"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

31 marzo 2021

Lettera a Sua Santità, Papa Francesco


Foto Patriarcato Caldeo
Santità,
Quanto avrei voluto venire personalmente a Roma per ringraziarVi per la Vostra visita storica al nostro paese, ma la pandemia del coronavirus mi impedisce a causa anche delle complicazioni del viaggio.
È un motivo di gratitudine a Dio che mi ha spinto a scrivere questa lettera a nome mio personale e a nome dei miei colleghi membri dell’Assemblea dei Vescovi cattolici dell’Iraq, per presentare a Vostra Santità il nostro profondo ringraziamento per questa straordinaria e coraggiosa visita in una situazione così inusuale.

Santità,
Con la Vostra illustre presenza avete toccato il cuore di tutti i cittadini iracheni, cristiani, musulmani e altri in tutta la nazione, nel centro, nella regione del Kurdistan e nella diaspora. Avete seminato la consapevolezza sull’importanza dell’accettazione e del rispetto della diversità, trattandosi di fratelli differenti che devono amarsi vicendevolmente e aiutarsi per costruire situazioni in cui ogni uomo viva con dignità, libertà e uguaglianza di diritti e doveri. Speriamo che questa linea di condotta, come indicato nel Vostro discorso a Bagdad, ispiri anche le intenzioni delle grandi potenze mondiali.

Santità,
Davvero, la Vostra visita ai sei luoghi, i Vostri incontri con illustri leader politici e religiosi e il Vostro contatto con semplici cittadini ha avuto una profonda risonanza.
Le vostre preghiere con noi e per noi, e la Vostra frase: “L’Iraq rimarrà sempre con me, nel mio cuore” hanno lasciato un’eco profonda che si è impressa nella la nostra memoria in modo indelebile.
Infine il vostro addio alla Messa a Erbil con parole in arabo: Salàm, salàm, salàm (pace, pace, pace) è stato di per sé un messaggio e un invito a preparare la via della pace e ad essere operatori di pace.

Santità,
Per noi, vostre figlie e figli cristiani, la Vostra visita ha realizzato un grande sogno, e ci ha dato un forte sostegno per rimanere, comunicare con gli altri, sperare e costruire la fiducia. Siamo immensamente grati per la Vostra frase “siete una Chiesa viva e forte”, che ci ha incoraggiati alla speranza e ad andare avanti con entusiasmo.
Non posso fare a meno di dire a Vostra Santità: grazie, grazie, grazie, con una riconoscenza speciale per il Vostro dono di $350,000 a favore dei poveri. Sarà nostra gioiosa premura aiutarli a Vostro nome, senza badare alle differenze di religione, etnia o altro.
Infine, invochiamo il Signore affinché Vi aiuti e effonda su di Voi tutte le grazie e benedizioni.

Louis Raphael Card Sako
Patriarca di Babilonia dei Caldei

30 marzo 2021

In Palm Sunday procession, joyful Iraqi Catholics called ‘heroes’


Photo by Syriac Catholic Patriarchate

Syriac Catholic Patriarch Ignace Joseph III Younan, visiting from the patriarchate in Beirut, led about 20,000 Christians through the streets of Qaraqosh Palm Sunday, March 28.
Patriarch Younan told the faithful that the Syriacs of Qaraqosh “are the pupils in the eyes of our Syriac Church. You are the best lung in which our Syriac Church breathes, this lung that exudes faith, preaches goodness, and invites us all to renew our hope in the Lord Jesus in the midst of difficulties and challenges, for he is the one who says, ‘Do not be afraid.'”
Patriarch Younan referred to Pope Francis’ early March visit to Qaraqosh as a “wedding.”
“Today is your feast … that follows the wedding that Qaraqosh witnessed, and you were the heroes of this wedding when you received His Holiness, Pope Francis … as the messenger of peace and brotherhood, love and tolerance for Iraq,” the patriarch said.
About 60% of Qaraqosh’s 50,000 Syriac Catholic residents have returned from their exile in the Kurdistan region to their homes, which had been destroyed and burned by the Islamic State group and repaired with the help of Catholic organizations.
“There are many brothers and sisters” who are absent from “their beloved Qaraqosh,” Patriarch Younan said, noting that thousands of families had left Iraq. “But they are with you and with us today in this joy that fills your hearts.”
The previous day, Patriarch Younan celebrated Mass outdoors at the cathedral in Irbil. On the feast of the Annunciation, he consecrated Al-Tahera Syriac Catholic Church, where Pope Francis had visited. It had been burned and desecrated by Islamic State militants.

Marian statue, once desecrated by Islamic State, returns to Iraqi parish


Photo by Fr. Thabet Habeb 
A statue of the Virgin Mary that had been desecrated by the Islamic State but was later restored has been returned to its original church.
The statue was decapitated, and its hands cut off, in Karemlesh, a largely Christian town 18 miles east of Mosul, during the Islamic State’s occupation of the villages in the Nineveh Plains from 2014 to 2017. It belongs to St. Adday church. The statue has been partially restored. The original head was found in the rubble when the statue was recovered.
The head has been placed back onto the statue in a manner that still shows the damage from where it had been decapitated, and the hands dangle below the wrist.
It was present at Pope Francis’ March 7 Mass in Erbil.
The statue returned to Karemlesh March 18, and on March 19 it was placed in St. Adday church with a simple ceremony.
“Having Her here is a sign of courage and bravery for our people. That everyone can see that the destroyed and restored image returns to the church with a new appearance is a beautiful sign. This encourages them to have the courage to continue,” Fr. Thabet Habeb, pastor of St. Adday, told CNA.
He added that “after the Pope's visit, we hope that there may be some attention to the Chaldean community.”
The Islamic State swept through large swathes of Syria and Iraq in 2014, giving families of Christians and other religious and ethnic minorities an ultimatum – convert to Islam, die, or leave.
In 2017 the Nineveh Plain was liberated from the rule of the Islamic State.

Media arabi: un “comitato governativo” lavorerà sui suggerimenti emersi durante la visita di Papa Francesco


Un comitato inter-ministeriale è stato incaricato dal governo iracheno di lavorare alla realizzazione di suggerimenti e proposte emersi durante la recente visita di Papa Francesco in Iraq.
Lo riferisce la testata araba Al Araby Al Jadeed, citando in forma generica e anonima “fonti di alto livello” della compagine governativa irachena. Le “raccomandazioni” contenute nel dossier al centro del lavoro del Comitato governativo – riferisce la fonte citata, facendo riferimento anche ai colloqui di Papa Francesco con il Presidente iracheno Barham Salih e con il Premier Mustafa al Kadhimi durante la visita papale - puntano a suggerire soluzioni a problemi di sicurezza, sostenibilità economica e ricostruzione post-bellica che pesano in particolare sulla condizione delle comunità cristiane e su altre componenti sociali soprattutto nei governatorati di Ninive e di Baghdad. La fonte governativa citata dalla testata con base nel Regno Unito fa in particolare riferimento ai problemi relativi alla sicurezza e attribuiti al permanere di milizie organizzate su base confessionale ancora operanti nel Governatorato di Ninive e nella Piana che porta lo stesso nome, area di radicamento storico delle comunità cristiane autoctone. Del dossier allo studio del Comitato governativo farebbero parte anche la questione delle proprietà immobiliari sottratte illegalmente negli ultimi anni a famiglie cristiane costrette da conflitti e violenze a trasferirsi in altre aree del Paese o a emigrare all’estero. 
All’inizio del 2021, come riferito dall’Agenzia Fides, il leader sciita iracheno Muqtada al Sadr (a capo della formazione politica sadrista che gode di una forte rappresentanza nel Parlamento di Baghdad) aveva disposto la creazione di un Comitato ad hoc, incaricato di raccogliere e verificare notizie e reclami riguardanti i casi di esproprio abusivo di beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani in diverse regioni del Paese. La decisione era stata resa nota con un comunicato in cui si indicavano i nomi dei collaboratori di Muqtada al Sadr scelti come membri del Comitato, e erano riportati anche gli indirizzi di posta elettronica e gli account whatsapp a cui i cristiani potevano inviare i documenti di proprietà riguardanti beni immobiliari – case e terreni – abusivamente accaparrati negli ultimi anni da altre persone o gruppi di persone. L’intento dell’operazione sponsorizzata dal leader sciita – si leggeva nel comunicato - era quello di ristabilire la giustizia, ponendo fine alle violazioni lesive dei diritti di proprietà dei “fratelli cristiani”, anche quando a commetterle siano stati membri dello stesso movimento sadrista. La richiesta di segnalare casi di espropriazioni illegali subite era estesa anche alle famiglie di cristiani che hanno lasciato il Paese negli ultimi anni, con la richiesta di far pervenire al comitato entro la fine del prossimo Ramadan le segnalazioni delle usurpazioni fraudolente subite. Il fenomeno della sottrazione illegale delle case dei cristiani ha potuto prendere piede anche grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti e disonesti, che si mettono a servizio di singoli impostori e gruppi organizzati di truffatori. Il furto “legalizzato” delle proprietà delle famiglie cristiane è strettamente collegato all'esodo di massa dei cristiani iracheni, seguito degli interventi militari a guida Usa per abbattere il regime di Saddam Hussein. Tanti truffatori si sono appropriati di case e terreni rimasti incustoditi, contando sulla facile previsione che nessuno dei proprietari sarebbe tornato a reclamare i propri beni. In questa cornice, (da) parte sua, il sacerdote Albert Hisham, dell’ufficio comunicazione del Patriarcato caldeo, interpellato da Al Araby Al -Jadeed ha riferito che fino ad oggi non sono state fornite notizie precise e ufficiali su avvenute restituzioni ai legittimi proprietari di beni sottratti illegalmente a famiglie cristiane irachene, e non sono state ancora rese note nemmeno eventuali procedure e diposizioni messe in atto a tal riguardo dal governo di Baghdad.

25 marzo 2021

Patriarca caldeo: la visita del Papa per rilanciare economia, dialogo e unità


Rilanciare il turismo, rafforzare il dialogo, consolidare l’unità nazionale e proseguire nel cammino del dialogo interreligioso fra le varie anime della nazione. Sono questi alcuni punti delineati dal patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, in una lettera indirizzata agli irakeni (cristiani e musulmani) e alle popolazioni della regione mediorientale, per mantenere vita l’eredità dello “storico e fondamentale” viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq. Un patrimonio di scambi ed esperienze, come spiega ad AsiaNews, per “riportare il Paese al suo stato naturale e nell’arena internazionale” e sul quale verrà pubblicato un libro con foto, documenti e testimonianze.
Dall’incontro con il leader sciita al-Sistani a Najaf, a quello con i politici e il clero cattolico a Baghdad, dalla visita a Mosul e Ninive all’incontro interreligioso a Ur dei Caldei sono tanti i momenti significativi che hanno caratterizzato le giornate irakene del pontefice. Una occasione, spiega il card. Sako, per “chiudere la pagina di un doloroso passato” e instaurare una “cultura di pace, fratellanza, solidarietà e rispetto” che respinga una volta per tutte “odio, liti settarie e conflitti”.
La lettera del primate caldeo contiene riflessioni valide per tutti gli irakeni, a prescindere dall’etnia e dalla fede religiosa professata e discusse con il presidente della Repubblica, i ministri e le autorità religiose. Esse sono una esortazione ai popoli e ai governi del Medio oriente per andare oltre una logica settaria e partitica che, negli anni, ha fomentato violenze, distruzioni e divisioni. In questo quadro si inserisce l’iniziativa del card. Sako di dare vita a un “comitato ecclesiastico” per “studiare le implicazioni della visita, i luoghi e il popolo incontrato, i messaggi che ha rivolto” e, cosa più importante, “quello che si può fare per passare all’azione. Un comitato - aggiunge - aperto ad altre Chiese e a collaborare con enti ufficiali e religiosi”.
Una nuova fase nella vita dell’Iraq passa attraverso “un cambiamento nella mentalità delle persone”. È l'idea sottolineata dal pontefice a Najaf e Ur che “siamo fratelli e dobbiamo trattarci come fratelli”. 
Una posizione condivisa dal grande ayatollah Ali al-Sistani, ricorda il card. Sako, il quale ha detto che i cristiani “sono parte di noi e noi [musulmani] siamo parte di voi”. “Per contrastare i virus del terrorismo e dell’estremismo - scrive il porporato - proponiamo di organizzare corsi e laboratori di formazione mista, favorendo la conoscenza delle religioni e correggendo gli elementi che causano disinformazione” e ostacolano “il rispetto della diversità”.
Fra i primi progetti, quello di pubblicare uno studio in arabo e inglese sulle religioni preparato dal comitato per il dialogo (in cui sono presenti cristiani, musulmani sunniti e sciiti, uno yazidi e alcuni sabei-mandesi) per “consolidare il principio di uguaglianza davanti alla legge”. Con l'iniziativa si vuole anche favorire “curricula educativi nelle scuole” studiati in base all’età, per sensibilizzare sul tema della fratellanza e “consolidare l’unità nazionale” attraverso l’educazione e l’istruzione.
Per il primate caldeo, sul fronte economico uno dei primi passi da compiere è quello di “rivitalizzare il turismo”, perché “l’Iraq è un grande museo delle civiltà sumera, babilonese, caldea, assira, cristiana e musulmana”. In quest’ottica si deve lavorare per “restaurare e mantenere i siti archeologici e collegarli a strutture turistiche“, espandendo il loro campo di aggregazione in modo che possano includere elementi cristiani, islamici, mandei, yazidi ed ebraici. Fra i siti cristiani egli segnala la chiesa di Kochi, alla periferia di Baghdad, che risale I secolo dopo Cristo, la chiesa di al-Aqis del V secolo a Kerbala e la chiesa Verde del VII secondo a Tikrit. “Questi monumenti - afferma - dovrebbero essere considerati parte integrante dell’eredità unificata irakena” e sono “molti più preziosi dei pozzi petroliferi, che un giorno si esauriranno”.
Infine, il card. Sako incoraggia “gli irakeni espatriati a investire nel loro Paese di origine” e di istituire una giornata nazionale che celebra la visita del papa in Iraq. Una Giornata della tolleranza, che si festeggia il 6 marzo, annunciata anche dal Consiglio dei ministri cui legare iniziative e attività che “contribuiscono a diffondere una cultura della tolleranza e dell’amore”.

Dopo la visita di Francesco in Iraq, l’attacco dell’Isis al papa, “idolatra” e “crociato”

Aldo Maria Valli

Cari amici di Duc in altum, riprendo da Church Militant ampi stralci di un articolo nel quale si dà conto di un durissimo attacco contro papa Francesco, a causa della sua visita in Iraq, da parte di un giornale legato all’Isis. Nell’articolo l’esperto di Islam Robert Spencer spiega che le conseguenze del viaggio rischiano di essere ben diverse da quelle auspicate dal papa.

*** di Jules Gomes
Lo Stato islamico (Isis) sta minacciando nuovi attacchi alle chiese irachene dopo la visita di papa Francesco, con un ultimatum nel quale si afferma che i jihadisti “rimuoveranno le croci molto presto” come hanno già fatto “la prima volta, con Il permesso di Allah”.
In un durissimo editoriale del suo settimanale arabo, Al-Naba, il gruppo terroristico più temuto del mondo interpreta le aperture interreligiose di Francesco in Iraq come una “crociata” per “rimuovere la sharia di Allah da questa terra, stabilire al suo posto una religione politeista e sollevare la sua croce profana sulle rovine di Mosul”.
Church Militant ha ottenuto una copia dell’articolo e ne ha commissionato una traduzione in inglese. L’editoriale è intitolato Messages of the Christian Idolator-Tyrant [Taghut al-Nasara al-Baba] on His Visit to Iraq, ed è uscito su Al-Naba l’11 marzo.
Lo studioso islamico Robert Spencer ha spiegato a Church Militant il significato dell’appellativo taghut al-nasara (usato otto volte nell’editoriale per descrivere papa Francesco): taghut si riferisce a idoli o idolatri, nasara è la parola usata nel Corano per i cristiani e al-baba è il papa. Quindi taghut al-nasara al-baba significa “il papa, l’idolatra cristiano”. 
Nell’Iran moderno, taghut è il termine applicato allo scià di Persia Reza Pahlavi.
L’Isis afferma che la visita del papa “serve a diffondere nuove idee crociate verso i paesi musulmani, in particolare l’Iraq, che è stato il luogo di una guerra straziante negli ultimi due decenni tra i musulmani e i mushrikeen”.
Francesco quasi certamente non sa che il Corano dice che “gli ebrei e i cristiani non saranno mai soddisfatti di te finché non seguirai la loro religione”. (cfr Corano 2: 120)
I mushrikeen sono politeisti che commettono il peccato imperdonabile di “sottrarsi” attribuendo ad altri le qualità uniche di Allah. I cristiani sono considerati mushrikeen perché attribuiscono a Gesù le caratteristiche uniche di Dio.
L’editoriale di Al-Naba riserva il suo attacco più aspro all’evento interreligioso di Francesco a Ur. L’accusa al “tiranno-idolatra cristiano” è di voler spingere “a una nuova religione dell’incredulità e dell’ateismo” favorendo una convergenza di cattolici, ebrei e “idolatri-tiranni [taghut] dei paesi musulmani”.
L’editoriale, condannando la definizione di “religioni abramitiche” come “satanica” perché “attribuisce false religioni a Ibrahim”, cita la sura 3:67 del Corano: “Ibrahim non era né un ebreo né un cristiano, ma era un retto musulmano; non era un idolatra”.
Robert Spencer spiega che questa affermazione “può sembrare strana agli occidentali alla luce del fatto che l’Islam è nato seicento anni dopo Gesù, ma nello schema delle cose islamico l’Islam era la religione originale di tutti i profeti biblici”, tanto che i musulmani considerano il giudaismo e il cristianesimo come false religioni che hanno corrotto gli insegnamenti profetici. “E questa è l’idea dell’Islam tradizionale, non solo degli estremisti”.
Spencer spiega inoltre che per i musulmani il papa ha profanato Mosul sollevando la croce su di essa, perché “per l’Islam Gesù non fu crocifisso (cfr Corano 4: 157), e affermare il contrario significa suggerire che Allah non è abbastanza forte per proteggere i suoi profeti”.
L’editoriale imputa al papa soprattutto di voler creare una nuova religione abramitica basata sul suo dialogo con i leader musulmani, qualcosa di inconcepibile per l’Islam.
“Francesco probabilmente resterebbe scioccato nello scoprire che i suoi tentativi di pace e di conciliazione sono visti come provocazioni, ma questo è un altro esempio del fatto che egli si coinvolge in questioni che, nella migliore delle ipotesi, comprende solo vagamente, creando più problemi di quanti ne stia risolvendo”.
Oltre a criticare il programma interreligioso di Francesco nel Sud dell’Iraq come opportunismo religioso, l’editoriale definisce la visita del papa a Baghdad “un messaggio di sostegno a questo governo di criminali idolatri”.
Dopo aver sostenuto che lo Stato islamico controlla ancora gran parte dell’Iraq, l’editoriale descrive la visita del papa come “una vetrina per la stabilità del governo con i visitatori tenuti nell’illusione della sicurezza” e come “propaganda progettata per rassicurare gli amici crociati del papa [i governi occidentali] e per indurli a concedere prestiti a uno Stato iracheno pieno di debiti”. In effetti, scrive il giornale, “non si può escludere che questa visita religiosa da parte del tiranno idolatra cristiano abbia obiettivi puramente economici”.
Alla luce dell’editoriale dell’Isis, Spencer afferma di temere che la visita di Francesco in Iraq anziché promuovere pace e dialogo potrà mettere a rischio i cristiani nella regione.
Church Militant fa sapere di aver contattato la sala stampa della Santa Sede chiedendo se il Vaticano fosse a conoscenza delle nuove minacce dell’Isis ai cristiani iracheni nel periodo che precede la Settimana Santa, ma, riferisce il sito, nessuna risposta è stata fornita dal Vaticano.

Iraq: Upp, al via la III fase di “Salamtak” programma di salute mentale, supporto psicosociale e materno-infantile


Al via la III fase di “Salamtak” (La tua salute), programma di salute mentale, supporto psicosociale e materno-infantile, finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) e implementato dalla ong italiana “Un Ponte Per” (Upp), lanciato nel 2018 per rispondere alle esigenze della popolazione irachena della Piana di Ninive e in particolare della città di Mosul, in Iraq.
L’obiettivo del lavoro di questi anni, si legge in un comunicato, “è stato garantire l’accesso al sistema sanitario, tutelare la salute mentale e riproduttiva delle famiglie e delle donne irachene nell’area occupata a lungo dallo Stato Islamico e ancora oggi alle prese con un lento e complesso processo di ricostruzione e ritorno alla normalità”.
Tra novembre 2019 e dicembre 2020, grazie alla II fase del progetto, 3.012 donne e ragazze hanno avuto accesso ai servizi offerti, con ben 1.938 sessioni di supporto psicosociale e 6.290 persone complessivamente raggiunte dalle nostre campagne di sensibilizzazione. Fine specifico di questa terza fase, spiegano da Upp, “sarà migliorare ulteriormente l’accesso ai servizi sanitari primari e secondari per le comunità dell’area, continuando a sostenere il sistema sanitario nazionale nell’ottica di rafforzarlo”. 
In particolare l’intervento si concentrerà nella città di Mosul, dove sarà costruito un reparto per i servizi di salute mentale e supporto psicosociale all’interno dell’ospedale Al Salam (Mosul Est), e nei Centri di salute primaria di Hermat e Nimrod, dove saranno garantite visite ginecologiche e servizi di salute mentale per le donne. Inoltre proseguirà il sostegno che Aics e Upp garantiscono ormai da anni al Centro di salute polifunzionale “Ma’an Na’ud” di Bashiqa, dove ai servizi di salute riproduttiva già garantiti verranno aggiunti quest’anno specifici servizi pediatrici, come richiesto dalla popolazione. L’intervento, della durata di 10 mesi, prevede di raggiungere un totale di oltre 7.760 persone. Tra queste, quasi 3.000 donne e adolescenti che avranno accesso a servizi di salute riproduttiva e specifiche consulenze pediatriche per i propri figli. Saranno inoltre garantite oltre 1.200 sessioni di supporto psicosociale avanzato individuale e collettivo. “Salamtak III” si inserisce in un più vasto quadro di interventi che Upp, grazie a Aics, porta avanti in Iraq, ed in particolare nella Piana di Ninive e a Mosul, sin dall’inizio dell’emergenza umanitaria del 2014.

23 marzo 2021

Iraq archbishop invites Franciscan University to witness faith

By UCA News

During a recent visit with the Catholic community in Iraq, Franciscan Father Dave Pivonka, president of the Franciscan University of Steubenville, said he and his university colleagues saw firsthand how strong the Catholic faith is in that country, even after decades of strife and violence, and how it is reemerging.
At the invitation of Chaldean Catholic Archbishop Bashar Warda of Irbil, Father Pivonka and other university officials traveled to Iraq while Pope Francis made his March 5-8 pastoral visit to the country. The university delegation spent seven days there.
In 2019, the archbishop and Father Pivonka signed a "memorandum of understanding" that includes cultural exchanges and the development of programs between the Catholic University of Irbil and Franciscan University. Archbishop Warda will preside at the Ohio Catholic university's baccalaureate Mass May 14 and receive an honorary doctorate of humane letters at commencement ceremonies May 15.
"Pope Francis proclaimed Christ as the way to reconciliation, the way to peace. His message was hope will defeat hate," Father Pivonka said March 16.
The priest was joined by Daniel Kempton, vice president for academic affairs at Franciscan University, and Tiffany Boury, director of the university's Catholic leadership master's degree program.
Boury is organizing high school exchange programs between the U.S. and Iraq and will see three Irbil students graduate in May 2021 from the master's program.
A highlight of the university group's trip was attending the public Mass that Pope Francis celebrated March 7 at Franso Hariri Stadium in Irbil.
Father Pivonka said while he has seen the past three popes on several occasions, there was "something profoundly different" about Pope Francis' apostolic visit to a country that has suffered from nearly continuous civil war since the fall of Saddam Hussein in 2003.
The group also visited local Catholic schools, including the Catholic University of Irbil, a seminary, museum and a monastery that dates back to the fourth century, and met with Christian refugees.
"There's not a family I met who didn't lose loved ones, have their church destroyed," said Father Pivonka. "I've never been so proud to be a Catholic and to witness the Holy Father so bravely visit his people in need."
The Catholic University of Irbil, established in 2015, provides "a safe haven for Iraq's Christian community to receive an education consistent with their values, traditions and beliefs," Kempton said.
"It will also provide an academically excellent education for non-Christians, who will hopefully develop from their experience an appreciation of the richness and quality of Catholic education," he added.
The university is establishing a human rights and religious freedom observatory -- made possible with funding from the Knights of Columbus -- that will make use of high-tech mapping to document atrocities and create an alert system to help prevent future genocides in Iraq.

Dopo case e chiese, ricostruire la vita pastorale dei cristiani in Iraq

Daniele Piccini

Dal 5 all´8 marzo Papa Francesco ha visitato l´Iraq, un paese dove i cristiani, specialmente quelli dei villaggi della Piana di Ninive, hanno sofferto molto a partire dall´invasione del gruppo islamista dello Stato Islamico, avvenuta nell´agosto del 2014. Riposte le bandierine nei cassetti e ripulite le strade dai coriandoli e dai manifesti di benvenuto per il Pontefice, quanto si è fatto e quando ancora rimane da fare per restituire un futuro ai cristiani dell´Iraq?
Lo abbiamo chiesto a Regina Lynch, direttrice del Dipartimento progetti presso la Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che come membro del ROACO (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali), ha preso parte allo storico viaggio apostolico del Santo Padre
Qual è lo stato attuale della ricostruzione delle case e degli edifici ecclesiali in Iraq?
Aiuto alla Chiesa che Soffre è impegnata dal 2017 a riparare le case bruciate o danneggiate. E infatti, alla fine abbiamo riparato circa 2.800 case. Nel frattempo, quasi il 50% delle famiglie sono tornate nei loro villaggi. Questo dà un'idea di quante case siano state riparate. Ora siamo passati dalla riparazione delle case a ciò che ACN fa normalmente, ossia i progetti pastorali. Così, al momento, siamo molto impegnati a riparare chiese e conventi di suore, asili, ma anche sale comunitarie delle parrocchie, che sono molto importanti in Medio Oriente. È il luogo dove i cristiani si riuniscono per celebrare battesimi, matrimoni, anche funerali. Quindi in ogni parrocchia si trovano queste sale che hanno un ruolo molto importante.
Quali sono le organizzazioni che, insieme ad ACN, sono impegnate nella ricostruzione di case e chiese in Iraq?
Ci sono molte organizzazioni che aiutano nel nord dell'Iraq. Alcune organizzazioni sono cattoliche. Anche i governi stanno investendo denaro. Penso che, nel nostro lavoro, ci completiamo a vicenda. Mentre ACS si concentra su un aspetto gli altri sono concentrati su qualcos'altro. Una collaborazione importante da menzionare è quella con Malteser International, un’organizzazione che è arrivata dopo ACS per i progetti abitativi. Quando siamo usciti dal progetto delle case è subentrata l´organizzazione dei Malteser e hanno fatto un ottimo lavoro.
Ha detto che ci sono anche dei governi che aiutano l'Iraq.
Per quanto ne so, il governo polacco e quello ungherese hanno fatto molto. Gli Stati Uniti hanno un programma di aiuti. E anche il governo tedesco è stato molto generoso nel lavorare attraverso Malteser International per i cristiani del nord dell'Iraq.
Cosa chiedono i vescovi dell'Iraq ad ACN e ad altre organizzazioni? In cosa hanno ancora bisogno di aiuto?
Beh, abbiamo ancora alcuni edifici ecclesiastici da completare. Al momento stiamo ricevendo richieste da parte delle chiese per aiutare preti e suore con la pandemia del covid. È ancora un problema molto grande lì. E poi, programmi per i giovani. L´Iraq ha una popolazione molto giovane. Abbiamo un progetto molto emozionante in questo momento. Per i prossimi quattro anni finanzieremo l'equivalente di 150 borse di studio per gli studenti dell'Università Cattolica di Erbil. Ho detto che è emozionante perché dal 2017abbiamo investito molto nella ricostruzione, quando i cristiani hanno cominciato a tornare. Ed era assolutamente necessario. Ed è ancora necessario per finire questi edifici. Ma penso che sia giunto il momento di investire nelle persone e soprattutto nei giovani, per dare loro una prospettiva di lavoro in futuro. Saranno insegnanti, architetti, ingegneri. C'è un piano per avere anche una facoltà di medicina all'università. È una grande speranza per loro. Ed è anche un posto dove non solo i giovani cristiani si riuniscono, ma ci sono anche studenti musulmani e yazidi. Così questi giovani imparano a superare i pregiudizi. Imparano la tolleranza reciproca. E questo è davvero ciò che Papa Francesco spera anche per il futuro della società in Iraq: abbattere le barriere e capire che le persone sono uguali. Pensa che la visita di Papa Francesco in Iraq influenzerà in qualche modo il sostegno che, soprattutto i paesi occidentali, hanno mostrato finora ai cristiani in Iraq?
Spero di sì. Ho detto che alcuni governi stanno aiutando, ma certamente non è abbastanza. C'è molto di più da fare con le infrastrutture, con la creazione di posti di lavoro. Ma ci sono ancora grandi problemi di sicurezza. Ci sono diverse milizie presenti sul territorio. Quindi penso che i governi occidentali abbiano un ruolo da svolgere, non solo finanziariamente, ma anche politicamente, per assicurare che ci sia stabilità in Iraq e in particolare per i cristiani del nord. Ed è qui che spererei che coloro che hanno influenza in Occidente possano avere un effetto sul governo.
Cosa ha riportato a casa dal viaggio in Iraq?
Sono stata nella cattedrale Al-Tahira di Qaraqosh, che è stata in gran parte finanziata da ACS. La ristrutturazione è stata meravigliosa. È stato bello vedere quanto era felice la gente di riavere indietro la sua chiesa. Quella chiesa che lo Stato Islamico aveva dato alle fiamme. Lo Stato Islamico aveva detto che si sarebbe sbarazzato del cristianesimo in Iraq, e invece la gente è tornata. Ma c'è ancora molto da fare. Non dobbiamo pensare che ora sia finito e dobbiamo continuare a pregare per i cristiani iracheni affinché rimangano forti nella loro fede. Hanno bisogno di aiuto esterno per l'università, per i programmi di catechesi per le giovani famiglie e per gli edifici che ancora devono essere restaurati.

Il realismo della fratellanza

Michele Brignone

Tra il palcoscenico scintillante di Abu Dhabi e le macerie di Mosul il contrasto non potrebbe essere più vivo. Conoscendo Papa Francesco, tuttavia, c’era d’aspettarsi che il messaggio di fratellanza lanciato due anni fa da una delle città più ricche e sicure del pianeta fosse destinato preferenzialmente ai luoghi più feriti del mondo. E se c’è un Paese che negli ultimi decenni ha sperimentato tutto ciò che più violentemente contrasta con l’idea della concordia fraterna questo è l’Iraq, al punto che il motto scelto per il viaggio del Papa – “Siete tutti fratelli” – rischiava di ridursi a mero wishful thinking di fronte alla realtà sul terreno, fatta di devastazioni belliche, conflitti etnici e confessionali e malgoverno.
Tuttavia, già le proteste scoppiate a più riprese nel 2019 e nel 2020 avevano dato voce al bisogno degli iracheni di voltare pagina. L’entusiasmo con cui il Papa è stato accolto da molte persone, non solo cristiane, è stato un altro segno del desiderio diffuso nella popolazione di uscire da una tragedia che non si è conclusa neanche con la fine dello pseudo-califfato dell’Isis.
Emblematica da questo punto di vista è stata la testimonianza di Omar Muhammad, celebre autore del blog Mosul Eye, il quale al Wall Street Journal ha dichiarato che, attraverso gli occhi del Papa, ha potuto rivedere in Mosul «la città più bella del mondo». Qualche giorno dopo la visita, anche un osservatore di questioni mediorientali piuttosto disincantato come Steven Cook ha colto l’eccezionalità del viaggio di Francesco. «Nessuno – ha scritto Cook su Foreign Policy – deve aspettarsi che il papa risolva i problemi della regione, ma se farà sentire la sua voce su questioni specifiche potrà fare in qualche modo la differenza […]. È un interlocutore molto meno compromesso e ha molta più gravitas di qualsiasi funzionario americano, russo, europeo o delle Nazioni Unite. Questi ultimi hanno tutti fallito. Il Papa potrebbe non fallire».
L’impresa era ed è oggettivamente proibitiva. All’incontro interreligioso di Ur il pontefice ha citato la celebre visione di Isaia sulla riconciliazione tra i popoli: «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4). Se qualche anno fa l’allora arcivescovo di Parigi, il Cardinal Lustiger, aveva potuto riferirsi allo stesso passo biblico per leggere come un fatto spirituale la nascita della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (CECA), antesignana della dell’Unione Europea, in Iraq il Papa ha dovuto riconoscere che non solo la profezia non si è realizzata, ma «spade e lance sono diventati missili e bombe».
Anche volendo insistere nel realismo, tuttavia, non è necessariamente questa l’ultima parola sul destino dell’Iraq e del Medio Oriente. A Mosul, durante la preghiera di suffragio per le vittime della guerra, il Papa ha osservato, anche sulla base delle testimonianze che ha potuto ascoltare lungo le tappe del suo viaggio, «che la fraternità è più forte del fratricidio, che la speranza è più forte della morte, che la pace è più forte della guerra».
Non basta però la memoria dei disastri passati per costruire il futuro. Dopo aver sperimentato una sequenza ininterrotta di progetti politici fallimentari, se non distruttivi – la monarchia “pilotata” (al primo monarca dell’Iraq, Faysal I, è attribuita la frase «sono un funzionario britannico con il grado di re»), il nazionalismo radicale, la democrazia “esportata”, il settarismo religioso – l’Iraq ha bisogno di una nuova visione. Il Papa l’ha delineata nei suoi tratti più essenziali ancora alla piana di Ur, dove ha spiegato che l’alternativa al fragore delle armi è la rinuncia «ad avere nemici»: un atteggiamento che dovrebbe caratterizzare la religiosità più autentica, dal momento che «chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. […] Chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo».
Questo disarmo dei cuori come preludio necessario al disarmo materiale potrebbe sembrare una fuga dalla realtà. Tuttavia, non solo Francesco ha specificato che gli occhi al cielo «non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra», in un percorso irto di sacrifici e difficoltà, ma le sue considerazioni vanno al cuore dei mali che si sono cumulati in Iraq. Da un lato, infatti, richiamando le persone a una realtà che le trascende e le garantisce nella loro dignità, il Papa mette in guardia dai pericoli di una politica ridotta al cinico perseguimento di interessi particolari; dall’altro, smaschera le ideologie che, arruolando Dio come un qualsiasi capobanda, nel “cielo” non vedono tanto una bussola da cui farsi guidare sulla terra quanto un sistema da imporre con la violenza.
Benché fortemente radicata nella tradizione cristiana (difficile non cogliere nella rinuncia all’inimicizia la rivoluzione evangelica dell’amore verso i nemici), si tratta di una proposta strutturalmente aperta al contributo delle altre religioni, che non devono aderirvi in nome di una generica religiosità universale, sovraordinata rispetto alle religioni storiche, ma alla luce del loro patrimonio peculiare. È quanto è avvenuto con la dichiarazione di Abu Dhabi, scritta a quattro mani con l’imam al-Tayyeb, e si è ripetuto nell’incontro con l’Ayatollah al-Sistani, il quale ha fatto eco al motto della visita del Papa – “Siete tutti Fratelli” – con un detto dell’imam ‘Ali: ­ “Gli esseri umani sono di due tipi: o fratelli nella religione o pari a te nel fatto di essere creati”.
Il frutto più immediato del viaggio del Papa, oltre all’attenzione mediatica che ha risvegliato verso un Paese spesso dimenticato e, più significativamente, all’iniezione di speranza a favore di una popolazione provata da decenni di guerra, è l’invito rivolto dalle autorità irachene al Grande Imam di al-Azhar: un’iniziativa inedita, che potrebbe creare tra Roma, il Cairo e Baghdad/Najaf un sorprendente, e fino a pochissimo tempo fa imprevedibile, triangolo del dialogo, interconfessionale oltre che interreligioso. Un punto di partenza più che un traguardo, visto che la soluzione dei problemi iracheni richiede una più generale pacificazione della regione. Il Papa lo sa bene, e durante il volo di ritorno verso Roma ha già indicato la prossima tappa: il Libano, altro Paese delle diversità «non ancora riconciliate» e avamposto mediterraneo dei conflitti mediorientali.Oasis

22 marzo 2021

Top Iraqi Catholic praises return of Christian-owned property

By Crux
Elise Ann Allen

One of Iraq’s top Church officials has praised the recent return of several confiscated properties belonging to Christians and other minorities, saying the move could hasten the return of families who left the country due to injustice and persecution.
The properties were restored as part of an initiative launched earlier this year by Iraqi Shiite leader Muqtada al Sadr, head of the Sadist political group, whose party currently enjoys strong representation in Iraq’s parliament. In January, al-Sadr ordered the creation of an ad hoc committee tasked with collecting and verifying complaints of the illegal expropriation of property owned by Christians and other regional minorities.
Calling al-Sadr’s move a celebration of “patriotism and humanity,” Cardinal Louis Raphaël Sako, Iraq’s Chaldean patriarch, said such initiatives “will continue to encourage Christians to return to their country and recover their property.”
So far, the committee has returned at least 50 houses and other properties to their rightful owners.
At the time the committee’s establishment was announced in early January, al-Sadr said his goal was to restore justice and to end the violation of property rights against his “Christian brothers,” including those committed by Shiites.
Christians and members of other minority communities who have left Iraq have also been invited to issue a complaint if their property had been expropriated in a bid to get them to return.
The theft of Christian-owned property and houses has been a major issue since the fall of Saddam Hussein’s regime in 2003, when militia groups emerged seeking to fill the vacuum left by Hussein’s absence.
Since then, the so-called “legalized theft” of property has been a key factor in why so many Christians and other minorities have left Iraq in recent years, complaining that corrupt officials made arrangements either with individuals or criminal groups to confiscate the properties.
On January 3, al-Sadr sent a delegation to visit Sako, bringing with them Christmas well-wishes and a copy of the document formally establishing the committee in charge of evaluating complaints and returning the properties.
Sako on that occasion thanked al-Sadr for the initiative, stressing the importance of working to protect the common good of the nation and to place this above any private or sectarian interest.
Some observers have hailed the quick return of 50 properties as a fruit of Pope Francis’s March 5-8 visit to the country. Since the pope’s visit was announced late last year, several steps have been taken favoring minorities, which also have been credited as a direct impact of the papal trip.
In December the Iraqi Parliament voted unanimously to declare Christmas an annual national holiday, and on March 8, the day of Pope Francis’s departure, President Barham Salih ratified a law benefitting Yazidi survivors of the 2014-2017 ISIS genocide.
After years of delay, so-called “Yazidi survivor law” was passed by Iraq’s parliament March 1, and ratified by Salih March 8, which marks the celebration of International Women’s Day.
Many, including Sako and Syriac Catholic Patriarch Ignace Joseph III Younan, have praised these and other steps, voicing hope that the fruits of the pope’s visit will both multiply and be long-lasting. 
Speaking to Vatican News, Nadia Murad, a Yazidi woman who survived ISIS captivity and was awarded the Nobel Peace Prize in 2018, said she believes the papal visit helped shed a light on the challenges that minorities in Iraq often face, and believes it could help their situation to improve.
“The pope’s visit highlighted the potential of peace and of religious freedom,” she said, recalling how Pope Francis during his trip repeatedly insisted that “all Iraqis, regardless of their faith, equally deserve dignity and human rights.”
“His Holiness also sent a clear message that the healing of the interreligious fabric of Iraqi society must begin with the support and care of minorities, like the Yazidis, who have been subjected to violence and marginalization,” she said.
Recalling her brief meeting with Pope Francis in 2018, and his comments on his return flight from Iraq to Rome in which he said her recent book The Last Girl was an inspiration for making the trip, Murad said she was happy that her story impacted the pope, and that “he felt called to bring his message to Iraq.”
“His defense of the cause of the Yazidis is an example for all other religious leaders in the region to amplify the message of tolerance toward religious minorities such as the Yazidis,” she said, noting that some 2,800 Yazidi women and children are still missing nearly sever years after ISIS’s initial insurrection in 2014.
This fact shows that there is a “lack of political will to protect the fundamental human rights of women and their safety. It shows that sexual violence and slavery are not taken seriously by the international community,” she said, and called for a multilateral taskforce to be established with the aim of rescuing these women and children.
Murad said that if she could send a message to the women still in captivity, it would be that “it’s not your fault. Global patriarchal systems were meant to subjugate us, take advantage of our oppression and wage war on our bodies.”
“Surviving and fighting for the recognition of these injustices is an act of resistance,” she said, assuring these women that they are not alone.
“More than a third of women around the world are subjected to sexual violence. This does not mean that we have to accept it,” Murad said, adding, “There are women in every community who survive, oppose, and denounce. When we unite to fight for our rights, change becomes unstoppable.”

Parlamentari delle minoranze bloccano l’inclusione di esperti esclusivamente islamici nella Corte suprema


Ha avuto successo la strategia di boicottaggio messa in atto nel parlamento iracheno dai rappresentanti delle componenti etniche e religiose minoritarie per bloccare un emendamento che puntava a includere esperti di matrice esclusivamente islamica come consultori della Corte suprema federale. 
Lo riferiscono i media iracheni, riportando anche i commenti di rappresentanti politici delle minoranze che esprimono soddisfazione per il risultato ottenuto. 
Nei giorni immediatamente successivi alla visita di Papa Francesco in Iraq (5-8 marzo) era progressivamente cresciuta la controversia politica intorno a uno degli emendamenti alle leggi che regolano il funzionamento della Corte suprema federale, da sottoporre al voto parlamentare. Tale emendamento prevedeva l’inclusione nella Corte di quattro esperti di giurisprudenza islamico – due sciiti e due sunniti – incaricati di valutare i ricorsi relativi alla costituzionalità delle leggi che contraddicono la legge islamica. I parlamentari che occupano i seggi riservati alle minoranze, compresi quelli riservati ai cristiani caldei, siri e assiri, avevano fin dall’inizio espresso la loro contrarietà all’impostazione che prevedeva l’inserimento di soli esperti islamici nell’organigramma della Corte suprema. 
Quando si è trattato di votare su questo punto controverso, i deputati delle minoranze e quelli del Partito democratico del Kurdistan si sono astenuti dal partecipare al voto. A quel punto, non avendo ottenuto la maggioranza richiesta, i Partiti di matrice islamica hanno aderito al criterio che prevede l'inclusione nella Corte suprema di esperti consulenti appartenenti a tutte le componenti, comprese quelle minoritarie. 
Dopo questa modifica, alla votazione parlamentare svoltasi giovedì 18 marzo,  l'emendamento è stato approvato con il sostegno di 204 deputati su 329. 
In un comunicato stampa, i deputati delle componenti di minoranza hanno chiesto che l’applicazione delle nuove disposizioni sulla composizione del Tribunale siano comunque sospese fino allo svolgimento delle prossime elezioni politiche, che dovrebbero tenersi in via anticipata il prossimo ottobre. Lo svolgimento di elezioni nazionali anticipate è sempre stata una delle richieste chiave alla base delle proteste che hanno scosso il Paese a partire dalla fine del 2019. Oltre a ratificare i risultati delle elezioni, il compito della Corte suprema federale è quello di interpretare la Costituzione e di giudicare le controversie costituzionali. Nell’attuale Parlamento, sono cinque i seggi riservati alle componenti cristiane. Un seggio è riservato agli yazidi, uno ai mandei-sabei e uno agli Shabak.

Il viaggio in Iraq al centro di un colloquio tra il Papa e Macron

Benedetta Capelli

Una conversazione che ha preso spunto dal viaggio di Francesco in Iraq quella avuta ieri tra il Papa e il presidente francese Emmanuel Macron
Durante la conversazione, avvenuta dopo un messaggio del capo di Stato in occasione degli otto anni di pontificato di Francesco, Macron ha definito la visita del Papa nel Paese del Golfo "una vera svolta" per il Medio Oriente. Nella telefonata, secondo fonti dell’Eliseo, si è spaziato su diversi temi come l’emergenza coronavirus che rappresenta una grande sfida per l’umanità. 
Un tema che Francesco ha a cuore tanto che ha istituito, il 20 marzo 2020, una Commissione speciale in Vaticano, sotto l'autorità del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, per pensare al mondo che verrà dopo la pandemia. A dicembre è uscito poi il libro: “Ritorniamo a sognare” una conversazione tra il Papa e lo scrittore britannico Austen Ivereigh, nel quale si indica la strada per un futuro diverso. 
Al centro della conversazione anche diverse crisi che destabilizzano le regioni del mondo, come l'espansione del jihadismo in Africa, nel Sahel e la situazione in Libano. 
Non è la prima volta che Papa Francesco e il presidente francese si sentono per telefono.
L’ultima risale al 30 ottobre dopo l'attacco terroristico alla Basilica di Nostra Signora dell'Assunzione a Nizza, nel quale morirono tre persone. Il presidente francese era stato peraltro ricevuto in Vaticano il 26 giugno 2018.

Nadia Murad: il Papa in Iraq, segno di speranza per tutte le minoranze

Alessandro Gisotti

Con il suo immenso coraggio è diventata un simbolo per il suo popolo, gli yazidi, e per tutte le donne che, nelle guerre e non solo, sono vittime di violenza. Nel 2014, Nadia Murad è stata resa schiava dagli uomini dell’ISIS che hanno sterminato o imprigionato migliaia di yazidi nel Nord dell’Iraq tra cui molti suoi familiari. Vittima di violenze indicibili, Nadia non si è lasciata vincere dal male e oggi la sua voce è quella di un Premio Nobel per la Pace che parla contro ogni forma di violenza. Nel dicembre del 2018 ha incontrato Papa Francesco al quale ha regalato il suo libro autobiografico “L’ultima ragazza”.
Una lettura, ha confidato il Pontefice ai giornalisti sul volo papale, che lo ha toccato profondamente. In questa intervista con i media vaticani, Nadia Murad parla dei frutti che si aspetta dalla visita di Francesco in Iraq e lancia un pressante appello alla comunità internazionale affinché si impegni per liberare le tante donne yazide ancora in mano ai jihadisti.

I media di tutto il mondo hanno definito storica la visita di Papa Francesco in Iraq. Secondo lei, cosa rimane nel cuore del popolo iracheno di questo viaggio?
Non solo la visita di Papa Francesco in Iraq è storica in sé, ma è arrivata anche in un momento storico per il popolo iracheno, mentre si sta riprendendo da genocidi, persecuzioni religiose e decenni di conflitti. La visita del Papa ha messo in luce il potenziale della pace e della libertà religiosa. Ha evidenziato che tutti gli iracheni - indipendentemente dalla loro fede - meritano allo stesso modo dignità e diritti umani. Sua Santità ha anche inviato un chiaro messaggio che il risanamento del tessuto interreligioso della società irachena deve iniziare con il sostegno alla cura delle minoranze, come gli yazidi, che sono stati oggetto di violenza ed emarginazione.
Parlando ai giornalisti sull'aereo, Papa Francesco ha detto che uno dei motivi per cui ha visitato l'Iraq è stata la lettura del suo libro “L'ultima ragazza”. Nel suo primo discorso, rivolto alle autorità del Paese, ha ricordato la sofferenza degli yazidi. Quanto è importante che il Papa vi offra questo sostegno?
Durante la mia udienza con Papa Francesco nel 2018, abbiamo avuto una conversazione approfondita sull'esperienza del genocidio della comunità yazida, in particolare sulla violenza subita da donne e bambini. Sono felice che la mia storia gli sia rimasta dentro e che si sia sentito chiamato a portare questo messaggio in Iraq. La sua difesa della causa degli yazidi è un esempio per gli altri leader religiosi della regione per amplificare il messaggio di tolleranza verso le minoranze religiose come gli yazidi.
Oggi lei è un premio Nobel per la Pace, un’Ambasciatrice di buona volontà delle Nazioni Unite e ha fondato un'organizzazione, la “Nadia’s Intitiative”, per aiutare le donne vittime di violenza. Dove ha trovato la forza di trasformare tutto il dolore che ha sofferto in questa forza di bene?
Tutti gli yazidi hanno dimostrato una grande forza di sopravvivenza e resilienza. L'intera comunità ha sopportato un trauma immenso. Non saremo però in grado di risollevarci e ricostruire le nostre vite da soli. La comunità ha un estremo bisogno di sostegno e di risorse. La Nadia's Initiative si sta impegnando per rafforzare la comunità nel proprio ristabilimento, fornendo un sostegno concreto e sostenibile.
L'ISIS ha perso la guerra nel 2017 ma lei ci ricorda che ci sono ancora migliaia di donne, anche giovani ragazze, in schiavitù che non sono ancora state liberate. Perché non si riesce a porre fine a questa tragedia e cosa dovrebbe fare la comunità internazionale?
Il fatto che 2.800 donne e bambini yazidi rimangano ancora dispersi, in prigionia dopo quasi sette anni, rivela la mancanza di volontà politica di proteggere i diritti umani fondamentali delle donne e la loro sicurezza. Dimostra che la violenza sessuale e la schiavitù non sono prese sul serio dalla comunità internazionale. Una task force multilaterale dovrebbe essere istituita immediatamente con l'unico scopo di localizzare e salvare queste donne e bambini.
Lei ha detto: “Voglio essere l'ultima donna sulla terra con una storia come la mia”. Cosa direbbe oggi alle tante donne che soffrono a causa della guerra e di terribili violenze?
A loro dico: “Non è colpa vostra”. I sistemi patriarcali globali sono stati pensati per soggiogarci, trarre vantaggio dalla nostra oppressione e fare la guerra sui nostri corpi. Sopravvivere e lottare per il riconoscimento di queste ingiustizie è un atto di resistenza. Vorrei anche dire: “Non siete sole”. Più di un terzo delle donne di tutto il mondo subisce violenza sessuale. Questo non significa che dobbiamo accettarla. Ci sono donne in ogni comunità che sopravvivono, si oppongono e denunciano. Quando ci uniamo per lottare per i nostri diritti, il cambiamento diventa inarrestabile.

Francesco a Ur, una settimana dopo. Senza più inimicizia

Franco Vaccari

Ur, città dei Caldei, era una 'culla di civiltà'... Sono passate due settimane da quando quel luogo, mèta di uno dei pellegrinaggi più intensi e rischiosi di papa Francesco, è apparso ai nostri occhi come un’oasi nel deserto, circondata di macerie fisiche e morali. Eppure, in quel luogo, come negli altri associati alle tappe del viaggio papale in Iraq, non c’era ombra di vittimismo né di rivincite. Il rancore e l’odio, che potevano essere protagonisti davanti a tanto lutto e distruzione, hanno lasciato il posto a un dolore acuto, drammaticamente condiviso e immediatamente dilatato agli altri luoghi della terra, segnati da persecuzione e guerra. Con questo viaggio, il martirio di tanti silenziosi testimoni è stato strappato alla coltre del silenzio con cui la 'globalizzazione dell’indifferenza' riveste le tragedie.
Il Papa ha portato fin là quella corrente calda di giustizia e di pace, che irresistibilmente si ingrossa, coinvolgendo coscienze, popoli, capi religiosi e politici. La sorgente di questa corrente è nel Vangelo stesso, ma possiamo scorgerla, già in dimensioni cresciute, in quel 27 ottobre 1986, ad Assisi, con san Paolo Giovanni II, o forse anche prima, in quell’11 aprile 1963, giorno della pubblicazione della Pacem in Terris, di san Giovanni XXIII. Quella corrente calda si è ingrossata a dispetto della risorgente, multiforme violenza, a dispetto delle parole grosse e delle allusioni taglienti che si scambiano i grandi del mondo, e che si ammanta anche di religione o si maschera nello strisciante cinismo.
Quella corrente, di ansa in ansa, è giunta al 27 marzo 2020, nella strettoia solitaria di piazza san Pietro, traversata dal passo lento del Successore di Pietro, che con voce mite e risoluta ci diceva: «Siamo tutti sulla stessa barca». Nel frattempo, si è arricchita della Fratelli tutti e ha illuminato quella solitudine! La nuova apertura è la tappa di questo ultimo pellegrinaggio di pace, sempre più scarno, con cui, 'tornando a casa' – alla casa di Abramo – ha riavviato ogni relazione interrotta, rafforzato le esistenti e tracciato – potremmo dire con Giorgio La Pira – un avanzamento della «geografia della Grazia», una «storiografia del profondo», una vera politica di pace.
Ma papa Francesco non si è limitato alla sola testimonianza, per quanto grande e luminosa, alla consolazione delle vittime, a tracciare un disegno storico che apra al futuro. Ha indicato la via concreta, possibile, perché tutto ciò si compia e non resti relegato all’utopia, dove ama confinarlo il cinismo morbido. «Da dove può cominciare il cammino della pace?», si è chiesto il Papa. E ci ha dato una risposta decisiva: «Dalla rinuncia ad avere nemici», precisando con un bisturi che sembra linguistico, ma è sostanziale: «Il male è l’inimicizia». Sì, separare 'nemico' da 'inimicizia' è decisivo.
È la rimozione dell’ostacolo primordiale, la possibilità di uscita dall’inganno che inevitabilmente portano il concetto e la cultura del nemico. «Non contro qualcuno, ma per tutti», continua Francesco e specifica ulteriormente, offrendo un indicatore per accorgersi dell’inganno: «Finché gli altri saranno un loro anziché un noi». Una prospettiva di inclusione assoluta. Il nemico infatti ci giustifica, ci fa credere che un 'altro', in carne e ossa lo sia, divenendo minaccia insuperabile che ci autorizza in qualche modo a escluderlo, ad andargli contro, a eliminarlo dalla nostra strada.
Questo messaggio limpido sul nemico smaschera il nostro inganno, per cui ci presumiamo innocenti e addossiamo sugli altri colpe e responsabilità. Ci riconduce al rischio evidente: siamo tutti 'portatori sani di nemico', diremmo con linguaggio medico, l’inimicizia incombe su ogni relazione. In questo passaggio sta, forse, il cuore di ogni pellegrinaggio di giustizia e di pace. Fondandolo sul dialogo, Francesco rivela come la giustizia sia pienezza della vita e non soltanto un criterio matematico.
Si riscopre che, praticando la relazione fondata sul dialogo, ciascuno di noi, nella irriducibile differenza, non perde l’identità, ma cresce nella propria pienezza, non abdica alla propria storia, ma la riconosce come un’identità in cammino, evolutiva e insieme inclusiva. Un criterio di autenticità è fissato: non c’è nemico, ma inimicizia: un virus globale. Davanti ai mille sogni effimeri, consumistici e frammentati, divergenti e conflittuali del nostro tempo, papa Francesco ci ha richiamati da Ur, dalla casa di Abramo, al semplice sogno umano, un sogno inclusivo, e ci ha invitati per questo ad alzare gli occhi verso le stelle, come fu l’invito di Dio ad Abramo.
Fissare lo sguardo verso le stelle significa posizionare il cuore e la mente sul punto più alto per convergere da ogni possibile differenza. Nel contempo, questo invito ad alzare gli occhi e innalzare il cuore non ci permette di distogliere lo sguardo dalla vicenda umana, dalla necessità ineludibile di guardare il prossimo, di uscire dall’indifferenza, dall’inganno del nemico, per poter restare Abele e non diventare Caino.

19 marzo 2021

Iraqi President, meeting His Beatitude Louis Raphael I Sako, underlines the need to hold dialogue and convergence, put aside differences, as well as enhancing Iraq's security and its stability

By Iraqi Presidency



 On Thursday , March 18, 2021, President of the Republic of Iraq, Barham Salih met with His Beatitude Louis Raphael I Sako
The meeting took place at al-Salam Palace in Baghdad. 
At the outset of the meeting, Cardinal Sako Patriarch of Chaldean Church expressed his gratitude and appreciation to President Salih for his efforts made to the success of the visit of His Holiness Pope Francis to Iraq, commending the government's extensive efforts that made it possible. 
He noted that the Pope visit was very important to all the Iraqi, and it was applauded and warmly welcomed by Muslims, Christians and Iraqi populations from all backgrounds. 
President Salih hailed the unrelenting quest of the Iraqi church and its tireless endeavors for succeeding the visit. The Pope's visit to Iraq was a deep message of human solidarity to Iraq that has suffered from violence and disputes, he continued, the country looks forward to moving ahead to build peace, security and stability. Iraq exerts all the efforts in the pursuit of dialogue, coexistence and human brotherhood, with focus on safeguarding all the Iraqi components, he added. 
The President emphasized how important it was to hold dialogue and convergence. A solution to unresolved issues must all be found, and all the differences must be put aside, and these must be done on the basis of the highest interest of the people, thereby guaranteeing their essential needs and enhancing security and stability, he said.

18 marzo 2021

Cardinal and Imam talk about Pope Francis's visit with Al-Sistani

By Vatican News
Sr Bernadette Mary Reis, fsp
March 17, 2021

On Wednesday, Cardinal Wilton Gregory, Archbishop of Washington, D.C., and Imam Sayyid M. B. Kashmiri, Representative of Ayatollah Al-Sistani in the U.S., discussed Pope Francis's historic visit with Ayatollah Al-Sistani.
That visit took place on 6 March, the second day of Pope Francis's three-day 'pilgrimage' to Iraq.
The online discussion was hosted by the Archdiocese of Washington and moderated by Tamara Sonn, Hamad Bin Khalifa Al-Thani Professor in the History of Islam and Director of the Alwaleed Center for Muslim-Christian Understanding at the Edmund A. Walsh School of Foreign Service at Georgetown University. She introduced the event characterizing the meeting between Pope Francis and the Ayatollah as "a first, but not the last, the beginning of a process." Pope Francis's journey to Iraq
Regarding the importance of the Pope’s journey to Iraq, Cardinal Gregory emphasized the strong desire Pope Francis expressed to be near Iraq’s Christians and to “those who have suffered”. Going to visit them was a tangible way of communicating that "the suffering they have endured matters", the Cardinal said.
Imam Kashmiri characterized Pope Francis’s visit as “not only in support of peace but it was also a challenge to terrorism.” This is the aspect that has brought hope to Iraqis regardless of the minority they may belong to. The Imam also said Al-Sistani’s perspective is that it is “important to keep minorities alive in Iraq” because all of these minorities contributed to the constructing the number of civilizations that have been present in Iraq over the millennia. Thus, the Iraqi’s “deserve such holy visits”, he said.

Pope's with Al-Sistani: a model
In a country such as Iraq "ravaged by conflict and war for many years”, Cardinal Gregory believes Pope Francis is tangibly demonstrating the type of dialogue he has been promoting for a long time. "Pope Francis went to visit Al-Sistani to create a relationship of dialogue and respect," the Cardinal said. Therefore, he continued, others who want to embrace this model can look to the example of the Pope and Al-Sistani engaging in healthy dialogue. The fact that "these two religious leaders with so much at stake" could meet face to face, shows that overcoming fears of the other can be done and is worthy of imitation, Cardinal Gregory noted.
Picking up on that thought, Imam Kashmiri called their meeting "an inspiration to everyone". He said it "will put a lot of responsibility on other religious scholars in the world." This meeting, he continued is a clarion call for "collaboration and cooperation between scholars in different parts of the world. The ball is in our court right now" to "put pressure on various governments in the world who can create the change needed to bring peace to people who are suffering," and to right injustices, the Imam stated.
Summing up this topic, Cardinal Gregory said the Pope and the Ayatollah "have raised the bar considerably in our religious traditions. We cannot abandon this opportunity to advance fraternity and collaboration. This will enrich and improve the faith experience of both communities."

Catholic and Muslim relations in the U.S.
This brought the discussion to the domestic level. Imam Kashmiri stated that Christianity and Islam "share some commonalities." Working together on the basis of these commonalities, he said, "can be utilized in a way to model collaboration to members of other faiths." A specific example he then gave for the U.S. context is working together to "promote family, religious and human values and the future of our young people."
With this concrete demonstration from the Pope and the Ayatollah that "people from different religious traditions can work together in dialogue and mutual respect", Cardinal Gregory suggested that Catholics and Muslims collaborate in the area of "works of charity." "Both religions place an emphasis on charitable work. This is where collaboration and dialogue can focus," he said.

Analysis- Theo-politics of Pope’s visit to Iraq

Prof. Dr. Ozcan Hidir

Istanbul
The author is a faculty member at Istanbul Sabahattin Zaim University. He specializes in hadith studies, the relationship between Jewish and Christian cultures, inter-religious and intercultural interactions, Orientalism-Occidentalism, theopolitics, anti-Islamism (cultural racism), and Islam and Muslims in Europe and the West.

ISTANBUL
Pope Francis, the new Jesuit-origin leader of the Papacy, an institution with two thousand years of theopolitical history, visited Iraq as his first visit outside of Italy since the start of the COVID-19 pandemic. The tour, which seems to have been planned with the Papacy’s experience and consciousness going back two millennia, came to the fore with the announcement that the Pope had accepted the invitation sent by the Catholic community in Iraq in 2019 and that the visit would take place in 2020. As a result, for the first time in history, a Pope paid a visit to Iraq, where an estimated 250 thousand Christians live. As will be remembered, in 1999, the then Pope John Paul II wanted to visit Iraq, but Saddam Hussein did not allow it. The previous Pope, Benedict XVI, also wanted to plan a visit there, but he could not go, either.
Although it may be considered unnecessary to overplay the Pope’s visit by reading too much into it, when it comes to a two-thousand-year-old theopolitical institution, it is important to examine every detail of it from different angles, since both the scope of the visit and several symbolic statements made by the Pope drew attention (for example, he said “Assalamu Alaikum” when he first arrived, and later in his speech in Baghdad he remarked, “I come as a pilgrim of peace”). 
Apart from his meetings with state officials, he visited Najaf, the holy city of Iraqi-Arab Shi’ism, and met with Grand Ayatollah Ali al-Husayni al-Sistani (which was the first time a senior Ayatollah met with the Pope), and in the ancient city of Ur, where Prophet Abraham was born, he listened to a Quranic recitation and prayed with the representatives of the Muslim and Jewish communities, held a mass in the Assyrian and Chaldean cathedral-churches and met with opinion leaders, with representatives of the Kurdish administration in the Four Churches Square in Mosul (Nineveh) and in Erbil, and held masses at the Franso Hariri Stadium, which can be stated as theopolitical symbolic messages. To the journalists on board the papal plane, Pope Francis stressed the significance of the tour and the symbols associated with it by saying, “This is a symbolic visit, a mission; Iraq has long been a country of martyrs and victims.”
On the occasion of the meeting of the Pope and Sistani, and members of different religions in Ur also coming together by this opportunity, Iraqi Prime Minister Mustafa al-Kadhimi’s announcement that March 6 would henceforth be celebrated as a “National Day of Tolerance and Coexistence” in Iraq, which came as a remarkable aspect of the visit.

Religious or political?
It was also discussed on account of this visit whether the Pope’s visit to Iraq, and all his international visits in general, were made with his religious identity, political identity, or both political and religious (i.e., theopolitical) identities. As it is known, the Pope, as the successor of Apostle Peter, is regarded as God’s “deputy on earth.” As a consequence, the Pope’s true identity is religious, or theopolitical, and the public opinion is in that direction. As the head of state of the Vatican, he also has a secular position. What kind of identity/identities popes assume for their foreign visits, such as Pope Francis’ visit to Iraq, is also up for discussion. Because he has, so to speak, a “hybrid” identity, it is reasonable to assume that he made these visits with both identities (which may seem paradoxical), and that this is how the world perceives him; his religious or theopolitical position is nevertheless more prominent.

Mosul-Nineveh and Ur visits and Iraqi Sunnis
The ancient township of Nineveh, whose history dates back to 700 BC, and the city of Ur, which is considered to be the birthplace of Prophet Abraham, were two of the most important stops on the Pope’s visit to Iraq. Nineveh is also known as the city of Prophet Jonah (in whose name there is a surah in the Qur’an, and one of the books of the Old Testament is also named after him). The tomb of Prophet Jonah in Nineveh, as well as the town itself, was destroyed by Daesh when it invaded Mosul.
Despite the fact that many mosques in the area were also destroyed, Pope Francis brought up only the churches destroyed by Daesh in Mosul-Nineveh and prayed for war and armed conflict victims in the Hosh al-Bieaa Square in Qaraqosh (Al-Hamdaniya) district, also known as the “capital of Iraqi Christians.” Nobody talks about the suffering of Iraqi Sunnis, either in Mosul, the Sunni heartland, or in other parts of the country; the Pope didn’t even mention it. He could have made a symbolic gesture of goodwill by meeting with an Iraqi Sunni religious leader as well. Furthermore, the Pope’s remarks about “living in fraternity” and “no one should be killed” inevitably prompt us to ask a crucial question: who, in the first place, turned Syria, and especially Iraq, into the war-torn ruins that they are now, killing hundreds of thousands of Muslims?

Papacy, Iraqi Shi’ism and Iran
Although this is a debatable point, it can be said that, of all Muslim groups, Shi’ism, with its institutional and doctrinal structure, is most comparable to the Vatican-Papacy. One of the most striking pictures of the 84-year-old Pope’s visit to Iraq was his meeting with the 91-year-old Sistani --the leader of Arab Shiites, whose theological/theopolitical aspect is more prominent-- at the home of the latter -- and without even paying attention to wearing a mask or maintaining social distance. Although Sistani is of Iranian-Persian origin, he has differences of opinion with Grand Ayatollah Ali Khamenei and the city of Qom, the learning center of the Twelver Shia. The Pope’s meeting with Sistani has political/theopolitical significance with regard to Iran and Khamenei. We may also question whether the US was involved in the planning of this visit, since it seems only reasonable to assume that the US would be more than happy to foster ethno-sectarian rivalry among Shi’ites and would therefore not want Khamenei to establish authority over all Shi’ites. To that end, the schism among Shi’ites -- Sistani/Iraqi Shi’ites vs. Khamenei/Iranian Shi’ites -- may deepen, which would actually serve Israel’s interests. The rivalry between Qom and Najaf, as well as between Persian and Arab Shi’ism is well-known and has always existed in the background. In this context, it is also noteworthy that, during the Pope’s visit, a banner reading “You are part of us, we are part of you” was unfurled by a group of Christians, referring to Sistani, who has a well-known general attitude regarding the protection and security of Iraqi Christians.
On the other hand, while there is as yet no official response from Iran regarding these talks and messages, it seems that these messages did not sit well with the pro-Iranian Shi’ites in the country. Abu Ali al-Askari, a senior Iraqi Kataib Hezbollah commander, said on Twitter, “We should not be optimistic about the Pope’s visit and him making our homes calm and peaceful”. Iranian analyst Dr. Hossein Ruywaran also described the visit as political, not religious.

The “patron of Middle Eastern Christians”: Pope
One of the main messages of the symbolic rituals and church visits during Pope’s visit can be considered a reminder of the Christian past in these lands, as well as the Pope’s position as “guardian” of the Christian minorities in the region. As a matter of fact, the Pope brought up, at every opportunity, the difficulties faced by Christian minorities in the country and region, especially during his 50-minute meeting with Sistani. Sistani, on the other hand, emphasized the constitutional rights of the Christian minorities in the country and their right to live in peace and security like other Iraqi citizens. In fact, it is known that many Christians were settled in Shi’ite areas along the Najaf-Karbala road with Sistani’s approval.
Although there were nearly one and a half million Christians in Iraq 20 years ago, the number is now estimated to be about 250 thousand. These Christians come from diverse racial and denominational backgrounds. In addition to the small number of Catholic communities, there are also Chaldeans who are close to the Papacy in terms of administration. There are Orthodox and Catholic Syriacs, Armenians, and a small number of Protestant-Evangelical groups as well. With this visit, the Pope also gave the message that he is the protector of all these Christians. Naturally, this can be interpreted as a “Catholicization mission/call”, the implicit message being, “Come under the umbrella/patronage of the Vatican and the Papacy”, because the Vatican’s/Pope’s “interfaith dialogue” project actually aims at Christianizing non-Christians and Catholicizing non-Catholics. In this sense, the Pope’s visit to Najaf can actually be seen as a visit to al-Hirah, which is nearby. Al-Hirah, the capital of the Lakhmids, one of the ancient Christian peoples of the region, was instrumental in the revival of Christian cities and regions in the Middle East. Besides, in Christian theology, the Middle East, including Anatolia, is actually considered to be a sacred Christian land.
On the other hand, the Pope’s visit to Iraq could be interpreted as a message against the activities, based on an orientalist-humanist background, aimed at reviving Zoroastrianism, especially among Northern Iraqi Kurds. Numerous articles and analyses have been published about how the efforts to this end have ratcheted up in recent years. As a matter of fact, one of the messages delivered by Pope Francis during his Sunday service in a stadium in Erbil was addressed to this particular issue.

Pope’s UAE visit of 2019 and 'new theopolitical line'
We should also establish a link between the Pope-Sistani meeting and the Pope’s talks with al-Azhar Sheikh Ahmed al-Tayeb --both during his 2017 visit to Egypt and the highly symbolic and theopolitical three-day visit to the United Arab Emirates (UAE) in 2019. In this context, the Pope met with Ahmet al-Tayeb, who he believes represents al-Azhar and Sunnis on the one hand, and Sistani, whom he highlighted as “the leader of Shi’ites”, on the other.
As will be remembered, the Pope’s visit to the UAE also drew attention as it was the first papal visit to the Gulf, the Arabian Peninsula, and it was emphasized in terms of the UAE’s likely future theopolitical position in the Middle East. During the visit, al-Azhar Sheikh Ahmed al-Tayeb greeted the Pope by hugging him at the airport and stayed by his side almost the entire time. Together, they signed the UAE-based “Muslim Government Council” and “Human Brotherhood” memorandum, and attended the “interfaith dialogue” meeting at the Sheikh Zayed mosque, attended by nearly 700 religious leaders. Following that, over 120 thousand Christians attended the mass held by the Pope at the Zayed Stadium.
Last October, the Pope released a new declaration entitled “Fratelli Tutti (All Brothers)” -- a call to universal fraternity and social unity -- in which he addressed all humanity. Therefore, his two meetings with the al-Azhar Sheikh in Egypt and in the UAE, and the one with Sistani during his latest visit to Iraq should be interpreted in light of this document/call. As a result, the Pope strengthened his relationship with the Islamic world, including both the Sunni and the Arab-Shiite wings. This can also be interpreted as a new “theopolitical line/alliance” addressed to the Islamic world, but one that excludes the Qatar-based World Union of Muslim Scholars (Yusuf al-Qaradawi, Ahmad al-Raysuni) as well as Iranian Shi’ism and Khamenei. We can also include within this line the Saudi Arabia-based World Islamic Union (Rabita) and Muhammed bin Abdul Karim Issa, who has previously met with the Pope and Vatican officials several times.

Abraham Accords and alliance of Semitic nations
It's possible to draw a connection between the “Abraham Accords” process, which started under former US President Donald Trump’s leadership, and the Pope’s visit to Iraq. Muslim countries such as the UAE, Bahrain, Morocco and Sudan have taken a so-called “normalization” step towards Israel. The Pope’s visit to Iraq may also be interpreted as a follow-up to the Abraham Accords. Indeed, the Abraham Accords can be viewed as a continuation of a merely “dialogue project,” which is nothing more than an orientalist take on “Abrahamic religions.” Thus, the Pope’s visit to the city of Ur, the birthplace of Prophet Abraham, and his emphasis on Prophet Abraham should be underlined in this respect. Pope Francis gave a message, saying “Unity, togetherness and faith began from Ur. We are descendants of Abraham”. The importance of Prophet Abraham was emphasized in the agreements between Israel and Arab countries, which were interspersed with references to an “alliance of Semitic nations”, referring to the shared Semitic heritage of Arabs and Jews. However, it is well-known that Arabs and Muslims, especially Prophet Muhammad, have been insulted in Jewish-Christian literature throughout history, and this is done in part by referring to them as “Ishmaelites-Hagarenes” (i.e., children of slaves/concubines).
All of this may point to a possible alliance between the Vatican and Israel aimed at a common approach to the greater Middle East; it is understood that they recently agreed to end their animosity.

The “Catholic” Biden influence
The role of Joe Biden, the new Catholic president of the United States, in this potential alliance and the Pope’s visit to Iraq amid the pandemic has not gone unquestioned, either. Biden, who is proud of being a member of the American model of the Roman Catholic Church, is the second Catholic president of the United States after John F. Kennedy. This brings to mind Biden’s desire to create a theopolitical line in the Islamic world under the leadership of the Pope-Vatican/Catholicism. As a matter of fact, during his visit, the Pope did not say a word about the invaders in Iraq, first and foremost the US, which together have ruined the country and should leave it once and for all.
Essentially, this theopolitical line, which we believe was initiated by the Pope long before the visit, was merely continued with his visit to Iraq as leader of the Catholic world only a few months after Catholic President Biden took office in the White House. The region will soon see the repercussions of this.

A theopolitical bloc against the Russian Orthodox Church?
On the other hand, this visit of the Pope to Iraq as the “patron of Christians” can also be interpreted as the Papacy’s rivalry/bloc against the influence of the Russian Orthodox Church, which has been especially strong in Syria. This rivalry was closely followed in different regions, especially in Ukraine, and a rivalry formed between the Russian Orthodox Church and the pro-Western churches, particularly the Vatican. It is no secret that Russia wants to reinforce the “ecumenical” influence of the Russian Orthodox Church. There is even no shortage of statements in which Putin, the head of the Russian Church, is referred to as a “Mahdi-Messiah” or “the Tsar and the Saint” charged with preparing Russia for Doomsday, the apocalyptic reckoning, or the great end. There are also books published with such titles as “The Apocalyptics of Vladimir Putin.”
These theopolitical policies, whose most recent repercussions we have been witnessing in Syria, represent the Russian Orthodox Church’s desire to become the new leader and patron of all Eastern Christians. In this regard, Pope’s visit to Iraq could be interpreted as an attempt by the West, especially the United States, to curb the Russian Church’s theopolitical sphere of influence in Iraq-Syria and the Middle East.

What is the message of the visit for Turkey?
The Pope’s visit to Iraq can also be said to contain subtle messages for Turkey. In fact, the Pope’s highly symbolic statements and talks during his visit can be assessed as a message to Turkey, implying overall that they definitely do not desire to see the region being shaped by a powerful Sunni country like Turkey. Indeed, Sunnis and Sunnism in Iraq were besieged from all sides up until a few years ago; now it is even worse: they have been on the verge of being completely eliminated or neutralized for quite some time.
Another symbolic meeting the Pope had in this regard was with members of the terrorist Hashd al-Shaabi, which was established with Sistani's fatwa and has been collaborating with PKK terrorists in Sinjar, as it turned out. Moreover, it was reported in several news outlets covering the Pope’s visit that he gave his own rosary beads to Rayan Salim al-Kildani, the leader of the Babylon Brigade, a Christian militia founded in 2014 as part of Hashd al-Shaabi; the same Hashd al-Shaabi that has been hurling threats at Turkey for some time. During the meeting between the Pope and Sistani, the head of a Hashd al-Shaabi subunit even made a comment along the lines of purchasing an air defense system from the United States in order to defend themselves against Turkey.
It seems that there are both visible and subtle aspects and ramifications of the Pope’s visit to Iraq. Therefore, theopolitical ramifications of the visit in the area, especially in Iraq, will become clearer as the Biden administration takes concrete steps toward the region. We’ll have to wait and see.

Translated from Turkish by Baran Burgaz Ayaz

* Opinions expressed in this article are the author’s own and do not necessarily reflect the editorial policy of Anadolu Agency.