Fonte: SIR
di Daniele Rocchi
Padre Raymond Moussalli: cacciare i cristiani da Mosul è cacciarli dall'Iraq
"Un volantino intriso di minacce passato sotto la porta è forse il modo più gentile per dire che è ora di andartene. Altrimenti vengono a bussare direttamente all'ingresso di casa, ti buttano fuori e appiccano fuoco a tutto costringendoti a guardare inerme la distruzione di quanto hai costruito con fatica e lavoro".
Le storie di tante famiglie cristiane irachene filtrano anche attraverso questi racconti, vere e proprie testimonianze di quanto sta avvenendo oggi in Iraq contro la minoranza cristiana. In questi giorni Mosul rappresenta il paradigma dell'inferno per i cristiani iracheni così come l'Orissa lo è per quelli indiani. Prima che sia troppo tardi...
"Mosul è la antica capitale religiosa in Iraq - spiega al SIR mons. Raymond Moussalli, vicario del vescovado caldeo in Giordania e che da tempo si occupa dei circa 20 mila rifugiati cristiani iracheni nel regno Hashemita - qui affondano le radici della cristianità irachena. Le liturgie vengono celebrate ancora in aramaico, la lingua di Gesù. Le persecuzioni contro i cristiani hanno un valore altamente simbolico. Scacciarli da Mosul significa, simbolicamente, mandarli via da tutto l'Iraq. Mosul ha dato teologi, sacerdoti, gente di cultura, filosofi. Prima di essere trasferito a Baghdad nel 1958, il patriarcato aveva sede a Mosul. Stiamo assistendo ad una vera e propria guerra al cristianesimo, bisogna rendersene conto, prima che sia troppo tardi. Un Iraq senza cristiani sarà un Paese più povero e ciò avrà ripercussioni negative sui cristiani di tutto il Medio Oriente. Pensiamo a Betlemme, prima era una città cristiana oggi non più...".
Il terrore negli occhi. Ascoltando le testimonianze dei rifugiati da Mosul e di molti che sono rimasti in città, padre Moussalli non usa mezzi termini: "Si parla di persecuzione ma sarebbe meglio dire genocidio. A Mosul ci sono migliaia di famiglie in fuga, alcuni cristiani sono stati freddati davanti le loro abitazioni o nei loro negozi. Sui muri e nelle strade si leggono scritte, inneggianti all'integralismo, che intimano ai cristiani di abbandonare subito la città".
I gruppi armati non sanno aspettare, bisogna correre se non si vuole perdere la vita insieme alle proprietà e ai propri beni. E così uomini, donne e bambini in fuga verso luoghi più protetti. "L'alternativa? Pagare la tassa di protezione - dice il vicario - vestire il velo, convertirsi all'Islam. Alcuni cristiani hanno raccontato di giovani donne che hanno dovuto sposare dei musulmani, obbligando di fatto la propria famiglia alla conversione".
La violenza non guarda in faccia a nessuno ma a soffrire di più sono i poveri e i bambini. "I primi - spiega il vicario caldeo - perché non hanno niente, non hanno possibilità economiche che consentono loro di andare via, o trasferirsi in altre zone della città più tranquille, magari in affitto. E restano nel terrore, lo stesso terrore che ha spento i volti dei bambini. Non giocano più, non possono andare a scuola, non possono vivere come fanno tanti altri bambini nel mondo. È drammatico, soprattutto per loro, vedere la propria casa in fiamme, i propri genitori, amici e familiari uccisi o maltrattati. I più piccoli che giungono qui in Giordania dall'Iraq sono scioccati e per questo abbiamo dei medici e degli psicologi che cercano di aiutarli. Qualcuno si è visto addirittura puntare un fucile in faccia".
Con le armi del dialogo. Non ci sono tempo e possibilità per chiedere protezione o per denunciare le violenze, e forse nemmeno voglia di sapere chi c'è dietro questa ondata di crimini e violenze, se Al Qaeda o i peshmerga curdi, come da più parti si comincia a dire. "La fuga è l'unica via di salvezza - sembra ammettere padre Moussalli - qualcuno ha pensato anche a difendersi ma i cristiani iracheni non hanno mai imbracciato armi, hanno sempre fatto del dialogo, della tolleranza, del rispetto il loro stile di vita. Non potremo mai puntare una pistola contro qualcuno".
In qualche caso questo atteggiamento di accoglienza e apertura è stato ripagato con l'amicizia e la solidarietà. "Da Mosul giungono anche storie di speranza che hanno visto protagoniste famiglie musulmane accudire e proteggere i loro vicini cristiani. Anni, secoli, di convivenza non possono essere cancellati con la violenza. Ma non basta ora è urgente che la comunità internazionale agisca concretamente per aiutare i cristiani iracheni. Le condanne non bastano più servono azioni concrete, non c'è più tempo da perdere".