"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

25 dicembre 2009

Buon Natale e Buon Anno Nuovo

Edo Bri'cho o Rish d'Shato Brich'to

عيد ميلاد سعيد وسنة ميلادية مباركة

Happy Christmas and Happy New Year

Feliz Navidad y Feliz Año Nuevo

Feliz Natal e Feliz Ano Novo

Joyeux Noël et Bonne Année

Fröhliche Weihnachten und Gutes Neues Jahr

God Jul och Gott Nytt År

By Baghdadhope*

24 dicembre 2009

Paura, ma anche piccoli segni di speranza in una chiesa di Baghdad

By Baghdadhope*

Le minacce alle chiese di Baghdad riferite al Sir da Mons. Warduni sono state confermate a Baghdadhope da Padre Douglas Al Bazi, parroco della chiesa di Mar Eliya che ha parlato di "molte lettere arrivate alle chiese con le quali sono preannunciati attacchi durante le feste di Natale". "Il livello di sicurezza" ha spiegato Padre Al Bazi "è piuttosto alto. Le truppe del governo presidiano le chiese ed hanno chiuso tutte le strade di accesso ad esse. In più per ogni area della città è stato nominato un responsabile della sicurezza che, in caso di attacchi, pagherà di persona, con la prigione, il mancato funzionamento del sistema."
Che Natale sarà?
"Tra tutti gli aggettivi direi che deprimente è quello giusto.I vertici della chiesa hanno invitato i cristiani a tenere un basso profilo, a moderare le celebrazioni. Non ci sono solo le lettere di minacce ma anche la concomitanza delle festività natalizie con la commemorazione da parte degli sciiti del martirio dell'Imam Hussein * Commemorazione che "spegne" la città e contribuisce al senso di depressione. Le luci sono spente, i negozi quasi tutti chiusi, il clima di paura tra i cristiani generalizzato"
La sua chiesa condivide un muro con una moschea sciita. Ciò crea problemi particolari?
"No. Direi di no. Gli sciiti nostri vicini certamente stanno vivendo un periodo luttuoso in rispetto della loro tradizione ma tra noi non ci sono problemi. Addirittura da un paio di giorni gli altoparlanti della moschea che per tutto il giorno diffondono i richiami e le preghiere e che sono rivolti verso la chiesa sono chiusi. Non saprei dire se per un guasto o per volontà ma certamente il mio sonno ne sta traendo beneficio."
La sua chiesa era tra le più grandi di Baghdad prima della grande fuga che ha coinvolto la comunità cristiana. Qual'è la situazione ora?
"In passato la chiesa di Mar Eliya contava 2500 famiglie. Da poco tempo ho fatto una sorta di conta di quelle rimaste: 250. Ci sono anche un centinaio di famiglie di cui non si sa più nulla. Ammettendo che siano rimaste a Baghdad ma che per motivi diversi non vengano più in chiesa arriveremmo a circa 350/400 famiglie. Niente rispetto a prima. E si deve considerare che la chiesa di Mar Eliya può ancora contare su una buona percentuale di giovani, che la scuola al suo interno la rende una chiesa "viva" per la presenza dei bambini, degli insegnanti e del personale ad essa collegato. Ci sono parrocchie, invece, dove ci sono solo gli anziani ed i poverissimi che non sono riusciti a fuggire. Situazioni davvero tristi."
Padre Al Bazi, le sue parole non lasciano speranza...
"E' difficile trovare la speranza. Ci sono state volte, in passato, che ho provato paura. E per paura intendo il timore della morte cui sono stato più volte vicino. Ora, invece, mi definisco terrorizzato perchè vedo chiaro il tentativo di far scomparire la cristianità dall'Iraq. Non si tratta della scomparsa o della morte di un singolo individuo ma di un'intera comunità. La speranza si sta davvero esaurendo ma siamo forti ed a volte la troviamo in piccoli segni. Ieri, per esempio, abbiamo celebrato l'imminente Natale con i bambini dell'asilo e nei giorni scorsi in ogni classe abbiamo fatto un appello per raccogliere del denaro da destinare alle Suore di Madre Teresa di Calcutta che si occupano di bambini disabili. Il piccolo segno è stata la risposta dei bambini e delle loro famiglie. Abbiamo raccolto più di quanto ci aspettassimo. La prova che nonostante tutto il desiderio è ancora quello di costruire il futuro."
Padre Al Bazi, nella scuola di Mar Eliya la maggioranza dei bambini è musulmana. Anche loro hanno partecipato alla colletta in favore delle suore?
"Certo. E le famiglie musulmane hanno dato di più in paragone a quelle cristiane"
Sono famiglie con maggiore disponibilità economica?
"Sono famiglie che sanno, e qualcuno me lo ha anche scritto, che quei soldi saranno davvero destinati alle suore e che esse ne faranno un buon uso a favore dei poveri bambini disabili di cui si prendono cura."
Allora la speranza c'è...
"La speranza è nel singolo. Ciò che ci abbatte, che ci deprime è il pensare a tutte le famiglie cristiane che sono fuggite e che possono rappresentare, se la situazione non cambierà, il primo stadio della fuga totale dal nostro paese."

* L'Imam Hussein, nipote di Maometto, fu ucciso a Kerbala dalle truppe inviate dal califfo ommayade Yazid I. Nota di Baghdadhope

Fear, but little signs of hope in a church of Baghdad

By Baghdadhope*

The threats against churches in Baghdad reported to SIR by Msgr. Warduni were confirmed to Baghdadhope by Father Douglas Al Bazi, parish priest of the church of Mar Eliya, who spoke of "many letters to the churches announcing attacks during Christmas celebrations. The level of security," explained Father Al Bazi "is quite high. The government troops are guarding the churches and closed all the roads leading to them. In addition to this the government appointed for every area of the city a Security Officer who, in case of attack in his area of responsibility, will pay in person, by imprisonment, the failure of the system."
What kind of Christmas will it be?
"Among all the adjectives I would say that depressing is the right one. Church leaders have called on Christians to keep a low profile, to moderate the celebrations. There are not only the letters of threats but also the concomitance of Christmas with the commemoration by the Shiites of the martyrdom of Imam Hussein * that stifle the city and contributes to create a sense of depression. The lights are switched off, almost all shops are closed, the climate of fear among Christians generalized "
Your church shares a wall with a Shiite mosque. Does this fact create particular problems?
"No. Not really. Our Shiite neighbors are experiencing a period of mourning in obedience to their tradition but there are no problems between us. Even since a couple of days ago the loudspeakers of the mosque that broadcast all day long the calls to prayers and that are orientated towards the church have been switched off. I don't know if thanks to a failure or to a will, but certainly my sleep is benefiting from this."
Your church was among the biggest in Baghdad before the great flight that involved the Christian community. What is the situation now?
"In the past the church of Mar Eliya counted 2500 families. Recently I made a count of the remaining ones: 250. There is about a hundred families we know nothing of. Admitting that they are still in Baghdad but that for different reasons they are no longer coming to the church we will count 350/400 families. Nothing compared to the past. And you must consider that the church of Mar Eliya can still count on a good percentage of young people, that the school makes the church "alive" for the presence of the children, the teachers and the staff working for it. There are parishes, instead, where as faithful there are only the elderly and the poor who have been unable to escape. A sad situation, indeed."
Father Al Bazi, your words leave no hope ...
"It hard to find hope. In the past I felt afraid, meaning feeling the fear of death to which I have been close several times. Now I say I am scared because I clearly see the attempt to make Christianity disappear from Iraq. It is not the disappearance or the death of an individual but of an entire community. Hope it's running out but we are strong and sometimes we find it in small signs. Yesterday, for example, we celebrated the upcoming Christmas with the children of the nursery school and in recent days we raised money among pupils' families for the Sisters of Mother Teresa of Calcutta who take care of disabled children. The little sign was the response of the children and their families. We collected more money than we expected. The proof that despite all the desire is still to build the future."
Father Al Bazi, in the School of Mar Eliya the majority of children are Muslim. Did they gave money for the nuns too?
"Sure. And the Muslim families gave more money than the Christian ones"
Maybe they have more money...?
"They are families who know, and someone wrote it to me, that the money will really go to the sisters who will make a good use in behalf of the poor disabled children they care of."
Then there is hope ...
"Hope is in the individual. What dishearten us, that gets us down, is to think to all Christian families who fled and who could be, if the situation does not change, the first stage of our total disappearance from our country."

* The Imam Hussein, grandson of the Prophet Muhammad, was killed in Karbala by the troops sent by the Umayyad Caliph Yazid I. Note by Baghdadhope

Il Natale difficile dei cristiani iracheni

Fonte: Limes

di Luca Attanasio

La situazione dei cristiani d'Iraq, duramente perseguitati dalla caduta di Saddam e in cerca di una legittimazione etnica come quella concessa a curdi, sunniti, sciiti, yazidi, turcomanni e armeni. La "Second Popular Conference of the Chaldean Syrian Assyrian Popular Council" e la mancanza di unità di intenti.
Come a rafforzare il concetto di primigenio radicamento e conseguente pieno diritto ad abitare questa terra, alcuni cristiani caldei d’Iraq sostengono che gli artefici del primo, importante esperimento di melting pot, inevitabilmente foriero di problemi geopolitici, siano stati proprio gli Assiro-Caldei, antichi abitanti dell’Iraq, quando deportarono a Babilonia in massa gli ebrei (597-587 a.C), costringendoli all’esilio e all’assimilazione di usi e tradizioni religiose, ma anche favorendo contaminazioni in entrambe le direzioni. La questione investe i campi teologico, spirituale, storico, archeologico e, ovviamente, non la si vuole affrontare in questa sede.Di certo vi è che fede, identità, geografia e politica si avvolgono inestricabilmente in Iraq e la questione dell’appartenenza a un popolo diventa terribilmente complessa. Nel caso dei cristiani, in cerca di una legittimazione etnica come quelle concesse a Curdi, Sunniti, Sciiti, Yazidi, Turcomanni e Armeni, ma anche territoriale, la situazione, se possibile, si aggroviglia ulteriormente.Con il regime di Saddam Hussein i cristiani avevano imparato a convivere, protetti anche dalla pesante presenza di Tareq Aziz, cristiano caldeo, al governo. L’arrivo degli americani a Baghdad e la fine della dittatura sono coincisi con l’inizio di un incubo per i seguaci di Gesù, piombati nel baratro della persecuzione. Eserciti locali o bande al libro paga di gruppi sunniti o sciiti imperversano, come è noto, su tutto il territorio iracheno. Molti di questi rivolgono la propria criminale attenzione in special modo ai cristiani. Dal 1 agosto 2004, - prima bomba anti-cristiana contro la chiesa di Sant’Elia a Baghdad - al novembre scorso - uccisione del sedicenne armeno Rami Khatchik e distruzione della chiesa di Sant’Efraim a Mosul - una serie micidiale di attentati si sono succeduti in molte città e villaggi, portando il computo dei morti a oltre i 1.200, per tacere dei feriti, i rapimenti, gli allontanamenti forzati, estorsioni e minacce di ogni tipo. La fuga disperata dei fedeli delle varie denominazioni, Caldei (cattolici), Assiri, Siriaci, verso paesi limitrofi, europei o nord-americani così come verso il Kurdistan iracheno, non vede soluzione di continuità e ha portato l’intera comunità cristiana, prima della caduta del regime composta da 1,2 milioni di fedeli, a ridursi ora a circa 450.000/500.000 presenze. La questione di un’entità cristiana, quindi, di un “safe heaven” da creare nel paese, da attuale si fa scottante.
Per concentrarsi sull’elaborazione di un piano condiviso a questo riguardo, un gruppo di attivisti cristiani ha convocato la “Second Popular Conference of the Chaldean Syrian Assyrian Popular Council”. L’apertura dei lavori è fissata per il 4 dicembre 2009. La sala affittata alla periferia di Erbil, capitale della semi-autonomia curda, è gremita all’inverosimile. In prima fila, su comodi divani, il governatore della Regione di Erbil, varie autorità e Stephen Barnaby dell’ambasciata americana a Baghdad, responsabile per il Kurdistan del Reconstruction Team e Funzionario Provinciale in Iraq. Dietro, un migliaio di congressisti alcuni dei quali, un buon 10%, in rappresentanza delle varie comunità della diaspora.Prima di aprire il dibattito si fa silenzio per vari minuti, in memoria dei cristiani martiri degli ultimi 5 anni e di tutti i secoli precedenti. Poi, ad uno ad uno, salgono sul palco i relatori. Ma con sorpresa apprendo dal mio traduttore dalla lingua Surèth, una derivazione dell’Aramaico, l’idioma di Gesù, parlata nel culto così come normalmente tra cristiani, che il primo punto all’ordine del giorno non è la costituzione di un mini-Stato cristiano in Iraq. Prima di affrontarlo, bisogna risolvere un problema tanto spinoso quanto esplicativo della complessità anche interna dei cristiani: perché il loro gruppo etnico-religioso possa ottenere un riconoscimento pieno, ha bisogno, naturalmente, di un nome. Ma sulla scelta della denominazione non c’è uniformità.Caldei, la confessione maggioritaria, non va bene perché gli Assiri e i Siri, detentori di antichissime tradizioni e presenze in Iraq, non si sentirebbero rappresentati. Assiri, la comunità più radicata e vecchia, neanche, perché il gruppo che ha la maggioranza, non verrebbe menzionato. Ma il Consiglio si oppone fortemente anche alla dicitura già presente nella bozza della Costituzione irachena che recita Caldeo-Assiri, perché verrebbero ignorati i Siri, mentre il trattino evocherebbe divisione. La mozione finale approvata, quindi, è per l’acronimo CSA, che sta per Caldhean Syriac Assyrian, senza trattini e in ordine di percentuale presente sul suolo iracheno. La proposta verrà presentata al governo centrale, nella speranza di sostituire Chaldean-Assyrian. L’autorità regionale curda, invece, ha già mostrato completa accondiscendenza. Il rapporto tra cristiani e Kurdistan iracheno, in grande crescita, merita un approfondimento.
Da quando si sono scatenate le persecuzioni settarie in Iraq, i seguaci di Gesù che non optano per la fuga all’estero, guardano con sempre maggiore interesse alla semiautonomia: una regione pacifica de facto, in cui da anni è in atto una ripresa economica straordinaria, con un islam decisamente secolarizzato (non si vedono veli, il consumo di alcool è diffuso ben oltre le comunità cristiane o non islamiche, non vi sono episodi significativi di integralismo). Se si eccettua Israele, si può senza dubbio affermare che il Kurdistan iracheno rappresenti la zona di maggiore sviluppo di tutto il Medio Oriente. Nel giro di quattro anni, la presenza dei cristiani a Erbil che fuggono da Baghdad, da Bassora, e, soprattutto, da Mosul, è passata da 8.000 a oltre 35.000. Ma curdo - non nel senso etnico ma meramente politico - è anche l’ex ministro delle Finanze dell’autorità regionale, Sarkis Aghajan, assiro di nascita e fede, e grande finanziatore della causa dei cristiani iracheni. È lui che lavora al cosiddetto progetto “Piana di Ninive”, il secondo, delicato punto all’ordine del giorno della Conferenza.La sua idea e quella della Popular Conference, è di creare una striscia cristiana nelle disputed areas a ridosso di Mosul, al confine tra Iraq e Kurdistan. Una specie di terra di nessuno, ma rivendicata da molti, dove i cristiani sono maggioranza da secoli. Il progetto presenta numerose complessità e altrettante opposizioni.La zona della possibile enclave, come detto, è al limite tra la semiautonomia curda e il governo centrale. Il Kurdistan, nella prospettiva di allargare il proprio territorio annettendosi la parte di striscia in area irachena, e di aumentare popolazione e influenza, attende a braccia aperte (e finanzia) la realizzazione del progetto, oltre che ostentare inclusività e tolleranza. “Per secoli noi curdi siamo stati discriminati e massacrati. - mi spiega il presidente del parlamento, Kemal Kerkuki - Ora, finalmente, possiamo autogovernarci e godere di pace e stabilità. Essendo passati per umiliazioni e stragi, capiamo cosa significhi essere una minoranza e applichiamo a ogni gruppo etnico i principi che chiedevamo per noi. I cristiani, da noi, sono più che benvenuti. Nella nostra bozza di costituzione, che dopo le elezioni di gennaio sarà ratificata, c’è un articolo che dichiara la possibilità che si auto-amministrino ovunque siano in maggioranza. Ora sta a loro dirci dove vogliano costituire le loro mini-autonomie e come desiderino essere chiamati”.
Sciiti e sunniti, autori in gran parte degli eccidi dei cristiani proprio in quella zona, si oppongono, anche a suon di attentati, a una qualsivoglia autonomia cristiana in Iraq. Ma anche tra i cristiani manca unità di intenti. I due partiti cristiani presenti nel parlamento centrale, ad esempio, guardano all’enclave con un sentimento tra l’indifferenza e l’obiezione, mentre le gerarchie ecclesiastiche, che parlano di ghettizzazione dei cristiani chiamati a vivere in mezzo a tutti in Iraq, esibiscono una certa freddezza.Ma a complicare il quadro della “Piana di Ninive”, si inserisce un’altra persecuzione in atto dal 2003 a oggi che eguaglia per efferatezza e computo dei morti lo sterminio dei cristiani, quella contro le minoranze degli Yazidi e gli Shabaki, in quella zona concentrate da secoli. Sincretici i primi e considerati dai musulmani, ma anche da alcuni cristiani, adoratori del diavolo data la loro simbologia semi-pagana, vengono perseguitati da anni (sono circa 500.000) da islamici integralisti per motivi fanatico-politici. Ma anche i curdi esercitano verso questa minoranza pressioni e intimidazioni molto gravi per ragioni politiche e territoriali. I morti appartenenti a questa comunità negli ultimi sei anni sono oltre i 500.Ai secondi va addirittura peggio. Gli Shabaki, con una presenza stimata tra i 200.000 e 300.000, sono tutti musulmani, al 70% sciiti e al 30% sunniti. Per questo motivo, vengono perseguitati da entrambi i gruppi in maniera molto dura. I morti di questa comunità etnico-religiosa, dal 2003, hanno superato la cifra di 750. Va segnalata anche nei loro confronti una serie di significative intimidazioni a opera dei curdi iracheni. La persecuzione di questi due significativi gruppi, a differenza di quella verso i cristiani, passa assolutamente inosservata.“Il nostro non sarà uno stato confessionale, un Cristianistan - afferma Aziz Al Zebari, il portavoce del Popular Council - ma un’entità capace di accogliere chiunque voglia vivere al suo interno pacificamente”.
Chissà se il New Iraq, le troverà un posto..

23 dicembre 2009

Mgr. Warduni (Baghdad) "Christian churches threatened. Fear for Christian masses"

Source: SIR

“Several churches in Baghdad have been threatened by terrorists. They want to scare Christians just before Christmas”.
On the day that in Mosul two churches have been hit, with three people dead, two Muslins and one Chaldean, mgr. Shlemon Warduni, patriarchal vicar of Baghdad, reports to SIR: “one of the threatened churches is mine, Saint Mary’s. Unfortunately, from this point of view, the forthcoming Christmas will be one of the worst in the last few years. The climate of fear among the devotees is palpable, the news coming from Mosul today are only making it worse. However, we must not despair, we are planning to strengthen the security measures that are already in place in front of the churches, concrete blocks, especially against car bombs. But there’s still a fear of kamikazes”. “For prudential reasons, the Christmas Masses have been put forward – the vicar concludes –. We hope the strength of the Holy Child may avoid any violence. In this Christmas, I ask the world not to forget us”.

Mons. Warduni (Baghdad) "Chiese cristiane minacciate. Paura per le messe di Natale"

Fonte: SIR

“Diverse chiese di Baghdad sono state minacciate dai terroristi. Vogliono impaurire i cristiani alla vigilia del Natale”. Nel giorno in cui a Mosul due chiese sono state colpite provocando tre morti, due musulmani ed un caldeo, giunge la denuncia, fatta al SIR, da mons. Shlemon Warduni, vicario patriarcale di Baghdad che rivela: “tra le chiese minacciate c’è anche la mia, santa Maria. Purtroppo, da questo punto di vista, il prossimo sarà un Natale tra i peggiori di questi ultimi anni. Il clima di paura tra i fedeli è palpabile, le notizie che giungono oggi da Mosul non fanno altro che aumentarlo. Comunque non dobbiamo disperare, stiamo prevedendo un rafforzamento delle misure di sicurezza già in atto davanti le chiese, blocchi di cemento in particolare contro le autobomba. Resta però la paura di kamikaze”. “Per prudenza le messe natalizie sono state anticipate – conclude il vicario – speriamo che la forza del Bambino Gesù possa evitare qualsiasi violenza. In questo Natale chiedo al mondo di non dimenticarci”.

Mosul: attentati a due chiese cristiane, tre morti e diversi feriti

Fonte: Asianews

Due diversi attentati hanno colpito stamane a Mosul la chiesa di San Giorgio dei caldei e la chiesa siro-ortodossa di san Tommaso. Il bilancio provvisorio è di tre morti – un cristiano caldeo e due musulmani – e diversi feriti. Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ad AsiaNews parla di “messaggio inquietante” in vista del Natale, dove resta alto il timore di ulteriori violenze. , nel nord dell’Iraq.
Fonti di AsiaNews a Mosul confermano che “la situazione dei cristiani continua a peggiorare, dato che gli edifici cristiani sono di nuovo nel mirino dei terroristi Le due chiese colpite sono due edifici antichi, dal grande valore storico e culturale."
Nell’attentato alla chiesa di San Giorgio sono morte tre persone: si tratta di un cristiano caldeo e due musulmani, altri sono rimasti feriti. Testimoni locali riferiscono che a causare l’esplosione è stato “un carretto di legumi, riempito di bombe”. Dalle prime ricostruzioni, pare che l’obiettivo dell’attacco fosse una caserma della polizia nel quartiere di Khazraj.
Nelle ultime sei settimane a Mosul sono state attaccate quattro chiese e un monastero di suore domenicane. Le esplosioni causate dalle autobomba e dagli ordigni hanno prodotto gravi danni agli edifici e alle case adiacenti. Distrutte numerose abitazioni di cristiani e musulmani. Cinque i cristiani assassinati e altri vittime di sequestri a scopo di estorsione. Attacchi mirati, che testimoniano il progetto di “pulizia etnica” contro la comunità cristiana in tutto l’Iraq.
Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, giudica gli attentati di oggi l’ennesimo “messaggio inquietante” a due giorni dal Natale. Le minacce, sottolinea il prelato, “continuano a influenzare la comunità cristiana” che spera “nella pace” ma resta vittima di violenze.
“Il messaggio di pace e di speranza – ribadisce l’arcivescovo di Kirkuk – annunciato dagli angeli, resta il nostro augurio di Natale per tutto il Paese: vogliamo lavorare insieme per costruire la pace e la speranza nel cuore di tutti gli uomini e le donne dell’Iraq”.

Mosul attacks on two Christian churches, three dead and several injured

Source: Asianews

Two separate bombs struck this morning in Mosul, the Chaldean church of St. George and Syriac Orthodox Church of St. Thomas. The death toll so far is of three dead - a Chaldean Christian and two Muslims - and several wounded. Louis Sako, archbishop of Kirkuk, speaks to AsiaNews of a "disturbing message" ahead of Christmas, keeping tensions high as well as fear of further violence in northern Iraq.
Sources for AsiaNews in Mosul confirm that "the situation for Christians continues to worsen, given that the Christians buildings are again being targeted by terrorists. The two churches hit are two old buildings, of great historical and cultural value”.
In the attack on the church of Saint George three people were killed: a Chaldean Christian and two Muslims, others were injured. Local witnesses report that the explosion was caused by "a cart of vegetables, filled with bombs." From the initial reconstruction, it seems that the target of the attack was a police barracks in the district of Khazraj. In the last six weeks in Mosul four churches and a convent of Dominican nuns have been attacked. The explosions were caused by car bombs producing serious damage to buildings and adjacent homes, Christian and Muslim. Five Christians have been murdered and others have become victims of kidnapping for ransom. These targeted attacks testify to the "ethnic cleansing" in act against the Christian community throughout Iraq.
Louis Sako, archbishop of Kirkuk, believes today attacks are yet another "disturbing message" to two days before Christmas. These threats, stresses the prelate, "continue to influence the Christian community" that hopes "for peace" but is the victim of violence.
"The message of peace and hope - reaffirms the archbishop of Kirkuk - announced by angels, remains our best wishes for Christmas for the entire country: we want to work together to build peace and hope in the hearts of all men and women of Iraq."

Colpite chiese Mosul, Mons. Sleiman (Baghdad) "Triste scia di violenza"

Fonte: SIR

Due morti e cinque feriti: è questo il bilancio di due attentati bomba condotti ai danni di due chiese, piuttosto antiche, situate nel centro di Mosul, la chiesa di San Giorgio dei caldei e la chiesa siro-ortodossa di san Tommaso. Si tratta del secondo attentato nell’arco di una settimana contro luoghi di culto cristiani della città a maggioranza sunnita. A riferirlo è l’agenzia irachena Aswat al-Iraq. “Ennesimo attacco per intimidire i cristiani – dichiara al SIR l’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean B. Sleimancon all’orizzonte la tornata elettorale. I terroristi non pensano certo al Natale ma a creare una nuova situazione. Purtroppo questi attentati vanno ad aggiungersi alla triste e drammatica scia di violenza che da tempo ormai accompagna la vita dei cristiani iracheni”. Di “messaggio inquietante” parla l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako che, tuttavia, non manca di “sperare nella pace che resta il nostro augurio di Natale per il paese. Continuiamo a pregare per questa intenzione per accomunare tutti nella gioia della festa”.

Attack on churches in Mosul, Mgr. Sleiman (Baghdad) "A sad wake of violence"

Source: SIR

Two people dead and five injured: this is the result of two bomb attacks against two rather ancient churches in the centre of Mosul, the Church of Saint George of the Chaldeans and the Syro-Orthodox Church of Saint Thomas. This is the second terrorist attack in a week’s time against Christian places of worship in the Sunni city. It was reported by the Iraqi agency Aswat al-Iraq. “The umpteenth attack to scare Christians – states to SIR the Latin archbishop of Baghdad, mgr. Jean B. Sleimanin the run-up to the election round. The terrorists are certainly not thinking of Christmas, they are just trying to create a new situation. Unfortunately such terrorist arracks add up to the sad, dramatic wake of violence that for a long time now has been the accompaniment to the life of Iraqi Christians”.
The archbishop of Kirkuk, mgr. Louis Sako, speaks of a “worrying message” but nevertheless he still “hopes in peace that remains our Christmas wish for the country. Let’s keep praying for this wish, so that everyone may share in the joy of this festivity”.

20 dicembre 2009

Iraq/Vescovo Bassora invita cristiani a Natale di basso profilo

Fonte: APcom 13:34 - ESTERI- 20 DIC 2009

Il vescovo caldeo (cattolico) della città di Bassora, nel sud dell'Iraq, ha invitato i cristiani a non celebrare pubblicamente il Natale perchè quest'anno coincide con la più sentita festività sciita dell'Ashura che ha un carattere recisamente luttuoso. "Il vescovo di Bassora Iman al Banna invita tutti i fratelli cristiani a non manifestare apertamente la loro gioia, a non celebrare pubblicamente la festa della Natale e a non ricevere ospiti nelle case per dimostrare il nostro rispetto ai musulmani, specialmente agli sciiti, in occasione del Muharram", recita il comunicato del vescovo pubblicato oggi. "Chiediamo di celebrare unicamente la messa nelle loro chiese e di commemorare il Natale a casa", aggiunge. Gli sciiti commemorano quest'anno il lutto dell'Ashura (il 10 del mese di Muharram) il prossimo fine settimana. Dei 5.000 cristiani dell'epoca di Saddam Hussein, ne sono rimasti poco più della metà a Bassora, città a maggioranza sciita a 450 chilometri a sud di Baghdad, dopo le violenze commesse dalle milizie islamiche nel caos seguito alla caduta del dittatore nel 2003. Gli sciiti commemorano la morte a Kerbala di Hussein e del suo fratellastro Abbas, nipote di Maometto, ucciso dalle truppe del califfo ommeyade Yazid nel 680.

Christians in lands across Middle East face uncertain time this Christmas

Source: Telegraph

By Richard Spencer in Amman, Samer al-Atrush in Cairo and Rob Crilly in Bethlehem

Rima
, whose sister was murdered by Saddam Hussein's officers, is going to America. Hani, another Christian, is off to Sweden after being kidnapped by a Baghdad militia. Michael Marody, whose cousin was likewise abducted but did not come back alive, is heading for Australia.
War-torn, anarchic Iraq, however, is not the only place in the Middle East that will see fewer Christians celebrating this Christmas. The region that was Christianity's birthplace is witnessing an unprecedented modern-day exodus – victims of radical Islam, the global economic crisis, and new currents of sectarian feeling from both Arabs and Jews alike.

For the whole artcle by Telegraph click on the title or here

19 dicembre 2009

Verso il Natale fra diritti negati, violenza, dolore, paura

Fonte: Fides

“In un clima di insicurezza e illegalità in Iraq, si vuole colpire la comunità cristiana. A tutti i cristiani del mondo diciamo. Non abbandonateci”: è l’appello accorato affidato all’Agenzia Fides da S. Ecc. Mons. Shlemon Warduni, Vescovo Ausiliare Caldeo di Baghdad, giunto in Vaticano per l’incontro con Benedetto XVI. Nel suo viaggio in Europa, Mons. Warduni chiede solidarietà e aiuti concreti da istituzioni cristiane per la ricostruzione e il restauro di chiese e edifici pastorali di Baghdad, danneggiati dagli attentati dei mesi scorsi.
Fides gli ha rivolto alcune domande.
Com’è la situazione attuale della comunità cristiana in Iraq?
La nostra situazione desta preoccupazione e dolore. Il contesto è noto: da anni l’Iraq è sconvolto da guerre interne ed esterne, che hanno privato la popolazione della pace e dei servizi sociali di base come la sanità e l’istruzione. Le conseguenze dell’ultima guerra e dell’occupazione militare sono tragiche: l’instabilità politica e l’ ingovernabilità hanno generato miseria e distruzione. Per questo molti cristiani – insieme con migliaia di altri cittadini – hanno dovuto lasciare il paese. Abbiamo perso circa un terzo della nostra comunità. E’ una tragedia di vaste dimensioni, che va sottoposta agli occhi del mondo.
Avete notato nell’ultimo anno dei miglioramenti? Cosa sperate dalle nuove elezioni?
Il punto è che la mancanza di pianificazione politica ha generato il proliferare del terrorismo, che oggi ha la sua agenda e destabilizza il paese. Mancano legalità e sicurezza, il governo è debole e le elezioni (non ancora fissate con certezza) dovranno dare un svolta a partire da queste urgenze, altrimenti non serviranno a nulla. Intanto gli attentati contro le chiese e gli attacchi contro i cristiani proseguono: nelle ultime due settimane si sono verificate esplosioni in tre chiese a Mosul, per non parlare di Baghdad, dove tre mesi fa un’autobomba davanti a una chiesa ha ucciso due giovani, ne ha feriti 30, causando tanta distruzione materiale. La tranquillità è un piccola pausa fra due attentati.
Cosa provano e cosa pensano i cristiani iracheni?
Questi episodi incidono molto negativamente sui cristiani. Seminano paura e ci privano della speranza. Non è questione di “pulizia etnica” ma, guardando la situazione nel complesso, c’è un disegno che vuole colpirci. Collocare dieci ordigni contro le chiese nello stesso giorno ha un preciso significato di intimidazione. La paura e lo scoraggiamento, circolanti nella comunità, provocano l’emorragia dei fedeli che, a aragione, temono per la loro vita e per le loro famiglie.
Come giudica la proposta di riunire tutti i cristiani iracheni nel territorio della Piana di Ninive?
E’ un progetto assurdo e insensato. Significherebbe ridurre i cristiani in un ghetto, metterli in gabbia, schiacciarli nel conflitto fra arabi e curdi. Cristo ci ha detto di annunziare la Buona Novella a tutto il mondo: noi siamo chiamati a essere sale, luce e lievito per la nazione. Non possono confinarci in un unico territorio sulla base dell’appartenenza religiosa.Cosa chiedete al governo?Chiediamo al governo di individuare, perseguire e prevenire gli attentatori. Chiediamo protezione. Vogliamo solo i nostri diritti: l’Iraq è la nostra nazione, siamo cittadini iracheni come gli altri. Siamo in Iraq dal I secolo dopo Cristo, quando è passato San Tommaso a predicare nella nostra terra. Siamo in Iraq da 600 anni prima dei musulmani. Non chiediamo alcun trattamento di favore, ma solo il rispetto della dignità, delle nostre libertà e dei diritti fondamentali: vivere in pace, annunziare il Vangelo e contribuire a costruire la nostra nazione.
Quale appello rivolge alla comunità internazionale?
Alla comunità internazionale chiediamo un appoggio più forte e deciso. Urge una pressione forte dei governi occidentali per stabilizzare il quadro iracheno e ripristinare legalità e sicurezza. I governi che promuovono la democrazia e i diritti umani, pronti a tutelare i loro interessi economici in Iraq, dovrebbero impegnarsi per sradicare il terrorismo e promuovere pace e legalità in Iraq.
Come vi apprestate a vivere il Natale?
Natale sarà un momento critico: durante tutte le maggiori festività cristiane si verificano attentati e cresce il clima di intimidazione. La nostra comunità cattolica è fervente, ma la gente ha paura di venire in Chiesa. Speriamo che Dio ci doni la pace e ci aiuti a celebrare con coraggio la festa del Santo Natale.
Cosa chiedete al Papa e a tutti i cristiani nel mondo?
Di sostenerci, di non abbandonarci a noi stessi, di alzare la voce per difenderci nella comunità internazionale. A tutti i credenti in Cristo nel mondo, diciamo: pregate e aiutate le vittime della violenza, della guerra e del terrorismo. Ricordate la popolazione martoriata dell’Iraq che soffre da molti anni. Il Santo Padre, che ho incontrato ieri, mi ha assicurato la sua preghiera e il sostegno per l’Iraq e tutti gli iracheni.

Approaching Christmas amidst denied rights, violence, suffering, and fear.

Source: Fides

"In a climate of insecurity and lawlessness in Iraq, the Christian community is suffering. To all Christians around the world we say: Do not abandon us." This is the heartfelt appeal made through Fides by Bishop Shlemon Warduni, Chaldean Auxiliary Bishop of Baghdad, recently visiting the Vatican for a meeting with Benedict XVI. In his trip to Europe, Bishop Warduni is asking for solidarity and material support from Christian institutions for the reconstruction and renovation of churches and pastoral buildings in Baghdad, damaged by the attacks in recent months. Fides was able to ask him a few questions.
What is the current situation of the Christian community in Iraq?
Our situation sparks concern and pain. The context is well-known: for years, Iraq has been ravaged by internal and external wars that have robbed the people of peace and basic social services like health and education. The consequences of the last war and military occupation are tragic. The political instability and anarchy has generated misery and destruction. This is why many Christians - along with thousands of other citizens - have had to leave the country. We have lost about a third of our community. It is a tragedy of vast dimensions, which is witnessed by the world.
Have you noticed improvements in the last year? What do you hope from the new elections?
What has occurred is that the lack of political planning has led to the proliferation of terrorism, which today has its own agenda and destabilizes the country. Legality and security are lacking, the government is weak, and the elections (not yet established with certainty) will have to address these urgent needs, otherwise they will be useless. Meanwhile, attacks on churches and Christians continue: in the last two weeks there have been explosions in three churches in Mosul, not to mention in Baghdad, where three months ago a car bomb outside a church killed two young people and wounded 30, causing great material damage. [For us], tranquility is a small break between two attacks.
How do Iraqi Christians think and feel about the situation?
These episodes have a very negative effect on Christians. They sow fear and rob us of hope. It is not a question of "ethnic cleansing," but looking at the overall situation there is a plan that intends to hurt us. Placing ten bombs in churches on the same day has a precise intention of intimidation. The fear and discouragement that circulates in the community leads to the flight of the faithful who fear for their lives and their families, rightly so.
What does Your Excellency think of the proposal to gather all Iraqi Christians in the Nineveh Plain area?
It is absurd and senseless. It would mean reducing the Christians to a ghetto, putting them in a cage, crushing them in the conflict between Arabs and Kurds. Christ told us to proclaim the Good News to the whole world: we are called to be salt, light, and leaven for the nation. They cannot be confined to a single territory on the grounds of religion.
What do you and your people wish to request from the government?
We ask the government to identify, pursue, and prevent terrorist attacks. We seek protection. We simply want our rights. Iraq is our country, we are Iraqi citizens just like the others. We have been in Iraq since the first century AD, when St. Thomas went to preach in our land. We were in Iraq for 600 years before the Muslims. We do not demand any special treatment, only respect for our dignity, for our freedoms and fundamental rights: to live in peace, proclaim the Gospel and help build our nation.
What appeal do you make to the international community?
We ask the international community to offer stronger and more decisive aid. Strong pressures are needed from Western governments to stabilize the framework of Iraq and restore legality and safety. The governments that promote democracy and human rights, who are ready to defend their economic interests in Iraq, should also work to eradicate terrorism and promote peace and legality in Iraq.
How are you preparing to live Christmas?
Christmas will be a critical time. It is during all the major Christian festivals when attacks occur and the climate of intimidation increases. Our Catholic community is a fervent one, but people are afraid to come to church. We hope that God will grant us peace and help us to celebrate the feast of Christmas with courage.
What do ask from the Pope and from all the Christians in the world?
To support us, to not leave us to our own devices, to raise their voices to defend us in the international community. To all believers in Christ in the world, we say: pray and help the victims of violence, war, and terrorism. Remember the suffering people of Iraq, who have suffered for so many years. The Holy Father, whom I met with yesterday, has assured me of his prayers and support for Iraq and all Iraqis. (PA)

18 dicembre 2009

Nuova vittima cristiana a Mosul

By Baghdadhope*

Fonte: Ankawa.com

Un altro lutto ha colpito ieri la comunità cristiana di Mosul. Un uomo di 39 anni, Zaid Najeeb Yousef, è stato ucciso nel quartiere 17 luglio.
Intanto, a seguito della riunione per la sicurezza svoltasi all'indomani degli ultimi attacchi alle chiese di Mosul due giorni fa il capo della sicurezza del governatorato di Ninive, Abdelraheem As-Shamari, ha comunicato la decisione del governo di nominare un cristiano a capo delle forze di sicurezza da impiegare a difesa dei luoghi di culto cristiani della città.

16 dicembre 2009

Attacchi alle chiese di Mosul. Mons. Warduni: "Basta promesse, vogliamo i fatti!"

By Baghdadhope*

Intervista a Mons. Shleimun Warduni, Patriarca Vicario caldeo

Altre fonti: Ankawa.com, Asianews, Adnkronos

Dopo gli attentati che ieri hanno colpito due chiese a Mosul causando morti e feriti le misure di sicurezza attorno ai luoghi di culto cristiani sono state rafforzate. Il governatore di Ninive, Athiel Abudul Aziz An-Nujaifi, ha presieduto oggi una riunione con i responsabili della sicurezza dell'area per discutere le modalità degli attacchi di ieri e stabilire nuove e più stringenti misure di sicurezza in occasione delle prossime festività cristiane. Il portavoce del Ministero della Difesa, Mohammed Al-Askari, ha da parte sua rivelato come già da una decina di giorni vi fossero informazioni, anche se non dettagliate, su possibili attacchi alle chiese nel periodo natalizio specialmente nei governatorati di Ninive, Baghdad e Kirkuk aggiungendo l'impegno del governo a difendere i luoghi di culto cristiani principalmente in vista della quasi esatta concomitanza delle festività natalizie con il capodanno islamico che quest'anno cadrà il 18 di dicembre.
Episodi di violenza come quelli di ieri però oltre che a scatenare la fuga dei cristiani di Mosul sempre più consapevoli di essere vittime di ciò che oggi con franchezza Mons. Louis Sako ha definito "pulizia etnica e religiosa" ridanno vita anche al dibattito all'interno della chiesa caldea che pur non essendo stata ieri colpita direttamente * funge, perchè maggioritaria e con maggiori e migliori contatti all'estero e con i media, da "portavoce non ufficiale" della comunità cristiana.
Così alla richiesta di Mons. Sako di maggiore coesione comunitaria in grado di creare un "potere forte" da opporre alle violenze, e di una dichiarazione a nome delle chiese e dei partiti politici cristiani che ribadisca la ricerca della pace e la fedeltà dei cristiani al paese fa eco quella del patriarca caldeo, il Cardinale Mar Emmanuel III Delly, che da una parte insiste nel più volte ripetuto discorso della necessità della completezza del mosaico iracheno composto da diverse tessere etniche e religiose ma dall'altra, seguendo una linea di estrema prudenza, tende ad abbassare i toni ricordando come nonostante gli attacchi non si possa parlare di violenza anticristiana ma di clima violento generalizzato, aggiungendo che il governo iracheno sta già adempiendo ai suoi doveri in tema di sicurezza nei confronti di tutti i suoi cittadini.
Che l'Iraq sia una paese avviato ad aumentare il numero delle nazioni protagoniste delle "guerre dimenticate" è ovvio. Che gli episodi di violenza colpiscano tutta la comunità è altrettanto ovvio.
Ovvio è però anche ciò che il vescovo latino di Baghdad, Mons. Jean Sleiman, ha scritto nel suo libro "Nella trappola irachena" quando proprio ricordando il clima di violenza generalizzato ha sottolineato come esso sia percepito in modo diverso dalle comunità. La piccola, indifesa e pacifica comunità cristiana, infatti, non può non "sentire" ogni attacco come un tentativo di costringerla alla fuga, cancellarla materialmente dal paese. E questo sia che si tratti di una chiesa fatta crollare sia che si tratti di criminalità comune.
Un concetto, questo, ribadito a Baghdadhope da Mons. Shleimun Warduni che ha sottolineato come gli iracheni cristiani siano spinti alla fuga perchè "non ben protetti" dal governo e dagli occupanti, sempre pronti a mostrare solidarietà ed a dispiegare ingenti misure di sicurezza nei momenti immeditamente successivi agli attacchi salvo poi "allentare i controlli" con il tempo malgrado le violenze siano continue e certamente non "frutto del caso" ma di un piano prestabilito di cui però i mandanti sono ancora ufficialmente sconosciuti.
"Di tutti gli attacchi di questi anni" ha spiegato infatti Mons. Warduni "non si conoscono i colpevoli, i mandanti." "Tutti sono sempre pronti a dichiarare solidarietà e vicinanza alla comunità cristiana ma in realtà i cristiani non sono così amati" continua il vescovo, "noi siamo presi di mira anche politicamente perchè ogni parte politica vuole attirarci nella sua orbita per i propri fini. Ci hanno sempre fatto molte promesse ma vogliamo i fatti. Non abbiamo mai fatto del male, mai agito con violenza, abbiamo sempre auspicato la pace per tutto l'Iraq. Perchè ci attaccano?"
"Come facciamo noi, capi delle chiese, a chiedere ai nostri fedeli di non fuggire, di non cancellare la memoria della cristianità in Iraq volgendole le spalle, se quegli stessi fedeli temono per la propria vita? A parole tutti ci ricordano quanto la comunità cristiana sia stata, sia e sarà importante per la rinascita dell'Iraq ma con i fatti nessuno agisce per arginare il fiume della fuga. Troppe promesse non sono state mantenute."
Quelle di Mons. Warduni sono parole amare. Parole che riflettono il senso di impotenza che un'intera comunità che sta disperdendosi nei rivoli della diaspora sta vivendo nel colpevole disinteresse del mondo.

Christians in Basra Subdued for Holiday


By Michael Gisick

BASRA, Iraq -- The small group of American troops and Iraqi Catholics held hands around a table heaped with dishes of rice, chicken, lamb and pizza.
"Our Father," began the archbishop of Basra, the Most Rev. Imad Aziz al-Banna, before continuing the prayer in Aramaic, a version of the ancient language likely spoken by Jesus Christ.
In the next room at Basra's Chaldean Catholic Church, a plastic Christmas tree twinkled amid graying photographs of old patriarchs and a newer shot of Pope Benedict XVI. Several of the Americans said while assembling and decorating the tree that it was likely the closest they would come to the Christmas spirit this year, far from home.
Christmas is likely to be a subdued affair for the dwindling Christian population of this once-cosmopolitan city. This year, the holiday falls amid the Shiite festival of Ashoura, when much of the city's population will take to the streets to commemorate the martyrdom of the Prophet Muhammad's grandson -- many by ritually cutting themselves and whipping their backs with chains.
It is not the best time, in other words, for Santa Claus, though the Americans donated a Santa suit along with the tree. Al-Banna said he would hold a small Sunday school pageant a week early but otherwise restrict activities on Christmas Day to a quiet prayer service.
"We do not want to celebrate in their faces during this time when most of the people are mourning," he said.
If Christmas comes as Basra's decidedly second most important holiday, it also arrives amid a tenuous sense of optimism is taking hold among the city's remaining Christians after years of oppression.
Just 3,000 remain of the perhaps 20,000 Christians who lived in Basra before the U.S. invasion, reflecting a larger displacement of Iraqi Christians, who make up about 3 percent of the population. A November report by Human Rights Watch said roughly two-thirds of Christians in Iraq have fled their homes since 2003, either to Kurdish-controlled areas in the north or abroad. The Chaldean archbishop of Mosul, a traditional center of Iraqi Christendom, was abducted and murdered along with three companions early last year.
In Basra, Christians made up an important part of the city's once-thriving merchant class. Their small numbers and lack of a security force made them vulnerable targets for kidnappings and extortion by the Shiite militias and criminal groups that took control of the city in 2007.
That year, al-Banna urged his parishioners not to celebrate Christmas after two Christians, a brother and sister, were murdered and left in a garbage dump.
Just five of the Christian families who fled have returned to the city since government forces reasserted control last year, al-Banna said, and 10 of the city's 16 churches remain closed. But security has improved and the exodus has slowed.
"Now we don't feel threatened like we did before," said Nassir Rafu, a deacon at Chaldean Catholic Church. "The Muslim people treat us well. The problem is that there are no jobs."
A ban on liquor sales, announced by the provincial government in September, rekindled fears among the Christians, who as elsewhere in Iraq own most of Basra's liquor stores. Besides being an important source of income for a community that says it faces discrimination in finding government jobs, many see tolerance for alcohol -- taboo under Islam but tolerated under Saddam Hussein -- as a bellweather of their place as a minority in Iraq.
But the ban was rescinded earlier this month and appears never to have been seriously enforced.
Raed Said Bahnam, who owns a liquor store in the city, said two council members had visited him to announce the ban but never gave him official paperwork, and an Iraqi general later told him to forget about it and remain open, which he did.
"Business is very good," he said, adding that he planned to apply for a permit to open a bar next year. "Whether they are Christian or Muslim, 99 percent of Basra needs a drink."
Others said they hoped the development of the oil fields surrounding the city would provide more diverse employment opportunities and, perhaps, lure back some of those who have fled. But few really expect that to happen.
"It's been a long time now and most of them have sold their property and found another country," said Rafu, the deacon. "As for me, I cannot leave, because this is my church, and I have to stay here."
Inside, the archbishop produced a few bottles of Communion wine. But the Americans, barred by military regulations from drinking alcohol in Iraq, were having a restrained holiday. They drank tea.

Mons. Sako: a Mosul è in atto una “pulizia etnica” contro i cristiani

Fonte: Asianews

A Mosul è in atto una “pulizia etnica e religiosa” che si è acuita “nell’imminenza del Natale”. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, che anticipa il “rafforzamento delle misure di sicurezza per le feste”. In città si respira un clima di tensione e paura, accresciuto dal nuovo attacco avvenuto ieri a due luoghi di culto, che ha causato una vittima e 40 feriti. Una fonte cristiana della città, anonima per motivi di sicurezza, lancia l’allarme: “la comunità è destinata a morire”.
Nella tarda mattinata di ieri un’autobomba è esplosa nei pressi della chiesa dell’Annunciazione, nel quartiere al-Mohandiseen, danneggiando muri e vetrate. Gli attentatori hanno lanciato anche una serie di granate contro l’adiacente scuola cristiana, uccidendo una neonata e ferendo altre 40 persone, fra cui cinque liceali. Saad Younes, padre della bambina di otto giorni, conferma che l’esplosione è avvenuta mentre la cognata e la piccola uscivano dall’ospedale.
Un secondo attentato ha preso di mira la chiesa siro-cattolica dell’Immacolata, nel quartiere di al-Shifaa, a nord di Mosul. Un ordigno è esploso davanti alla cancellata che si affaccia sulla strada, senza causare vittime né feriti. Gli attacchi di ieri sono solo l’ultimo episodio di una serie di violenze contro i luoghi di culto cristiani della città: il 26 novembre scorso i terroristi hanno raso al suolo
la chiesa di Sant’Efrem e colpito la Casa Madre delle suore domenicane di Santa Caterina.
Fonti di AsiaNews in città confermano la “fuga delle suore” e le poche rimaste “hanno paura ad uscire”. Gli attacchi sono “un messaggio di avvertimento” per costringere i cristiani all’esodo di massa. “Le famiglie che sono fuggite al nord, nel Kurdistan – conferma la fonte – non hanno lavoro, né una prospettiva di vita. La comunità cristiana è destinata a morire”.
Una preoccupazione condivisa da mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, che parla di “pulizia etnica e religiosa” in atto a Mosul. Il governo centrale e i partiti, aggiunge il prelato, si preoccupano solo delle elezioni, in programma il 7 marzo 2010, e soprattutto della “spartizione del petrolio”. Il quadro politico della città è complesso: gli arabi controllano il potere locale, i curdi non partecipano al consiglio municipale; nella zona vi è inoltre una forte presenza di gruppi fondamentalisti e membri del vecchio regime di Saddam Hussein.
“La situazione è molto tesa – sottolinea mons. Sako – la settimana scorsa sono stati uccisi due fratelli cristiani, altri due sono stati rapiti. Dov’è il governo locale? Dov’è il governo centrale? Dove sono le rappresentanze dei partiti al potere?” domanda il prelato.
Egli auspica una maggiore coesione all’interno della comunità cristiana, perché riesca a creare un “potere forte” in grado di respingere le violenze. Fra le possibili risposte, il prelato chiede “una dichiarazione forte a nome delle chiese e dei partiti cristiani, per dire che siamo saldi, che siamo per l’Iraq, per la pace e la convivenza fra le etnie e le religioni”. “Distruggere questo mosaico – aggiunge – è come distruggere tutto l’Iraq”.(DS)

15 dicembre 2009

Photos of one of the churches attacked in Mosul

Source: Ankawa.com
To see Ankawa.com photos report of the Immaculate church attacked today in Mosul click here



IRAQ: CHIESE COLPITE A MOSUL. CHULLIKAT (NUNZIO), “LE AUTORITÀ INTERVENGANO SUBITO"

Fonte: SIR

“Le Autorità irachene intervengano subito per garantire la necessaria sicurezza alla minoranza cristiana”. A chiederlo è il nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Francis Chullikat che al SIR commenta gli attacchi avvenuti questa mattina a Mosul contro due chiese cristiane. “Questa recrudescenza della violenza che ha visto, oggi, due chiese colpite a Mosul – afferma il Nunzio - deve essere affrontata dalle autorità del Paese che hanno sempre ribadito che in casi simili sarebbero intervenute immediatamente per garantire la sicurezza dei cristiani che essendo una minoranza, sono nel diritto di chiedere protezione. E’ urgente che le autorità, nel modo più giusto ed immediato, intervengano per dare garanzie di sicurezza ai cristiani così che possano vivere in pace e sicurezza nel Paese. E ciò vale ancora di più adesso che siamo alla vigilia del Natale, con le chiese piene di fedeli che vogliono celebrare la solennità con entusiasmo”.
Esprimendo la speranza che “tali attacchi non siano collegati alle elezioni del prossimo marzo” mons. Chullikat sottolinea che “i cristiani sono la minoranza più esposta e facile da colpire perché non hanno alcun tipo di protezione, non hanno milizie proprie, strutture di sicurezze da mettere in atto da parte delle chiese. Rispondiamo alla violenza con la speranza ed il bene, questa è la cifra della testimonianza, non solo in Iraq. Resteremo fedeli a questa missione nella consapevolezza di avere al fianco tutta la Chiesa con il papa. Le autorità irachene, così come i fedeli – conclude il nunzio - sanno quanto al Pontefice stia a cuore la sofferenza dell’Iraq e della sua minoranza cristiana”.

MOSUL: DOUBLE BLASTS HIT CHURCH

Source: MISNA

At least four people were killed and 40 wounded in two car-bomb blasts this morning outside a church in the northern Iraqi city of Mosul. According to the Aswat al-Iraq news agency, the blasts occurred near the Virgin Mary Church in al-Shifaa neighborhood, in western Mosul. A police source referred to the Iraqi news agency that the blasts caused slight damage to the church.

Reports are still confusing regarding a double attack against two Christian Churches in the northern Iraqi city of Mosul. The episodes were confirmed to MISNA by the Syrian Catholic Archbishop of Mosul, Monsignor Basile Georges Casmoussa, though he couldn’t provide further details. Based on a first report of the Aswat al-Iraq news agency, at least 4 people were killed and 40 wounded in the blasts, while some international media report 1 dead. Also the different reconstructions remain uncertain. Aswat al-Iraq reports that two churches were targeted: the Virgin Mary Church in al-Shifaa neighborhood, in western Mosul and the Annunciation Church in Chourta, in the northern neighbourhood of al-Mohandiseen, where an IED (Improvised Explosive Device) or some grenades – depending on the sources – were launched against the building, causing damages though without any casualties. The most violent episode occurred outside the Virgin Mary Church, where the two blasts claimed victims also among people in the nearby Christian ‘Al-Ghassanya’ primary school. Also on this detail reports are confusing: according to some sources, some children are among the wounded, while Monsignor Casmoussa said that all the students escaped the blasts unharmed. “The attacks of the past weeks (another 4 Churches were targeted since the start of the month) and killing of Christians is a terrible message for us, a new sentiment of spreading fear. Unfortunately these attacks will keep the faithful away from the Churches at Christmas. The government is weak, six years from the start of the conflict, and is still not able to guarantee our security here in Mosul. There is always a pretext behind these attacks, at least according to observers. Now they are referring to political battles between parties and groups ahead of next year’s elections”, added the Syrian Catholic Archbishop of Mosul.

MOSSOUL: ATTENTATS CONTRE DEUX ÉGLISES, INFORMATIONS CONTRADICTOIRES

Source: MISNA

Les informations en provenance de Mossoul, théâtre mardi matin d'un double attentat contre deux églises chrétiennes, sont encore confuses. Les attaques ont été confirmées à la MISNA par l'archevêque syriaque de Mossoul, Mgr Basile Georges Casmoussa, qui n'a pas été toutefois en mesure de fournir de plus amples détails. Selon les premières informations diffusées par l'agence de presse irakienne Awsat al Iraq, reprenant des sources de police, les attentats de mardi se seraient soldés par quatre morts et 40 blessés minimum. La reconstitution des faits demeure quant à elle incertaine : selon l'agence irakienne, deux églises - l'église de Notre-Dame, située dans le quartier occidental d'Al-Shifaa, et celle de l'Annonciation, à Chourta, dans le secteur nord d'Al-Mohandiseen - auraient été prises pour cible au moyen d'engins explosifs improvisés (Ied) ou de grenades, selon les sources. L'attaque la plus grave se serait vérifiée à l'église de Notre-Dame, où une double explosion aurait causé des victimes et des blessés jusque dans l'école voisine d'Al-Ghassanya, bien que les informations en circulation diffèrent également sur ce dernier point : si certaines sources indiquent que plusieurs enfants de l'établissement figureraient parmi les blessés, Mgr Casmoussa affirme quant à lui que les jeunes élèves seraient tous sains et saufs. "Les attaques qui se produisent depuis plusieurs semaines (quatre autres églises ont été prises pour cible depuis début décembre, Ndlr) et les chrétiens tués sont un mauvais signe pour nous et un nouveau sentiment de peur s'instaure peu à peu. Malheureusement, à l'approche des fêtes de Noël, ces attentats éloigneront les fidèles des églises car ils auront peur de participer aux festivités. Le gouvernement est encore faible six ans après le début de la guerre et il n'est pas encore apte à assurer notre sécurité ici à Mossoul. Il y a toujours un prétexte derrière ces attaques, du moins à ce qu'en disent les observateurs. Cette fois-ci, ils évoquent les luttes politiques entre les partis et les mouvements en prévision des élections de l'an prochain", dit à la MISNA l'archevêque syriaque de Mossoul, commentant les faits survenus mardi matin.

MOSUL: DOBLE EXPLOSIÓN FRENTE A UNA IGLESIA, VÍCTIMAS

Source: MISNA

Al menos cuatro personas murieron y otras 40 resultaron heridas esta mañana, después de que dos coches bomba explotaran delante de una iglesia en Mosul, en el norte de Irak. Lo refirió la agencia de prensa iraquí ‘Aswat al Iraq’, citando fuentes policiales, las que precisaron que los vehículos explotaron frente a la iglesia de la Virgen María en el barrio de al-Shifaa, en la zona oeste de Mosul. Según las mismas fuentes, la iglesia habría sufrido daños leves

Iraq: Chiese colpite Mosul. Casmoussa (Siro cattolico) "Brutto segnale per i cristiani"

Fonte: SIR

Doppio attacco contro chiese cristiane, oggi a Mosul. Secondo quanto riferito al Sir dall’arcivescovo siro-cattolico della città, mons. George Casmoussa, “in pieno giorno due mine sono esplose davanti alla chiesa siro-cattolica dell’Annunciazione. Al momento non risultano vittime ma solo feriti e danni materiali alla struttura. Nei pressi della chiesa c’è una scuola cristiana ma gli alunni sono riusciti a mettersi in salvo. Poco dopo, in pieno centro, altre esplosioni sono avvenute contro la chiesa siro-ortodossa dell’Immacolata, ed è qui si sono verificati i danni maggiori, anche perché nelle vicinanze ci sono negozi, mercati e la stessa chiesa è molto frequentata dai cristiani ma anche da musulmani”. “Questi attacchi – dichiara Casmoussa - sono un brutto segnale per noi cristiani che giunge alla vigilia del Natale, e stanno a dimostrare che lo Stato non è padrone della situazione e che la comunità cristiana è sempre di più vulnerabile ed esposta a molti pericoli. E’ urgente che le minoranze, come i cristiani, siano maggiormente protette dalle istituzioni. Restiamo saldi nella speranza che pace e fraternità siano presto le protagoniste della rinascita irachena basata sulla convivenza pacifica tra la popolazione.

Vedi anche MISNA

Two churches attacked in Mosul

By Baghdadhope*

Msgr. Shleimun Warduni confirmed to Baghdadhope the attacks of this morning against two churches in Mosul, the Syriac-Catholic church of the Annunciation and the Syriac-Orthodox church of the Immaculate Conception.
Different sources from Mosul cite death and injured people in the attacks also among the students of a school near one of the churches but the news must still be officially confirmed.

Auto bomba contro due chiese a Mosul

By Baghdadhope*

Confemati a Baghdadhope da Mons. Shleimun Warduni gli attacchi con auto bomba di questa mattina a Mosul a due chiese cristiane, quella siro cattolica dell'Annunciazione e quella siro-ortodossa dell'Immacolata. Diverse fonti di Mosul citano morti e feriti anche tra gli studenti di una scuola vicina ad una delle chiese ma le notizie devono essere ancora confermate ufficialmente.

14 dicembre 2009

Sinodo vescovi per Medio Oriente: testo lineamenta "prossimo alla stesura finale"

Fonte: SIR

Nei giorni 24- 25 novembre 2009 si è svolta a Roma la seconda riunione del Consiglio presinodale per l’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi. A renderlo noto è oggi la Sala Stampa della Santa Sede che parla di “un’articolata ed accurata discussione” che “ha permesso di elaborare un testo che ormai è prossimo alla stesura finale”. “I partecipanti all’incontro – si legge ancora nella nota - hanno dedicato ampio spazio anche al tema dell’approfondimento della comunione nella Chiesa Cattolica e, in particolare, nelle e tra le Chiese Patriarcali e il Patriarcato Latino di Gerusalemme, come pure nelle Conferenze episcopali dei Paesi del Medio Oriente. Di grande importanza è favorire sempre più la comunione, reale sebbene ancora non piena, con le altre Chiese e comunità ecclesiali”. Nella sua prolusione, mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo, ha posto al centro il tema della testimonianza e dell’evangelizzazione.
“Nell'azione evangelizzatrice”, ha spiegato mons. Eterović, “occorre far conoscere alle nuove generazioni il grande patrimonio di fede e di testimonianza delle singole Chiese e questo compito investe tutte le categorie ecclesiali”. I Membri del Consiglio, tra cui i cardinali Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarca d’Antiochia dei Maroniti, Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, “non hanno tralasciato il tema dei rapporti con ebrei e musulmani, insistendo soprattutto sulla necessità di dialogo e di collaborazione in vari campi di attività sociale e culturale”. Il Sinodo, come è noto, si svolgerà dal 10 al 24 ottobre 2010 su “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: Comunione e testimonianza. ‘La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un'anima sola’ (At 4, 32)”. Il prossimo incontro è stato fissato per i giorni 23 e 24 aprile 2010.

Synod of bishops for the Middle East: Final draft of lineamenta "to be ready soon"

Source: SIR

The second meeting of the pre-synodal Council for the Special Assembly of the Synod of Bishops for the Middle East was held in Rome on 24-25 November 2009. The news was released today by the Holy See Press Office which spoke of “a detailed and accurate discussion” that led to “the drafting of a text whose final version is to be ready soon”. “Participants at the meeting – reads the statement have paid great attention to the deepening of communion in the Catholic Church and, in particular, in and between the Patriarchal Churches and the Latin Patriarchate of Jerusalem, as well as in the Bishops’ Conferences of Middle East countries. It is extremely important to favour communion, which is real although not yet full, with other Churches and ecclesial communities”. In his speech, Mgr. Nikola Eteroviæ, Secretary-General of the Synod, focused on the theme of witness and evangelisation”.
“In our evangelising action”, explained Mgr. Eteroviæ, “we need to pass on to new generations the individual Churches’ great patrimony of faith and witness - a task that is entrusted to every ecclesial category”. The Members of the Council, including Cardinals Nasrallah Pierre Sfeir, Patriarch of Antioch for Maronites, Emmanuel III Delly, Patriarch of Babylon for Chaldeans, Ivan Dias, Prefect of the Congregation for the Evangelisation of Peoples, and Leonardo Sandri, Prefect of the Congregation for the Oriental Churches, “have not omitted to discuss the relationships with Jews and Muslims, stressing above all the need for dialogue and collaboration in various social and cultural activities”. The Synod on “The Catholic Church in the Middle East: Communion and Witness. ‘The community of believers was of one heart and mind’ (Acts 4:32)” is to be held from 10 to 24 October 2010. It was agreed to hold next meeting on 23-24 April 2010.

Natale a Kirkuk, i cristiani messaggeri di pace e speranza

Fonte: Asianews

di Louis Sako*

Cosa si attende l’Iraq dal Natale? Cosa si attende in questo periodo di Avvento? Abbiamo posto questa domanda ad alcuni nostri amici e mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk ci ha inviato la risposta che pubblichiamo sotto. Kirkuk, abitata da arabi, curdi e turcomanni, è contesa per le sue immense riserve di petrolio. Durante tutto l’anno non sono mancati nella città rapimenti, uccisioni e violenze contro i cristiani. Secondo lo stesso arcivescovo, i cristiani sono oggetto di violenze perché “vogliono avere un ruolo nella ricostruzione della nazione”.
Quest’anno tutte le attività nella nostra diocesi si concentrano sul messaggio del Natale: pace sulla terra e speranza agli uomini.
In queste settimane di Avvento, i sacerdoti cattolici e quelli delle altre Chiese cristiane si sono radunati insieme per una giornata di riflessione, preparandosi al Natale.
I giovani e le associazioni, da parte loro, hanno molto approfondito le basi della fede col catechismo. Tutti i fedeli si sono messi a disposizione per fare veglie di preghiera, visite agli ammalati, a coloro che sono isolati o disabili.
Nella situazione economica così difficile, i giovani della comunità Emmaus hanno raccolto doni e denaro per aiutare le famiglie povere, senza distinzione fra cristiani e musulmani.
Un giovane dottore mandaico (gnostico) ha ricevuto il battesimo.
I cristiani devono essere consapevoli della propria missione: i fedeli hanno il dovere di essere messaggeri della Buona Notizia, della pace e della speranza anche in Iraq e a Kirkuk. Affinché il messaggio sia ricevuto e ascoltata, occorre che lo amiamo e ci impegniamo a viverlo in una maniera concreta. L'esempio influisce più delle parole. La gente vede e si commuove.
Anche se nel Paese vi sono difficoltà e mancanza di sicurezza, i cristiani devono avere il coraggio di trasmetterlo senza paura e inquietudine, ma con tanta libertà e entusiasmo. Il cuore è pieno di fiducia in Colui che ci chiama, ci manda e ci accompagna perché è l’Emmanuele il Dio-con-noi.
Noi siamo messaggeri di gioia anche quando ci sono sacrifici e sofferenze e lacrime come in questa nostra terra irachena.
Per assimilare sempre più questo messaggio, è necessario vivere assieme con gli altri nella Chiesa. Il messaggero vero rimane fedele alla Tradizione della Chiesa e con essa rende testimonianza.
La Chiesa è il luogo in cui i fedeli condividono le loro esperienze spirituali e si sostengono gli uni gli altri nel rendere testimonianza.
* Arcivescovo caldeo di Kirkuk

Christmas in Kirkuk, Christians messengers of peace and hope

Source:Asianews

by Louis Sako*

What is Iraq expecting of Christmas? What does it expect from this time of Advent? We posed this question to some of our friends and Msgr. Louis Sako, archbishop of Kirkuk has sent us the answers that we publish below. Kirkuk, inhabited by Arabs, Kurds and Turkmen, has fought for its immense oil reserves. Throughout the year there have been kidnappings, killings and violence against Christians in the city. According to the same archbishop, Christians are subject to violence because "they want to have a role in rebuilding the nation."
This year all activities in our diocese focus on the message of Christmas: peace on earth and hope to men.
In these weeks of Advent, the Catholic priests and those of other Christian churches have gathered together for a day of reflection, in preparation for Christmas.
Young people and associations, for their part, have deepened the basics of the faith with catechism. All the faithful have made time for prayer vigils, visits to the sick, those who are isolated or disabled.
In the difficult economic situation, the youth of the Emmaus communities have collected gifts and money to help poor families, without distinguishing between Christians and Muslims.
A young Mandaean (gnostic) doctor received baptism.
Christians must be aware of their mission: the faithful have the duty to be messengers of the Good News of peace and hope in Iraq and Kirkuk. For the message to be received and heard, we must love it and strive to live it in a concrete manner. Our example affects more than words. People see this and are moved.
Although there are difficulties in the country and a lack of security, Christians must have the courage to pass on this message without fear and anxiety, instead with great freedom and enthusiasm. The heart is full of confidence in the One who calls us, sends us and accompanies us because he is Emmanuel; God-with-us.
We are messengers of joy even when there are tears and suffering and sacrifices, as in this our land of Iraq.
So this message can increasingly become an integral part of our lives, we must live together with others in the Church. The true messenger remains faithful to the Tradition of the Church and with it bears witness.
The Church is the place where the faithful share their spiritual experiences and support one another in giving testimony.
* Chaldean Archbishop of Kirkuk

13 dicembre 2009

Christian Leaders Convene in Baghdad to Determine Their Future in Iraq

Sourc: Christian Solidarity International

BAGHDAD and WASHINGTON -- "Do Christians have a Future in Iraq?" Over 100 Iraqi Christian leaders convened yesterday in Baghdad to address the possible extinction of their ancient community at Iraq's 1st Christian Leadership Conference on Refugees and Internally Displaced Persons (IDPs).
Since the downfall of Saddam Hussein in 2003, nearly half of Iraq's one million Christians have fled for refuge abroad, while many of the remnants live as destitute IDPs. 518 Christians have been killed as a result of politically-inspired violence during the past six years, while 48 churches have been destroyed, according to a report submitted by the Hammurabi Human Rights Organization (HHRO) - a co-sponsor of the Conference.
In her keynote speech, Annette Walder, International President of Christian Solidarity International (CSI) warned that the survival of both the Iraqi state and the Christian community are inextricably linked. She furthermore urged Christian leaders throughout the world to break their "eerie silence" surrounding this crisis of survival.
William Warda, President of the HHRO,* stressed that Iraq's ancient Christian community, together with the indigenous Yezidi and Mandean minorities, constitute the deepest roots of the Iraqi nation. If Iraq's Christian roots are severed, he continued, the Iraqi nation and state will shrivel and die.
Habib Ephrem, President of the Syriac League in Lebanon, urged Western powers to help secure the survival of Christians in Iraq by refraining from the pursuit of economic and strategic interests without due regard for principles of democracy and human rights.
In a written message, Dr. Adel Abdul-Mahdi, Vice-President of Iraq and patron of the Christian Leadership Conference, declared that "those who kill Christians and bomb churches are enemies of Iraq", and pledged that the Iraqi state will "facilitate the return of refugees and provide generous assistance to those who have lost their homes, their jobs and their loved ones."
Mark Storella, the U.S. Embassy's Senior Coordinator for Refugee and IDP Affairs, reported that the U.S. government had spent $387 million for Iraqi refugees and IDPs in 2009, and cited President Barack Obama's February 2009 Iraq pledge to "provide more assistance and take steps to increase international support for countries already hosting refugees."
Christian refugees and IDPs provided testimony of the violent persecution - including death threats and the murder of loved ones - that forced them to flee their homes. They also highlighted the failure of the Iraqi Government and its international partners to provide the assistance they required for a safe, dignified and sustainable return to their homes. Returning female refugees reported having to wear the Islamic hijab for security on the streets in some Iraqi cities.
The Iraqi Christian Leadership Conference will close today with the presentation of policy recommendations to the Iraqi and American governments, and to the rest of the international community.

* Hammorabi Human Rights Organization. Note by Baghdadhope

11 dicembre 2009

2009 Report on Human Rights in the Arab World: Bastion of Impunity, Mirage of Reform


"Embrace diversity, end discrimination"
Human Rights Day 2009

"A man spends his first years learning how to speak and the Arab regimes teach him silence for the rest of his life"
Algerian writer Ahlem Mosteghanemi, Memory in the Flesh

2009 Report on Human Rights in the Arab Region

Press Release
Today the Cairo Institute for Human Rights Studies released its second annual report on the state of human rights in the Arab world for the year 2009. The report, entitled Bastion of Impunity, Mirage of Reform, concludes that the human rights situation in the Arab region has deteriorated throughout the region over the last year.
The report reviews the most significant developments in human rights during 2009 in 12 Arab countries: Egypt, Tunisia, Algeria, Morocco, Sudan, Lebanon, Syria, Palestine, Iraq, Saudi Arabia, Bahrain, and Yemen. It also devotes separate chapters to the Arab League and an analysis of the performance of Arab governments in UN human rights institutions. Another chapter addresses the stance of Arab governments concerning women’s rights, the limited progress made to advance gender equality, and how Arab governments use the issue of women’s rights to burnish their image before the international community while simultaneously evading democratic and human rights reform measures required to ensure dignity and equality for all of their citizens. .
The report observes the grave and ongoing Israeli violations of Palestinian rights, particularly the collective punishment of Palestinians in the Gaza Strip through the ongoing blockade and the brutal invasion of Gaza at the beginning of 2009 which resulted in the killing of more than 1,400 Palestinians, 83 percent of them civilians not taking part in hostilities. The report notes that the plight of the Palestinian people has been exacerbated by the Fatah-Hamas conflict, which has turned universal rights and liberties into favors granted on the basis of political affiliation. Both parties have committed grave abuses against their opponents, including arbitrary detention, lethal torture, and extrajudicial killings.
The deterioration in Yemeni affairs may presage the collapse of what remains of the central state structure due to policies that give priority to the monopolization of power and wealth, corruption that runs rampant, and a regime that continues to deal with opponents using solely military and security means. As such, Yemen is now the site of a war in the northern region of Saada, a bloody crackdown in the south, and social and political unrest throughout the country. Moreover, independent press and human rights defenders who expose abuses in both the north and south are targets of increasingly harsh repression.
In its blatant contempt for justice, the Sudanese regime is the exemplar for impunity and the lack of accountability. President Bashir has refused to appear before the International Criminal Court in connection with war crimes in Darfur. Instead, his regime is hunting down anyone in the country who openly rejects impunity for war crimes, imprisoning and torturing them and shutting down rights organizations. Meanwhile the government’s policy of collective punishment against the population of Darfur continues, as well as its evasion of responsibilities under the Comprehensive Peace Agreement between the north and south, making secession a more likely scenario, which may once again drag the country into a bloody civil war.
In Lebanon, the threat of civil war that loomed last year has receded, but the country still suffers from an entrenched two-tier power structure in which Hizbullah’s superior military capabilities give the opposition an effective veto. As a result, the state’s constitutional institutions have been paralyzed.
In this context it took several months for the clear winner in the parliamentary elections to form a government. Now, even after the formation of a government, the unequal military balance of power between the government and the opposition will prevent serious measures to guarantee all parties accountable before the law, and greatly undermine the possibility of delivering justice for the many crimes and abuses experienced by the Lebanese people over the last several years.
Although Iraq is still the largest arena of violence and civilian deaths, it witnessed a relative improvement in some areas, though these gains remain fragile. The death toll has dropped and threats against journalists are less frequent. In addition, some of the major warring factions have indicated they are prepared to renounce violence and engage in the political process.
In Egypt, as the state of emergency approaches the end of its third decade, the broad immunity given to the security apparatus has resulted in the killing of dozens of undocumented migrants, the use of lethal force in the pursuit of criminal suspects, and routine torture. Other signs of deterioration were visible in 2009: the emergency law was applied broadly to repress freedom of expression, including detaining or abducting bloggers. Moreover, the Egyptian police state is increasingly acquiring certain theocratic features, which have reduced some religious freedoms, and have lead to an unprecedented expansion of sectarian violence within the country.
In Tunisia, the authoritarian police state continued its unrestrained attacks on political activists, journalists, human rights defenders, trade unionists, and others involved in social protest. At the same time, the political stage was prepared for the reelection of President Ben Ali through the introduction of constitutional amendments that disqualified any serious contenders.
In Algeria, the emergency law, the Charter for Peace and National Reconciliation, and the application of counterterrorism measures entrenched policies of impunity, grave police abuses, and the undermining of accountability and freedom of expression. Constitutional amendments paved the way for the installment of President Bouteflika as president for life amid elections that were contested on many levels, despite the lack of real political competition.
Morocco, unfortunately, has seen a tangible erosion of the human rights gains achieved by Moroccans over the last decade. A fact most clearly seen in the failure if the government to adopt a set of institutional reforms within the security and judicial sectors intended to prevent impunity for crimes. Morocco’s relatively improved status was also undermined by the intolerance shown for freedom of expression, particularly for expression touching on the king or the royal family, or instances of institutional corruption. Protests against the status of the Moroccan-administered Western Sahara region were also repressed and several Sahrawi activists were referred to a military tribunal for the first time in 14 years.
As Syria entered its 47th year of emergency law, it continued to be distinguished by its readiness to destroy all manner of political opposition, even the most limited manifestations of independent expression. The Kurdish minority was kept in check by institutionalized discrimination, and human rights defenders were targets for successive attacks. Muhannad al-Hassani, the president of the Sawasiyah human rights organization, was arrested and tried, and his attorney, Haitham al-Maleh, the former chair of the Syrian Human Rights Association, was referred to a military tribunal. The offices of the Syrian Center for Media and Freedom of Expression were shut down, and Syrian prisons still hold dozens of prisoners of conscience and democracy advocates.
In Bahrain, the systematic discrimination against the Shiite majority was accompanied by more repression of freedom of expression and peaceful assembly. Human rights defenders increasingly became targets for arrest, trial, and smear campaigns. Some human rights defenders were even subjected by government agents to threats and intimidation while in Europe.
In Saudi Arabia, the report notes that the Monarch’s speeches urging religious tolerance and interfaith dialogue abroad have not been applied inside the Kingdom, where the religious police continue to clamp down on personal freedom. Indeed, repression of religious freedoms is endemic, and the Shiite minority continues to face systematic discrimination. Counterterrorism policies were used to justify long-term arbitrary detention, and political activists advocating reform were tortured. These policies also undermined judicial standards, as witnessed by the prosecution of hundreds of people in semi-secret trials over the last year.
In tandem with these grave abuses and the widespread lack of accountability for such crimes within Arab countries, the report notes that various Arab governments and members of the Organization of the Islamic Conference have been working in concert within UN institutions to undermine international mechanisms and standards for the protection of human rights. On this level, Arab governments have sought to undercut provisions that bring governments to account or seriously assess and monitor human rights. This is most clearly illustrated by the broad attack on independent UN human rights experts and NGOs working within the UN, as well as attempts to legalize international restrictions on freedom of expression through the pretext of prohibiting “defamation of religions.”
In the same vein, the Arab League and its summit forums offered ongoing support for the Bashir regime in Sudan despite charges of war crimes, and members of the organization used the principle of national sovereignty as a pretext to remain silent about or even collaborate on grave violations in several Arab states. Little hope should be invested in the Arab League as a protector of human rights regionally. Indeed, the Arab Commission on Human Rights, created by the Arab Charter on Human Rights (a weak document compared to other regional charters), is partially composed of government officials, and the secretariat of the Arab League has begun to take measures to weaken the Commission, including obstructing the inclusion of NGOs in its work, intentionally undermining its ability to engage in independent action, even within the stifling constraints laid out by the charter.
by Bahey Eldin Hassan, General Director of the Cairo Institute for Human Rights studies