"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 ottobre 2023

Iraq: card. Sako (patriarca caldeo), “l’ingiustizia non durerà. Non permettiamo alla paura di prendere il sopravvento ”

28 ottobre 2023

“Tornare alla nostra fede e nutrire la speranza che sono radicate nella Parola di Dio”.
È un invito a “non avere paura” quello che il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, lancia in un messaggio ai fedeli “in questo momento difficile e con la guerra che infuria da più di un anno tra Russia e Ucraina e adesso anche in Terra Santa”.
“Nel cuore dove si annida la paura, può nascere la speranza”
dice il patriarca che esorta a non indietreggiare davanti “al pericolo, alle minacce, all’abuso di potere, alla malvagità degli esseri umani, alla vendetta, ai conflitti, alle guerre, così come ai disastri naturali come terremoti, uragani, inondazioni, incendi, malattie ed epidemie”. “C’è sempre speranza – ribadisce – la speranza si profila all’orizzonte e continua a progredire”.
Per questo motivo “il cristiano deve alzare la testa e guardare più lontano, perché c’è un Liberatore, Gesù fonte della speranza”. “I malvagi – ricorda il patriarca caldeo – dipendono dal denaro, dalle armi, ma noi deboli abbiamo fede solo in Dio, che è la nostra forza e consolida la nostra convinzione che l’ingiustizia non durerà e che il futuro sarà un sistema democratico che rispetti la legge e i diritti dei cittadini e garantisca loro la libertà e la dignità. La speranza è più forte della paura. Nelle avversità dobbiamo ricorrere alla preghiera e alla solidarietà umana per proteggerci e aiutarci a vicenda”.
In questo cammino, dichiara Mar Sako, “ci accompagnano le preghiere dei martiri di Mosul, Baghdad, Kirkuk e Bassora… Cerchiamo di essere forti e di non permettere alla paura di prendere il sopravvento. Preghiamo con questi martiri per tutti coloro che soffrono per la violenza, l’ingiustizia, l’esclusione e l’emarginazione, perché si realizzi la loro speranza di una vita dignitosa e felice”.

Il patriarca di Baghdad: «In Medio Oriente l’islam deve separare la religione e lo stato»

Francesco Peloso
25 ottobre 2023

Il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphaël Sako, parla del conflitto in corso: la soluzione è sempre quella, due popoli due Stati, ma non si vede chi lavori per la pace --
«Ci sono forti timori che il conflitto israelo-palestinese si allarghi a tutta la regione; le popolazioni sono preoccupate e anche i cristiani, non c’è più una cultura della pace in Medio Oriente, c’è una tendenza verso la violenza, prevale il tribalismo e il sentimento della vendetta che ha una sua sacralità, mentre non c’è la stessa considerazione per il dialogo, la riconciliazione e il perdono così come sono concepiti dai cristiani».
Parlando con Domani, il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Baghdad e capo della chiesa caldea in Iraq, esprime un forte senso di allarme per il conflitto in corso in Terra Santa e le sue possibili conseguenze sulla regione.
Dal luglio scorso Sako ha trasferito per protesta la propria sede a Erbil capitale del Kurdistan iracheno; il governo infatti aveva deciso di abrogare un decreto emanato nel 2013, che seguiva però una tradizione risalente al califfato Abbaside e all’epoca ottomana, che assegnava al patriarca – nominato dal papa – autorità e giurisdizione sulle proprietà della chiesa e sui cristiani nel paese. La revoca del provvedimento era dovuta alle pressioni delle milizie armate, prevalentemente al servizio dell’Iran, che fanno il bello e il cattivo tempo in Iraq.
«La guerra fra Israele e Hamas», continua il patriarca, «è collegata a quanto avviene in Libano, Siria, Iraq. La soluzione è “due popoli due stati”, bisogna però cercare un modo per negoziare con gli altri, provando a lavorare insieme per un accordo capace di soddisfare tutti, israeliani e palestinesi».
«Ma chi lavora a questo negoziato? Le divisioni fra i palestinesi fra Gaza e Ramallah, Hamas e Autorità nazionale palestinese, non aiutano, chi è che li rappresenta? Per dialogare bisogna essere uniti, e poi anche in Israele ci sono fondamentalisti che hanno le loro ambizioni. Infine è necessario rispettare il diritto internazionale: insomma se qualcuno commette un atto malvagio non è giusto punire tutte la sua famiglia».

Il ruolo dei gruppi armati
Uno dei problemi da affrontate in Medio Oriente, per il card. Sako, è quello del dilagare dei gruppi armati fuori controllo che, fra le altre cose, con il loro modo di agire, generano una corruzione diffusa.
«Le milizie», ci dice, «dominano in molti di questi paesi a cominciare dall’Iraq ma non solo; si tratta di corpi militari più forti a volte di quelli statali, degli eserciti, le milizie non sono autonome, vengono finanziate dall’estero, con denaro e con armi, non rispettano i valori né religiosi né umani né morali, allora possono fare qualsiasi cosa, compiere qualsiasi delitto».
«In Iraq c’è questa milizia, nominalmente cristiana, Babilonia, ma che nei fatti non lo è (la milizia Babilonia, in realtà sciita legata all’Iran, ndr), che sta cercando di appropriarsi di tutte le proprietà della chiesa e dei cristiani soprattutto caldei; si tratta di circa 1500 immobili, terreni, abitazioni ecc., nella piana di Ninive; l’obiettivo è quello di cambiare la demografia della regione e a Baghdad e cacciare per sempre i cristiani».
«Di recente», racconta ancora, «l’incidente del matrimonio cristiano a Qaraqosh, con un incendio che ha provocato 126 morti, in apparenza dovuto a negligenze nella manutenzione, sembra una cosa studiata, anche il modo di indagare sull’episodio è stato oggetto di contestazioni. Lo scopo di tutto questo non è quello di intimidire il patriarca caldeo, io rappresento i cristiani e la chiesa, e lo scopo è colpire i cristiani».

Stato e religione
Pesa anche il disinteresse crescente dell’occidente e dell’Europa in particolare, verso i cristiani del Medio Oriente, un tempo «aiutati e sostenuti dall’Europa, dalla Francia, dall’Italia, dalla Germania e da altri paesi. Ora non si fa più nulla. Riceviamo sostegno dalla Caritas, da Aiuto alla chiesa che soffre, e dall’Oeuvre d’Orient, da altre chiese. Ma quello di cui abbiamo bisogno è un aiuto politico più che materiale. In Medio Oriente bisogna separare la religione dallo stato, è importante costruire un regime civile, questo è un discorso fondamentale».
Il tema è particolarmente caro al cardinale: «L’islam», insiste - deve fare un aggiornamento come ha fatto la chiesa cattolica. Come noi cristiani cerchiamo il messaggio di Dio nella Bibbia, loro devono anche cercare di capire che messaggio c'è nel Corano per la gente di oggi, non per la gente di 1500 anni fa».
«Noi siamo le radici del cristianesimo, se non ci saranno più cristiani in Medio Oriente», spiega il patriarca, «non ci saranno più radici e per questo è molto importante venire a visitare questi cristiani per vedere con loro cosa fare. È importante anche formare un quadro politico-diplomatico capace di dialogare con i governi della regione».

Cristiani e nazionalismi
Ma anche i cristiani nella regione devono imparare a fare la loro parte, il che significa per esempio, «parlare con una voce sola sul piano politico e sociale, qui abbiamo molte chiese con tradizioni molto antiche, ma sono piccole chiese: ci sono caldei, cattolici, maroniti, melchiti, armeni, copti, ortodossi, assiri, non c’è unità fra noi; va bene che ognuno mantenga i suoi riti, ma sul piano pubblico serve unità per farsi ascoltare e rispettare, perché poi la voce dei cristiani in Medio Oriente è importante. La nostra unità è una testimonianza per gli altri».
D’altro canto, aggiunge Sako, «anche i cristiani risentono del nazionalismo e del settarismo etnico, per questo bisogna lavorare sul principio di cittadinanza, i cristiani non possono essere considerati cittadini di seconda fascia, inferiori. Tutto deve essere basato sulla cittadinanza e sul rispetto dei diritti dell’uomo, anche se adesso non c’è molta speranza che questo possa realizzarsi».
Infine «il dialogo con gli altri è molto importante e certo bisogna anche saper dialogare, aiutare i musulmani a capire la nostra fede, se noi sapremo lavorare insieme avremo un futuro migliore; dobbiamo collaborare con i musulmani perché noi siamo iracheni a tutti gli effetti, e dobbiamo costruire con loro un regime civile, non c’è futuro nel settarismo».

Il vescovo non è un principe
Ma se lo sguardo del card. Sako è rivolto in modo attento alla sua terra e ai paesi mediorientali, in queste settimane ha partecipato al sinodo convocato dal papa a Roma per discutere sul futuro prossimo della chiesa e sulle forme dell’annuncio evangelico nell’epoca che stiamo vivendo.
«Penso che questo passo era molto necessario e urgente» afferma in merito all’assise che si sta avviando alla conclusione (fra un anno, nell’ottobre del 2024, padri e madri sinodali si ritroveranno a Roma per assumere delle decisioni in modo definitivo). «Dopo 2000 anni», osserva il patriarca caldeo, «noi dobbiamo pensare in che direzione andiamo, il mondo è cambiato, la mentalità è cambiata. Il mondo è diventato un villaggio digitale. Dobbiamo chiederci come parlare di Dio e Cristo con la gente, come formare i cristiani, con quale linguaggio, attraverso quali forme; e anche i ruoli nella chiesa vanno rivisti, va cambiata la struttura: certo, sono tutti i ruoli di servizio e l'autorità non va intesa come sovranità, diciamo. Bisogna superare il modello costantiniano dell'unità fra chiesa e stato».
È invece importante, prosegue il cardinale, «riformare la struttura in senso sinodale, il vescovo non può essere più da solo al comando e prendere le decisioni; in Iraq oltre al sinodo annuale, io ho un sinodo permanente con il quale prendo le decisioni, c’è il concilio diocesano ci sono dentro laici, donne, consacrati. Il vescovo inteso come uomo superiore agli altri, come fosse un principe, è una conseguenza della concezione imperiale della chiesa, del modello nato dopo Costantino, bisogna aprire le porte ai battezzati».
«L’idea per i tempi in cui viviamo», conclude Sako, «dovrebbe essere quello della famiglia, la chiesa in famiglia. Siamo fratelli e sorelle diversi, ma noi siamo membri della stessa famiglia, abbiamo responsabilità diverse, ma siamo uniti, camminiamo insieme e aiutiamo gli altri. Io nel corso dell’assemblea, ho fatto un intervento, ho detto che la sinodalità e solidarietà, ecco questo è importante io non cammino da solo ma con gli altri e sono attento a loro, nello stesso modo loro mi aiutano».

Card. Sako: dalla guerra fra Israele e Hamas rischi di ‘conflitto regionale’

Dario Salvi
25 ottobre 2023

La guerra fra Israele e Hamas a Gaza, che si sta già allargando a tutta la Palestina con l’escalation di morti civili, è fonte “di grande preoccupazione e tensione” soprattutto perché “non si sa, al momento, quale deriva potrà assumere questo conflitto”.
È quanto sottolinea ad AsiaNews il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, in queste settimane a Roma per partecipare al Sinodo entrato nella fase finale. Il “confine” di questo nuovo fronte di guerra, avverte il porporato, potrebbe non limitarsi “a Israele e Palestina” ma vi è il “rischio concreto” che possa “estendersi a tutta la regione” finendo “forse per essere una trappola per tutti noi: personalmente - afferma - sono molto preoccupato”.
Per il primate caldeo è necessario moltiplicare gli sforzi “per cambiare questa mentalità di guerra, di vendetta, di violenza” che troppo spesso, nella storia degli ultimi decenni, ha infiammato il Medio oriente.
Dalla questione palestinese mai risolta e a lungo accantonata, se non dimenticata, alle tensioni fra sunniti e sciiti evidenti nella contrapposizione fra Arabia Saudita e Iran, fino ai molti conflitti per procura che si sono consumati nell’area, come quello nello Yemen fra governativi e ribelli Houthi.
“Bisogna saper dialogare, dobbiamo restituire lo spazio alla parola - sottolinea - è necessario pensare e realizzare la pace, trovare una soluzione ai problemi in modo civile, facendo tacere il rumore” spesso assordante “delle armi”.
“Nella guerra, come ha sottolineato papa Francesco, tutti perdono e non vi è alcuna vittoria” afferma il card. Sako, che ha vissuto in prima persona molti dei conflitti che hanno caratterizzato la storia recente dell’Iraq: da quello con l’Iran negli anni ‘80 all’invasione statunitense nel 2003, la deriva del terrorismo jihadista e l’ascesa dello Stato islamico (Isis), sconfitto ma non eliminato al termine di una dura campagna militare.
Anche a Gaza, come in Iraq, vi sono fattori confessionali che si sovrappongono alle questioni politiche e territoriali. “La religione può essere usata come un ombrello che ammanta il conflitto, la fede può essere politicizzata o strumentalizzata per giustificare o soffiare sul fuoco della guerra” come avvenuto nel mondo arabo “fra etnie diverse o fra sunniti e sciiti”. Tuttavia, anche nella contrapposizione fra Israele e Hamas “vi è al fondo una lotta fra interessi contrapposti, dietro ai quali arde il fuoco della politica. La religione - afferma il porporato - è solo un pretesto, una copertura” per continuare a combattere “e a pagarne il prezzo, anche oggi, sono i civili”.
Sul fronte del conflitto è emersa in queste ore la notizia di un incontro fra il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, con il vice capo di Hamas, Saleh Al-Arouri, e il segretario generale della Jihad islamica palestinese Ziad Nakhla. Il vertice a tre è avvenuto in Libano, a conferma di un coinvolgimento crescente - suo malgrado - del Paese dei cedri sia a livello militare che politico.
Dall’Iran arriva l’attacco della guida suprema Ali Khamenei agli Stati Uniti, accusati di essere “complici” di Israele nelle “atrocità” a Gaza. Intanto Israele - che nega il visto di ingresso a diplomatici Onu come ritorsione per le parole del segretario generale Antonio Guterres - sta allargando il fronte delle operazioni coinvolgendo sempre più anche la Cisgiordania: fonti militari affermano che dall’inizio della guerra l’esercito ha arrestato 930 “ricercati” fra i quali “600 membri di Hamas” nei Territori. Infine, le capacità di accoglienza dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) nella Striscia sono state “superate” con oltre 600mila sfollati in 150 strutture.
Dal versante bellico all’emergenza umanitaria, la situazione in Terra Santa - molte anche le moschee, e le chiese, andate distrutte nel conflitto in corso - si fa sempre più drammatica ed è tempo che la diplomazia internazionale si adoperi per una tregua, come ha chiesto lo stesso card. Sako. Un intervento indispensabile per impedire, avverte, che i Paesi della regione vengano travolti da una guerra totale, favorendo anche l’ingresso di cibo, medicinali e corridoi umanitari a Gaza. “Dobbiamo pensare un po’ più lontano, allargare la prospettiva” afferma il porporato, che ricorda come pure la guerra fra Russia e Ucraina sia “per procura”, come avviene anche “fra Israele e Hamas: anche dietro a questa guerra ci sono grandi Paesi e, in qualche modo, questo nuovo fronte di tensione ha relegato in secondo piano” il conflitto lanciato da Mosca contro il vicino, con una conseguente “diminuzione della pressione e dell’attenzione internazionale e della richiesta di aiuti”. Di certo, conclude il primate caldeo, di qualunque conflitto si parli “la guerra è sempre triste e assurda, serve dialogo e trovare una soluzione per tutti”.

Incontro tra Papa Francesco e i Patriarchi cattolici d'Oriente presenti al Sinodo. In programma la situazione in Medio Oriente

25 ottobre 2023

In occasione della presenza dei Patriarchi cattolici d'Oriente al Sinodo dei Vescovi attualmente in corso in Vaticano, è stato annunciato oggi un incontro speciale che riunirà alla fine di questa settimana i Capi delle cinque Chiese cattoliche orientali, membri dell'Assemblea sinodale, con Papa Francesco.
I presuli provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa, giunti a Roma dall’inizio di ottobre, discuteranno con il Santo Padre non solo sulle questioni ecclesiastiche ma anche, e soprattutto, sull'odierna crisi nella regione scoppiata pochi giorni dopo l'inizio del Sinodo. Ieri intanto si è svolto un incontro nel Dicastero per le Chiese Orientali, su invito del Prefetto, il Cardinale Claudio Gugerotti, per parlare insieme ai Patriarchi e ai partecipanti delle Chiese Orientali al Sinodo, di questioni riguardanti la vita di queste Chiese e le sfide che devono affrontare in una situazione radicalmente mutata negli ultimi due anni dopo l'inizio della guerra russa contro l'Ucraina.
I Patriarchi Cattolici d'Oriente si sono incontrati anche presso il Pontificio Istituto Maronita a Roma, con il Card. Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo, che ha sottolineato l'importanza della missione delle Chiese Orientali, soprattutto nell'ambito della cooperazione nei Paesi del Medio Oriente e della promozione del dialogo con i musulmani. Il porporato ha inoltre elogiato il modello di convivenza tra cristiani e musulmani che insieme costruiscono questo dialogo difficile ma indispensabile.
Alla riunione hanno preso parte il Patriarca siro cattolico Ignace Youssif III Younan, il Patriarca maronita e Cardinale Béchara Boutros Raï, il Patriarca caldeo e Cardinale Luis Raphael Sako, il Patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak e Raphael Bedros XXI Minassian, Catholicos Patriarca di Cilicia degli Armeni.

24 ottobre 2023

Conflitto israelo-palestinese: card. Sako (patriarca caldeo), “fermare le armi, corridoi sicuri per i civili, rilanciare soluzione due Popoli, due Stati”

By AgenSIR - Patriarcato caldeo
23 ottobre 2023

“Seguiamo con preoccupazione ciò che sta accadendo nella regione, una lotta che ignora il diritto internazionale e prende di mira la vita di civili innocenti, infrastrutture e persino ospedali. Queste azioni sono deplorevoli”.
È quanto afferma, in una nota, il Patriarcato caldeo di Baghdad, commentando la guerra tra Israele e Hamas e il rischio di allargamento del conflitto.
“I politici della regione – si legge – devono rendersi conto che la soluzione risiede in un dialogo coraggioso per raggiungere la pace e la giustizia, non attraverso le armi. Come Chiesa –prosegue la nota firmata dal patriarca della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo, card. Louis Raphael Sako – chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità nel fermare le operazioni militari, impedire che i Paesi della regione scivolino in una guerra totale, consentire l’ingresso di cibo e forniture mediche, creare corridoi sicuri per i civili e sforzarsi di rilanciare il processo di pace e stabilire due stati pacifici vicini: Israele e Palestina”.
“Ci uniamo 
– conclude il patriarcato – all’appello di Papa Francesco e di tutto il clero cristiano, musulmano e di buona volontà nel mondo e speriamo di fermare questa guerra logorante e trovare una soluzione giusta per il popolo palestinese”.

Iraq: mons. Najib (Mosul) “chi è stato eletto in parlamento nella quota cristiana pretende di rappresentarci, ma in realtà ci perseguita”

By AgenSIR - Rudaw
23 ottobre 2023

Foto Rudaw
“I deputati cristiani eletti in parlamento non rappresentano la minoranza cristiana, piuttosto la perseguitano”: lo ha detto, in un’intervista a Rudaw Media Network, mons. Mikhail Najib, arcivescovo di Mosul, che interviene anche sull’incendio scoppiato durante una festa di nozze a Qaraqosh, la sera del 26 settembre scorso, che ha provocato la morte di almeno 119 persone e il ferimento di altre centinaia.
Il vescovo critica, infatti, i risultati delle indagini sull’incendio, arrivati, secondo il presule, “dopo poco tempo e con risultati che non hanno nulla a che fare con questo crimine”, una velocità che dimostra “la mancanza di serietà nelle stesse indagini”.
La comunità locale aveva invocato una Commissione indipendente di indagine, anche internazionale. Mons. Najib afferma di “avere fiducia nella magistratura irachena, ma ci sono anche esperti internazionali in tutto il mondo per indagare su queste tragedie”. Nessun dubbio sulle capacità della magistratura per il presule che lamenta “a volte delle pressioni politiche e intimidazioni”.
Il 1° ottobre, il ministero dell’Interno iracheno ha attribuito la causa dell’incendio a una fonte di incendio che ha toccato materiali infiammabili, tra i quali “quattro fuochi d’artificio”. Per quanto riguarda il ruolo dei rappresentanti cristiani nel parlamento iracheno, l’arcivescovo di Mosul ha parlato della quota caldea come della “distruzione dell’Iraq. Chi è stato eletto nella quota cristiana pretende di rappresentarci, ma in realtà ci perseguita. Dovrebbero lavorare per ottenere ciò di cui abbiamo bisogno nella regione, tra cui sicurezza, posti di lavoro e protezione delle libertà. Chi arriva in Parlamento deve riuscirci con i voti dei cristiani e non di altre componenti”.
Da ultimo mons. Najib chiede “la messa in sicurezza della Piana di Ninive e di Mosul attraverso un’unica forza di difesa. Non è ammissibile vedere ogni giorno una nuova milizia e nuove armi. Diffondono solo terrore. Occorre una forza che protegga la terra e tenga sotto controllo le milizie”.

19 ottobre 2023

Iraq, Abdul Latif Rashid: «C’è una sola soluzione, applicare le Risoluzioni Onu. Il terrorismo non porta a nulla»

Franca Giansoldati
19 ottobre 2023

«Il conflitto si risolve tornando alle risoluzioni dell’Onu, alle trattative».
Il Presidente dell’Iraq Abdul Latif Rashid ieri, nella sua breve visita in Italia, in cui ha avuto un colloquio con il Capo dello Stato Sergio Mattarella, ha analizzato anche la situazione esplosiva in Medio Oriente.
A suo parere una road map per la pace è praticabile e possibille.

Lei pensa che quello che è accaduto a Gaza possa far precipitare la situazione in tutta la regione?
«In passato il popolo iracheno ha sofferto immensamente per l’embargo, per i conflitti, per il terrorismo, per la guerra, per le invasioni e l’occupazione. Tutto questo lo abbiamo vissuto sulla nostra pelle. Il nostro Paese è tra quelli che maggiormente hanno patito e, quindi, sappiamo quanto i conflitti non portino a nulla. Al contrario, e lo dico con forza, dovremmo tutti concentrarci a trovare soluzioni ai problemi che ci sono attraverso le trattative e i colloqui. Per quanto riguarda la questione di Gaza noi, come iracheni, condanniamo il terrorismo e appoggiamo i diritti del popolo palestinese. Crediamo che la causa israelo-palestinese si possa risolvere solo attraverso l’applicazione delle risoluzioni dell’Onu. Il terrorismo va sempre condannato in tutte le sue forme, sopratutto quando prende di mira i civili. Donne, bambini, anziani, gente inerme. Per questo dobbiamo tentare in tutti i modi di fermare i bombardamenti e rispettare i civili a Gaza. Il conflitto, non mi stancherò mai di ripeterlo, si risolve tornando alle risoluzioni dell’Onu e alla loro applicazione».
In questo momento si sta lavorando dal punto diplomatico per arrivare a una de-escalation del conflitto?
«Si ovviamente. Serve innanzitutto per conservare la vita dei civili».
Se l'esercito israeliano dovesse entrare a Gaza quanto peggiorerebbe la situazione generale?
«Temo di si ma spero si possa fermare il combattimento. Tutto appare molto difficile in queste condizioni, ma occorre cercare il modo, non arrendersi. Bisogna tutelare la vita dei civili. L'obiettivo è arrivare a una pace».
Dopo l'attentato di Bruxelles ci potrebbe essere un aumento del terrorismo in Europa?
«Speriamo davvero di no. Il terrorismo è un male e fa male a tutti. Ed è dovere della comunità internazionale e del Medio Oriente arginarlo in ogni sua forma. Il pericolo è insito in ogni Paese ed è per questo che si deve cooperare: la cooperazione deve estendersi in tutti i campi, in modo da impedire che i terroristi possano approfittarsi di spazi che consentono loro di sfruttare la libertà e la democrazia».
C'è chi parla del rischio di un scontro tra civiltà....
«Questo dipende dalla definizione di civiltà e dalla definizione di conflitto. Quale tipo di scontro? Mi auguro di no. Personalmente propendo più per la competizione tra le civiltà e tra tutte le nazionalità, in tutti i paesi, una competizione leale per il progresso dell'umanità. Costituisce un arricchimento. Io sono contrario agli scontri».

Con il Vaticano che rapporti ci sono dopo l'incidente con il cardinale Patriarca Sako che per protesta ha lasciato Baghdad per rifugiarsi in Kurdistan accusando lo Stato iracheno di non proteggere i cristiani e avere ritirato un decreto che garantiva tutele alla comunità?
«Il Patriarca Sako lo conosco da lungo tempo e nutro grande rispetto nei suoi confronti. Non ho fatto nulla contro di lui e quando ho dovuto ritirare il decreto in questione l'ho dovuto fare poiché si trattava di un atto normativo incostituzionale. Essendo io il primo garante della Carta, ero obbligato a muovermi in quella direzione. Il cardinale Sako sa bene queste cose così come sa bene che a Natale o in altri momenti io e mia moglie siamo sempre andati a rendere omaggio alla comunità cristiana che è parte integrante dello Stato. Voglio pero aggiungere una cosa».
Prego...
«Noi siamo disposti a risolvere la questione in qualsiasi modo legale possibile ma senza violare la costituzione dal punto di vista formale. Daremo tutto l'aiuto e l'assistenza possibile. Qualsiasi tipo di supporto legale lo forniremo».

15 ottobre 2023

Sinodo: il briefing quotidiano in Sala stampa


«Pace!». Sì, «pace in Terra Santa, in Ucraina, nel Libano, in Africa e in tutti i Paesi in guerra, ovunque!». Ecco la corale preghiera e l’impegno condiviso nei lavori sinodali di questa mattina, giovedì 12 ottobre. Lo ha reso noto Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione dell’Assemblea, nel briefing con i giornalisti che ha avuto inizio intorno alle 13.50, nella Sala stampa della Santa Sede.
In particolare proprio per la pace — ha ricordato Ruffini — hanno pregato stamani in Aula il cardinale Sako e Margaret Karram (le loro riflessioni sono riportate in questa pagina).
E un itinerario di preghiera per la pace è anche quello che i partecipanti al Sinodo stanno per compiere — partendo insieme da piazza Santa Marta in Vaticano alle 14.45 — con il pellegrinaggio alle catacombe di San Sebastiano, di San Calisto e di Domitilla. Luoghi di storia e di forte spiritualità dove si conservano vive la «memoria apostolica» e quella dei martiri. Un’esperienza, ha aggiunto il prefetto, che è «parte integrante del percorso sinodale» e che si concluderà alle 18.30 con un momento di preghiera comune.
Stamani, ha ricordato Ruffini, erano in agenda i Circoli minori (sesta sessione) con la finalizzazione dei resoconti sul modulo B 1 dell’Instrumentum laboris, che sono stati appena consegnati alla Segreteria generale. E, in particolare, è stata affermata in Aula l’importanza del profilo mariano della Chiesa sinodale, significativamente proprio nel giorno della festa di Nostra Signora Aparecida e di Nostra Signora del Pilar.
Domattina, all’altare della cattedra della basilica di San Pietro, presiederà la celebrazione della messa il cardinale cappuccino Fridolin Ambongo Besungu, arcivescovo di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, membro del Consiglio ordinario del Sinodo e del Consiglio di cardinali. Poi, in Aula, è prevista l’ottava congregazione generale, che sancisce l’inizio della terza parte dei lavori, con la presentazione — a cura del relatore generale cardinale Jean-Claude Hollerich — della sezione B 2 dell’Instrumentum laboris, dedicata al tema: «Corresponsabili nella missione, Come condividere doni e compiti a servizio del Vangelo?». Faranno seguito le testimonianze.
Sheila Peres, segretaria della Commissione per l’informazione, ha presentato i temi proposti nel pomeriggio di ieri, mercoledì 11 ottobre, durante la settima congregazione generale (343 i presenti), sia negli interventi dei Circoli minori sia in quelli liberi. Il punto centrale, ha affermato la donna, è stato l’impegno per rilanciare «il dialogo per la pace» che deve vedere protagonisti tutti i leaders cristiani. Insieme a una «vera e propria chiamata a rafforzare il dialogo interreligioso e interculturale», in particolare con le comunità indigene. Di qui anche la riflessione sull’impatto del colonialismo.
La questione dell’accoglienza della Chiesa attraverso «il ministero della riconciliazione» è stata riproposta con l’impegno per una «formazione permanente». E anche con una particolare attenzione all’ascolto dei giovani che, soprattutto nel mondo occidentale, sentono sempre meno il desiderio di formarsi accostandosi al catechismo. Inoltre è stata condivisa la testimonianza di santa Teresa di Calcutta con il suo servizio ai poveri e ai malati di Aids. Quindi è stata data “voce” alle tematiche riguardanti le donne emarginate e coloro che vivono nelle periferie, perché nella Chiesa siano tutti accolti e nessuno sia escluso. Ecco, allora, l’importanza del «ministero dell’ascolto», di una vera «pastorale dell’ascolto», a tutti i livelli.
Margaret Karram, presidente dal 2021 del movimento dei Focolari, che partecipa ai lavori come “invitato speciale”, ha anzitutto confidato che la preghiera per la pace, a inizio mattinata, «è stato un momento forte». Perché «da quando è scoppiata la guerra» in Terra Santa «ho il cuore straziato. Mi sono chiesta che cosa sto facendo di concreto per la pace ed è stato importante unirmi all’appello del Papa nella preghiera per il mondo», ha affermato. È significativo, ha continuato, «essere al Sinodo, vedere rappresentanti di tutti i continenti radunati per chiedere a Dio la pace. È stato un momento profondo perché credo nella potenza della preghiera, capace di dar speranza». Oltretutto oggi, ha ricordato Karram, «il Vangelo parlava proprio di questo: “bussate e vi sarà aperto”, “chiedete e vi sarà dato”. Questa esperienza di Sinodo mi sta insegnando cosa significa camminare insieme», ha aggiunto la presidente del movimento dei Focolari. Per costruire «ponti di pace» occorre la «metodologia dell’ascolto come stile di vita della Chiesa, anche in ambito sociale e politico».
L’arcivescovo Andrew Nkea Fuanya, presidente della Conferenza episcopale del Camerun, membro del Consiglio ordinario del Sinodo, ha definito l’assise «una grande consolazione per l’Africa. Noi abbiamo tanti problemi che fanno sentire abbandonati» ha affermato. «Venire qui e unirsi alla Chiesa universale, sederci e pregare per i problemi che devastano l’Africa, e soprattutto per i Paesi che sono colpiti dalla guerra — ha detto — per noi è una grandissima fonte di consolazione».
«Inoltre il Sinodo offre la possibilità all’Africa di far sentire la propria voce» ha proseguito l’arcivescovo di Bamenda. L’Africa «ha le sue caratteristiche, peculiarità, e quando noi ci riuniamo in un viaggio sinodale come questo, abbiamo un’opportunità per far sentire la nostra “voce” dove dovrebbe essere sentita». In realtà, ha aggiunto, «non siamo preoccupati dei social media o di quello che dicono gli altri; noi siamo insieme ai nostri fratelli e sorelle, quindi sentiamo davvero quest’unità che tiene insieme la Chiesa. E possiamo esprimerci liberamente e con gioia». Perciò, ha detto ancora, «sono grato che l’Africa possa lasciare il segno nel Sinodo».
Monsignor Fuanya ha insistito sul fatto che «la guerra non può essere mai una soluzione» ai problemi. Proprio alla luce di «quello che avviene negli altri continenti — le guerre in corso in Ucraina, Palestina ed Israele e altrove — dobbiamo essere tutti “pro pace” e come figli di Dio uniti in preghiera per la pace. E la pace è possibile», ha ribadito.
«La sinodalità fa già parte della cultura africana perché noi facciamo sempre le cose insieme come una famiglia, consultiamo tutti nell’ambito familiare» ha poi fatto presente. E «nelle Chiese locali crediamo molto nelle comunità ecclesiali di base (Ceb), dalle quali scaturiscono le missioni e poi le parrocchie, che poi formano le diocesi. Dalle Ceb ognuno è in grado di esprimersi, mentre nei livelli superiori qualcuno potrebbe essere escluso. Ma se si parte dalle Ceb, costituite da famiglie dove tutti si conoscono — prima di passare al secondo livello (missioni) e al terzo (parrocchie) — vediamo che la struttura è fatta in modo che la nostra cultura ci aiuta ad essere davvero sinodali».

Ha preso quindi la parola suor Caroline Jarjis, medico, delle Figlie del Sacro di Gesù, che svolge in Iraq la sua missione: partecipa ai lavori come testimone del processo sinodale per le Chiese Orientali e il Medio Oriente e tra coloro che provengono dalle Assemblee continentali senza essere insigniti del “munus” episcopale. Stamani la religiosa, durante la preghiera dell’assemblea, ha letto il Vangelo in arabo. Con una confidenza: appena tornata al suo posto al tavolo, le è stato detto che tutti avevano capito il passo evangelico anche se lei loro aveva proclamato in arabo.
«Io sono di Baghdad, proprio di Baghdad» ha detto per presentarsi. E prendendo le mosse da quanto detto dall’arcivescovo Fuanya, suor Jarjis ha affermato: «Dio era presente con noi prima che noi venissimo qui. Ognuno di noi ha la sua storia che Dio ha preparato prima. Ci sentiamo tutti fratelli, e tutti insieme abbiamo pregato per la pace». Poi si è soffermata sull’importanza «dell’esperienza cristiana che stiamo facendo, condividendo la sofferenza e la ricchezza che ascoltiamo da tutti».
«Vengo da un Paese di guerra, da un Paese di minoranza cristiana che ha sofferto tanto in tutta la sua storia» ha affermato. «Abbiamo la speranza — ha aggiunto — che la nostra Chiesa, nonostante sia minoranza, sia ricca perché “terra di martiri”. Questi martiri e il loro sangue danno la forza per andare avanti. Tornerò in Iraq con una forza più grande, perché con me c’è la Chiesa».

Successivamente, rispondendo alla domanda di un giornalista, Karram ha parlato delle iniziative di preghiera e di mobilitazione che si sono susseguite in questi giorni in riferimento alla drammatica situazione mediorientale, sottolineando che già da domenica in moltissime chiese si è levata la preghiera per la pace e che, anche in Italia, grazie alla modalità on line, è stato possibile unire insieme persone di zone lontane — tra cui l’Ucraina e la Terra Santa che sperimentano direttamente l’esperienza della guerra — per la recita del Rosario. I Focolari, in particolare, hanno promosso il progetto “Living Peace”, che coinvolge bambini e giovani, organizzazioni e istituti scolastici, per educare alla pace attraverso alcuni passi concreti: la preghiera comune (alle 12 tutti gli aderenti si fermano per un momento di silenzio e di riflessione orante); gesti concreti di solidarietà con persone di altre religioni; una lettera scritta ai governanti per rivolgere loro un appello di pace. «Si tratta forse di piccole gocce — ha detto — ma sono gesti concreti e importanti in questo momento di grande sofferenza».
Karram ha raccontato, inoltre, che molti suoi amici ebrei si stanno preoccupando anche di quanti vivono a Gaza: questo dimostra che ci sono persone e organismi che in Israele lavorano per costruire ponti. «Si parla quasi soltanto di odio, terrorismo, violenza — ha osservato — ma questa che si dà non è l’immagine vera dei due popoli». In particolare la presidente del movimento dei Focolari ha riferito le parole confidate da un’amica ebrea: «Ogni giorno — le ha assicurato — prego alla stessa ora in cui lo fanno i musulmani. E anche se ci sono tante cose ci dividono, in questo momento di profondo strazio nel cuore sono unita con loro nella preghiera».
Sollecitati poi da una domanda sulla formazione permanente, gli oratori hanno condiviso la loro esperienza personale. Pires ha sottolineato l’importanza di includere nel catechismo non solo l’aspetto sacramentale ma anche l’impegno nelle opere sociali, per incoraggiare i giovani — che generalmente dopo la Cresima si allontanano — a essere coinvolti più attivamente nella vita della Chiesa. Da parte sua l’arcivescovo africano ha parlato dell’attività dei movimenti nel campo formativo e della necessità che anche nelle parrocchie dove essi non sono presenti si dia spazio a questo percorso per guidare i giovani alle scelte di vita. Riferendosi in particolare all’esperienza della sua diocesi, dove si celebra l’Anno dell’Eucaristia, il presule del Camerun ha fatto notare che tanti ragazzi e ragazze animano i momenti di adorazione trascorrendo molto tempo dinanzi al Santissimo Sacramento. La Karram ha poi confermato la necessità di una formazione continua a ogni livello e ha ribadito che i giovani sono oggi la forza della Chiesa e vanno perciò formati mettendo al centro del percorso catechetico l’incontro con Gesù attraverso il Vangelo.

Infine due domande sul conflitto in Terra Santa e sui cristiani in Iraq. Alla prima ha risposto Karram dicendo di essere consapevole che la sua «voce da sola non potrà portare tanto frutto»; al contrario, occorre l’aiuto internazionale di tutto il mondo affinché si «possano veramente riprendere i negoziati tra le due parti. Spero che a livello di tutti i Paesi — arabi e non — e della comunità internazionale si capisca che questo conflitto va affrontato urgentemente», ha detto.
Suor Jarjis, da parte sua, ha invece affermato che in Iraq le sofferenze sono periodiche: dal 2003 a oggi sono trascorsi vent’anni di sofferenza. Certo, ha riconosciuto, ci sono stati momenti di speranza, come nel 2021 con la visita del Papa. Ma di nuovo oggi i cristiani in Iraq attraversano un altro periodo delicato, nonostante essi vivano in una regione bagnata dal sangue dei martiri. Da qui la rivendicazione di poter continuare con dignità ad essere «cittadini di questa terra, non come minoranza o cittadini di seconda classe».

Attacco a Israele: Patriarchi Chiese orientali, “invito alla calma e al rispetto dei diritti umani”

By AgenSIR - Patriarcato caldeo 
Daniele Rocchi

Foto Patriarcato caldeo 
Incontro, ieri sera a Roma, dei patriarchi delle Chiese orientali presenti al Sinodo in corso in Vaticano.
Su invito del patriarca maronita, card. Boutros Bechara Rai, erano presenti il card. Louis Raphael Sako, patriarca caldeo, quello copto cattolico, Ibrahim Isaac Sidrak, il siro cattolico Ignatius Youssif III Younan e l’armeno Raphael Minassian. 
Al centro del colloquio, secondo quanto si apprende dal Patriarcato caldeo, “la vita dei cristiani in Iraq, Siria e Libano, la situazione nel Nagorno-Karabakh, il conflitto tra palestinesi e Israele”. I patriarchi hanno espresso
“solidarietà alle famiglie dei defunti, dei feriti e degli sfollati e hanno invitato alla calma, alla pace e al rispetto dei diritti umani”.

7 ottobre 2023

Catholic Chaldean church leader Louis Sako disputes Iraqi government's conclusions on Hamdaniyah fire

October 4, 2023

The Patriarch of the Catholic Chaldean Church in Iraq and worldwide, Cardinal Louis Sako, refuted the findings of an Iraqi government investigation into the Hamdaniyah wedding fire and argued that it was "a deliberate crime" rather than an accident from negligence in safety measures.
On the evening of 26 September, a massive fire engulfed a wedding party in Hamdaniyah, also known as Qaraqosh, the largest Christian town in Iraq's Nineveh province. An investigative committee established by Iraq's interior ministry reported that the fire killed 107 people and injured 82 others.
The committee attributed the incident to negligence by the hall's owners, the use of fireworks generating high heat energy inside the hall, the inflammable decorations on the ceiling, the highly flammable hall floor and a storage room containing large amounts of alcohol.
General Saad Falah Kassar al-Dulaimi, the committee's chairman, highlighted overcrowding as a factor that hindered rescue operations due to the rapid collapse of the building.
However, Cardinal Louis Sako, speaking from Rome, disputed the official narrative and said the fire was a "deliberate act" orchestrated by "those with ulterior motives". He referenced Ryan Chaldean, the leader of the Christian Babylon Brigades, a pro-Iran militia that holds influence over the Christian community in Nineveh.
In a statement, Cardinal Sako called for "the genuine culprits to be held accountable without political bias", emphasising "the importance of respecting the memory of the victims and reassuring both Christians and Iraqis that justice would be served". He expressed concern over "the deep-seated corruption within the nation and the impunity enjoyed by some militias who do not respect God, the government, or the people."
He further questioned its timing and purpose and recommended the creation of "a crisis cell" to "objectively and wisely assess the situation rather than making hasty judgments that could lead to further conflict."
In response to these claims, Major General Khaled Al-Mahna, spokesperson for Iraq's interior ministry, defended the professionalism of the investigation and the validity of its results. In a phone interview with The New Arab, Al-Mahna emphasized that the investigation adhered to established standards and suggested that doubts about the investigation's results were linked to political conflicts between Cardinal Sako and the Babylon militia leader.
He also indicated that all the victims of the tragedy would be considered martyrs by the Iraqi government.
Iraqi President Abdullatif Jamal Rashid had previously revoked a presidential decree accrediting Patriarch Sako in Iraq, which Sako attributed to Ryan Chaldean.
Interior Minister Abdel Amir Al-Shammari announced the dismissal of several officials for "grave negligence" related to the incident and stated that the Civil Defence chief would face disciplinary action.
Father Boutros Sheeto, an Iraqi Syriac Catholic priest who lost five family members in the fire, also asserted to the Associated Press that the fire was intentional. However, he provided no evidence to support this claim. He also called for an international investigation into the incident.
Cardinal Sako highlighted the past suffering of Christians in Iraq, including violence, kidnappings, bombings of churches and monasteries by extremist groups, and the seizure of Christian properties.
Iraq has been governed by a sectarian power-sharing system since 2003, which has resulted in limited representation for Christians and other minorities in the country's political landscape.

Cardinal Sako slams Rayan al-Kildani for displacing Christians from Nineveh

Juliane Bichocha
October 3, 2023

Nearly three months after withdrawing from his patriarchal residence in Baghdad and relocating to the Kurdistan Region, Cardinal Louis Raphael Sako slammed Rayan al-Kildani for using the name of Christianity to commit crimes and accused him of demographic change in the Nineveh Plains, a historically-Christian area in northern Iraq.
In an interview with Rudaw’s Dilbixwin Dara late last month, Sako said he took “refuge in Erbil because of the removal of the presidential decree from me in a way that was uncivilized,” as a form of protest to put pressure on Iraqi President Abdul Latif Rashid to restore a special presidential decree that granted him powers to administer Christian endowment affairs and officially recognized him as the head of the Chaldean Church.
Rashid’s decision came after he met with Kildani, leader of the nominally Christian Babylon Movement, a party and militia affiliated with the pro-Iran Popular Mobilization Forces (PMF, or Hashd al-Shaabi in Arabic) and the Islamic Revolutionary Guard Corps (IRGC).
“I do not recognize this faction, nor do I accept that there is an armed Christian faction,” he said. “I also reject the demographic change in the Nineveh Plains, whether it is in Hamdaniya or Tel Keppe (Tel Kaif), which to this day the people of Tel Keppe have not returned to their homes because of this faction.”

“I do not understand why it [presidential decree] was removed. Of course he was under pressure from a so-called Christian militia that pressured him to isolate me so that I could implement their agenda and so they can remove the authority from the church in order to fully take control of Christian affairs,” Sako said.
The Chaldean Catholic prelate argued that he was deliberately targeted in the decision to remove the decree, explaining that other religious figures “of a lower ranking” than the cardinal have kept their decrees while his was withdrawn.
On his decision to take refuge in Erbil, Sako justified it by saying that he came to the city “because I have churches and Christians here, whether in Ainkawa, Zakho, Amedi, Akre, Sulaimani, or elsewhere.”
Members and leaders of Iraq’s marginalized Christian community deemed the revocation of the decree as an attack on their status and on Sako, a highly respected figure in his community and the head of the Chaldean Church in Iraq and worldwide.
The Nineveh Plains in northern Iraq is an area with a historic Assyrian, Chaldean, and Syriac presence where Christian towns and villages lie. The region’s historic Christian inhabitants were driven out when the Islamic State (ISIS) attacked the area in 2014. Efforts to return since the terror group was ousted have largely floundered due to the presence of the Babylon Brigades in the area.
Sako and Kildani have long been involved in a war of words, with the patriarch condemning the militia leader as an individual who does not represent the interests of Christians despite his party winning four of the five quota seats assigned for Christians in the 2021 Iraqi parliamentary election. His candidates were extensively and openly backed by Shiite political forces affiliated with Iran.
The Babylon Brigades, the paramilitary wing of the Babylon Movement, “is presented as a local Christian force but has been recruited largely from Shia Muslim communities in Baghdad’s Sadr City, al-Muthanna, and Dhi Qar,” and its objective is domination of the Nineveh Plains, a March profile of the brigade by the Washington Institute concluded.
The brigades have been accused of illegally seizing historic Christian land in Nineveh province after ISIS was driven out of the area. Human rights abuses committed by the group ultimately led to the United States Treasury sanctioning Kildani in 2019 for the abuses as well as corruption.
Iraq’s Christian community has been devastated in the past two decades. Following the US-led invasion in 2003, sectarian warfare prompted followers of Iraq’s multiple Christian denominations to flee, and attacks by ISIS in 2014 hit minority communities especially hard.
Fewer than 300,000 Christians remain in Iraq today, a staggering fall from over 1.5 million who used to call Iraq home before the 2003 American invasion.

3 ottobre 2023

Qaraqosh: sulla strage al matrimonio cristiano rimpallo di accuse e responsabilità

By Asia News - Rudaw - The New York Times - Zagros Arabic Video - Patriarcato caldeo

Nemmeno il tempo di celebrare i funerali delle vittime, quando è ancora grande il dolore per la tragedia che si è consumata la scorsa settimana ad un matrimonio cristiano a Qaraqosh, nella piana di Ninive, che in Iraq è già cominciato il rimpallo delle responsabilità. Tanto che la comunità locale, partendo dallo sposo che nel fine settimana ha parlato per la prima volta dell’incidente, invoca la creazione di una commissione indipendente d’inchiesta, meglio se “internazionale”, per fare chiarezza sulle cause che hanno innescato il devastante rogo. Il riferimento è all’incendio che si è sviluppato durante una festa di nozze a Qaraqosh la sera del 26 settembre scorso, che ha provocato la morte di almeno 119 persone, il ferimento di altre centinaia e segnato nel profondo una comunità che al lutto vive un senso di sfiducia e abbandono.
In queste ore ha parlato lo sposo in una intervista concessa all’emittente locale Rudaw Tv in compagnia del padre, che lo ha sostenuto per tutto il tempo e intervenendo anche a nome del figlio in più riprese. “Non crediamo alla versione dei fuochi d’artificio - ha affermato il 27enne Rivan, mentre la moglie 18enne è ancora preda dello shock e non riesce a parlare - e chiediamo una inchiesta internazionale” a riprova della scarsa fiducia nelle istituzioni locali. “Non è rimasto più nulla. Vediamo ogni giorno sofferenze maggiori, sempre più vittime” tanto che la prospettiva per la famiglia sembra essere quella dell’esodo. Più volte, infatti, il padre si domanda come sarà possibile in futuro guardare negli occhi le persone, travolte dalla strage al matrimonio del figlio, anche se “finora tutti sono stati al nostro fianco” aggiunge il figlio.
Gli inquirenti hanno chiesto la cacciata di almeno sei funzionari locali e provinciali, che non avrebbero saputo garantire il rispetto dei requisiti minimi di sicurezza all’interno della struttura e, ancor prima, in fase di progettazione e costruzione dell’edificio. Per realizzare il capannone si è fatto ampio ricorso a materiale infiammabile, mentre mancavano uscite di sicurezza ed estintori in caso di rogo, come è poi avvenuto. Nel momento in cui sono divampate le fiamme erano presenti quasi mille persone, pari al doppio della capienza massima.
Nella lista nera delle funzionari da allontanare vi sarebbero il sindaco della città in cui si sorgeva la sala delle nozze, il capo del governo municipale locale e il responsabile del dipartimento di manutenzione dell’elettricità. Dalle prime indagini emerge che il proprietario o i dipendenti avrebbero acceso fuochi d’artificio che hanno diffuso scintille fino a circa 13 metri di altezza, le quali hanno incendiato le decorazioni, alcune appese al soffitto e altre, a quanto pare, avvolte intorno ai lampadari. Le scintille hanno propagato il fuoco anche ai pannelli del soffitto, altamente infiammabili.
Il ministro iracheno degli Interni al-Shammari ha dichiarato che il proprietario della sala, pensando a un corto circuito, ha tolto la corrente e fatto piombare la sala nell’oscurità provocando “caos, panico e una fuga”. Tuttavia, per molti abitanti della zona il rogo ha assunto una portata così devastane che è difficile pensare a una tragedia frutto del caso. Altri ancora ipotizzano un piano elaborato per sostituire funzionari locali, approfittando dell’incidente per rimpiazzarli con fedelissimi del sedicente leader cristiano “Rayan il Caldeo”, artefice di uno scontro istituzionale che ha travolto lo stesso patriarca caldeo. 
Un elemento sospettato di abusi e corruzione, nella lista nera degli Stati Uniti per ripetute violazioni dei diritti umani e corruzione e le cui milizie - il Movimento babilonia - sarebbero legate a Teheran. Il risentimento della popolazione è emerso anche nella contestazione aperta contro la ministra dell’Immigrazione Evan Jabro, una cristiana, cui hanno impedito di visitare il luogo della tragedia, rilanciando su internet e social video diventati virali.
“La Commissione di inchiesta governativa - ha sottolineato in queste ore p. Boutros Shito, il sacerdote siro-cattolico che nella tragedia ha perso 10 parenti - ha appena deciso di licenziare sindaco, direttore del Dipartimento energia e del comune, come se tutta la corruzione del Paese si trovasse solo a Qaraqosh. Non accetto che il sangue della mia famiglia venga sfruttato da partiti, milizie, corrotti e ladri”.
Fra le voci che si sono levate in queste ore in cerca di giustizia, e di verità, vi è anche quella del primate caldeo, il card. Louis Raphael Sako, che in una riflessione pubblicata sul sito del patriarcato condanna “la corruzione che sta devastando la nazione”. E punta il dito contro “milizie” che “non temono Dio né il governo”, mentre gli iracheni “sono stanchi di slogan e promesse senza ottenere risultati sul campo”. Il porporato ricorda come nella versione ufficiale la causa del rogo siano i fuochi d’artificio, ma non crede alla tesi e propende più per un “gesto” di un “attore internazionale” che ha “venduto” la coscienza e il Paese a un “piano specifico”.
Da qui la richiesta di fondare una “Unità di crisi” che possa indagare “in modo obiettivo e saggio” e alla Chiesa irachena, in tutte le sue componenti, domanda vera “unità” che è la sola “forza” per far valere diritti e ottenere la verità.

Investigators of Iraqi Wedding Hall Blaze Call for Officials to Be Fired

Alissa J. Rubin
October 2, 2023

Investigators looking into the cause of a deadly fire at a wedding hall in northern Iraq called on Sunday for the firing of a half-dozen provincial and local officials for their failure to enforce compliance with even minimal safety standards in the hall’s construction and operation.
In their report, the investigators said that the building had been constructed of highly flammable material, that it lacked fire exits and fire extinguishers, and that it was being used by 900 people — almost twice the number it was designed to accommodate.
In addition, those operating the wedding hall where at least 119 people were killed and 80 to 90 others were injured last week had lit flares indoors, setting off the fire, the investigators said.
Among those the report recommended dismissing were the mayor of the town where the wedding hall is located, the head of the local municipal government and the director of the town’s electricity maintenance department. Also singled out were the provincial heads of fire and safety and of the Civil Defense, and a director in the tourism office, which licensed the hall.
“The mayor was negligent: The hall was built illegally on the land, but the mayor authorized its going into service without the approval of other public agencies,” said Abdul Amir al-Shammari, the Iraqi interior minister, who announced the report’s findings in Baghdad.
There was no immediate comment from those named in the report, but last week, an officer in the provincial Civil Defense, said the owner had been warned to change the ceiling panels because they were dangerous in the event of a fire and had been given an October deadline. But he said that the Civil Defense did not have the power to take away the hall’s license.
The investigation declared the fire in the town of Qaraqosh an accident, but that did little to comfort those who had lost loved ones or others in Iraq’s dwindling Christian community.
The fire began late Tuesday night in the wedding hall, Al Haithem, during the traditional slow dance of the bride and groom.
The investigation found that the owner of the hall or his employees had lit flares that sprayed sparks up about 13 feet, and that those had ignited decorations, some hanging from the ceiling, and others, it appears, twined around the chandeliers. The sparks also set fire to ceiling panels described as highly flammable.
Mr. al-Shammari, the interior minister, said that the hall’s owner, thinking that a short circuit had started the fire, had cut the electricity and plunged the room into darkness, provoking “chaos, panic and a stampede.”
The failure to set limits on the wedding owner’s business practices by every single official at every level seemed almost a textbook example of what happens when governance is absent, whether because of incompetence, corruption or a lack of will, said surviving family members of those who died.
Many people in the area were so deeply grief-stricken that it was difficult for them to believe that such a voracious fire had been an accident. Others worried that politicians were already planning to replace local officials dismissed over the fire with members of an armed group led by Rayan Kildani, a Christian fighter and politician who has been hit by U.S. Treasury sanctions for human rights abuses, as well as corruption.
The armed group, the 50th Brigade of the Popular Mobilization Corps, or Hasht al Shaabi, operates in an area of northern Iraq.
“The committee just dismissed the mayor and the director of electricity and the director of municipality, as if the corruption of all of Iraq was found in Qaraqosh,” said the Rev. Boutros Shito, a Syriac Catholic priest in Qaraqosh who lost 10 family members in the fire. His sister was killed after coming from the United States to attend the wedding.
“I do not accept that my family’s blood should be exploited by parties and militias and corrupt people and thieves,” Father Shito said.

Iraq wedding tragedy: Groom says fireworks not cause of fire

Juliane Bichocha
October 2, 2023

The groom whose wedding celebration catastrophically ended in over a hundred deaths told Rudaw English on Sunday that fireworks were not the cause of the fire that burned down the hall, contradicting investigation findings of the Iraqi interior ministry. He blamed the hall’s owner for the blaze.
Rivan, 27, feels he has “nothing to talk about” after a deadly blaze during his wedding party in the Christian town of Hamdaniya in Iraq’s northern Nineveh province. He said that fireworks were not the reason for the tragedy and called for an international investigation to determine the reason.
“It is not true. We demand for an international committee to investigate this, for international organizations to help us,” Rivan told Rudaw English in Hamdaniya, contradicting a Sunday conclusion by the Iraqi interior ministry that malfunctioning fireworks resulted in the inferno.
Rivan’s father, Esho, said he lost at least 20 members of his family in the fire and that the bride Haneen’s family has lost at least 35 people.
Tragedy struck the Assyrian Christian town of Hamdaniya in Nineveh province, also known as Qaraqosh or Bakhdida, on Tuesday night during a joyous wedding when scenes of celebration and laughter soon derailed into a hellish nightmare when the banquet hall caught on fire. At least a hundred died and over 150 were also injured.
“There is nothng left. We are seeing greater and greater sufferings every day, more and more victims,” Rivan said. He also stated that the tragedy has made it impossible for the newly-weds and their families to remain in Hamdaniya.
“How can we stay after what we saw?” he said.
“My wife is shocked. Nine people from her house passed away. She cannot talk. She can barely get up and walk and needs to be supported by one or two people to walk. How can she handle this? She is just an 18-year-old girl,” he said, visibly distraught and powerless.
Asked about how they are being treated, Rivan said that “thankfully the people are all by our side” but that “it is the people’s right” to treat them poorly because “their hearts are broken.”
“We demand the rights of those whose blood was spilt. Why did their blood have to be spilled? We demand their rights and we demand the perpetrator of this action, him and all who are behind him. We demand an international investigation, not a local or federal investigation,” he said.
In war-scarred Iraq, safety standards are often ignored as sub-standard buildings, such as Hamdaniya’s Haytham Hall, lack adequate fire extinguishers and emergency facilities such as evacuation doors.
Authorities are also often criticized for failing to conduct impartial investigations and hold the perpetrators of crimes accountable.
Rivan’s father Esho said that he can no longer face his community anymore and is too grief-struck to “go out in the streets and see that one lost his brother, one his wife, and one his daughter.”
“Everywhere you go there are victims. So how will we face them? We have to stay at home, but staying at home is not a solution. Our life has become very difficult,” Esho said.
Devastated, Rivan said that he and Haneen would have never considering leaving Hamdaniya if the tragedy had not struck.
Hamdaniya is one of Iraq’s only Christian-majority districts, located in the Nineveh Plains near Mosul, a historic Assyrian region. Like many Christian towns in the Nineveh Plains, it was taken over by Islamic State (ISIS) jihadists during their brazen sweep of northern Iraq, where they declared a so-called “caliphate” and inflicted grave atrocities on minority groups, including Christians.
“Life here for us is no longer suitable for living,” he said.

1 ottobre 2023

Iraqi investigation concludes fireworks as reason for Hamdaniya fire; church rejects results

October 1, 2023
Azhi Rasul

Iraq’s interior ministry on Sunday announced that the tragic fire at a Hamdaniya banquet hall was “accidental”, noting that the fire was caused as a result of contact between a fire source with highly flammable material inside the banquet hall, and the Syriac Catholic Church has rejected the results.
“The investigation committee conclusively found out that the incident was accidental and it was not intentional at all,” Major General Kadhim Salman Buhan, advisor to the Iraqi interior minister said in a press conference in Baghdad.
Buhan stated that the fire was caused by negligence and the use of prohibited, highly flammable construction materials in the hall.
“The decoration material in the ceiling of the hall was artificial straw highly sensitive to heat, and the usage of four devices to activate fireworks simultaneously was one of the main reasons for the fire,” he added.
Iraq's Interior Minister Abdul-Amir al-Shammari, said that the investigative committee has recommended recognizing the victims of the Hamdaniya incident as martyrs. In addition, the committee has recommended the dismissal of Hamdaniya's mayor, the head of the Iraqi civil defense, and several other officials in the Christian-majority district.

Minutes following the press conference, the Syriac Catholic Archbishop of Mosul Benedictus Younan Hanno slammed the results of the investigation committee and that the church rejected the results of the investigations.
“We rejected it [the results], we don’t accept it. Now we will meet with the religious leaders in the area and we will have a decision regarding this matter within 24 hours,” said Archbishop Hanno.
The archbishop added that they also refuse the recommendations of dismissal to the heads of the directorates of the district, “I feel that there are political conspiracies behind these dismissals,” he said.
Mosul’s Archbishop said that there are political parties who try to use the tragedy for political gains, adding that he calls on his people to boycott the elections.
“I call on all the Christian people who are with us, and those who are associated to me, to boycott the elections,” said the Archbishop, saying that this might be their official stance within 24 hours.
“We want a fight against real corrupt people and a report that quenches our thirst,” He said, adding that they reject the conclusion of fireworks being the main reason for the fire, “there are tens of videos showing that it they were not the reason.”
Some 1,000 people were celebrating the wedding of Haneen, the bride, and Rivan, the groom, in a banquet hall in the Iraqi northern town of Hamdaniya on Tuesday night. Their joy soon turned into a tragedy after a fire broke out and killed over 100 party-goers.
Funeral processions for dozens of the victims are being held in Hamdaniya since Wednesday.
Hamdaniya is one of Iraq’s only Christian-majority districts, located in the Nineveh Plains near Mosul, a historic Assyrian region. Like many Christian towns in the Nineveh Plains, it was taken over by Islamic State (ISIS) jihadists during their brazen sweep of northern Iraq, where they declared a so-called “caliphate” and inflicted grave atrocities on minority groups, including Christians.

Harrowing story of a family that lost 22 members in Hamdaniya fire

By Rudaw
September 30, 2023
Hunar Rasheed

The harrowing and tragic deaths of 22 people from one single family during the heartbreaking wedding inferno in Nineveh province's Hamdaniya town over the weekend has echoed across the country.
"This is my sister. This is my father. This is my mother. This is another sister of mine. This is my wife. She is missing," Fuad Silewa, a member of the family that lost 22 members in total, sighed while sobbing and holding their photographs. "I am grateful for God [on all occasions]."
He went on to introduce more family members who died of suffocation during the tragic inferno: "This is my brother's wife. Yesterday, I received [from health authorities] their dead and burned bodies. They have all died of suffocation. This sister had come back from abroad to change her atmosphere by visiting us. Thank you, God."
Over a hundred people lost their lives when a deadly fire engulfed a wedding hall in Hamdaniya after the roof’s flammable plastic ceiling caught fire when fireworks were ignited from the floor.
An estimated 1,000 were at the wedding party. As soon as they had noticed fireballs dropping from the ceiling of the hall, they en masse rushed to evacuate from the only exit door - the back kitchen door - with frightened attendants unable to open the main door.
Bitres Silewa, is another member of the same grand family that recounted the heart-wrenching massive loss of loved ones at once.
"Imagine, when you go back home and you see your father is no longer there, your mother is no longer there, your sister is no longer there, your sister-in-law is no longer there," Silewa said. "Two of my brothers' wives died. Four children [in our family] died. My sister who had come back from the US to attend this wedding, died. Who could stand what we are going through due to this catastrophe?"
Hamdaniya is one of Iraq’s only Christian-majority districts, located in the Nineveh Plains near Mosul, a historic Assyrian region. Like many Christian towns in the Nineveh Plains, it was taken over by Islamic State (ISIS) jihadists during their brazen sweep of northern Iraq, where they declared a so-called “caliphate” and inflicted grave atrocities on minority groups, including Christians.
The Assyrian Christian towns were retaken by Iraqi and Kurdish security forces in 2017 when ISIS was driven out of the area.
Hamdaniya was visited by Pope Francis during his historic visit to Iraq in 2021.

Hamdaniya wedding fire: bride, groom make first public appearance together

September 30, 2023

Some 1,000 people were celebrating the wedding of Hannen, the bride, and Riva, the groom, in a bouquet hall in the Iraqi northern town of Hamdaniya on Tuesday night.
Their joy soon turned into a tragedy after a fire broke out and killed over 100 party-goers.
Hannen and Riva avoided public appearances until Friday amid reports of threats against them by the families of some victims who blame them for the catastrophic incident.
The groom appeared in a mass burial ceremony on Wednesday but the bride avoided the media.
Both on Friday appeared at the burial procession of Hannen’s mother and brother who died in the wedding fire. They wore all black.
Hamdaniya is one of Iraq’s only Christian-majority districts, located in the Nineveh Plains near Mosul, a historic Assyrian region. Like many Christian towns in the Nineveh Plains, it was taken over by Islamic State (ISIS) jihadists during their brazen sweep of northern Iraq, where they declared a so-called “caliphate” and inflicted grave atrocities on minority groups, including Christians.
The Assyrian Christian towns were retaken by Iraqi and Kurdish security forces in 2017 when ISIS was driven out of the area.
Hamdaniya was visited by Pope Francis during his historic visit to Iraq in 2021.

Archbishop of Mosul calls for those responsible for Hamdaniya fire to be held accountable

September 30, 2023

The archbishop of Mosul on Saturday called on the government to hold all those responsible for the harrowing fire of Hamdaniya accountable for their actions, threatening a mass strike if this does not happen.
“Either everyone responsible [for the fire] will be held accountable, or we will go on strike. If we strike, it won’t be only in our areas, it will be all over Iraq,” Syriac Catholic Archbishop of Mosul Benedictus Younan Hanno told Rudaw’s Ranja Jamal.
The archbishop said everyone involved in causing the fire, including those who licensed the banquet hall, those who approved its safety standards, and those within the tourism, civil defense, and electricity directorates in the province, must be held accountable.
Archbishop Hanno said that the Iraqi officials who visited them following the fire “all talk well and beautifully” but that what the Christian community wants is for those words to be followed by actions, “We want decisions [to be taken] following those words, a decision that saves the life of this nation,” he said.
“We have now reached a point where we all know where the problem is. Our problem is corruption. Day by day we get to know the consequences of where corruption takes us and what it does to us,” said the archbishop, adding that what happened to Haytham Hall is one of the consequences of corruption.
The archbishop also lauded the efforts and the hard work shown by the doctors and health workers in Mosul, saying that while the country has the finest doctors, they suffer from lack of utilities and support in the hospitals, which end up not being up to standard. He specifically pointed to the discrepancy between the province’s population of four million, and the total number of hospital beds not reaching 800.
Over a hundred people lost their lives when a deadly fire engulfed a wedding hall in Hamdaniya on Tuesday night after the roof’s flammable plastic ceiling caught fire when fireworks were ignited from the floor.
An estimated 1,000 were at the wedding party. As soon as they had noticed fireballs dropping from the ceiling of the hall, they en masse rushed to evacuate from the only exit door - the back kitchen door - with frightened attendants unable to open the main door.
Rampant corruption plagues all levels of the Iraqi state, a phenomenon that the country’s current government has pledged to eliminate. Official figures published last year estimated that well over 400 billion dollars have gone missing from state coffers since former dictator Saddam Hussein’s regime was toppled in 2003.
According to Transparency International’s Corruption Perception Index, Iraq ranks among the most corrupt nations, coming 157th out of 180 countries.
During a speech at the UN General Assembly earlier this month, Iraqi Prime Minister Mohammed Shia’ al-Sudani said that fighting against endemic corruption was his government’s foremost priority.

Iraq: card. Sako (patriarca), “la Chiesa non è costruita con denaro rubato”

By AgenSIR - Patriarcato caldeo
30 settembre 2023
Daniele Rocchi

“L’oppressione, l’esclusione e l’emarginazione che viviamo dalla caduta del regime fino ad oggi devono portarci a fermarci, meditare e pregare, in modo da poter trasformare questa angoscia in una benedizione consolidando la nostra fede e ripristinando l’unità. La fede è una forza di fortezza, fermezza e speranza”.
Così il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, scrive ai fedeli cristiani di Iraq a pochi giorni dalla sua partenza per l’Italia per partecipare al Sinodo dei vescovi sulla sinodalità (4 -29 ottobre in Vaticano).
“Non abbiate paura di coloro che sono arroganti e trasgrediscono i buoni costumi, e si affidano alla menzogna, alla falsificazione, al saccheggio, alle minacce e alle uccisioni, anche se li vediamo pregare nei luoghi dii culto. Affrontare queste persone è duro, ma alla fine la verità prevale. Lasciate che queste persone corrotte si rendano conto che sono inevitabilmente morte, e che la giustizia di Dio le perseguiterà, se la giustizia dello Stato non riesce a ritenerle responsabili”.
La Chiesa, ricorda Mar Sako, “è abitata dallo Spirito di Dio che la costruisce e la protegge. Sento che la comunità cristiana irachena è piena dello Spirito di Cristo che abita in essa, nonostante tutte le crudeltà e i sacrifici”.
A riguardo il patriarca ricorda l’incendio di due giorni fa a Qaraqosh, che ha provocato centinaia tra morti e feriti e causato dalla mancata applicazione delle norme di sicurezza nella costruzione della sala che ospitava il matrimonio. “Cercate di mantenere visibile l’immagine di Cristo nella vostra vita, nel vostro dolore e nella vostra speranza”, conclude il cardinale che esorta “le chiese, che si sono schierate con i ‘corrotti’ e hanno preso denaro proibito con il pretesto che è per la chiesa, a restituirlo il prima possibile perché la Chiesa non è costruita con denaro rubato. Da parte mia, continuerò a difendere i diritti degli iracheni e dei cristiani con lo stesso vigore e fermezza”.

Iraq: Patriarca Sako a Qaraqosh per i funerali delle vittime dell’incendio

By AgenSIR - Patriarcato caldeo
28 settembre 2023
Daniele Rocchi

Visita ieri del patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, a Qaraqosh, per partecipare ai funerali delle vittime dell’incendio, avvenuto nei giorni scorsi, durante una festa di matrimonio: 114 le persone morte e oltre 200 quelle ferite il bilancio della tragedia. Al suo arrivo nella città, situata nella Piana di Ninive, il patriarca è stato accolto dai vescovi siro cattolici, Benedict Qusay Mubarak Abdullah (Younan) Hano e Nathanael Nizar Wadih Semaan. Mar Sako ha espresso tutta la sua solidarietà e offerto una somma in denaro per venire incontro ai bisogni dei familiari delle vittime.
“Quanto è accaduto – ha detto Mar Sako in un breve saluto – resterà non solo nella memoria del popolo di Qaraqosh, ma anche in quella dei cristiani iracheni. Una tragedia che in un istante ha trasformato la vita in morte e la gioia in dolore. Il Governo – ha aggiunto il patriarca -dovrebbe mettere controlli su chi investe nei progetti di costruzione, poiché la vita delle persone non è un giocattolo nelle loro mani. Come può il Governo concedere un permesso di costruzione senza che l’imprenditore rispetti le norme edilizie, utilizzi materiali di sicurezza a norma, e doti gli edifici di sistemi antincendio? Ci consola – ha ricordato il cardinale – la grande solidarietà di tutti i cristiani, musulmani e yazidi, uniti insieme come una squadra. I musulmani hanno cancellato la celebrazione del compleanno del Profeta in segno di lutto con i loro fratelli cristiani”.
Il patriarca ha chiuso così il suo discorso: “non dobbiamo attendere che si verifichino queste tragedie per rafforzare la coesione nazionale, per essere solidali e per costruire uno Stato forte, democratico, legale ed equo che garantisca i diritti, la vita e la dignità dei cittadini. La tragedia stringe il cuore dal dolore”.