"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 gennaio 2013

Discorso del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, in occasione dell'apertura del Sinodo della Chiesa Patriarcale di Babilonia dei Caldei

By Il Sismografo

Eccellenze Reverendissime,
Venerati Membri del Sinodo della Chiesa Caldea
Sono particolarmente lieto di accogliere le Loro Eccellenze a Roma, sede del Successore di Pietro, non distanti dal luogo che ha conosciuto il martirio dell'Apostolo e ne custodisce le spoglie. Il Santo Padre vi accompagna con la Sua preghiera e la Sua Benedizione.
 L'invocazione allo Spirito Santo Paraclito vi illumini e vi accordi la grazia del buon consiglio per l'elezione del nuovo Patriarca, successore di S.B. il Card. Emmanuel III Delly, al quale va il mio saluto, e che finora ha guidato la Chiesa Caldea, in un momento particolarmente delicato sia nella terra in cui ha conosciuto le sue radici sia nella diaspora.
La Vostra Chiesa partecipa alla dignità storica e canonica che la Chiesa Universale riconosce alle Chiese Patriarcali le quali, per Provvidenza Divina, sono costituite con disciplina e liturgia proprie, per valorizzare la tradizione particolare dell'Oriente Cristiano e dell'Unica Tradizione Cattolica che si esprime nella diversità e nella singolarità dei caratteri particolari e, grazie ad essi, esalta l'unità che proviene dallo Spirito Santo.
Sono ben consapevole della profonda venerazione che ciascuno di voi nutre per il patrimonio spirituale caldeo e per le tradizioni dei padri, e ora siete chiamati ad esprimere pubblicamente questa consapevolezza nell'elezione di un nuovo Patriarca. In questo atto elettivo, di suprema importanza davanti a Dio, davanti alla Chiesa e a tutti i fedeli, ciascuno delle Loro Eccellenze è corresponsabile di ciò che dall'elezione patriarcale deriva, specialmente nel delicato momento storico: il futuro stesso della Chiesa Caldea e della Sua tradizione e patrimonio, la comprensione dei tempi e delle situazioni ecclesiali, storiche e sociali, l'elaborazione degli orientamenti pastorali e le loro stesse applicazioni.
E’ la Chiesa Caldea che vi invita a compiere i sacrifici necessari con gli occhi illuminati dalla fede e lasciati da parte tutti gli interessi personali a vantaggio della vostra Chiesa e di quella Universale.
Sia la luce dello Spirito a guidarvi nell'Elezione del nuovo Pater et Caput con la consapevolezza che quanto vi unisce dal punto di vista spirituale, sacramentale e pastorale è di gran lunga superiore a quanto potrebbe separarvi vicendevolmente affinché l'unità che ci rinsalda si esprima in questa elezione con tutto il suo vigore ed efficacia.
Il Sinodo della Chiesa Caldea si apre nel cuore dell'Anno della Fede, voluto dal Santo Padre affinché si possa comprendere più profondamente il fondamento della fede cristiana come un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare. Sull'invito di quanto espresso da Sua Santità, che segue da molto vicino la Chiesa Caldea, possa il Sinodo operare dando testimonianza di comunione affinché la concordia regni ed il Padre sia glorificato in Gesù Cristo mediante lo Spirito Santo.
Come Incaricato dal Santo Padre a presiedere questo Sinodo assicuro a ciascuna delle Loro Eccellenze la mia preghiera e l'applicazione imparziale delle norme del Diritto Ecclesiastico, a garanzia del rispetto del vostro voto libero e responsabile davanti a Dio.
Nella speranza che tutto si svolga nella serenità e la concordia, vi invito pertanto a:
- rispettare il segreto elettorale, e a ricordare il Can. 183 §2 del CCEO, riguardante l'elezione dei Vescovi e ancor di più l'elezione del Patriarca: "I Vescovi eleggano liberamente colui che davanti al Signore ritengono degno ed idoneo più di tutti gli altri".
Rilevo tre aspetti fondamentali:
- la libertà di elezione, ovvero senza condizionamento e senza alcuna forma di patteggiamento;
- il voto emesso di fronte a Dio, e senza subordinarlo ad altri interessi
- il voto assegnato al miglior candidato per dignità e idoneità, senza alcun altro pensiero che la gloria di Dio ed il bene della Chiesa.
I Vostri figli, i fedeli Caldei confidano nel vostro responsabile impegno e con loro la Chiesa Universale attende la Vostra Sapiente decisione, da questa Assise Sinodale in Urbe.

I candidati del «conclave» caldeo

By Vatican Insider
by Andrea Tornielli


Nell’agenda del Sinodo della Chiesa caldea convocato a Roma per eleggere il nuovo Patriarca, la giornata di oggi è riservata al confronto tra i vescovi sulla condizione e sui problemi vissuti dalle comunità caldee nel territorio patriarcale e nella diaspora. Per essere eletto, il nuovo Patriarca dovrà raccogliere i due terzi dei quindici voti disponibili. Ma all’appuntamento, l’episcopato caldeo si presenta diviso. Sono sotto gli occhi di tutti i colpi e il declino subiti dopo l’operazione «Iraqi Freedom» da quella che fino ad allora era una comunità cattolica autoctona tra le più tenacemente radicate nell’area mediorientale. Ma nella partita per l’elezione del nuovo Patriarca si fronteggiano prospettive diverse su come affrontare l’emergenza e garantire continuità a quella Chiesa cattolica sui iuris.  
Nello scenario iracheno messo a dura prova dai revanscismi etnico-religiosi, anche in seno alla compagine caldea ha guadagnato terreno negli ultimi anni l’opzione identitaria. Se sotto il regime baathista i capi caldei teorizzavano l’assimilazione culturale e politica dei cristiani al milieu arabo, nel confuso dopoguerra alcuni di loro si sono posti come leader di una minoranza etnico-nazionale in lotta per la salvaguardia dei propri diritti sociali, politici e culturali. L’ambiente favorevole a questa nuova sensibilità identitaria è stata la diaspora caldea radicatasi negli Stati Uniti, con la sua galassia di circoli, movimenti e sigle politiche.
A livello ecclesiale, gli alfieri della riscoperta identità etnica e dei suoi correlati rituali e liturgici sono i due vescovi caldei insediati negli Usa: il 75enne Ibrahim Ibrahim, residente a Southfield (Michigan) e il 71enne Sahrad Jammo, residente a San Diego (California). Soprattutto il primo, nonostante l’età (a 75 anni i vescovi sono tenuti a rinunciare al proprio governo episcopale) è entrato come “papabile” nel Sinodo elettorale di questi giorni. Nato nel villaggio di Telkaif – come il patriarca dimesso Emmanuel III Delly e almeno altri due vescovi elettori – prima di venire a Roma Ibrahim ha rilasciato al «The Michigan Catholic», organo della diocesi di Detroit – un’intervista in cui esaltava la progressione esponenziale compiuta negli ultimi lustri dalla diaspora caldea in Usa, passata dai 20mila fedeli di 30 anni fa ai 220mila di oggi.
L’elezione a patriarca di un vescovo insediato in Occidente confermerebbe l’immagine di una Chiesa caldea “a trazione americana”, che perde terreno nei territori tradizionali del suo insediamento (dove i fedeli, secondo le stime più pessimiste, sarebbero ormai poche centinaia di migliaia) e affida alle sensibilità identitarie delle comunità d’Oltreoceano la conservazione delle proprie peculiarità liturgiche, teologiche e culturali. In tempi recenti non sono mancate congetture su un possibile trasferimento in America del patriarcato caldeo, in maniera analoga a quanto già avvenuto alla Chiesa assira d’Oriente, il cui patriarca trasferì la sua residenza abituale negli Usa già negli anni Trenta del secolo scorso, dopo le stragi anti-assire consumate a quel tempo in territorio iracheno.
Alla prospettiva identitaria e delocalizzata prevalente negli ambienti della diaspora si sottraggono diversi vescovi a capo di diocesi nel Kurdistan iracheno e in altre regioni mediorientali. Cinque di loro – compresi  Rabban Al-Quas, Louis Sako e Mikha Pola Maqdassi, presenti al Sinodo elettivo in corso a Roma - nel giugno 2007 boicottarono clamorosamente un’assemblea sinodale per marcare la loro distanza dalla linea del patriarca Delly e denunciare la «condizione insana» e lo stato di abbandono pastorale in cui ai loro occhi versavano le comunità caldee. Tra le altre cose, i cinque vescovi del Nord Irak respingevano i ricorrenti progetti di creare un’area di autonomia amministrativa di “protezione” per i cristiani assiri e caldei, da dislocare nella piana di Ninive, a nord di Mosul.
Di recente, l’Arcivescovo di Kirkuk Louis Sako in un appello lanciato dall’agenzia Fides ha denunciato anche la «trappola del nazionalismo» che minaccia le antiche Chiese orientali d’origine apostolica, soprattutto quando sono indebolite dalle emorragie migratorie dirette verso i Paesi occidentali. Il vescovo siriano di Aleppo, Antoine Audo SJ, continua a essere un punto di riferimento per i vescovi più insofferenti della scarsa sensibilità ecclesiale che, a loro giudizio, ha connotato i vertici della Chiesa caldea negli ultimi anni. I detrattori del gesuita siriano continuano a contestargli una scarsa familiarità con la lingua caldea in uso nelle liturgie tradizionali. Mentre appaiono ormai evaporate le antiche – e infondate - accuse di coltivare simpatia per il regime baathista degli Assad.
Un altro fattore con cui dovrà misurarsi il nuovo patriarca è l’aumento delle tensioni anche istituzionali che mettono in discussione la tenuta unitaria della stessa nazione irachena. Nelle aree del Kurdistan iracheno – che con la sua autonomia politico-amministrativa rappresenta la prima embrionale realizzazione delle aspirazioni nazionali curde – oggi sono concentrate la maggior parte delle diocesi caldee. Nelle strategie curde di lungo periodo sembra esserci anche un ruolo assegnato alle comunità cristiane in Irak, a giudicare dalle cospicue risorse dirottate qualche anno fa verso le Chiese dal governo regionale del Kurdistan per costruire parrocchie, sedi episcopali, scuole. Un “soccorso curdo” che alimenta aspirazioni di ritrovata grandezza.
Nei mesi scorsi l’arcivescovo caldeo  di Erbil Bashar Warda ha benedetto la prima pietra di una Università cattolica che dovrebbe essere ultimata nel sobborgo di Ankawa entro il 2015. Ad Ankawa è già dislocato il Babel College, la facoltà di teologia e filosofia che prima della guerra si trovava a Baghdad e che attualmente rappresenta l’unico centro cristiano di studi teologici di alto livello operante in Irak. Ma se i politici del Kurdistan iracheno puntano a guadagnare il sostegno delle minoranze cristiane alla causa indipendentista curda. anche questo scenario non è privo di controindicazioni per i caldei rimasti in Irak. Nel Paese sottoposto a forti spinte centrifughe, un patriarca sbilanciato in rapporti preferenziali con una sola componente del mosaico iracheno finirebbe per creare nuovi problemi all’intera comunità caldea.
Davanti a un puzzle così complicato, in caso di stallo elettorale la Santa Sede, prima di avocare al Papa la nomina del successore di Delly,  sarà chiamata a esercitare sul Sinodo caldeo una “moral suasion” a favore di un candidato in grado di raccogliere consensi dai diversi gruppi in competizione. Tenendo conto  - come ha sottolineato il vescovo ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni - che ogni vescovo caldeo è comunque degno di divenire patriarca della sua Chiesa.

The candidates of the Chaldean “conclave”

by Andrea Tornielli

Today, the Synod of Chaldean Bishops, which is in Rome to elect a new Patriarch, met to discuss the conditions and problems experienced by Chaldean communities in the Patriarchal territory and wider diaspora. To be elected, the new Patriarch will have to obtain two thirds of the fifteen available votes. But during the meeting, the Chaldean episcopate appeared divided. The blows and the decline experienced after the “Iraqi Freedom” operation by what had been one of the most well-established independent Catholic communities in the Middle East. But new disagreements have sprung up in the run-up to the election of the new Patriarch, over how to deal with the emergency and guarantee continuity for this Catholic Church sui iuris.
 In recent years, the identity option has gained a lot of ground in the Iraqi context which has been seriously tested by ethnic and political revanchism, even within the Chaldean Church. If under the Baathist regime, Chaldean leaders theorised about the cultural and political assimilation of Christians into the Arab milieu, in the chaos of the post-war period, some of them put themselves forward as leaders of an ethnic-national minority fighting to safeguard their own social, political and cultural rights. The Chaldean diaspora which settled in the United States, with its galaxy of circles, movements and political logos, is the ideal context for this new sensitivity to identity to thrive.
  On an ecclesial level, the standard bearers of the rediscovered ethnic identity and its liturgical and ritualistic links are the two bishops of the United States-based Chaldean Church: the 75-year old Ibrahim Ibrahim, resident in Southfield (Michigan) and 71-year old Sahrad Jammo, resident in San Diego (California). The former, in particular, despite his age (bishops are required to renounce their Episcopal role once they reach the age of 75) is a potential candidate for the papacy in the electoral Synod that is currently underway. Before coming to Rome, Ibrahim, who was born in the village of Telkaif, – as was Emmanuel III Delly who resigned and at least two other electing bishops – was interviewed by The Michigan Catholic, the newspaper of the Diocese of Detroit. In the interview, he praised the great progress made in the last 5 years by the Chaldean diaspora in the U.S., which went from having 20 thousand faithful 30 years ago, to 220 thousand today.
  The election of a bishop who served in the West as Patriarch of the Chaldean Church, would confirm the Church’s American influence. A Church which is losing ground in areas where its strength has traditionally lain (and where, according to the most pessimistic of estimates, there are only a few hundred thousand faithful left)and entrusts the Church’s unique liturgical, theological and cultural rituals up to the sensitivity of the Chaldean community in the U.S. There has recently been talk of the Chaldean Patriarchate being transferred to America, as happened with the Assyrian Church of the East, whose Patriarch moved to the U.S. in the 1930’s after the attacks that started taking place against Assyrians in Iraqi territory at the time.
  A number of bishops who head dioceses in Iraqi Kurdistan and other regions of the Middle East have distanced themselves from the delocalised identity-focused perspective that is dominant in the various circles of the diaspora. Five of them – including Rabban Al-Quas, Louis Sako and Mikha Pola Maqdassi, who are attending the electoral Synod in Rome – scandalously boycotted a Synod assembly in June 2007, to communicate their disagreement with the line taken by Patriarch Delly and speak out against the “insane condition” and state of pastoral abandonment they believed the Chaldean Church was being left in. The five bishops representing northern Iraq, also rejected ongoing plans to create an autonomous administrative area for the protection of Assyrian and Chaldean Christians, in the Nineveh plain, north of Mosul.
  In a recent appeal launched through Fides news agency the Archbishop of Kirkuk, Louis Sako, warned against the “trap of nationalism” that threatens the ancient apostolic Churches of the East, especially at a time when they are haemorrhaging faithful who are migrating to the West. The Syrian Bishop of Aleppo, Antoine Audo SJ, continues to be a point of reference for those bishops who will not tolerate the lack (according to them) of ecclesial sensitivity shown by Chaldean Church leaders in recent years. The Syrian Jesuit’s critics continue to oppose his lack of familiarity with the Chaldean language used in traditional liturgical rituals. Meanwhile, the old and unfounded accusations against his alleged sympathy for Assad’s Ba'athist regime now seem to have disappeared.

Los candidatos del “cónclave” caldeo

by Andrea Tornielli

En la agenda del Sínodo de la Iglesia caldea que fue convocado en Roma para elegir al nuevo Patriarca, el día de hoy estuvo dedicado al debate entre los obispos sobre la condición y los problemas que viven las comunidades caldeas en el territorio patriarcal y en la diáspora. Para ser elegido, el nuevo Patriarca tendrá que obtener dos terceras partes de los quince votos disponibles. Pero el episcopado caldeo se presenta dividido. No pasaron desapercibidos los golpes que ha sufrido, después de la operación “Iraqi Freedom”, la comunidad católica autóctona, que hasta entonces era una de las más tenaces y arraigadas en todo el Medio Oriente. Pero en la partida para la elección del nuevo Patriarca se enfrentan diferentes perspectivas sobre cómo afrontar la emergencia y garantizar la continuidad para la Iglesia católica “sui iuris”.
 En el escenario iraquí, que ha pasado una durísima prueba debido a las reivindicaciones étnico-religiosas, durante los últimos años ha ido ganando terreno la opción identitaria, incluso dentro de la comunidad caldea. Si bajo el régimen baathista los líderes caldeos teorizaban la asimilación cultural y política de los cristianos al “milieu” árabe, en la compleja situación tras la guerra algunos de ellos se propusieron como líderes de una minoría étnico-nacional en lucha para salvar los propios derechos sociales, políticos y culturales. El ambiente favorable para esta nueva sensibilidad identitaria fue la diáspora caldea que se formó en los Estados Unidos, con su galaxia de círculos, movimientos y representaciones políticas.
 A nivel eclesial, los alfiles del redescubrimiento de su identidad étnica, y de los rituales y litúrgicas relacionados, son dos obispos caldeos que viven el los Estados Unidos: Ibrahim Ibrahim, de 75 años y que vive en Southfield (Michigan), y Sahrad Jammo, de 71 años y que vive en San Diego (California). Sobre todo el primero de ellos, a pesar de la edad (a los 75 años los obispos deberían renunciar al propio gobierno episcopal), es considerado como uno de los “papables” en el Sínodo electoral de estos días. Nació en Telkaif –tal y como el anterior Patriarca Emanuel III Delly y otros dos obispos electores– y antes de viajar a Roma concedió una entrevista al “The Michigan Catholic”, * órganos de la diócesis de Detroit, en la que exaltó la progresión exponencial que ha vivido en los últimos años la diáspora caldea hacia los Estados Unidos (pasó de 20 mil fieles hace 30 años a los alrededor de 220 mil de hoy).
 La elección como Patriarca de un obispo que radica en el Occidente confirmaría la imagende una Iglesia caldea “a la estadounidense”, que pierde terreno en los territorios tradicionales (en donde los fieles, según los últimos datos serían solo pocos cientos de miles) y entrega a las sensibilidades identitarias americanas la conservación de las propias peculiaridades litúrgicas, teológicas y culturales. No han faltado conjeturas sobre una posible “mudanza” hacia los Estados Unidos del patriarcado caldeo, algo parecido a lo que ya pasó con la Iglesia asiria de Oriente, cuyo partiarca se mudó a los Estados Unidos durante los años treinta del siglo XX, después de las maracres en contra de los asirios que se verificaron en territorio iraquí.
 A esta posibilidad identitaria y delocalizada que prevalece en los ambientes de la diáspora se oponen algunos obispos que se ocupan de las diócesis del Kurdistán iraquí y de otras regiones del Medio Oriente. Cinco de ellos (incluidos Rabban Al-Quas, Louis Sako y Mikha Pola Maqdassi, que se encuentran en el Sínodo de Roma) boicotearon en junio de 2007 una asamblea sinodal para marcar su oposición a la línea del patriarca Delly y denunciar la «condición enfermiza» y el estado de abandono pastoral en el que, según su opinión, vivían las comunidades caldeas. Entre otras cosas, los cinco obispos del norte de Irak rechazaban los constantes proyectos para crear un área de autonomía administrativa de “protección” para los cristianos asirios y caldeos, que se habrían debido transferir a la llanura de Nínive, al norte de Mosul.
 Hace poco, el arzobispo de Kirkuk, Louis Sako, denunció en un llamado que retomó la agencia Fides la «trampa del nacionalismo» que amenaza a las antiguas Iglesias orientales de origen apostólico, sobre todo cuando se encuentran debilitadas por las hemorragias migratorias hacia los países occidentales. El obispo sirio de Aleppo, Antoine Audo SJ, sigue siendo un punto de referencia para los obispos que menos se preocupan de la sensibilidad eclesial, que según ellos, ha caracterizado a la Iglesia caldea de los últimos años. Los detractores del jesuita indican que tiene muy poca familiaridad con la lengua caldea que se usa en las liturgias tradicionales. Aunque parece que se han ido evaporando las antiguas (e infundadas) acusaciones sobre una supuesta simpatía por el régimen baathista de los Assad.

The Patriarch with the strange headgear


By Baghdadhope*

Some years ago, the Patriarch of the Chaldean Church, Emmanuel III Delly, complained about having been stopped in Via della Conciliazione in Rome by a journalist who, taking advantage of the fortuitous meeting, questioned him about the situation of Iraqi Christians in one of the darkest periods in the recent history of his church: that of the abductions of priests in Baghdad and Mosul.
His visit to Vatican in those days had to remain confidential for security reasons but it was a vain hope.
Anyone with even the slightest knowledge of the Eastern Churches would have recognized him immediately from his clothes: he could not pass unnoticed.
On that day, His Beatitude, not yet a Cardinal, was wearing a long robe and  a unique headgear called in Arabic Shash (شاش) meaning "gauze" and "Shasta " in Sureth, the dialect spoken by Chaldeans.
A traditional headgear, the Shash is used not only by the Patriarch of the Chaldean Church. In ancient times it  was used by all the members of the Church: priests, bishops and patriarch, but by lay people too, while now to use it or not is a personal choice, a tradition that is now disappearing.
The previous Patriarch Mar Raphael Bedaweed, for example, just wore it in his youth, some bishops used it until a few decades ago, such as Bishop Shleimun Warduni when he was the Rector of the Patriarchal Seminary in Baghdad, and some priests still continue to wear it, as it is for Father Benjamin Beth Yadegar, the parish priest of the only Chaldean church in Georgia, and of the same Cardinal Delly who wore it on January 18 – after his resignation as Patriarch - for the ceremony for the Week for Christian Unity celebrated in Baghdad in the Syriac Catholic Church of Our Lady of Salvation.
The Shash has the shape of a tambourine hat made up of seven layers of black gauze wrapped one over the other and thick enough to make the upper edge visible. The number 7 was not chosen by chance but it has a symbolic value as it represents the seven days of creation, the seven sacraments, the seven gifts of the Holy Spirit, the seven petitions in the Lord's Prayer and a reference to the seven lamps of fire burning- the 7 Spirits of God - that we can find in the Book of Revelation (4:5).
The upper part of the shash can be black or burgundy with a bundle of black wires 6.5 cm. long hanging down from its centre.
In ancient times the shash was nothing more than a long piece of fabric wrapped around the head the top of which was covered by a skullcap called "Araqcin." The headgear was uncomfortable to wear sometimes several times in a day and for this reason Mar Eliya Abulyonan XIII, the Chaldean Patriarch from 1878 to 1894, commissioned a priest very well known for his artistic vein, Father Abdelahad Ma'muar Bashi, to design a more comfortable headgear. It was the Shash we now know that, in different models, is used by the Eastern Churches clergy.
When the Chaldean Patriarch, on November 24, 2007, was elevated to the rank of cardinal by Pope Benedict XVI and on the wide screens in St. Peter's Square appeared the image of the zucchettos of the 23 new cardinals, his stood out among them all.
The color, however, was changed. The new dignity of the Patriarch, the first in the history of the Chaldean Church, was marked by a Shash covered with red silk gauze as red was its top.
The new patriarch who will succeed to Mar Emmanuel III Delly, and who will be appointed shortly by the Synod in Rome, maybe will choose to wear the black or burgundy Shash that, although more discreet than the red one, will not help him to pass by unnoticed, even in Via della Conciliazione, where the concentration of prelates is very high.
There is an old Italian says that literally goes: A man warned is a half saved man.
To paraphrase it using a similar English saying we could say: A Patriarch forewarned is a Patriarch forearmed.



Some data and the two photos of the Shash were taken from the Philippi Collection blog which contains the largest collection in the world of ecclesiastical headgears: Christian, Jewish and Muslim
Data that do not appear on Mr. Philippi’s blog have been provided to Baghdadhope by Chaldean priests and bishops.

Il Patriarca dallo strano copricapo

By Baghdadhope*


Anni fa, l'allora patriarca della chiesa caldea, Cardinale Emmanuel III Delly, ebbe a lamentarsi dell'essere stato fermato in Via della Conciliazione a Roma da un giornalista che, approfittando dell'incontro fortuito, gli chiese notizie della situazione degli iracheni cristiani in uno dei periodi più bui della storia recente della sua chiesa: quello dei rapimenti che ebbero come vittime esponenti ecclesiastici iracheni a Baghdad e Mosul.
La sua visita in Vaticano in quei giorni avrebbe dovuto rimanere riservata per ovvie ragioni di sicurezza ma era un bel sperare da parte del Patriarca.
Chiunque avesse anche la minima conoscenza delle chiese orientali lo avrebbe infatti subito riconosciuto dall'abbigliamento: non avrebbe potuto passare passare inosservato.
Quel giorno Sua Beatitudine, non ancora elevato al rango di Cardinale, indossava infatti non solo una lunga tonaca quanto un copricapo unico nel suo genere chiamato in arabo Shash (شاش) che significa "garza" ed in sureth, il dialetto parlato dai caldei, "shasta".
Copricapo tradizionale, lo Shash non è indossato solo dal patriarca della chiesa caldea. Anticamente lo era infatti da tutti i membri della chiesa caldea, sacerdoti, vescovi e patriarca ma anche dai laici, mentre ora la sua scelta è personale e si è persa col tempo.
Il precedente patriarca, Mar Raphael Bedaweed, ad esempio lo indossò solo in gioventù, alcuni vescovi lo hanno portato fino ad qualche decina di anni fa, come ad esempio Mons. Shleimun Warduni quando era rettore del seminario patriarcale a Baghdad, ed alcuni sacerdoti continuano ad indossarlo ancora oggi, come è il caso di Padre
Benyamin Beth Yadegar, parroco dell'unica chiesa caldea in Georgia e dello stesso Cardinale Delly che lo ha indossato il 18 gennaio - successivamente quindi alle sue dimissioni da Patriarca - per la cerimonia per la Settimana per l'Unità dei Cristiani celebrata a Baghdad nella chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza.  
Lo Shash ha la forma di un cappello a tamburello il cui corpo è costituto da sette strati di garza nera avvolti l'uno sull'altro ed abbastanza spessi da lasciarne intravedere il bordo superiore.  Il numero 7 non è stato scelto a caso ma ha valenza simbolica visto che rappresenta i 7 giorni della creazione, i 7 sacramenti, i 7 doni dello Spirito Santo, le 7 petizioni nella preghiera del Signore ed un riferimento alle 7 lampade ardenti - i 7 spiriti di Dio - che troviamo nel Libro dell'Apocalisse (4:5).
La parte superiore dello shash può essere di colre nero o amaranto e dal suo centro pende un fascio di fili neri di 6,5 cm di lunghezza.
In realtà, anticamente, lo shash altro non era che un lungo tessuto che veniva avvolto attorno al capo la cui sommità era coperta da uno zuccotto  chiamato "Araqcin".   Il copricapo risultava però scomodo da indossare magari più volte al giorno e fu così che Mar Eliya Abulyonan XIII, patriarca caldeo dal 1878 al 1894, incaricò un sacerdote rinomato perchè dotato di senso artistico, Padre Abdelahad Ma'muar Bāshi, di ideare un cappello più comodo. Fu così che nacque lo shash che ora conosciamo e che, in diverse varianti, è usato in diverse chiese orientali. 
Quando il Patriarca caldeo, il 24 di novembre del 2007, fu elevato al rango di Cardinale da Papa Benedetto XVI e sui grandi schermi in Piazza San Pietro fu mostrata l'immagine delle berrette dei 23 nuovi cardinali la sua spiccava tra tutte. 
Il colore era però cambiato. La nuova dignità del Patriarca, il primo ad essere nominato cardinale nella storia della chiesa caldea, era segnata da uno shash il cui corpo di garza era ricoperto da seta rossa come rossa era la sommità.

Il nuovo patriarca che succederà a Mar Emmanuel III Delly, e che il sinodo che si sta svolgendo a Roma nominerà a breve, forse sceglierà di indossare lo shash nero o amaranto che però, sebbene più discreto di quello rosso, non servirà a renderlo anonimo, neanche in Via della Conciliazione dove la concentrazione di prelati è altissima. 
Parafrasando un proverbio si potrebbe dire: Patriarca avvisato, mezzo salvato.
 








Alcune informazioni e le foto dei due Shash  sono state tratte dal blog Philippi Collection che raccoglie la più vasta collezione al mondo di copricapi del mondo ecclesiastico, cristiano, ebraico e musulmano
Le informazioni che non compaiono sul blog del Sig. Philippi sono state fornite a Baghdadhope da sacerdoti e vescovi caldei.   

28 gennaio 2013

Sinodo della chiesa caldea: dati

By Baghdadhope*

Con le dimissioni del patriarca caldeo si riapre, dopo 10  anni, la questione dell'elezione del suo successore.

Nel 2003, successivamente alla scomparsa di Mar Raphael Bedaweed, la questione della sua successione destò non pochi problemi. Il sinodo elettivo convocato a Baghdad dal 20 agosto al 3 settembre non riuscì infatti a produrre alcun nome.
Secondo il Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali, (Tit. IV Cap. 1 Can.72 §1) infatti, l'eletto deve esserlo con i 2/3 dei voti dei presenti che in quell'occasione erano 20 su un totale di 22 vescovi, ma i risultati trapelati * furono di 12 voti per il gesuita Mons. Antoine Audo, dal 1992 vescovo di Aleppo, e di 8 voti per Mons. Sarhard Jammo, dal 2002 vescovo degli Stati Uniti occidentali.

La mancata nomina del patriarca rese necessario il ricorso al paragrafo 2 dello stesso canone in virtù del quale un successivo sinodo fu convocato dal Vaticano a Roma per i primi giorni del dicembre 2003. Riuniti in Vaticano alla presenza del Cardinale Ignace Moussa I Daoud, allora Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, i vescovi caldei in soli due giorni produssero finalmente il nome del candidato alla carica patriarcale: il vicario patriarcale di Baghdad, Mons. Emmanuel Karim Delly che celebrò la cerimonia della sua intronizzazione il 21 dicembre nella chiesa di San Giuseppe a Baghdad.

Tralasciando le spuculazioni sul nome del futuro patriarca che si sono susseguite dal momento delle dimissioni di Mar Emmanuel III Delly vediamo ora i soli dati riguardanti questo sinodo cui, ricordiamo, non partecipano per ragioni di salute e di età nè il Patriarca Emerito nè l'Arcivescovo Emerito di Kirkuk, Mons. Andreas Sana'. Assenze che quindi portano il conto totale dei vescovi presenti a 15

E' utile ad esempio considerare i dati che riguardano i possibili candidati alla carica patriarcale cominciando con il ricordare che dei 22 vescovi che nel 2003 componevano il Sinodo ben 8 sono scomparsi in questi anni:

1.       Paul Karatas (Arcivescovo di Diarbekir -Turchia - 2005)

2.      Yacoub Denha Cher (Arcivescovo di Erbil - 2005)

3.      Stéphane Babaqa (Arcivescovo emerito di Erbil – 2007)

4.      Abdul-Ahad Sana (Vescovo emerito di Alqosh – 2007)

5.      Faraj Raho (Arcivescovo di Mosul – 2008)

6.      Youssef Ibrahim Sarraf (Vescovo del Cairo - 2009)

7.      Andraous Abouna (Vicario patriarcale Baghdad -2010)

8.      Petros Hanna Issa al Harboli (Vescovo di Zakho - 2010)        

 
    Ai rimanenti 14 se ne sono aggiunti tre: Mons. Louis Sako (Arcivescovo di Kirkuk) che, essendo stato ordinato alla carica vescovile il 14 novembre del 2003 ha partecipato al solo sinodo di Roma; Mons. Emile Nona (Arcivescovo di Mosul) e Mons. Bashar Matti Warda (Arcivescovo di Erbil) per un totale di 1 tra vescovi ed arcivescovi elettori. 
* Dai dati che seguono è escluso, ovviamente il Patriarca Emerito, Cardinale Delly.

Nome         Nascita    Nomina    Titolo
Alqas
1949
06/12/2001
Vescovo di Amadiya
Audo
1946
18/01/1992
Vescovo di Aleppo
Garmou
1945
05/05/1999



07/02/1999
Arcivescovo 
coadiutore
di Tehran

Arcivescovo di Tehran
Ibrahim
1937
11/01/1982


07/03/1982 


03/08/1985
Esarca Apotolico USA

Vescovo titolare Anbar dei Caldei

Vescovo USA est (San Tommaso Apostolo)
Isaac
1938
07/05/1997 

04/05/1999

21/12/2005 



19/12/2012
Arcivescovo di Erbil 

Dimissioni

Arcivescovo titolare di Nisibis dei Caldei e 
Vescovo di curia patriarcale
 

Vicario patriarcale
Jammo
1941
21/05/2002
Vescovo USA ovest (San Pietro Apostolo)
Kassab
 1938
24/10/1995


21/10/2006
Arcivescovo di Bassora

Arcivescovo di Australia e Nuova Zelanda
(San Tommaso Apostolo)
Kassarji
1956
18/01/2001
Vescovo di Beirut
Maqdassi
1949
06/12/2001
Vescovo di Alqosh
Meram
1943
30/11/1983


Arcivescovo di Urmia
Vescovo di Salmas
Nona
1967
13/11/2009
Arcivescovo di Mosul
Sako
1948
27/09/2003
Arcivescovo di Kirkuk
San’a
1920
20/06/1957

02/03/1966

17/11/1967


14/12/1977


27/09/2003
Vescovo di Aqra

Vescovo di Amadiya

Dimissioni

Arcivescovo di Kirkuk

Arcivescovo emerito di Kirkuk
Warda
1969
24/05/2010
Arcivescovo di Erbil
Warduni
1943
12/01/2001
Vescovo titolare Anbar dei Caldei
Vescovo di curia patriarcale
Zora
1939
01/05/1974

 

10/06/2011
Arcivescovo di Ahvaz

Arcivescovo del Canada (Sant'Addai)
  
Per quanto riguarda l'anzianità anagrafica a parte Mons. Andreas Sana', Arcivescovo emerito di Kirkuk che nel 2013 compierà 92 anni, un solo vescovo, Mons. Ibrahim N. Ibrahim (USA est), al momento del sinodo avrà già raggiunto i 75 anni e quindi l'età del ritiro. Un'età che comunque non lo esclude dal ruolo di patriarca visto che al momento della sua nomina il cardinale Delly aveva compiuto da poco i 76 anni.

Due, invece, i vescovi che raggiungeranno quel traguardo proprio nel 2013: Mons. Jacques Isaac (curia patriarcale) e Mons. Jibrail Kassab (Australia e Nuova Zelanda)

Due vescovi, Mons. Emile Nona (Mosul) e Bashar M. Warda (Erbil) nello stesso anno non avranno invece ancora compiuto 50 anni.

Nove hanno il titolo di arcivescovo:
Mons. Ramzi Garmou (Tehran;
Amministratore Patriarcale della diocesi di Ahwaz dei Caldei);
Mons. Jibrail Kassab (Australia e Nuova Zelanda, Emerito di Bassora);
Mons. Louis Sako (Kirkuk; delegato patriarcale per Sulemaniya);
Mons. Thomas Meram (Urmia - Iran);
Mons. Hanna Zora (Canada, Emerito di Ahvaz -Iran);
Mons. Bashar M. Warda (Erbil; delegato patriarcale per la diocesi di Zakho);
Mons. Emil Nona (Mosul);
Mons. Andreas Sana' (Emerito di Kirkuk);
Mons. Jacques Isaac, (Nisibis, dal 1997  Arcivescovo di Erbil carica da cui si dimise nel 1999)      

Due sono i vescovi di curia patriarcale, Mons. Shleimun Warduni e Mons. Jacques Isaac

Otto sono i prelati residenti in Iraq:
Mons. Shleimun Warduni
(Baghdad)
Mons. Jacques Isaac (Baghdad)
Mons. Emil Nona (Mosul)
Mons. Bashar M. Warda (Erbil)
Mons. Louis Sako (Kirkuk)
Mons. Adreas Sana' (Kirkuk)
Mons. Mikha P. Maqdassi (Alqosh)
Mons. Rabban Al Qas (Amadiya)

Due in Iran:
Mons. Ramzi Garmou (Tehran)
Mons. Thomas Meram (Urmia)

Due negli Stati Uniti:
Mons. Ibrahim N. Ibrahim (Usa ovest)
Mons. Sarhad Y Jammo (Usa est)

Uno in Canada:
Mons. Hanna Zora

Uno in Australia:
Mons. Jibrail Kassab
 

Uno in Siria:
Mons. Antoine Audo

Uno in Libano
Mons. Michael Kassarji


Un elemento che potrebbe avere importanza è anche la località di nascita del futuro patriarca o la località di origine della sua famiglia visto che, sebbene fuori dalle logiche di appartenenza tribale tipiche dell'Iraq islamico, anche la comunità cristiana del paese fa riferimento alla vicinanza parentale e territoriale per regolare gli equilibri dei suoi rapporti.
 
Due sono i vescovi che non sono nati in Iraq: Mons. Antoine Audo (Siria) e Mons. Michael Kassarji (Libano).


Dei 14 iracheni di nascita ben 3 sono nati a Telkeif (Diocesi di Mosul) lo stesso villaggio dove è nato il Cardinale Delly:
Mons. Jibrail Kassab
Mons. Thomas Meram
Mons. Ibrahim N. Ibrahim

Due hanno le proprie origini familiari a Telkeif ma sono nati altrove:
Mons. Sarhad Y. Jammo (Baghdad)

Mons. Ramzi Garmou (Zakho) 

Due sono nati nel villaggio di Alqosh che è sede diocesana:
Mons. Mikha P. Maqdassi
Mons. Emil S. Nona
mentre, sebbene la sua famiglia sia originaria di  quel villaggio, Mons. Jacques Isaac è nato a Mosul. 

Due hanno visto la luce a Batnaya, un altro centro della Diocesi di Alqosh:
Mons. Shleimun Warduni
Mons. Hanna Zora   

Due sono nati nel territorio della diocesi di Amadiya:
Mons. Rabban Alqas
(Komane)
Mons. Andreas Sana'a
(Aradin)

Mons. Louis Sako è nato a Zakho (sede diocesana) e della stessa città è originaria la famiglia di Mons. Bashar M. Warda che però è nato a Baghdad.


Due sono i vescovi che non hanno l'aramaico come lingua materna: Mons. Antoine Audo (Siria) e Mons. Michael Kassarji (Libano)   


 Sei sono le sedi diocesane vacanti:
- Cairo (Egitto) Dalla morte di Mons. Yousif Sarraf nel 2009. Attuale amministratore patriarcale in Egitto è dal 2010 il Corepiscopo Mons. Philip Najim, visitatore apostolico per l'Europa e Procuratore della chiesa caldea presso la Santa sede.
- Diarbakir (Turchia) Dalla morte di Mons. Paul Karatas nel 2005. Attuale amministratore patriarcale in Turchia è Padre
François Yakan 
- Aqra (Iraq). Dalla morte di Mons. Abdul-Ahad Rabban nel 1998. Amministratore patriarcale è Padre Yohanna Issa.

- Bassora (Iraq) Dal 2006 con la nomina di Mons. Jibrail Kassab a vescovo dell'Australia e della Nuova Zelanda. Amministratore patriarcale a Bassora è il Corepiscopo Mons. Imad al Banna.
- Ahwaz (Iran). Dal 1987 quando Mons. Hanna Zora (dal 2011 Arcivescovo del Canada) abbandonò l'Iran.
Amministratore Patriarcale è Mons. Ramzi Garmou.
- Zakho (Iraq). Dalla morte nel 2010 di Mons. Boutrous H. Harbouli. Dal 2012 amministratore patriarcale è Mons. Bashar M. Warda, attuale Arcivescovo di Erbil. 

 Non si deve dimenticare inoltre che il nuovo patriarca può esercitare il diritto a destinare i vescovi ausiliari del precedente ad altri incarichi e farsi affiancare nei suoi compiti da altri prelati. 

Ospitati dai Passionisti del Celio a Roma i vescovi caldei hanno compito non facile. Gli ultimi dieci anni sono stati a dir poco turbolenti. Per L'Iraq, e per la stessa chiesa caldea che ha vissuto momenti di tensione interna anche molto alti.
Si spera che il raccoglimento degli esercizi spirituali del primo giorno di incontri, la bellezza del luogo che li ospita, con i suoi chiostri ed il suo parc
o, ma soprattutto la presenza moderatrice del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione delle Chiese Orientali, li possano ispirare a favore della scelta migliore.
Gli ormai pochi* fedeli rimasti in Iraq e che tanto hanno sofferto e soffrono la meritano di certo. Sbagliare non si può. Sbagliare non si deve.



* E' ovvio che si tratta di risultati trapelati e non ufficialmente confermati ai media come è  prassi in questi casi. 
* Non ci sono cifre ufficiali ed esatte su quanti siano i cristiani rimasti in Iraq come, d'altra parte, non ce n'erano prima della guerra del 2003. Si parla genericamente di cifre che vanno - oggi - dai 300.000 ai 500.ooo dei quali la maggior parte caldei in proporzione però incerta.