"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 maggio 2008

Incontro di Stoccolma: Warduni e Najim

Fonte: SIR
IRAQ: STOCCOLMA. PADRE P.NAJIM, “OGGI INCONTRO CON AL MALIKI”. APPELLO PER I RIFUGIATI
Una delegazione di cristiani iracheni, rifugiati in Svezia, incontrerà stasera, a Stoccolma, il premier Nouri al-Maliki. A rivelarlo al Sir è padre Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede e visitatore apostolico in Europa, in questi giorni proprio in missione Svezia. A guidare la delegazione cristiana sarà lo stesso mons. Najim che al Sir anticipa le richieste che saranno avanzate al capo del Governo dell’Iraq: “al premier ribadiremo, innanzitutto, l’impegno della Chiesa cattolica a favore della crescita, della stabilità e della riconciliazione nel Paese. Ma è necessario che i cristiani vengano garantiti nei loro diritti e nella loro sicurezza”. “In Iraq – aggiunge Najim riferendosi anche alla Conferenza appena conclusa - la situazione resta drammatica, nonostante i tanti sforzi compiuti. Oggi, a cinque anni dalla guerra, popolazione irachena non ha ancora acqua, energia elettrica, infrastrutture, lavoro. Ben venga allora l’aiuto della comunità internazionale ma anche l’Iraq deve aumentare i suoi sforzi. Il nostro è un Paese ricco di risorse come il petrolio. E’ urgente che i proventi che derivano dalla sua vendita ricadano beneficamente su tutta la popolazione, servono investimenti che diano ragione dell’utilizzo di questi proventi”.
Secondo il procuratore caldeo, infatti, “il miglioramento delle condizioni di vita, così come della sicurezza, aiutano alla costruzione della pace e della stabilità. Lavoro e sicurezza riportano fiducia nella gente che non è più spinta ad emigrare anzi al contrario tende a tornare”. Quello dei rifugiati è un nervo scoperto per l’Iraq: “non mi risulta che si sia parlato dei rifugiati alla conferenza – dichiara mons. Najim - qui in Svezia dal 2003 ad oggi sono arrivati almeno 40mila iracheni, quasi la metà sono cristiani. Per fuggire dalle minacce hanno venduto tutto. Tutti gli iracheni, non solo cristiani, rifugiati all’estero sono legati al loro Paese e tornerebbero se ci fossero le condizioni per farlo. Intanto però andrebbero garantiti loro tutti i diritti fondamentali. Chiedo alla Svezia di continuare l’opera di accoglienza dei rifugiati iracheni e allo stesso tempo lo chiedo a tutti i Paesi europei. Garantire accoglienza agli iracheni in attesa che nel Paese d’origine vengano ristabilite sicurezza e stabilità, condizioni ideali per rientrare. Non vogliamo svuotare l’Iraq della sua gente e in particolare dei cristiani. Ricostruire significa permettere alla popolazione tutta, senza distinzioni di etnie e religione, di restare e a chi è andato via di tornare. Qui è in gioco il futuro del Paese. "
IRAQ: CONFERENZA STOCCOLMA. MONS.WARDUNI (BAGHDAD), “NON PROMESSE MA FATTI CONCRETI”
“Facciamo nostra ogni cosa che serve al bene e al progresso dell’Iraq. Oggi più che mai il Paese ha bisogno di sicurezza e stabilità”. Così mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, commenta al Sir l’esito della prima Conferenza internazionale di verifica del patto per l’Iraq che si è chiusa ieri sera a Stoccolma. “Incoraggiamo con tutto il cuore ogni decisione che abbia come scopo la crescita e la stabilità dell’Iraq” ribadisce il presule al quale non bastano gli elogi della comunità internazionale piovuti sul Governo per gli sforzi fatti nel campo della sicurezza, dell’economia e dell’ordine pubblico con la lotta al terrorismo. “Le promesse non bastano. Servono fatti e aiuti concreti da parte della comunità internazionale a tutto il popolo iracheno” dichiara il presule senza, tuttavia, entrare nel merito degli appelli lanciati dal premier Nouri al-Maliki per la cancellazione del debito estero che pesa come una zavorra sulla rinascita irachena.

29 maggio 2008

Fr. Paul Rabban: Chaldean Mass in Stockholm on the eve of the conference about Iraq

Interview to Fr. Paul Rabban by Baghdadhope

It will begin this morning in Stockholm the Iraq Annual Review Conference dedicated to evaluating the results achieved in Iraq in the fields of economic reforms and consolidation of democratic institutions a year after the birth of the International Compact with Iraq, a five-year plan of development of the middle-eastern country.
Another topic under discussion will be, however, that of the Iraqi refugees who are now present in tens of thousands in the Nordic country. Just about the problem of refugees spoke in recent days both the Swedish Prime Minister, Fredrik Reinfeldt, and Anders Lago, the mayor of Sodertalje, the town that more than others was ready to accept tens of thousands of them. Both defined as "unfair" the fact that Sweden has to bear the greatest weight of this biblical exodus, and the Prime Minister said he wants to address the issue with U.S. Secretary of State Condoleeza Rice who will attend the conference as, while Sweden – that did not participate in the conflict of 2003 - accepted at least 40000 Iraqis since that year, the United States have welcomed 1600 of them in the 2007 fiscal year, and are willing to accept only other 12000 for that of 2008, even if in the first four months only 1332 permits were released.
An obvious disproportion that certainly will be discussed in Stockholm from where comes the request - already done in the past – to the European Union to intervene to share the weight that Sweden is bearing.
The refugees issue concerns particularly the Iraqi Christian community since to it belong many of the people who in recent years fled from the native country, reaching those who arrived in the Scandinavian one decades ago because of wars, dictatorship and embargo.
A community not without problems that finds in its co-religionists already living in Sweden, but also in the churches, valuable points of reference not only to the processes of social integration, but also to the preservation of the sense of entity, although in diaspora.
Within this community a substantial number of people belongs to the Chaldean Catholic Church that in Sweden has three main centres of reference and three priests who guide them: Father Samir Dawood, Father Maher Malko and Father Paul Rabban.
And it is Father Paul Rabban, priest of the Chaldean community of Eskilstuna, west of Stockholm, who told to Baghdadhope about the Chaldean Rite Mass that yesterday was celebrated by Mgr. Philip Najim, Procurator of the Chaldean Church to the Holy See and Apostolic Visitor in Europe, in the Catholic Cathedral of Saint Eric in Stockholm. The ceremony was attended by the Apostolic Nuncio to the Scandinavian countries, Mgr. Paul Tscherrig, by the bishop of Stockholm, the only Roman Catholic diocese in the country, Mgr. Anders Arborelius, by three Chaldean priests, Fr. Paul Rabban, Fr. Maher Malko and Fr. Fadi Isho, a monk, by a Swedish priest, by the chaplain of the cathedral, a syro malabar rite Indian priest, and by the responsible for the eastern Christians in Sweden, the byzantine rite Archimandrite Fr. Mathias Graham.
Father Paul Rabban said that the Mass held on the eve of today's conference was devoted to prayer to the Lord to enlighten the minds and the hearts of the participants to act for the good of everyone, not only of Iraqis, and to put aside selfish interests and work together for peace. Peace which was evoked by Mgr. Paul Tscherrig who reminded how it is in the thoughts and prayers of Pope Benedict XVI who always asked it for the tormented land of Iraq. And precisely on the situation in Iraq, and on one of its most damaging effects - the flight from the country – was focused the speech of Mgr. Anders Arborelius who stressed how much Sweden is touched by it, both from a human point of view and for the practical implications that such a conspicuous emigration in such a short period of time has created. Mgr. Philip Najim dedicated his words to the suffering of Iraqi Christians that even if huge will not be the cause of the dissolution of the community in the homeland because, like other times in the past, it will prove stronger than the adversities. "Iraqi Christians" said Mgr.Najim "are not afraid even if history repeats itself, but strongly ask to fight terrorism and that every effort be done to restore peace in Iraq." A peace that, if we look back, no inhabitant of that country recalls if not linked to short periods.
With regard to the conference it is surprising that, although the issue of refugees if not on the agenda is at least an important one, no representative, - secular or religious – of the Iraqi community in Sweden has been invited. By now, according to unofficial reports, we know only that after the official meetings the Iraqi Prime Minister, Nuri Al Maliki, could meet some Iraqis who live in the country, maybe also a group of representatives of the Christian community.

Padre Paul Rabban: Messa caldea a Stoccolma alla vigilia della conferenza sull'Iraq

Intervista a Padre Paul Rabban di Baghdadhope

Si apre stamani a Stoccolma la Iraq Annual Review Conference dedicata alla valutazione dei risultati conseguiti in Iraq nei campi delle riforme economiche e del consolidamento delle istituzioni democratiche ad un anno dall’adozione dell’International Compact with Iraq, un piano quinquennale di sviluppo del paese mediorentale.
Un altro argomento in discussione saranno però i rifugiati iracheni che nel paese nordico sono ormai presenti a decine di migliaia. Proprio del problema dei rifugiati hanno infatti parlato negli scorsi giorni sia il Primo Ministro Svedese, Fredrik Reinfeldt, sia Anders Lago, il sindaco di Sodertalje, la cittadina che più di altre si è in questi anni dimostrata pronta ad accogliere decine di migliaia di disperati. Entrambi hanno definito come “ingiusto” il fatto che sia la Svezia a sopportare il maggior peso di questo esodo biblico, ed il Primo Ministro ha dichiarato di voler affrontare l’argomento con il Segretario di Stato americano Condoleeza Rice che sarà presente alla conferenza visto che, mentre la Svezia – che non ha partecipato al conflitto del 2003 – ha accolto almeno 40000 iracheni da quell’anno, gli Stati Uniti ne hanno accolti 1600 nel corso dell’anno fiscale 2007 e si sono dichiarati disponibili ad accoglierne solo 12000 per quello 2008, anche se nei primi quattro mesi sono stati rilasciati solo 1332 permessi. Un’ evidente sproporzione che certamente sarà dibattuta a Stoccolma da dove arriverà anche la richiesta – già fatta in passato – all’Unione Europea di intervenire per dividere il peso che la Svezia sta sostenendo.
L’argomento rifugiati tocca particolarmente la comunità irachena cristiana visto che proprio ad essa appartengono moltissime persone fuggite in questi anni dal paese natio che si sono aggiunte a quelle arrivate nel paese scandinavo
già da decenni a causa delle guerre, dell’embargo e della dittatura.
Una comunità non priva di problemi che trova nei correligionari già presenti sul territorio svedese, ma anche nelle chiese, dei preziosi punti di riferimento non solo per i processi di integrazione sociale quanto anche per mantenere il senso stesso di entità comunitaria anche se in diaspora.
All’interno di questa comunità un numero cospicuo di persone appartiene alla Chiesa Cattolica Caldea che in Svezia ha tre centri di riferimento principali e tre sacerdoti che li guidano: Padre Samir Dawood, Padre Maher Malko e Padre Paul Rabban.
E’ proprio Padre Paul Rabban, sacerdote della comunità caldea di Eskilstuna, ad ovest di Stoccolma, a raccontare a Baghdadhope della Santa Messa in rito caldeo presieduta da Monsignor Philip Najim, Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico in Europa, che ieri si è tenuta nella cattedrale cattolica di Saint Eric a Stoccolma. Alla cerimonia hanno partecipato il Nunzio Apostolico per i paesi scandinavi, Monsignor Paul Tscherrig, il vescovo dell’unica diocesi cattolica romana nel paese, quella di Stoccolma, Monsignor Anders Arborelius, tre sacerdoti caldei che risiedono in Svezia: Padre Paul Rabban, Padre Maher Malko ed il monaco Padre Fadi Esho, un sacerdote svedese, un indiano di rito siro mala barese che è il cappellano della stessa cattedrale, ed il responsabile per i cristiani orientali in Svezia, l’Archimandrita di rito bizantino Padre Mathias Graham.
Padre Paul Rabban ha raccontato a Baghdadhope come la Santa Messa tenuta alla vigilia della conferenza di domani sia stata dedicata alla preghiera rivolta al Signore perché illumini le menti ed i cuori dei partecipanti affinché agiscano per il bene di tutti, non solo degli iracheni, e perché mettano da parte gli interessi particolari e collaborino per la pace.
Pace che è stata evocata da Monsignor Paul Tscherrig che ha ricordato quanto essa sia nei pensieri e nelle preghiere di Papa Benedetto XVI che sempre l’ha invocata per la martoriata terra irachena. E proprio sulla situazione in Iraq, e su uno dei suoi effetti più nefasti – la fuga dal paese – si è incentrato il discorso di Monsignor Anders Arborelius che ha sottolineato come la Svezia sia da esso toccato, sia dal punto di vista umano, sia per i risvolti pratici che un’emigrazione così cospicua in un così breve lasso di tempo ha creato. Monsignor Philip Najim ha invece dedicato le sue parole alle sofferenze degli iracheni cristiani che per quanto enormi non saranno la causa del dissolvimento della comunità in patria perché, come le altre volte in passato, essa si dimostrerà più forte delle avversità. “Gli iracheni cristiani” ha detto Monsignor Najim “non hanno paura anche se la storia si ripete, ma chiedono fortemente che venga combattuto il terrorismo e che ogni sforzo si compia perché in Iraq ritorni la pace.”
Una pace che, a guardare indietro nel tempo, nessun abitante di quel paese ricorda se non legata a brevi periodi.
Per quanto riguarda la conferenza di domani stupisce come, pur essendo il tema dei rifugiati se non in agenda perlomeno importante, nessun rappresentante, - laico o religioso – della comunità irachena in Svezia sia stato invitato.
Per ora, secondo notizie ufficiose, si sa solo che una volta terminati i lavori il Primo Ministro iracheno Nuri Al Maliki potrebbe incontrare alcuni iracheni che vivono nel paese, si dice anche un gruppo di rappresentanti della comunità cristiana.

28 maggio 2008

Papaveri da oppio sulle rive del'Eufrate

By Baghdadhope

Secondo il Ministero della Salute iracheno il consumo di droga in Iraq sta vertiginosamente crescendo. Malgrado la difficoltà nello stilare statistiche precise i casi sono passati da 3000 nel 2004 a 7000 nel 2008.
Secondo i dati forniti dalle strutture sanitarie 3 giovani sui dieci tra i 18 ed i 30 anni sono tossicodipendenti. L’ospedale Ibn Rashid di Baghdad, ad esempio, ha rivelato che il consumo di droga è ormai triplicato ed è praticato anche da ragazzi di soli 14 anni. Ad aver registrato il più alto numero di decessi legato al consumo di stupefacenti sono le province centro meridionali di Maydan, Karbala, Babel, Wasit, e la zona della capitale dove sono ormai molte le testimonianze di spaccio e consumo alla luce del sole, un fenomeno da tutti riconosciuto come inesistente ai tempi del passato regime ma che ebbe un forte sviluppo nei mesi successivi alla sua caduta. Nel 2003 la polizia irachena scoprì un tentativo di importare due tonnellate di hashish ed eroina nelle province meridionali di Najaf, Karbala, Hilla e Bassora, e nel 2004 335 Kg. di droga furono sequestrati ad Amarah, la capitale del governatorato di Maysan. Il fenomeno del commercio di stupefacenti si considera legato a quello delle frontiere irachene lasciate incustodite ed al massiccio afflusso di di pellegrini provenienti dall’Iran che in questi anni hanno visitato i luoghi santi della tradizione sciita: Najaf, Karbala e Kufa. Tutte città che si trovano nei governatorati più colpiti.
Ma la droga in Iraq non circola solo perchè importata dall’estero. Il sito Al Jeraan.net infatti fa riferimento ad un articolo di The Indipendent che, citando fonti locali, riporta come, malgrado qualche difficoltà legata al clima, alcuni contadini delle province meridionali, allettati da un possibile maggior guadagno, stiano sostituendo le coltivazioni di riso con quelle di papavero da oppio.
L’Iraq, sempre secondo l’Indipendent, era già da tempo un paese in cui, con la complicità dei servizi di sicurezza del regime di Saddam Hussein, la droga prodotta in Afghanistan arrivava attraverso l’Iran per raggiungere gli altri mercati.
La differenza sta nel fatto che questo passaggio è ora controllato dalle milizie che si contendono il potere nel sud sciita, e che lo stesso Iraq sta diventando un paese consumatore.

Opium poppies on the banks of Euphrates

By Baghdadhope

According to the Iraqi Ministry of Health drug consumption in Iraq is growing dramatically. Despite the difficulty in drawing precise statistics, cases rose from 3000 in 2004 to 7000 in 2008. According to data provided by health facilities 3 out of ten young between 18 and 30 are drug addicts. The hospital Ibn Rashid in Baghdad, for example, revealed that the consumption of drugs has tripled and is now practiced also by teens only 14 years old. To record the highest number of deaths linked to the consumption of drugs are the central and southern provinces of Maydan, Karbala, Babel, Wasit and the area of the capital where there are now many testimonies of drug pushing and consumption in the sunlight, a phenomenon by all recognized as non-existent during the past regime but that had a strong growth in the months after its fall. In 2003, Iraqi police discovered an attempt to import two tons of hashish and heroin in the southern provinces of Najaf, Karbala, Hilla and Basra, and in 2004 335 kg. of drugs were seized in Amarah, the capital of Maysan Governorate. The phenomenon of drug trade is considered linked to that of the Iraqi borders left unattended, and to the massive influx of pilgrims from Iran who in recent years visited the holy places of Shiite tradition: Najaf, Karbala and Kufa. All cities that are in the most affected governorates.
But drugs circulating in Iraq are not only imported from abroad. The site Jeraan.net, in fact, refers to an article by The Independent that, quoting local sources, shows how, despite some difficulties related to climate, some peasants of the southern provinces, tempted by possible greater earnings, are replacing the cultivation of rice with that of opium poppies. Iraq, again according to the Independent, already was a country from where, with the complicity of the security services of the regime of Saddam Hussein, drugs produced in Afghanistan and coming through Iran reached other markets. The difference now is that this step is now controlled by militias who compete for power in the Shiite south, and that the same Iraq is becoming a consumer country.

26 maggio 2008

Una nuova chiesa caldea negli Stati Uniti

Fonte: Kaldaya.net

By Baghdadhope
L'altare di una nuova chiesa caldea negli Stati Uniti - la Missione Caldea di Santa Barbara a Las Vegas - è stato consacrato il 24 maggio da Monsignor Sarhad Y. Jammo, vescovo caldeo per gli Stati Uniti occidentali.
Il parroco della nuova chiesa è Padre Andrawis Toma.
Ovviamente presenti alla cerimonia erano, tra gli altri sacerdoti e fedeli arrivati da diverse parti d'America, Monsignor Felix Shabi e Mar Bawai Soro.

A new Chaldean church in the USA

Source: Kaldaya.net

By Baghdadhope

The altar of a new Chaldean church in the USA, the Santa Barbara Chaldean Catholic Mission in Las Vegas - has been dedicated on 24 May by Mgr. Sarhad Y. Jammo, Chaldean bishop of the Western US. The parish priest of Santa Barbara church is Fr. Andrawis Toma.
Obvioulsy present to the ceremony were, among priests and faithful from different part of the USA, Mgr. Felix Shabi and Mar Bawai Soro.

Iraq: Sako (Kirkuk) "Cristiani sempre più isolati e dimenticati"

Fonte: SIR

“I cristiani iracheni si sentono isolati e dimenticati di fronte al grande silenzio della comunità internazionale e della stessa Chiesa, a parte il Papa e alcuni vescovi europei. Chiedo alle Chiese di Occidente che ci confortino aiutandoci concretamente a restare nel nostro Paese”. L’appello è di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, che sabato 31 a Milano riceverà il premio “Defensor Fidei”, promosso dalla Fondazione Fides et Ratio e il mensile Il Timone. Commentando al Sir la notizia, l’arcivescovo si dice “onorato per questo riconoscimento” e denuncia “gli estremismi etnici e religiosi”, “una politica che spesso guarda ai propri interessi” e “la corsa agli armamenti”.
“Per la guerra in Iraq, solo gli Usa hanno già speso oltre 3 mila miliardi di dollari e altrettanti gli altri Paesi. Costruendo fiducia e dialogo si sconfigge la violenza”. Parlando della persecuzione dei cristiani mons. Sako ricorda che “essi hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai loro fratelli musulmani”. Purtroppo, aggiunge, “in questi ultimi tempi sono presi di mira come un capro espiatorio da eliminare. In certe zone dell’Iraq soffrono per emigrazione, stupri, rapimenti, minacce e uccisioni perpetrate con moventi religiosi. Questo comportamento inusuale contraddice i valori del popolo iracheno e quelli morali dell’Islam. Un Iraq senza cristiani sarà disastroso per tutti gli iracheni”.

Iraq: Sako (Kirkuk) "Christians increasingly forgotten and isolated"

Source: SIR

“Iraqi Christians feel isolated and forgotten because of the deep silence of the international community and the Church itself, apart from the Pope and some European Bishops. I ask the Churches of the West to comfort us by effectively helping us to stay in our country”.
This is the appeal made by mgr. Louis Sako, archbishop of Kirkuk, who in Milan on Saturday 31st will receive the “Defensor Fidei” award, promoted by Fondazione Fides et Ratio and the monthly magazine Il Timone. In commenting the news with SIR, the archbishop says he is “honoured for this award” and denounces “ethnic and religious extremisms”, “politics which often takes care of its own interests” and “the rush to armaments”.
“For the war in Iraq, the USA alone have already spent over 3 thousand billion dollars and the other countries have spent as much. By building confidence and dialogue, violence is defeated”. Speaking of the persecution of the Christians, mgr. Sako recalls that “they have always bravely defended the integrity of the country along with their Muslim brothers”. Unfortunately, he adds, “recently they are targeted as scapegoats to be got rid of. In some regions of Iraq, they suffer migration, rapes, abductions, threats and murders disguised by religious reasons. This unusual behaviour contradicts the values of the Iraqi population and the moral values of Islam. An Iraq without Christians will be disastrous for all Iraqis”.

25 maggio 2008

Chaldean Catholic Church and Assyrian Church of the East: a tie?

By Baghdadhope

The confrontation between the Chaldean Catholic Church and the Assyrian Church of the East in the US continues.
On May 9 the Chaldean Catholic Diocese of St. Peter the Apostle of San Diego, California, announced that it had officially accepted the request of some priests and faithful of the Assyrian Church of the East for the “fullness of communion with the Catholic Church and living union with the Chaldean Church by their entrance into the Chaldean Catholic Dioceses." In the following days during various sacred ceremonies this union was publicly stigmatized by the proceeding, side by side, of Mgr. Sarhad Y. Jammo, Chaldean bishop of the Diocese and Mar Bawai Soro, the Assyrian bishop who in recent years led the movement tending to the union with the Catholic Church and the consequent recognition of the Pope of Rome.
Only ten days after that proclamation the Patriarch of the Assyrian Church of the East, Mar Dinkha IV, received at the headquarters of his diocese in Chicago, along with Mar Gewarges Sliwa, bishop of Baghdad, the bishop of the Roman Catholic Church of Chicago Mgr. Francis Eugene George, with whom, according to the website Ankawa.com - the only one to report the piece of news and the photos - talked about the situation of Christians in Iraq.
It’s hard to believe that the meeting between the two prelates did not at least touch on the topic of Mar Bawai. It’s easier to think that this announcement, given through a site that has thousands of readers among Iraqi Christians at home and in the world, but of which there is no mention on sites directly linked to the Assyrian Church of the East or on that of the Catholic Archdiocese of Chicago, represents a response to the events in San Diego.
A sort of public witness of the strength of the Assyrian Church of the East that despite the loss of a bishop, priests and faithful passed through the union with the Chaldean church to that with the Catholic Church, still maintains excellent relations with it.

Chiesa Cattolica Caldea e Chiesa Assira dell'Est: pareggio?

By Baghdadhope

Continua negli Stati Uniti il confronto tra la Chiesa Cattolica Caldea e quella Assira dell'Est.
Il 9 maggio scorso la Diocesi Cattolica Caldea di San Pietro Apostolo di San Diego in California annunciò ufficialmente di aver accolto la richiesta di alcuni sacerdoti e fedeli della Chiesa Assira dell'Est della “piena comunione con la chiesa cattolica e dell’unione con la chiesa caldea attraverso il loro entrare a far parte della diocesi cattolica caldea”. Nei giorni successivi in diverse sacre cerimonie questa unione fu stigmatizzata pubblicamente dal procedere fianco a fianco di Mons. Sarhad Y. Jammo, vescovo della Diocesi caldea e di Mar Bawai Soro, il vescovo assiro che in questi anni ha guidato il movimento tendente all'unione con la chiesa cattolica ed al conseguente riconoscimento dell'autorità del Pontefice di Roma.
A distanza di soli dieci giorni da quell'annuncio il Patriarca della Chiesa Assira dell'Est, Mar Dinkha IV, ha ricevuto nella sede della sua diocesi a Chicago, insieme a Mar Gewarges Sliwa, vescovo di Baghdad, il vescovo di Chicago della Chiesa Cattolica Romana, Mons.Francis Eugene George, con il quale, secondo il sito Ankawa.com - l'unico a riportare la notizia e le foto - si è parlato della situazione dei cristiani in Iraq.
Difficile credere che l'incontro tra i due prelati non abbia almeno sfiorato l'argomento Mar Bawai. Più facile pensare che tale annuncio, dato attraverso un sito che conta migliaia di lettori tra gli iracheni cristiani in patria e nel mondo, ma di cui non vi è cenno nè sui siti direttamente legati alla Chiesa Assira dell'Est nè su quello dell'Arcidiocesi Cattolica di Chicago, rappresenti una risposta agli avvenimenti di San Diego.
Una sorta di testimonianza pubblica della forza della Chiesa Assira dell'Est che nonostante la perdita di un vescovo e dei sacerdoti e dei fedeli passati attraverso l'unione con la chiesa caldea a quella con la chiesa cattolica, intrattiene ancora con quest'ultima ottimi rapporti.

21 maggio 2008

Tareq Aziz: grave o solo senza sigarette?

By Baghdadhope

Source: AFP

Ieri, 20 maggio, si è tenuta a Baghdad la seconda udienza del processo che vede tra gli imputati per l’uccisione di 42 iracheni accusati nel 1992 di speculazione sui prezzi di alcuni generi alimentari l’ex primo ministro Tareq Aziz.
Una seduta per la quale Aziz ha dovuto rinunciare ad avere assistenza legale, una mancanza che fa dubitare della legalità del processo, ma che rappresenta una delle realtà che ancora accomunano l’Iraq del prima e del dopo Saddam Hussein perchè neanche quando Aziz faceva parte dell’elite al potere essa veniva garantita agli iracheni che fossero mai arrivati ad un processo prima di essere condannati.
Già da sabato scorso, secondo quanto riferisce la AFP, era noto infatti che il principale avvocato di Aziz, Badie Arif Ezzat, dichiarando di temere per la sua incolumità non si sarebbe recato a Baghdad, e che gli avvocati stranieri componenti il collegio di difesa: “il francese Jacques Verges, un avvocato franco-libanese e quattro italiani”, secondo quanto dichiarato dal figlio di Aziz, Ziad, non avevano ricevuto i visti dalle ambasciate di Parigi e Roma.
Solo quindi davanti alla corte Tareq Aziz si è difeso definendo il processo come nient’altro che una vendetta personale da parte di chi ora governa in Iraq e che nel 1980 tentò senza successo di ucciderlo e che ora vuole portare a termine il lavoro. Un chiaro riferimento al tentativo di assassinarlo nell’aprile del 1980 ad opera dell’Islamic Dawa Party – il partito dell’attuale Primo Ministro, Nouri al Maliki - che aveva seguito di pochissimo la decisione del regime di Saddam Hussein di condannarne a morte tutti i rappresentanti e fiancheggiatori.
Misteriose rimangono comunque le notizie riguardo alle condizioni di salute di Tareq Aziz che si è presentato in aula appoggiandosi ad un bastone. Secondo quanto riferito da AFP il figlio Ziad ha dichiarato che mercoledì scorso erano pessime, una circostanza che non può non far riflettere sulla sorte di un personaggio che, vissuto per una buona parte della vita ai vertici del potere, si trova ora a condividere quella che tantissimi iracheni hanno vissuto e vivono: una vita fatta di pressione alta, diabete e disturbi respiratori e cardiaci che renderebbero urgente un intervento chirurgico che molto probabilmente non ci sarà mai .
Ma è sempre la APF a riportare anche che sulla base di un'altra telefonata Ziad Aziz avrebbe definito "a posto" la salute di suo padre che si sarebbe però lamentato di non aver ricevuto i vestiti estivi e le sigarette che lo stesso Ziad gli ha spedito tramite la Croce Rossa all'inizio del mese di maggio.
Una circostanza certamente incresciosa che potrebbe peggiorare notevolmente la situazione del detenuto. Non si sa infatti se la cella che custodisce Aziz sia o meno refrigerata. Certamente se non lo fosse sarebbe terribile per lui affrontare la caldissima estate irachena con addosso solo vestiti invernali anche se, a dire il vero, quando il termometro tocca i 50° anche tutti gli altri iracheni che non godono di ambienti condizionati, per quanto vestiti di cotone, tendono ad essere un pò "accaldati".
Per quanto riguarda il fumo, poi, negarlo ad un iracheno è davvero un crimine anche se, visto che è lo stesso Ziad a parlare della "tosse incessante" del padre sarebbe auspicabile che si ricordasse dell'effetto fumo/tosse quando riempirà il prossimo pacco per il padre e non contribuisse a peggiorare la sua situazione polmonare compromessa da decenni di buoni sigari cubani che mai, neanche nei periodi in cui a causa dell'embargo gli iracheni avevano nulla da mangiare, sono mancati al raffinato ministro degli esteri di Saddam Hussein.

15 maggio 2008

Il Patriarcato di Babilonia dei Caldei non ha MAI dato il permesso ai soldati USA di occupare il Babel College di Baghdad!

By Baghdadhope

A gennaio del 2007 il Babel College, l’unica facoltà di Teologia cristiana in Iraq ed il Seminario Maggiore Caldeo di Saint Peter furono trasferiti per ragioni di sicurezza da Dora, un quartiere meridionale di Baghdad, ad Ankawa, nella regione settentrionale controllata dal Governo Regionale Curdo. Nella notte tra il 25 ed il 26 marzo i locali del Collegio e quelli del Seminario diventarono un
avamposto di combattimento dell’esercito americano. Nei mesi successivi sia il Rettore del Babel College, Monsignor Jacques Isaac, sia Monsignor Shleimun Warduni, patriarca vicario di Baghdad, denunciarono l’occupazione delle strutture da parte dell’esercito USA. A maggio 2007 la questione portò addirittura ad una nota ufficiale da parte del Patriarcato Caldeo in cui si dichiarava che essa era avvenuta senza preavviso né consenso e che era stata inoltrata richiesta all’esercito americano di restituire quello che veniva definito “un luogo di preghiera e pace da non utilizzare a fini militari.
La questione comunque sembrava morta lì. Gli americani rimasero sordi agli appelli della gerarchia caldea tanto che ancora lo scorso novembre Monsignor Isaac parlando della vecchia sede del Collegio a Baghdad la definì
“inavvicinabile”.
Dal giorno dell’occupazione ben cinque unità della Divisione Multinazionale di stanza a Baghdad hanno occupato il Babel College ed il seminario caldeo e ieri sulla rete è apparso un articolo a proposito in cui si legge: "Nel 2006 le Forze della Coalizione hanno avuto il permesso dal vescovo caldeo a cui era affidato di usare il Collegio come base operativa.. quell’anno il seminario era stato trasferito fuori dal paese.."
Ben tre errori in una sola frase:
1. Il Seminario non è stato trasferito nel 2006 ma
all’inizio del 2007
2. Il Seminario non è stato trasferito “fuori dal paese” ma nella regione settentrionale dell’Iraq attualmente ed allora controllata dal Governo Regionale Curdo.
3. Nessun vescovo ha mai concesso tale permesso.

Contattati da Baghdadhope, infatti, sia Monsignor Isaac che Monsignor Warduni hanno categoricamente smentito di aver mai concesso alcun tipo di permesso alle forze americane di occupare le strutture che, per quanto vuote a marzo del 2007, erano e rimangono proprietà del Patriarcato di Babilonia dei Caldei.

The Patriarchate of Babylon of Chaldeans NEVER granted to US soldiers the permit to occupy the Babel College in Baghdad!

By Baghdadhope

On January 2007 Babel College, the only faculty of Christian Theology in Iraq and the major Chaldean seminary of Saint Peter were transferred for security reasons from Dora, a district south of Baghdad, to Ankawa, in the northern region controlled by the Kurdish Regional Government.
During the night between 25 and March 26 the premises of the College and of the Seminary became a combat outpost of the U.S. army. In the months following both Mgr. Jacques Isaac, Rector of Babel College, and Mgr. Shleimun Warduni, Patriarch vicar of Baghdad, denounced the employment of structures by the United States. In May 2007 the issue even led to an official note by the Chaldean Patriarchate stating that the occupation of the premises had occurred without notice or consent and that a request had been forwarded to US army to return to the Church what was described as "a place of prayer and Peace that must not be used for military purposes."
The question seemed dead. The American army remained deaf to the calls of the Chaldean hierarchy so that still on last November Mgr. Isaac talked about the old headquarters of the College in Baghdad as "inaccessible".
Since last March five units of the Multinational Division based in Baghdad have occupied the Babel College and the Chaldean seminary, and yesterday an article about the topic appeared on the web. In it it is stated that: "In 2006 the Coalition Forces have been allowed from the Chaldean bishop in charge of the property to use the College as a base .. That year the seminar had been transferred out of the country .. "
Three mistakes in one sentence:
1. The Seminar was not transferred in 2006 but in early 2007
2. The Seminar was not transferred "outside the country" but in the northern region of Iraq now and then controlled by the Kurdish Regional Government.
3. No bishop has ever granted such permission.

Contacted by Baghdadhope, infact, both Mgr.Isaac and Mgr.Warduni have categorically denied having ever granted any type of permit to U.S. forces to occupy the structures that, even if empty on March 2007, were and remain the property of the Patriarchate of Babylon of Chaldeans.

13 maggio 2008

Historical announcement by Catholic Diocese of San Peter the Apostle for Chaldeans & Assyrians. California



By Baghdadhope

Photos by kaldaya.net


Maybe the Holy Church is preparing to welcome among its loving arms a new bishop besides 29 new priests?
This was the rhetorical ending question of a post by Baghdadhope on April 27. The reference was to the presence in the Vatican, among the Chaldean bishops, of Mar Bawai Soro who was a bishop of the Assyrian Church of the East until November 2005 when the Synod, led by Patriarch Mar Dinkha IV, suspended him. The time elapsed since that November has been spent by Mar Bawai in the court-rooms of the Californian court that imposed him to return to the Assyrian Church of the East the full possession of church properties he had managed as a bishop, and in the Holy ceremonies he officiated in various Chaldean churches in America, Canada and Australia. They have been years of intense preparation - sermons, conferences, meetings, statements – to what on April 27 became, by the same presence of Mar Bawai Soro in the Vatican, if not official at least semi-official: the Chaldean church, and therefore the Catholic one, has a new bishop.
To confirm it, the site of the Chaldean Diocese of St. Peter the Apostle based in California, kaldaya.net, published on May 9 an official statement summarizing in a few lines the last stages of the long history of Mar Bawai’s approaching to Catholicism: the request, dated March 17, by some priests and faithful of the Assyrian Church of the East of the "fullness of communion with the Catholic Church and living union with the Chaldean Church by their entrance into the Chaldean Catholic Dioceses” and the public profession of faith made by those priests and those faithful in the Chaldean Catholic Cathedral of St. Peter the Apostle on March 28. In the light of these events, well-known but only now officially announced, and that preceded the journey to Rome of Mar Bawai Soro and Mgr. Sarhad Y. Jammo, the Chaldean bishop of the diocese of St. Peter the Apostle, the place of honour reserved Mar Bawai in St. Peter is easily comprehensible as it is the meeting with Cardinal Leonardo Sandri, since 2007 Prefect of the Congregation for the Oriental Churches, with no doubt informed of the "acquisition" of a bishop, but also of priests and faithful belonging to a Christian but not Catholic church, the Assyrian one, that despite having started a dialogue with the Roman Catholic church - with Mar Bawai as its more active representative – culminating in the Common Christological Declaration signed by Pope John Paul II and Mar Dinkha IV in 1994 to clarify some doctrinal differences dating back to the Council of Ephesus (431 AD) and that continued with the formation of a Joint Commission for Theological Dialogue between the two churches which operated until 2004, in 2005 "unexpectedly decided to suspend the dialogue and did not sign the document that was prepared on sacramental life" as stated by Cardinal Walter Kasper, who presides over the Pontifical Council for Promoting Christian Unity.
It was precisely the Cardinal Kasper, on the occasion of the meeting between Pope Benedict XVI and Mar Dinkha IV on last June, who declared his sadness for the decision of the Assyrian Church of the East “to suspend one of its members, a bishop, who had been among the architects of the dialogue with the Catholic Church and had contributed significantly to its successful progress” because “Nobody is helped by further divisions in a community which already faces so many challenges.. and that .. also cause difficulties for our ecumenical dialogue." The events of last months involving Mar Bawai Soro do not make predictable the resumption of that dialogue, and Cardinal Kasper’s wish of a "third phase of our joint theological dialogue" could be dead even before its birth if the Assyrian Church considered as insurmountable the question of one of his bishops, six priests, thirty deacons and faithful "passed" to the Chaldean Catholic church, and therefore the recognition of the Roman Pontiff’s authority reported by the Assyrian sites as the never declared intent of the Joint Commission for the Theological Dialogue that precisely for this reason was "unexpectedly" stopped by Mar Dinkha. Dialogue is fine, giving up leadership in favour of Pope’s one is different, this is the view of Mar Dinkha’s faithful and of the same Assyrian church. The issue of Mar Bawai could make the appeal of Benedict XVI to Catholic and Assyrian Christians to "reject antagonistic attitudes and polemical statements" fruitless.
The future will tell. By now it is interesting to note how the Internet site of CIRED (Commission on Inter-Church Relations and Educational Development), of which Mar Bawai was Secretary General, and that in the past had published the reports of the meetings between representatives of the two churches has been "obscured" by the words:(appearing only in cache copy) “This site is under construction and the new Editorial Committee headed by H.G Mar Meelis Zaia, Secretary of CIRED will soon re-launch it." Equally interesting is to note that although the official statement published by kaldaya.net clarifies how the celebration of the "grace of full communion" is subsequent to the "consultation with the highest authorities of our Catholic Church, in obedience to their directives and in total adherence with the Canon Law" no mention is made in it of Mar Bawai, nor of the status that he, as a bishop, will have in the future within the "Catholic Diocese of St. Peter the Apostle for the Chaldeans & Assyrians” born and guided since 2002 by Mgr. Sarhad Y. Jammo, an issue that will involve not only the Holy See but also the same synod of the Chaldean Church that will have the task to welcome Mar Bawai.
By now, however, nothing has been reported about the matter by the official website of the Holy See. But it is well-known that, "the path towards unity" how Benedict XVI said, may "seem long and laborious." By now, more than anything else, it appears silent.
The hope is that the words Benedict XVI addressed to Mar Dinkha IV: “..the Lord [asks us] to join our hands and hearts, so that together we can bear clearer witness to him and better serve our brothers and sisters, particularly in the troubled regions of the East, where many of our faithful look to us, their Pastors, with hope and expectation " may be heard by all parties involved.

Storico annuncio della Diocesi Cattolica di San Pietro Apostolo per i Caldei & gli Assiri. California.

By Baghdadhope

Foto by
kaldaya. net

Che la Santa Chiesa oltre a 29 nuovi sacerdoti si stia preparando ad accogliere tra le sue amorevoli braccia anche un nuovo vescovo?
Con questa domanda retorica si concludeva un post di Baghdadhope dello scorso 27 aprile. Il riferimento era alla presenza in Vaticano, tra i vescovi caldei, di Mar Bawai Soro (il secondo da sinistra nella foto) che fino al novembre del 2005 era vescovo della Chiesa Assira dell’Est, fino a quando cioè il sinodo di quella chiesa, guidato dal patriarca Mar Dinkha IV, non lo aveva sospeso. Il tempo intercorso da quel novembre è trascorso per Mar Bawai tra le aule del tribunale californiano che gli ha imposto di restituire alla Chiesa Assira dell’Est il pieno possesso delle proprietà ecclesiastiche che come vescovo aveva gestito, e le cerimonie sacre da lui officiate in varie chiese caldee in America, Canada ed Australia.
Sono stati anni di intensa preparazione – sermoni, conferenze, incontri, dichiarazioni – a quello che il 27 aprile era stato reso, proprio con la presenza di Mar Bawai Soro in Vaticano, se non ufficiale almeno ufficioso: la chiesa caldea, e di conseguenza quella cattolica, ha un nuovo vescovo.
A conferma di ciò il sito della Diocesi Caldea di San Pietro Apostolo con sede in California, kaldaya.net, ha pubblicato il 9 maggio una dichiarazione ufficiale che riassume in poche righe le ultime tappe di questa lunga storia di avvicinamento di Mar Bawai al cattolicesimo: la richiesta, datata 17 marzo, di alcuni sacerdoti e fedeli della chiesa Assira dell’Est della “piena comunione con la chiesa cattolica e dell’unione con la chiesa caldea attraverso il loro entrare a far parte della diocesi cattolica caldea” e la professione pubblica di fede compiuta da quei sacerdoti e quei fedeli nella cattedrale cattolica caldea di San Pietro Apostolo il 28 marzo.
Alla luce di questi eventi, risaputi ma solo ora annunciati ufficialmente, e che hanno preceduto il viaggio a Roma di Mar Bawai Soro e di Mons. Sarhad Y. Jammo, vescovo caldeo della diocesi di San Pietro Apostolo, si spiega il posto d’onore riservato a Mar Bawai in San Pietro. Si spiega anche l’incontro avvenuto in quei giorni con il Cardinale Leonardo Sandri, dal 2007 Prefetto
della Congregazione per le Chiese Orientali, senza dubbio informato della “acquisizione” di un vescovo, ma anche di sacerdoti e fedeli di una chiesa sì cristiana ma non cattolica, quella assira, che pur avendo da lungo tempo intavolato un dialogo con la chiesa cattolica romana – che aveva proprio in Mar Bawai il suo rappresentante di punta – culminato nella Dichiarazione Cristologica comune sottoscritta da Papa Giovanni Paolo II e da Mar Dinkha IV nel 1994 a chiarimento di alcune divergenze dottrinali risalenti al Concilio di Efeso (431 D.C.) e continuato con la formazione di una Commissione Congiunta per il Dialogo Teologico tra la due chiese che ha operato fino al 2004, nel 2005 ha “deciso inaspettatamente di sospendere il dialogo e non ha firmato il documento che era stato preparato sulla vita sacramentale” secondo quanto dichiarato dal Cardinale Walter Kasper, che presiede il Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.
Era stato proprio il Cardinale Kasper, in occasione dell’incontro tra Papa Benedetto XVI e Mar Dinkha IV lo scorso giugno, a dichiararsi rattristato per la decisione della Chiesa Assira dell’Est di sospendere “uno dei suoi membri, un vescovo, che era stato tra gli architetti del dialogo con la chiesa cattolica” perché “nessuno viene aiutato da ulteriori divisioni in una comunità che già affronta altre sfide.. e che.. causano anche difficoltà al nostro dialogo ecumenico.”
Gli eventi degli ultimi mesi che hanno coinvolto Mar Bawai Soro però non fanno prevedere una ripresa di quel dialogo, e l’auspicio del Cardinale Kasper di una “terza fase del nostro dialogo teologico congiunto” potrebbe essere morto ancor prima di nascere se la Chiesa Assira dovesse considerare come insuperabile la questione di un suo vescovo, di sei sacerdoti, trenta diaconi e fedeli “passati” alla chiesa cattolica caldea, e di conseguenza al riconoscimento dell’autorità del Pontefice Romano denunciato dai siti assiri come l’intento mai dichiarato della Commissione Congiunta per il Dialogo Teologico che proprio per questa ragione sarebbe stata “inaspettatamente” fermato da Mar Dinkha. Dialogare va bene, rinunciare al primato a favore del Papa è un’altra, è l’opinione dei fedeli di Mar Dinkha e della stessa chiesa Assira.
La questione di Mar Bawai potrebbe rendere vano l’
appello di Benedetto XVI ai cristiani cattolici ed assiri a “rifiutare atteggiamenti di antagonismo e dichiarazioni polemiche.”
Il futuro lo dirà. Per adesso è interessante notare come il sito internet del CIRED (Commission on Inter-Church Relations and Educational Development) di cui Mar Bawai era Segretario Generale e che negli anni aveva pubblicato i resoconti degli incontri tra i rappresentanti delle due chiese sia stato “oscurato” dalla scritta: (che appare solo in copia cache) “Questo sito è in costruzione ed il nuovo comitato editoriale guidato da Sua Grazia Mar Meelis Zaia, Segretario del CIRED, lo rilancerà presto.”
Altrettanto interessante è notare come sebbene la dichiarazione ufficiale pubblicata da kaldaya.net chiarisca come la celebrazione della “grazia della piena comunione” sia successiva alla “consultazione con le più alte autorità competenti della nostra Chiesa Cattolica, obbedendo alle loro direttive ed in totale aderenza con la Legge Canonica” nessun accenno viene fatto in essa né a Mar Bawai, né allo status che egli, vescovo, avrà in futuro all’interno della “Diocesi cattolica di San Pietro Apostolo per i Caldei & gli Assiri” nata e guidata dal 2002 da Mons. Sarhad Y. Jammo, una questione che coinvolgerà non solo la Santa Sede ma anche il sinodo della stessa Chiesa Caldea che avrà il compito di accogliere nel suo seno Mar Bawai.
Per adesso comunque nulla è riportato della faccenda dal sito ufficiale della Santa Sede.
Ma si sa, “il cammino verso l'unità” come ha dichiarato Benedetto XVI può “sembrare lungo e laborioso”. Per adesso più che altro esso appare silenzioso.
L’augurio è comunque che le parole di Benedetto XVI a Mar Dinkha IV: “Il Signore ci chiede di unire le nostre mani e i nostri cuori affinché insieme possiamo rendergli una testimonianza più chiara e servire meglio i nostri fratelli e le nostre sorelle, in particolare nelle tormentate regioni dell'Oriente dove molti dei nostri fedeli guardano a noi, loro Pastori, con speranza e attesa” possano essere ascoltate da tutte le parti in causa.

12 maggio 2008

Turchia: quattro riti - una sola fede unita per la GMG di Sydney 2008


Tradotto ed adattato da Baghdadhope


I cristiani rappresentano una piccola minoranza nello stato turco a stragrande maggioranza musulmana. Eppure nei tempi antichi, a seguito dei viaggi missionari di San Paolo, la Turchia era parte del cuore cristiano, con un grande numero di credenti! Oggi, di una popolazione di 66 milioni di turchi, meno di 250000 persone appartengono a una delle chiese cristiane, costituendo quindi solo circa lo 0,2% della popolazione totale. Circa 65000 credenti cristiani appartengono alla Chiesa Apostolica Armena (Ortodossa) mentre alla Chiesa cattolica di vari riti ne appartengono circa 30000. L'Arcivescovo emerito di Izmir nella Turchia occidentale, Giuseppe Bernardini, parla per esempio di 30 famiglie della sua parrocchia arrivate ad Izmir durante la deportazione degli armeni, o discendenti di antiche famiglie siro-caldee. Per sfuggire alle persecuzioni queste famiglie si sono assimilate alla popolazione turca e dichiarano persino la loro fede musulmana sui documenti di identità per avere la possibilità di trovare lavoro. Poiché non vi sono chiese cattoliche di rito orientale ad Izmir esse frequentano quelle di rito latino cattolico. La guerra in Iraq ha causato un aumento del numero dei cristiani a Istanbul. A causa della continua insicurezza che ha seguito la morte di Saddam Hussein molte famiglie cristiane irachene sono state costrette a lasciare il loro paese e fuggire attraverso la frontiera tra il Nord Iraq e la Turchia. Attualmente vi sono non meno di 4500cattolici caldei - il rito a cui appartengono questi iracheni - che vivono ad Istanbul. In precedenza la comunità cattolica caldea aveva diverse parrocchie nella Turchia orientale ed Istanbul e il loro numero era di soli 600 membri! Sebbene pochi (i cattolici caldei) stanno facendo del loro meglio - insieme con quelli di rito latino - pre prendersi cura dei nuovi arrivati dall'Iraq. I Salesiani, per esempio, si occupano dei bisogni dei figli dei rifugiati ed hanno creato per loro una scuola. L'istituzione benefica cattolica Aiuto alla Chiesa che Soffre- Australia (ACS) sostiene l'operato di queste parrocchie e comunità. "La domenica le chiese sono relativamente piene - ma soprattutto di immigrati clandestini che sono qui in attesa nella speranza di ottenere un visto per il Canada, gli Stati Uniti d'America o l'Australia. Sono soprattutto filippini, ma anche cattolici caldei dall'Iraq", dice Dirk Kennis, un membro del Movimento dei Focolari che vive ad Istanbul da otto anni. In un'intervista durante la visita del Papa nel novembre 2006 Kennis aveva dichiarato: "Siamo veramente grati per il fatto che il Santo Padre sia qui. Credo che sia un segno importante, soprattutto per le chiese cattoliche, il fatto di essere sostenute dalla Chiesa universale, e che il Papa stesso, desideri essere personalmente con loro ". La visita papale fu effettivamente un segno incoraggiante per la Chiesa locale. Ora 10 giovani - due ciascuno dalla diocesi di Istanbul e di Anatolia e dall'Arcidiocesi di Izmir, insieme con i rappresentanti delle chiese armena, caldea e sira, sperano di incontrare il Santo Padre a Sydney per la Giornata Mondiale della Gioventù. La situazione in cui essi vivono in diaspora ha avvicinato i cattolici di riti diversi ed a dimostrazione di questa unità essi desiderano viaggiare in un unico gruppo per la GMG! L'Arcivescovo Luigi Padovese, presidente della conferenza dei vescovi turchi ha chiesto ad ACN di aiutare a coprire i costi di questo lungo viaggio. Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) vuole rendere possibile per questi dieci giovani provenienti dalla Turchia questa meravigliosa esperienza di fede. L'istituzione ha promesso di contribuire a finanziare la delegazione turca per la GMG 2008 con 43,000 dollari.
A sostegno di questa causa, si prega di inviare la donazione a
Aid to the Church in Need
PO Box 6245 Blacktown DC NSW 2148
Australia
per informazioni scrivere (in inglese) a: info@aidtochurch.org
o consultare il sito web: http://www.aidtochurch.org/
A chiunque sosterrà la campagna verrà inviato un libretto di preghiera ed un rosario di Papa Benedetto XVI per pregare per il successo della Giornata Mondiale della Gioventù.

Turkey : Four rites - one faith bound for WYD Sydney 2008


Christians represent a tiny minority in the overwhelmingly Muslim state of Turkey. Yet in ancient times, following the missionary travels of Saint Paul, Turkey was once a part of the Christian heartland, with large numbers of believers! Today, from a population of 66 million Turks, less than 250,000 people belong to one or the other of the Christian churches, thereby making up only around 0.2% of the total population. Of these churches, the vast majority of approx. 65,000 believers belong to the (Orthodox) Armenian Apostolic Church. The Catholic Church and its various rites have around 30,000 believers. Archbishop Emeritus, Giuseppe Bernardini, of Izmir in western Turkey, talks for example of 30 families within his parish who came to Izmir during the deportation of the Armenians, or who are descendants of ancient Syrian-Chaldean families. In order to escape persecution they have become strongly assimilated into the Turkish population and even state on their identity cards that they are Muslims, in order to have a chance of finding work. Since there are no Catholic churches of the Oriental rite in Izmir, they have found their way into the Latin-rite Catholic Church. The war in Iraq has led to an increase in the number of Christians today in Istanbul. With the continuing insecurity after the death of Saddam Hussein, many Christian Iraqi families have been forced to leave their country and flee across the border between northern Iraq and Turkey. Currently there are no fewer than 4,500 Chaldean Catholics -- the rite to which these Iraqis belong -- living in Istanbul. Prior to this, the Chaldean Catholic community consisted of several parishes in eastern Turkey and Istanbul and their numbers had fallen to just 600 members! Although few in number they are doing their best – along with the Latin-Rite Catholics - to care for their still needier new arrivals from Iraq. The Salesians, for example, are looking after the needs of the children of these refugees and have set up a school especially for them. The Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN) is supporting the work of these Catholic parishes and communities as much as possible. "On Sundays the churches are relatively full -- but mostly with illegal immigrants who are waiting here in hope of obtaining a visa to Canada, the USA or Australia. Above all Filipinos, but also Chaldean Catholics from Iraq", says Dirk Kennis, a member of the Focolare movement living in Istanbul for the past eight years. In an interview at the time of the Pope's visit in November 2006, he added "We are really grateful for the fact that the Holy Father has found his way here. I believe it is an important sign, above all for the Catholic churches, that they are supported by the Universal Church, a sign that the Pope himself wishes to be personally there for them." The Papal visit was indeed an encouraging sign for the local church. Now 10 young people - two each from the dioceses of Istanbul and Anatolia and from the Archdiocese of Izmir, together with representatives of the Armenian, Chaldean and Syrian Catholic communities, are hoping to visit the Holy Father in Sydney for World Youth Day. The extreme diaspora situation in which they are living has brought the Catholics of the various different rites closer together and as a show of unity they wish to travel as one group to WYD! Archbishop Luigi Padovese, who is chairman of the Turkish bishops' conference, has asked ACN to help cover the costs of this long journey. Aid to the Church in Need (ACN) wants to make it possible for these ten young people from Turkey to enjoy this amazing faith experience.
The charity has promised to help fund the Turkish youth delegation to WYD 2008 with a grant of $43,000. To support this cause, please send your donation to
Aid to the Church in Need
PO Box 6245 Blacktown DC NSW 2148
or ring through your credit card donation to the Sydney office of ACN on
(02) 9679-1929
e-mail: info@aidtochurch.org or Web:http://www.aidtochurch.org/
Anyone helping the campaign will be sent a Prayer card and Papal rosary of Pope Benedict XVI to prayer for the success of World Youth Day.

8 maggio 2008

Parrocchia libanese prepara i giovani profughi iracheni per la prima Comunione


Di Doreen Abi Raad

Tradotto ed adattato da Baghdahope

Lo scorso settembre, Sondrine e Raymond Khamo vivevano con i genitori in una casa a due piani a Mosul, Iraq. Lo zio era stato colpito da un colpo di arma da fuoco alla testa mentre stava guidando e la madre, Khamo Haifa, aveva paura di lasciarli uscire da casa. Oggi questa famiglia di quattro persone vive in una camera a Beirut. Il padre dei bambini, Basel, contabile, di recente ha trovato lavoro come magazziniere in un supermercato. Non rimane molto dei 200$ del suo stipendio mensile dopo averne pagato 100 affitto. In Libano però la famiglia è in grado di praticare la propria fede cattolica caldea. Sondrine, 12, e Raymond, 11, farannola prima Comunione il 10 maggio presso la Cattedrale di St. Raphael the Archangel in un sobborgo di Beirut. Dei 38 bambini che si sono preparati per la prima Comunione a St. Raphael quest'anno, 24 sono i profughi iracheni, con un’età compresa tra gli 11 ed i 13 anni. Ogni sabato, dal mese di ottobre, le suore Rahma Talo e Veronica Daoud dell’Immacolata Concezione hanno insegnato la catechesi ai bambini.
La maggior parte delle famiglie di profughi iracheni in Libano vive nelle periferie di Beirut. Con bassi redditi - quando c’è il lavoro - le famiglie non possono permettersi di portare i bambini a St. Raphael, così è l’autobus della parrocchia a portarli avanti ed indietro. Il vescovo caldeo di Beirut Michel Kassarji celebrerà la Messa della prima Comunione con Padre Joseph Malkoun, un sacerdote cattolico maronita che ha chiesto di lavorare con i profughi iracheni in Libano vista la carenza di sacerdoti caldei. "E 'doloroso per me vedere tutte queste persone quasi disabili dal punto di vista emotivo, spirituale, anche intellettuale," ha detto Padre Malkoun "non sarebbero così se avessero vissuto una vita normale".

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Padre Malkoun fa notare, ad esempio, che molti dei bambini rifugiati sono aggressivi. "Considerate lo stress e tutte le violenze che hanno vissuto ...ciò che è stato fatto loro," ha detto Padre Malkoun. "Le circostanze in cui questi bambini vivono si riflettono su di loro. Quando si è violati, si è pieni di violenza", ha detto. "I loro diritti umani sono state rubati. Hanno il diritto di vivere come esseri umani."
A parte le atrocità che hanno vissuto nel loro paese devastato dalla guerra e la loro povera esistenza come rifugiati molti bambini iracheni in Libano, alcuni di solo 10 anni, devono lavorare per contribuire a sostenere le loro famiglie. Tre bambini iracheni che si sono preparati per la prima Comunione a St. Raphael lavorano a tempo pieno e non vanno a scuola. Uno di loro è il tredicenne Fadi, che lavora per una società privata di distribuzione dell’acqua così che suo fratello minore possa andare a scuola. I giri che Fadi fa nei camion di trasporto per le consegne sono la parte facile della sua giornata. Quando il camion si ferma deve arrampicarsi sulle scale fino ai tetti degli appartamenti trascinando un pesante tubo come un giovane pompiere per riempire le cisterne vuote. Un lavoro che diventerà ancora più estenuanti in estate quando le temperature Beirut raggiungono i 38 gradi.
"Il ruolo dei genitori è di fondamentale importanza" nella preparazione di ogni bambino per la prima Comunione, ha detto Padre Malkoun. Ma con i bambini iracheni il sacerdote ha notato che i loro genitori non riescono ad essere coinvolti come dovrebbero essere a causa dello stress e dell’ansia.
"Incontriamo i bambini per un paio d'ore al sabato pomeriggio, ma non nel resto della settimana", ha detto suor Rahma, arrivata in Libano dall’Iraq da cinque anni fa. "Ecco perché quando incontro i genitori li incoraggio a mostrare interesse in quello che i loro figli apprendono ed a chiedere loro di guardare oltre ciò che imparano in chiesa. Negli anni passati avevo più tempo e visitavo i bambini e le loro famiglie almeno un paio di volte la settimana. Ascoltavo i loro problemi e parlavo con loro, e sentivo che questo portava i bambini più vicino a Dio attraverso me," spiega Suor Rahma. Nel frattempo Padre Malkoun spiega di essere stato testimone di come "le famiglie irachene hanno poche opportunità di comunicare e di assimilarsi con la comunità libanese. Sono molto isolate." Il sacerdote, che anche organizzato un gruppo di Boy Scouts - libanesi ed iracheni - ha detto che la preparazione per la prima Comunione a St. Raphael offre ai bambini iracheni l'opportunità "di uscire dal bozzolo in cui stanno vivendo, sviluppare le loro energie ed interagire con i bambini libanesi ". "E inoltre è una bella esperienza per i bambini libanesi conoscere un'altra cultura, specialmente per quelli che provengono da famiglie benestanti, incontrare altri bambini che non hanno le stesse possibilità nella vita, giocare con loro, vivere con loro" ha detto Padre Malkoun. Le prospettive per i cristiani d’Iraq continuano ad essere tetre.
"Riceviamo telefonate da famiglie che non vogliono rimanere in Iraq e desiderano venire in Libano", ha il Generale Michel Kasdano, che lavora come volontario a tempo pieno a St. Raphael per aiutare i rifugiati. La Cattedrale di St. Raphael distribuisce pacchi alimentari a circa 500 famiglie di profughi iracheni ogni mese, ma sempre più rifugiati stanno arrivando in Libano, ed il costo dei prodotti alimentari continua ad aumentare. Nessuno dei rifugiati considera possibile il ritorno in Iraq, ha detto Kasdano, aggiungendo che il processo di reinsediamento da parte dell'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite che dovrebbe durare uno o due anni sta diventando più lento. "Coloro che vengono respinti dall 'UNHCR sono depressi e non hanno alcuna speranza. E' come la fine del mondo per loro", ha detto Kasdano. "Sembra che essi siano bloccati qui", almeno fino a quando un altro paese deciderà di accoglierli.

Lebanese parish prepares young Iraqi refugees for first Communion


By Doreen Abi Raad

Last September, Sondrine and Raymond Khamo lived with their parents in a two-floor house in Mosul, Iraq. Their uncle had been shot in the head when he was driving, and their mother, Haifa Khamo, was afraid to let her children go outside.Today, the family of four lives in a one-room dwelling in Beirut. The children's father, Basel, an accountant, recently found work as a stocker in a supermarket. There's not much left from his $200 monthly salary after he pays the $100 rent.Yet in Lebanon the family is able to practice their Chaldean Catholic faith. Sondrine, 12, and Raymond, 11, were to make their first Communion May 10 at St. Raphael the Archangel Chaldean Cathedral in a Beirut suburb. Of the 38 children preparing for their first Communion at St. Raphael's this year, 24 are Iraqi refugees, ranging in age from 11 to 13.Immaculate Conception Sisters Rahma Talo and Veronica Daoud have been instructing the children every Saturday since October. Most Iraqi refugee families in Lebanon live in remote parts of Beirut. With meager incomes -- if they have work at all -- families cannot afford transportation to St. Raphael's, so the parish bus transports the children to and from their first Communion preparation classes each week.
Chaldean Bishop Michel Kassarji of Beirut will concelebrate the first Communion Mass with Father Joseph Malkoun, a Maronite Catholic priest who specifically asked to work with Iraqi refugees in Lebanon because there is a shortage of Chaldean priests."It is very painful for me to see all these people almost handicapped emotionally, spiritually, even intellectually," Father Malkoun said of the Iraqi refugees. "They would not be like this if they had lived a normal life."Father Malkoun notices, for example, that many of the refugee children are aggressive."Look what the stress and all the violence they lived ... look what has been done to them," said Father Malkoun."The circumstances in which these children are living, it reflects on them. When you are violated, you are full of violence," he said. "Their human rights were taken from them. They have the right to live as human beings."

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Aside from the atrocities experienced in their war-torn homeland and an impoverished existence as refugees, many Iraqi children in Lebanon, some as young as 10 years old, need to work to help support their families. Three Iraqi children preparing for their first Communion at St. Raphael's have full-time jobs and do not go to school. One of them is 13-year-old Fadi, who works for a private water distribution company so that his younger brother can go to school. Fadi's ride in the water truck between deliveries is the easy part of his day. When the truck stops, he must clamber up stairwells to apartment rooftops, dragging a heavy hose like a young firefighter, to fill up empty water cisterns. The job will become even more exhausting in the summer when Beirut temperatures reach 100 degrees.

"The role of parents is crucial" in preparing any child for their first Communion, said Father Malkoun. But with the Iraqi children, the priest noticed that their parents are not able to be as involved as they should because of the stress and anxiety they face.

"We see the children for a few hours on Saturday afternoon, but then we don't see them for the rest of the week," said Sister Rahma, who came to Lebanon from Iraq five years ago. "That's why when I do meet their parents, I encourage them to show an interest in what their children are learning and ask them to look over the (instructional) material they receive from the church. The previous years I had more time and I used to visit the children and their families at least a couple times a week. I'd listen to their problems and talk to them, and I felt this brought the children closer to God through me," Sister Rahma explained.

Meanwhile, Father Malkoun said he's witnessed how "the Iraqi families have little opportunity to communicate and assimilate with the Lebanese community. They are very isolated."

The priest, who also organized a Boy Scout troop -- half Lebanese and half Iraqi -- said the first Communion preparation at St. Raphael's gives the Iraqi children an opportunity "to come out from this cocoon they're living in, to develop their energy and to interact with other Lebanese children.""And it's a rich experience for the Lebanese children to experience another culture, and especially for Lebanese children who come from wealthy families, to meet other children who do not have the same chance in life, to play with them, to live in common with them," said Father Malkoun.

The outlook for Iraq's Christians continues to be bleak.

"We even receive phone calls from families there who don't want to stay and wish to come to Lebanon," said retired Gen. Michel Kasdano, who volunteers full time at St. Raphael's to help refugees.St. Raphael's is able to distribute food parcels to some 500 Iraqi refugee families each month, but more refugees are arriving in Lebanon, and the cost of food continues to rise.None of the refugees see returning to Iraq as a possibility, said Kasdano. He added that the U.N. High Commissioner for Refugees' process for resettlement, expected to take one to two years, is becoming slower."Those who are rejected by the UNHCR are depressed and have no hope. It's like the end of the world for them," Kasdano said."It seems they are stuck here," at least until another country decides to accept them, he said.

7 maggio 2008

"Nostra Signora dei Caldei" Marsiglia. Francia. Intervista a Baghdadhope di Monsignor Philip Najim

By Baghdadhope
Tornato da un breve viaggio in Francia Monsignor Philip Najim, Procuratore presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico in Europa per il Patriarcato di Babilonia dei Caldei ha raccontato a Baghdadhope i nuovi successi della comunità caldea in Francia, specificatamente a Marsiglia.
“A Marsiglia vivono circa 150 famiglie cattoliche di rito caldeo, la maggior parte di origine irachena, sotto la direzione giuridica e pastorale dell’Arcivescovado di Marsiglia guidato da Monsignor Georges Paul Pontier che ha concesso loro, ed al parroco caldeo della città, Padre Paul Bashi una cappella dove officiare il nostro rito e che si chiama “Nostra Signora dei Caldei”, ma l’Arcivescovado, considerando i movimenti migratori che in questi anni hanno portato moltissimi caldei iracheni in Europa, ha ritenuto fosse ora che la comunità potesse disporre di una chiesa più spaziosa. Dopo aver ascoltato le proposte dell’Arcivescovado a proposito, e dopo la valutazione di decine di membri della comunità che hanno potuto visitarla, la scelta è caduta sulla chiesa di San Marco, che si trova su una collina da cui si gode un bel panorama, ma che soprattutto è abbastanza grande da poter ospitare tutte le attività necessarie alla vita religiosa della comunità. La chiesa, infatti, è grande, ha una canonica, una grande sala, delle aule per il catechismo ed un giardino interno. Mi piace pensare che questa chiesa diventerà come un giardino per i caldei di Marsiglia. Le famiglie avranno un luogo dove riunirsi e festeggiare le ricorrenze, i bambini le aule per il catechismo ed un giardino dove giocare, se Dio vuole potremo in futuro organizzare anche corsi di lingua aramaica.”
Quindi la chiesa di San Marco diventerà una chiesa caldea a tutti gli effetti. San Marco però non è un santo che appartenga alla vostra tradizione. La chiesa cambierà nome?
“Ovviamente tutti sanno chi è San Marco e nessuno intende dimenticarlo. E’ anche vero però che per gli accordi presi con l’Arcivescovado quando essa sarà operativa la cappella che attualmente usiamo ritornerà alla Diocesi e la chiesa di San Marco ne erediterà il nome di Nostra Signora dei Caldei.”
Tra quanto quindi Marsiglia avrà una vera e propria chiesa caldea?
“La chiesa ha bisogno di alcuni lavori di ristrutturazione e per questa ragione sono state nominate due commissioni, una dell’Arcivescovado latino ed una della chiesa caldea per valutare sia gli interventi da fare sia i costi. A questo proposito devo ringraziare il Cancelliere dell’Arcivescovado di Marsiglia, Mons. Edoard Bouquier che si è impegnato a fare un appello a tutte le parrocchie per aiutare la comunità caldea in questo progetto.”
Immagino che la comunità sia felice di questa nuova opportunità…
“Certamente. La comunità caldea a Marsiglia è ben integrata e poter avere un punto di riferimento che sia chiesa ed anche spazio aggregativo e di studio non può che migliorare tale integrazione. I caldei vogliono far vivere la nostra tradizione liturgica all’interno di quella che veramente è la chiesa santa cattolica apostolica, non per differenziarsi ma per mostrare la bellezza di una chiesa universale fatta anche di riti e lingue diverse ed unita nell’amore per Cristo. La gioia con cui è stata accolta la notizia è stata tangibile domenica 4 quando ho celebrato la Santa Messa nella cappella di Nostra Signora dei Caldei con Mons. Edoard Bouquier e Padre Paul Bashi, ed anche nel corso del pranzo cha ha seguito la messa e che ha raccolto la maggior parte dei fedeli caldei di Marsiglia. Questo altro passo, questa nuova chiesa in Francia, è una dimostrazione della Grazia di Dio, e noi tutti siamo uniti nel pregare che la pace e la concordia di cui la comunità caldea gode in Francia possa presto scendere anche sui nostri fedeli che ancora soffrono nel nostro martoriato ed amato Iraq.”

"Our Lady of Chaldeans" Marseille, France. Interview to Baghdadhope by Mgr. Philip Najim

By Baghdadhope

Just returned from a brief trip to France Mgr.Philip Najim, Procurator to the Holy See and Apostolic Visitator in Europe for the Patriarchate of Babylon for the Chaldeans told to Baghdadhope about the new successes of the Chaldean community in France, specifically in Marseille.
"In Marseille there are about 150 families of Catholic Chaldean rite, most of Iraqi origin, under the legal and pastoral direction of the Archbishopric of Marseille led by Mgr.Paul Georges Pontier who granted to them, and to the Chaldean parish priest of the city, Father Paul Bashi a chapel to celebrate our rite that is called "Our Lady of the Chaldeans," but the Archbishopric, considering the migratory movements that in recent years led many Iraqi Chaldeans to Europe, considered that it was the time for the community to have a more spacious church. After hearing the proposals made by the Archbishopric, and after the evaluation by dozens of the community members who visited it, the choice fell on Saint Mark church, that is located on a hill where you can enjoy a beautiful landscape, but above all that it is large enough to accommodate all the necessary activities for the religious life of the community. The church is indeed great, has a rectory, a great hall, classrooms for catechism and a garden. I like to think that this church will become a garden for the Chaldeans in Marseille. The families will have a meeting place where they will be able to celebrate the anniversaries, children will have classrooms for catechism and a garden to play, if God wants in the future we will also organize Aramaic language courses. "
Then Saint Mark church will become a Chaldean church. Saint Mark is not a saint of your tradition. Will the name of the church be changed?
"Obviously everybody knows who is Saint Mark and no one wants to forget him. It is also true, however, that for agreements made with the Archbishopric when the new church will be ready the chapel we are using will be given back to the Diocese and the church of Saint Mark will inherit its name of Our Lady of the Chaldeans."
So when Marseilles will have a real Chaldean church?
"The church needs some renovation and for this reason two commissions were appointed, one of the Latin Archbishopric and one of the Chaldean church, to study what to do and the costs. In this regard I must thank the Chancellor of the Archbishopric of Marseilles, Mgr. Edoard Bouquier who is committed to make an appeal to all parishes to help the Chaldean community in this project."
I imagine that the community is happy for this new opportunity…
"Certainly. The Chaldean community in Marseille is well integrated and to have a reference point being a church but also a meeting and studying place can only enhance this integration. The Chaldeans want to live our liturgical tradition within what really is the Holy Catholic Apostolic Church, not to differentiate themselves but to show the beauty of a universal church made also of different rites and languages and united in the love for Christ. The joy for the piece of news was tangible on last Sunday when I celebrated the Holy Mass in the chapel of Our Lady of the Chaldeans with Mgr. Edoard Bouquier and Father Paul Bashi, and alsdo during the lunch that followed it and that gathered most of the Chaldeans faithful in Marseille. This step, this new church in France, is a demonstration of the Grace of God, and we are all united in praying that the peace and the harmony the Chaldean community enjoys in France may soon descend even on our faithful who still suffer in our beloved and battered Iraq. "

Mestre. (Venice) Warduni "I'm here to make Italians remind"

Source: Gazzettino

By Giulia Quaggio

Translated by Baghdadhope
"I am here to remind the Italians what is happening in Iraq, because before being a Christian I am a member of the Iraqi people". So Mgr.Shlemon Warduni, Auxiliary Archbishop of Baghdad, during a visit to Venice where, with Pax Christi, introduces the long and difficult chronicle of the conditions of Christians in Iraq after the abduction and death of the Chaldean bishop of Mosul Faraj Rahho. He wants to remind the West the conflict, because before internal strives, ethnic and religious clashes, even before the politics, Mgr. Warduni thinks that there must be reconciliation for a nation that since a long time doesn’t live in peace. In last April there were thousands victims of the conflict that began in 2003 are four million and a half refugees.
Christians, who in the late nineties were one million, now are about only 650 thousand. "The emigration concerns not only Christians – says Mgr. Warduni - but especially the Muslims who are numerically more. The West should never forget, as sometimes happens, that to live in war is not only politics but above all an exhausted and often defenceless population. I disagree with those who want to confine Christians in protected areas. When a Christian is killed it is known, when a Muslim is killed it is more difficult that the piece of news is reported. I never close the door of my Church to anyone. "
According to Mgr. Warduni the situation in Iraq is worsening day by day. A small hell made of booby-trapped cars and flying checkpoints too often forgotten by the media. "Where is the democracy of which the world speaks of?" - says Mgr. Warduni - "kidnappings against priests multiply. We don’t have electricity, if not for an hour or two a day. There are generators but not gasoil in a land that could give to live to all Middle East. Fixed phones don’t exist. The insecurity in which we live is unimaginable. God does not want war."
Only in the north of Iraq now, despite the increase in prices and housing a large part of the Christian community is moving. According to Mgr. Warduni also information in western media is inadequate about what's happening in Iraq. “There are not journalists - says Mgr. Warduni - some areas of the city are off-limits and some issues are not discussed for fear.”
Mgr.Warduni points his finger to the existing division among Iraqi Christians (who represent the 3% of the population). The 70% of them is Chaldean and there are smaller percentages of Nestorians-Assyrian, Syriac Catholics and Orthodoxes. However according to Mgr. Warduni, even if the division is deeply rooted in Christianity, it is the attitude of the Protestant sect, that impose forced baptisms, to be condemned. The death of Mgr. Faraj Rahho, left to die without medicines from his kidnappers, although there are still doubts about the actual causes of his death, is accompanied by the tragic fate of other slaughtered priests. The same Mgr. Warduni during a shifting of a few metres in Baghdad, risked to die for the gusts of a machine-gun coming from a black windows Jeep: Iraqi Muslims helped him.
Yesterday evening, just to recall the fundamental role of the international community in the pacification of Iraq, Mgr. Warduni with Mgr. Beniamino Pizziol, auxiliary bishop of Venice celebrated a Mass in memory of the victims of Iraqi war in the Basilica of San Marco.

6 maggio 2008

Mestre. Warduni "Sono qui per ricordare"

Fonte: Gazzettino

By Giulia Quaggio

«Sono qui per ricordare agli italiani quello che sta succedendo in Iraq, perché prima che cristiano sono un membro del popolo iracheno».
Così monsignor Shlemon Warduni, arcivescono ausiliare di Baghdad, in visita a Venezia, accompagnato da Pax Christi, apre la lunga e difficile cronaca sulle condizioni dei cristiani in Iraq, dopo il rapimento e morte del vescovo caldeo di Mosul Faraj Rahho.Vuole ricordare all'Occidente il conflitto, perché prima delle lotte intestine, degli scontri etnici e di religione, prima ancora della politica, per monsignor Warduni ci deve essere la riconciliazione per un popolo che da tempo immemore non conosce più la pace.Solo in aprile sono state un migliaio le vittime del conflitto che dal 2003 divampa in Iraq, sono quattro milioni e mezzo i profughi della guerra. I cristiani, che alla fine degli anni Novanta erano un milione, ora sono circa 650 mila.
«L'emigrazione non è solo dei cristiani - prosegue Warduni - ma soprattutto dei musulmani che numericamente sono di più. L'Occidente non dovrebbe mai dimenticare, come a volte accade, che ad essere in guerra non è solo la politica ma soprattutto un popolo spesso inerme e stremato. Non sono d'accordo con chi intende ghettizzare i cristiani in aree protette. Quando viene ammazzato un cristiano si sa, quando viene ucciso un mussulmano è assai più difficile che la notizia circoli. Io non chiudo mai la mia Chiesa a nessuno».
Per mons. Warduni la situazione in Iraq peggiora di giorno in giorno. Un piccolo inferno fatto di autobombe e check point volanti. Troppo spesso dimenticato dai mezzi di comunicazione. «Dov'è la democrazia di cui si parla? - chiosa Warduni - I rapimenti ai danni di sacerdoti si moltiplicano. Non abbiamo elettricità, se non un'ora o due al giorno. Ci sono i generatori ma manca il gasolio, in una terra che potrebbe far vivere tutto il Medio Oriente. Il telefono fisso non esiste. L'insicurezza in cui si vive è inimmaginabile. Dio non vuole la guerra».
Solo nel Nord del Iraq, dove ora, nonostante l'incremento dei prezzi e lo sfruttamento monetario delle abitazioni, si sta trasferendo buona parte della comunità cristiana. A detta di Warduni anche l'informazione occidentale su quello che accade in Iraq spesso è lacunosa. «Non ci sono molti giornalisti - spiega Warduni - alcune zone della città sono off-limits ed alcune questioni per timore della propria incolumità non vengono affrontate».
Warduni punta il dito anche contro la divisione che esiste tra i cristiani iracheni (che sono il 3 per cento della popolazione). Il 70 per cento è formato da caldei (percentuali più ridotte di assiro-nestoriani, siro-cattolici ed ortodossi). Tuttavia per Warduni, laddove la divisione è connaturata nel cristianesimo, è l'atteggiamento delle sette protestanti, che impongono battesimi forzati, da condannare.
La morte del vescovo Faraj Rahho, lasciato perire senza medicinali dai rapitori, anche se permangono ancora dei dubbi sulle reali cause del decesso, si accompagna al tragico destino di altri sacerdoti sgozzati. Lo stesso Warduni, nel corso di uno spostamento di pochi metri a Baghdad, ha rischiato di morire sotto le raffiche di un mitra proveniente da un gippone dai vetri oscurati: a soccorrerlo dei musulmani iracheni.
Ieri sera, proprio per richiamare il fondamentale ruolo della comunità internazionale nella pacificazione dell'Iraq, Warduni, assieme a monsignor Beniamino Pizziol, vescovo ausiliare di Venezia, nella Basilica di San Marco, ha celebrato una messa in memoria delle vittime irachene della guerra.