, la chiesa sarà curata da Padre Gabriel Akyuz, un sacerdote siro ortodosso che si occupa di tutti i cristiani, senza nessuna distinzione. Anche a Diyarbakir dove c’è una chiesa dedicata a Mar Pethion, martire del V secolo, succede lo stesso. La chiesa non è regolarmente in funzione ma viene visitata sia da cristiani che da musulmani ed è affidata alle cure di una famiglia armena mentre la Santa Messa di quando in quando viene celebrata da Padre Yousif, un altro sacerdote siro ortodosso. La Turchia è una nazione che porta evidenti i segni del cristianesimo che lì ha segnato molte ed importanti tappe della sua storia. Durante questo viaggio ad esempio ho avuto modo di visitare la tomba del vescovo Giacomo nella città di Nusaybin, l’antica Nisibis dove la tradizione vuole che nel IV secolo Sant’Efrem fondò una scuola filosofica e teologica che rivestì una grande importanza nella storia della chiesa d’oriente.”
La riapertura della chiesa a Mardin favorita dal governo turco si può quindi considerare come un piccolo passo della chiesa caldea non tanto verso i paesi occidentali della diaspora ma verso i suoi luoghi storici?
“Sì, un piccolo passo ma importante perché segno della possibile e pacifica convivenza in quelle terre di religioni e confessioni diverse nel segno di Dio e della collaborazione tra uomini.”

Triplice attentato a Kirkuk: almeno 27 morti. Mons. Sleiman: la violenza in Iraq, monito per i Paesi del Nord-Africa

By Radiovaticana
di Gabriele Papini.

Una triplice esplosione si è registrata questa mattina nei pressi della sede della direzione di polizia di Kirkuk, a nord di Baghdad. Gli investigatori parlano di un agguato mirato: secondo una prima ricostruzione è stata fatta detonare a distanza una mina collocata sotto un’auto parcheggiata vicino alla centrale di polizia; quando sul posto sono giunti agenti e sanitari di pronto soccorso, è esplosa un’altra autobomba. Le vittime sono in maggioranza poliziotti. Un terzo ordigno è esploso sempre a Kirkuk al passaggio di un convoglio motorizzato che scortava un alto ufficiale della polizia. Secondo fonti ospedaliere almeno 14 persone sono rimaste ferite. La regione di Kirkuk, ricca di giacimenti petroliferi, è tra le aree più instabili dell’Iraq, anche a causa delle tensioni tra le differenti comunità locali. Intanto prosegue la caccia ai terroristi nel Paese. Fonti locali riferiscono della cattura avvenuta nelle ultime ore ad opera delle forze di sicurezza irachene di 5 leader di Al Qaeda tra cui 2 capi militari. Intanto la Gran Bretagna termina la sua missione in Iraq domenica, otto anni dopo aver iniziato una delle operazioni militari più criticate della sua storia, e dopo la morte di un totale di 179 militari.

Alla luce delle odierne violenze in Iraq, mons. Jean-Benjamin Sleiman, arcivescovo dei Latini di Baghdad, analizza la situazione oggi nel Paese del Golfo ad otto anni dalla fine del regime di Saddam Hussein, con uno sguardo attento anche alle attuali crisi nei Paesi di area arabo-islamica. L’intervista è di Giancarlo La Vella
"Forse, la lezione più importante che viene dall’Iraq è che bisogna essere molto cauti quando si parla di “primavera araba”: non basta una rivolta, non c’è una rivoluzione! Una rivoluzione ha un modello da imporre, un programma … Una rivolta è uno sfogo. Ho paura che il tutto sia manipolato. E’ caduto il regime in Iraq, ma il “dopo” finora non ha dato vere speranze! Non dico che non ci siano stati progressi importanti, ma l’Iraq non affronta ancora i suoi veri problemi: la sua unità, la distruzione delle sue risorse, la sua Costituzione, la sua riconciliazione … Quindi, questa è una lezione; ma per quanto riguarda quello che succede nel mondo arabo certamente, tutti siamo certamente contenti di liberare i popoli dalle loro dittature, dai regimi che li umiliano e li sfruttano; ma chi – in definitiva – ne approfitta? Cosa significa una rivoluzione di giovani dove il potere lo prende l’esercito? Cosa significa una rivoluzione che diventa una guerra civile? Forse ci vuole di più per avere una società riconciliata, una società che viva meglio "
Ancora una volta, un compito importante, fondamentale è quello della comunità internazionale
"Certo; soprattutto dell’Europa. Non so se mi è permesso di dirlo: bisogna lasciare da parte le ragioni di Stato e lavorare partendo dal bene comune del Mediterraneo nel suo insieme. Certamente ogni Stato, legittimamente, deve fare il proprio interesse; ma forse – in un paradosso evangelico – facendo l’interesse degli altri, farà meglio il suo."
Ci sono situazioni, poi, in cui è la gente comune che soffre maggiormente … Tornando all’Iraq: voi siete pastori della comunità cristiana che sta soffrendo in modo particolare …
"La situazione, oggi, in fondo, non è molto cambiata. Cambiano le forme di violenza. Per esempio, in questi ultimi tempi c’è stata molta violenza, anche se non se n’è parlato molto: ma fa molto male!"
L’unica via, quindi, è la fuga?
"No. Non è l’unica via. La consolazione, nel dolore, è la speranza, e penso che l’Iraq abbia bisogno di speranza; soprattutto i cristiani devono essere testimoni di speranza. La fuga non risolve i problemi!"

17 maggio 2011

Iraq: a Kirkuk rapito ed ucciso un giovane cristiano. Il dolore di mons. Sako

By Radiovaticana

“Un gesto disumano, contrario a ogni principio umano e religioso”: così l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, ha definito l’uccisione di Ashur Yacob Issa, il 29enne che era stato rapito tre giorni fa all’uscita dal lavoro e il cui corpo è stato ritrovato ieri mattina dalla polizia con orribili segni di torture. “Nessun uomo che crede in Dio e ha rispetto della vita può commettere atti simili – ha detto il presule all'agenzia AsiaNews – lancio un appello agli autori del gesto affinché pensino a chi è rimasto senza padre e senza marito: se non ci sarà giustizia umana, presto o tardi ci sarà quella divina”. Da giorni nel Paese i cristiani vivevano una situazione di tensione nel timore di vendette dell’ala fondamentalista islamica per l’uccisione di Osama Bin Laden, poi, domenica, il rapimento di Issa e la richiesta di centomila dollari di riscatto alla famiglia. Le trattative, però, non sono andate a buon fine e ieri mattina il ritrovamento del cadavere orribilmente sfigurato. La crudeltà dell’omicidio ha suscitato reazioni di sdegno e tristezza in tutta la popolazione della città, soprattutto quella cristiana. L’arcivescovo di Kirkuk, infine, ha chiesto ai responsabili della sicurezza di promuovere iniziative affinché “tutte le persone di buona volontà si uniscano per proteggere i cittadini”. (R.B.)

13 maggio 2011

U.N. preparing for Iraqis to flee Syria

By Washington Post
By Aaron C. Davis

A heavily U.S.-funded refu­gee relief program has begun quietly preparing for a humanitarian crisis on the Iraqi-Syrian border.
The U.N. Refugee Agency in Iraq has amassed hundreds of tents, blankets, plastic sheeting and other supplies just inside Iraq’s western border in case some of the more than 400,000 Iraqis who fled to Syria because of war and sectarian killing need to rush back to escape an escalating conflict in Syria.
Tents and supplies for an additional 30,000 have been stockpiled just across the Iraqi border in Jordan. And the Iraqi government has committed to chartering flights from Damascus to return Iraqi refugees en masse should the Syrian situation deteriorate rapidly.
“If the regional unrest reached Syria, which it now has, we wanted to be ready for a large-scale return of Iraqi refugees,”
said Brian C. Vaughan, who coordinates the Iraq effort for the agency, formally known as the U.N. High Commissioner for Refugees. “If it goes beyond instability into armed conflict, then we might anticipate Syrians actually coming into Iraq . . . or fleeing to the north, east or south, too.”
In the past week, the back-and-forth flow of traffic over the desert berm that separates Iraq and Syria has tilted toward Iraq with a net of nearly 1,500 refugees returning at least temporarily, according to UNHCR. But several have arrived packing as if they have no plans to return anytime soon. TVs, washing machines and other household items are increasingly common sights on buses and in convoys of loaded down sport-utility vehicles arriving from Damascus.
More than half of the returning Iraqis from there say they are concerned about their security, according to polling conducted by UNHCR workers at border crossings in the past two weeks. Most of the Iraqi refugees are Sunni Muslims, and the Syrian government is dominated by the Alawite sect of Islam.
“The majority of people are telling us they are not happy with the security situation there, so we’re going to come back [to Iraq] for a little while, but the hope is to go back to Syria,”
Vaughan said. “Nonetheless, they’re saying they probably would not have undertaken this trip if they had not been feeling insecure in Syria, given the unrest.”
Some refugees returning to Iraq this week said they increasingly feel targeted and caught between two unpredictable forces. Some had broken bones and wounds that they said came from beatings by Syrian security forces.
But returnees also express apprehension about the security situation in Iraq, saying they are not certain they’ll find a safer situation where their journey ended than where it began.
“We just came back to see,”
said Lika Abbas, who arrived on a bus this week just after sunrise. Lugging a large green cooler stuffed with food and her three children in tow, ages 5, 12 and 16, Abbas quickly loaded a taxi and set off for a relative’s home across Baghdad. “We will visit family and then go back in a couple of weeks — I hope.”
For Abbas and others contemplating a permanent return, the challenges that remain in Iraq are laid bare in the first stiff-legged steps following the all-night bus ride.
The once-bustling bus stop along al-Lekaq Square in northern Baghdad remains less a gathering spot than a gridlocked maze of razor wire and barricades. For safety, passengers are dropped off out of view of passing traffic, behind a concrete wall pock-marked with bullet holes and mounds of trash and debris.
Among returning Iraqi refugees who were interviewed Thursday, Haitham Ibrahim, 44, said his family was fleeing the Syrian city of Homs because they “could not stand the situation anymore.”
“The Syrian revolutionaries, they don’t want us to stay anymore,”
Ibrahim said. “They accuse us of being part of Bashar al-Assad’s regime. And the Syrian forces, they have started to arrest some of the Iraqis and accuse them of being part of the demonstrations. We had to leave.”
Saeed Kaml
, 49, had a bruised nose he said was broken during a three-day detention by Syrian police. He said he was arrested after he inadvertently got too close to a protest in a province south of Damascus.
“The problem is Yemen, Egypt, Libya, those countries that always accepted Iraqis, now the situation there is no good,”
Kaml said. “The rest of the Arab countries have closed their borders in our faces. We couldn’t find any other country but Iraq to return to.”
“You see we are back, and we feel sorry,”
he added, turning toward his daughters. “This is a wild, militarized country, and now what? My children have stopped their education, and we have sold all our belongings."

Special correspondents Asaad Majeed and Othman Mukhtar contributed to this report.

With Heavy Heart, Christians Leave Baghdad

By AINA

BAGHDAD (AFP) -- Bassam Anis was for a long time an optimist, but persistent attacks against his Christian community convinced him that his home country, Iraq, no longer offered him solace. So, on April 30, he fled.
While his solution may seem extreme, it is by no means uncommon.
On October 31, a group of Al-Qaeda commandos stormed a Syriac Catholic church in Baghdad, with the ensuing siege killing 44 worshippers, two priests and seven Iraqi security force officers.
The attack was the worst against Iraq's Christian community since the 2003 US-led invasion, and countless members of the minority have since fled the country.
For Bassam, himself Syriac Orthodox, the attack hit particularly close to home -- among the worshippers killed was his friend, Raghad.
"Before, I was optimistic," the 26-year-old biology teacher told AFP before his departure, sat in a restaurant in central Baghdad.
"I never imagined I would leave Iraq, because I could not imagine starting my life over again.
He continued: "Since the attack, though, I've begun to realise there is no hope in this country any more. It is terrible to think like this, but leaving is the only solution."
Bassam then recounted the Biblical parable of Lot, who reluctantly fled Sodom with his family after being told to do so by God as the city was being destroyed.
Eight years after the US-led invasion that ousted dictator Saddam Hussein and his regime, violence remains high in Iraq, despite having dropped off since its peak in 2006 and 2007.
Even so, the Iraqi government has insisted that local forces are capable of maintaining security, and has said that the situation has improved as violence has declined.
But despite such assurances, thousands of Iraqis continue to flee the country every month in search of a better life, according to UN figures.
Bassam remains traumatised by the church carnage.
For the six hours that insurgents held worshippers hostage, he stood anxiously outside alongside a colleague who was receiving updates on the phone from his uncle who was trapped inside.
Struggling to hold back tears, he recalled Raghad, who had not only been married just 40 days earlier to Bassam's childhood friend Iyad, but was pregnant when a grenade thrown by one of the hostage-takers killed her.
"After that attack," he said, "my life turned black."
"I no longer celebrated religious holidays, or those of my Muslim friends."
Bassam said he has dreamt of Raghad often. In one such dream, she told him she felt abandoned by her husband and his family, who fled to Amman in the wake of the attack.
"So, I lit a candle for her at the church until it burned out."
Conflicted, Bassam eventually decided to leave Iraq, ignoring the voices of Christian leaders who exhorted followers to stay, to avoid "playing into the hands of terrorists."
"We do not need anyone to tell us what to do," Bassam said, mocking fellow worshippers who remove their crosses from their vehicles' rear-view mirrors to avoid giving away their religious affiliation, and then feeling guilty for doing so, in a bid to illustrate life in Iraq.
"We are targets. We cannot ignore this," he noted.
The October 31 attack provoked outrage among the international community, and among Iraqi political leaders, who roundly said it was important to protect the historic Christian minority.
But since then, several attacks -- most of them at night -- have targeted Christians in Baghdad and elsewhere.
"Until we can finally sleep soundly, we can not say that we are safe," Bassam said.
In a sign of his growing distrust of his countrymen, he did not reveal his plans to flee along with his mother even to his neighbours, and for months secretly planned and organised his eventual departure.
Initially, he had hoped to leave on April 9, in a symbolic move to mark the date that Saddam's regime fell, but the sale of his house and car were delayed.
"It was a disastrous day for Iraq," he recalled. "Not because our life was better before, but because it was so much worse afterwards."
Bassam eventually boarded a flight to Jordan on April 30. He was clutching a one-way ticket.

11 maggio 2011

La fede nel mirino. Bertone-Frattini: agire per i cristiani in pericolo

By Avvenire
di Gianni Cardinale

Una “mappatura” mondiale delle situazioni a rischio intolleranze religiose. Con un particolare focus per quanto riguarda i cristiani, anche alla luce dell’escalation delle violenze degli ultimi tempi. È questo uno dei punti messi in agenda durante un incontro avvenuto ieri mattina nella prima loggia del Palazzo apostolico vaticano tra il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato di Benedetto XVI, e il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini.

L’incontro, inedito nel suo genere, è durato complessivamente più di un’ora. E si svolto in due tempi. Quindici minuti circa di colloquio personale tra il porporato e il titolare della Farnesina seguiti da tre quarti d’ora di «approfondito scambio di vedute» cui hanno preso parte anche monsignor Ettore Balestrero, “vice-ministro degli Esteri" vaticano e i diplomatici Pasquale Terracciano, capo di gabinetto di Frattini, e Francesco Maria Greco ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede.
Secondo quanto riportato dall’Ansa Frattini avrebbe anche assicurato la disponibilità ad aiutare quelle comunità cristiane in cui si registrano le maggiori criticità, anche con iniziative di sostegno ed una maggiore integrazione. Mentre da parte vaticana il cardinale Bertone avrebbe espresso il proprio apprezzamento personale per il lavoro svolto da Frattini per la protezione dei cristiani nel mondo, sia attraverso l’attenzione dimostrata al problema sia per il lavoro condotto in seno al Consiglio d’Europa in materia di diritti umani e contro le intolleranze religiose. E anche attraverso i tanti incontri con i Nunzi apostolici in occasione delle missioni estere del responsabile della Farnesina.
Il colloquio è stato «molto cordiale» e ha fatto registrare «significative convergenze», confermano ad Avvenire autorevoli fonti delle due delegazioni. Tra le situazioni concrete prese in esame ci sono quelle in Pakistan, Egitto, Nigeria, Eritrea, Siria, Libano e Iraq. Non sono mancati scambi di vedute sulla crisi libica e anche sullo scenario israelo-palestinese, in particolare alla luce dell’imminente viaggio che porterà il presidente Giorgio Napolitano e Frattini in Israele.
Non sono mancati riferimenti all’azione delle Comunità europee in difesa della libertà di religione. E neanche all’importante ruolo “ponte” che l’Italia potrà giocare, anche in occasione dei festeggiamenti previsti il prossimo 2 giugno a Roma per il 150° della Repubblica, verso Paesi, pure importanti, che non hanno ancora rapporti diplomatici con la Santa Sede.
Da segnalare poi quanto ribadito dal cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo inter-religioso, durante un recente viaggio in Bangladesh, e riportato ieri dall’Osservatore Romano: «È oltraggioso attaccare delle persone mentre sono raccolte in preghiera. Azioni così possono solo essere considerate un affronto a Dio stesso. E non hanno nulla a che fare con la religione».

10 maggio 2011

Tagliare le radici e abbandonare l’Iraq

By Zenit

Sebbene la presenza cristiana nel Nord dell’Iraq risalga indietro nei secoli, attualmente circa l’80% dei giovani cristiani di quell’area desidera tagliare i ponti con il passato e trasferirsi in qualche posto più promettente.

Tuttavia, mons. Basile Georges Casmoussa cerca di incoraggiarli a rimanere. “Se fossimo stranieri qui in Iraq, allora ce ne andremmo”, afferma. “Ma questa è storicamente la nostra terra e il nostro Paese”.
L’Arcivescovo siro-cattolico di Mosul, in pensione e attuale vescovo curiale di Antiochia, vede il sogno dei giovani di lasciare il Paese come un problema grave, anche se si dice ottimista di natura e afferma di nutrire speranze nel futuro.
Il presule ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, sul futuro dei cristiani in Iraq.
Sin dal 2004 i cristiani in Iraq hanno sofferto una feroce persecuzione, in cui hanno subito minacce, sequestri e uccisioni. Qual è la situazione di oggi in Iraq?
La situazione oggi è molto grave. Due anni fa speravamo che le cose potessero migliorare, perché la situazione a Baghdad e in altre città è migliorata. A Mosul – la più grande città del Nord dell’Iraq, considerata terra dei cristiani – la situazione è molto grave, con molti sequestri e uccisioni. Abbiamo la sensazione di non essere graditi in questa città anche se è stata la nostra casa e se ospita molte chiese e monasteri. Qui a Mosul e nelle zone circostanti è conservata gran parte della storia di noi cristiani.
Sono molti i villaggi cristiani attorno a Mosul?
Sì nelle pianure e nelle regioni montuose di Mosul. È lì che i cristiani hanno istituito la loro prima scuola, il primo centro stampa, il primo ospedale cristiano dell’Iraq ed è lì che ci sentiamo a casa. Non siamo degli stranieri lì.
Su un sito Internet del gruppo estremista Ansar Al Islam è stata pubblicata una lettera che diceva: “Il segretario generale della Brigata islamica ha deciso di dare agli infedeli crociati cristiani di Baghdad e delle altre province un ultimo avvertimento ad abbandonare immediatamente e in via definitiva l’Iraq e di unirsi a Benedetto XVI e ai suoi seguaci, che hanno calpestato uno dei più grandi simboli dell’umanità e dell’Islam... D'ora in poi non ci sarà spazio per gli infedeli cristiani.. a coloro che rimarranno verrà tagliata la gola, come sta avvenendo ai cristiani a Mosul”. È questa la situazione quotidiana per i cristiani o è piuttosto un’eccezione?
Non è un’eccezione e non è la prima volta che abbiamo ricevuto messaggi di questo tipo. Io ho ricevuto quel messaggio in arabo. È difficile leggere questi messaggi. Molte persone non ne sono neanche a conoscenza. Ma, rispetto a questi messaggi, ancora più gravi sono gli attacchi contro la vita delle persone. Se fossimo stranieri in Iraq, ce ne andremmo. Ma questa è storicamente la nostra terra e il nostro Paese. Non abbiamo un altro posto dove andare. Questo messaggio è pericoloso per il governo centrale e per i governi regionali e per tutte le persone irachene. Sappiamo che questi estremisti non hanno potere ma usano il terrore per intimidire, purtroppo però ci sono molti piccoli gruppi come questo che costituiscono una minaccia; oggi per i cristiani, domani per i musulmani.
Perché?
I musulmani non hanno una filosofia univoca e l’Islam non ha un’unica filosofia e un’unica direzione. La prima lotta è tra i sunniti e gli sciiti. A causa della lotta di potere sono state uccise molte persone e distrutte molte moschee. I cristiani non sono le prime vittime e forse non saranno le ultime, ma per noi che siamo una minoranza è molto difficile perché siamo pochi e molte persone della comunità cristiana ora stanno emigrando. L’80% dei nostri giovani sta andando via o sogna di andare via. Diventa una questione importante quando migliaia di giovani sperano di emigrare.
La grande maggioranza dei musulmani non è d’accordo con queste posizioni estremistiche. Ci può raccontare episodi di cristiani protetti da musulmani, dopo le recenti ondate di violenza?
Certo. Lo scorso anno quando i cristiani abbandonavano Mosul a causa dei bombardamenti e delle uccisioni, molti musulmani hanno presidiato le case dei cristiani. Quando questi poi sono tornati, i musulmani hanno celebrato il loro rientro con gioia, distribuendo dolci e invitandoli a mangiare con loro nelle loro case. Abbiamo molte storie di questo tipo. I musulmani stessi soffrono per via di questi estremisti. Vi è così tanta illegalità in questo nuovo Iraq e in tutti questi anni dopo l’arrivo degli americani nessuno è stato processato per le violenze e i crimini in base alla Costituzione irachena.
Quindi i responsabili delle violenze non sono stati giudicati per i loro crimini?
No. Per paura. E questo è un fatto reale in Iraq.
Nell’impossibilità di ottenere protezione dall’interno, è stato rivolto un appello alla comunità internazionale? E in tal caso, perché non vi è stata una risposta?
A mio avviso esistono molti interessi sia nella comunità internazionale sia in Iraq. Abbiamo il petrolio e il nostro petrolio è una delle nostre più grandi calamità o punizioni. Ci sono molti interessi tra l’Occidente e l’Iraq.
In secondo luogo, se parliamo di protezione militare, a mio avviso non è quello di cui abbiamo bisogno. Non c’è pace dopo una guerra; dopo distruzioni e morti. Se la comunità internazionale e le Nazioni Unite facessero pressione sul governo centrale, per instaurare la primazia del diritto, sarebbe un buon passo verso la costruzione di un Paese con un governo nazionale. Non un governo basato su interessi religiosi o politici, - curdi, cristiani, sciiti o sunniti - ma un governo che lavori per l’interesse dell’intero Paese.
Il problema e la vera sfida odierna è la rivalità tra i partiti politici che fanno capo a gruppi religiosi o nazionalistici, e che non guardano all’interesse del Paese. La scelta dei ministri dovrebbe essere basata sulle qualità personali e non sull’appartenenza religiosa o a partiti nazionalistici. Così potremmo costruire un Paese migliore, un nuovo Iraq.
Abbiamo chiesto alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale di aiutarci nella ricerca di persone qualificate. Abbiamo spesso sentito che questa richiesta è stata osteggiata a un certo livello a causa di interessi personali di gente molto influente.
C’è comunque speranza?
Io sono ottimista di natura. Noi speriamo di poter fare qualcosa. Si tratta della nostra terra, del nostro Paese, e dobbiamo fare qualcosa per ricostruirlo. Molte sono le soluzioni. La mia speranza è che noi cristiani possiamo rimanere qui con la nostra libertà e i nostri diritti; che possiamo rimanere nelle nostre terre storiche nel Nord e nel centro presso Baghdad, con i nostri diritti culturali e politici, per riuscire a governare noi stessi.
Quando cerchiamo di costruire scuole o i nostri centri, dobbiamo chiedere al governo centrale ed è molto difficile persino costruire nei nostri luoghi storici. Lo Stato è il dominus della situazione e molti funzionari governativi ci stanno contro. Non lo ammettono apertamente, ma ci rendono la vita difficile.
Per esempio, volevamo avere un museo culturale; avevamo già l’approvazione iniziale, ma dopo l’occupazione americana il nuovo governo ha cancellato il permesso, adducendo cinque motivi per la cancellazione. Se avessimo un governo autonomo, potremmo farlo. Abbiamo chiesto di costruire un’università cristiana all’interno della zona cristiana. Abbiamo 1.300 studenti dello stesso villaggio; che non è un numero esiguo. E se si includono i cristiani delle piane di Ninive potremmo contare con 3.000 studenti e altri 500 o 600 professori cristiani che vivono nei nostri villaggi.
Eccellenza, se potesse dire due parole ai cattolici nel mondo, che appello rivolgerebbe loro?
I cristiani devono rimanere in Iraq. Dovete aiutarci a rimanere, facendo pressioni sul governo centrale iracheno perché siano rispettati i nostri diritti, la nostra presenza e le nostre libertà. Faccio un appello anche ad aiutarci con progetti concreti, che consentano ai cristiani iracheni di rimanere in Iraq.

Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

L'intervista, trasmessa il 29 novembre 2010, può essere ascoltata cliccando qui.

Nota di Baghdadhope