"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

27 febbraio 2009

I cristiani fuggono dalle persecuzioni in Iraq

Fonte: Newsmax

Di Kenneth R. Timmerman

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Beirut, Libano - I cristiani fuggono dall'Iraq a causa della persecuzione religiosa, anche se alcuni leaders religiosi iracheni chiedono ai loro compatrioti di tornare a casa. I responsabili della chiesa temono che il quartiere di Daura (Dora - Baghdad) sarà svuotato dei cristiani se l'esodo dovesse continuare ed alcuni di loro si appellano perchè ritornino. Ma le loro sollecitazioni hanno indispettito alcuni rifugiati che temono per la loro sicurezza. Il quartiere di Daura è stato teatro di persecuzioni di massa nei confronti dei cristiani a partire dalla liberazione dell'Iraq a guida USA iniziata nel 2003. Alcune chiese sono state oggetto di attentati, delle case sono state bruciate ed ai cristiani alcuni gruppi musulmani hanno ordinato di abbandonare le proprietà e fuggire per salvarsi loro vita o convertirsi all'Islam. Nonostante il modello di violenza musulmana il vescovo caldeo di Baghdad, Mons. Andraos Abouna sostiene che la situazione della sicurezza è cambiata radicalmente grazie all'aumento delle truppe statunitensi e la recente apparizione nel suo quartiere di truppe irachene. "I musulmani di Daura chiedono che i cristiani ritornino" ha dichiarato in un'intervista rilasciata a Newsmax. "All'inizio c'era il caos", ha ammesso. "Dopo l'arrivo degli americani non c'era governo, esercito, polizia. Le frontiere erano aperte. Chiunque fosse forte abbastanza avrebbe potuto uccidere chiunque altro". Recentemente, tuttavia, il governo iracheno ha permesso alla sua diocesi di assumere guardie private per proteggere le chiese di Baghdad. "Sono tutti i cristiani e controllano gli accessi. Sono pagati dal governo. Sono come le normali forze di polizia ma non ne fanno parte."
Mons. Abouna ha detto di sperare che coloro che sono fuggiti recentemente possano decidere di tornare visto il miglioramento della sicurezza: "Ci auguriamo che scelgano di farlo."
Mentre Mons. Abouna era in visita in Libano un sacerdote caldeo del patriarcato nel paese ha trasmesso una messaggio più duro ai fedeli di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso nel quartiere Boushriqeh di Beirut, un povero quartiere in cui i cristiani iracheni vivono ammassati in piccoli appartamenti per i quali pagano un affitto di 200$ al mese.
"Dovete tornare in Iraq", ha detto il sacerdote la domenica prima della Quaresima, "non avreste mai dovuto venire qui. Dei sacerdoti sono morti per l'Iraq. Avreste dovuto rimanervi".
Rana Ramzi al-Sayigh, 30 anni è la madre di tre bambini piccoli e la vedova di una delle guardie del corpo uccise quando i terroristi islamici hanno attaccato il convoglio di un vescovo, Farraj Rahho di Mosul, nel febbraio scorso. "Ero arrabbiata quando l'ho sentito. Tutti erano arrabbiati ", ha detto a Newsmax nel suo minuscolo appartamento non lontano dalla chiesa.
"Ho perso mio marito. Quel prete vuole fare di tutte noi delle vedove?" Il governo iracheno, ha spiegato, le dava una pensione di 85$ al mese, appena sufficiente per pagare l'affitto in un complesso per i rifugiati ma non per il cibo. Con tre figli da crescere non poteva lavorare fuori casa. "Quel prete voleva forse dire che la chiesa ci aiuterà?" ha chiesto. Rana si ritiene una fortunata, aveva appena saputo che le autorità degli Stati Uniti avevano approvato la richiesta di visto per l'immigrazione per la sua famiglia e si stava preparando a partire per gli Stati Uniti dove ha uno zio a Detroit.
Majid Slaiwa Karomeh, 36anni è stato meno fortunato. E' recentemente arrivato a Beirut con la moglie e sei figli piccoli dopo essere stato ferito alla spalla da un colpo di arma da fuoco nel mese di settembre. Con il fratello lavorava a Baghdad come autista di camion da trasporto dei liquami per la Kellogg Brown Root, una società americana, ed erano caduti in un'imboscata mentre lasciavano una zona protetta. Il fratello di Majid è stato ucciso sul colpo. Per aiutare Majid e la sua famiglia il vescovo gli diede personalmente dei soldi e gli disse di tornare dopo due giorni per la riunione settimanale della commissione diocesana di carità.
"Ho 1200 famiglie di cui occuparmi" ha affermato un vescovo, "sono circa 6.000 anime. Abbiamo poche risorse ma è nostro compito fare tutto il possibile ".

Christians Fleeing Persecution in Iraq

Source: Newsmax

By Kenneth R. Timmerman

Beirut, Lebanon — Christians are fleeing Iraq due to religious persecution, even as some Iraqi church leaders are calling on their compatriots to return home.
Church leaders fear that the Daura neighborhood of Baghdad will become devoid of Christians if the exodus continues, prompting some church leaders to issue calls to return.
But their entreaties have some refugees angry, fearing for their safety.
The Daura neighborhood has been the scene of mass persecution of Christians since the U.S.-led liberation of Iraq in 2003. Churches have been fire-bombed, homes have been torched, and Christians have been ordered by Muslim groups to leave their property and flee for their lives or convert to Islam.
Despite the pattern of Muslim violence, the Chaldean bishop of Baghdad, Monsignor Andraos Abouna claims that the security situation has changed dramatically, thanks to the surge in U.S. troop presence and the recent appearance in his neighborhood of Iraqi troops.
“The [Christian] Muslims of Daura are calling on Christians to come back” Abouna says in an interview with Newsmax. “At the beginning, it was utter chaos,” he admits. “After the Americans came, there was no government, no army, no police. The borders were open. So whoever [was] strong [could] kill anyone.”
Recently, however, the Iraqi government has allowed his diocese to hire private guards to protect the Baghdad churches. “They are all Christians, and they control access. The government pays for them. They are like ordinary police, but they are not in the police force.”
Abouna says he hopes that as the recent refugees saw the security improvements, they would decide to come back. “We hope they will choose to do so.”
While Abouna was visiting Lebanon, a priest from the Chaldean patriarchy in Lebanon delivered a tougher version of the same message to the faithful at Our Lady of Perpetual Help in the Boushriqeh neighborhood of Beirut, a slum where Iraqi Christians live crammed into tiny apartments they rent for $200 per month.
“You must return to Iraq,” he said on the Sunday before Lent. “You never should have come here. Priests died for Iraq. You should have stayed in Iraq,” he said.
Rana Ramzi al-Sayigh, 30, is the mother of three small children. She is also the widow of a bodyguard who was murdered when Muslim terrorists attacked the convoy of a bishop, Farraj Rahho of Mosul, last February.
“I was angry when I heard [the message to return]. Everybody was angry,” she tells Newsmax during a visit to her tiny apartment, not far from the church. “I have lost my husband. Does that priest want us all to become widows?”
She says that the Iraqi government gave her a widow’s pension of $85 per month, just enough to pay rent in a refugee housing complex, not enough for food. With three children to take care for, she could not work outside the home. “Is this priest saying that the church will support us?” she asks.
Rana counts herself among the lucky ones — she had just learned that the U.S. authorities had approved her family’s immigration visas. They were preparing to leave for the United States where she has an uncle in Detroit.
Majid Slaiwa Karomeh, 36, was less lucky. He fled to Beirut recently with his wife and their six small children, after being shot in the shoulder in September.
He and a brother worked as sewage truck drivers for Kellogg Brown Root, an American engineering company, in Baghdad. They were ambushed just as they were leaving a protected area.
Majid’s brother was killed instantly.
To help Majid and his family, the bishop personally gave him some money, and told him to return in two days when the weekly meeting of the diocesan charity committee.
“I have 1,200 families to care for,” one bishop says. “Some 6,000 souls. We have so few resources, but it is our job to do what we can.”
3° CONVEGNO DI STUDI ARABO-CRISTIANI

Cristiani e musulmani nel mondo arabo ieri ed oggi:
conflitti e incontri culturali e religiosi


Roma 27-28 febbraio 2009
piazza di S. Maria Maggiore 13

26 febbraio 2009

Agorà del Mediterraneo, insieme con coetanei di rito latino, siriano, armeno, caldeo

Fonte: SIR

Filippo Magni – Turchia

La delegazione di giovani dell’agorà del Mediterraneo, guidata da don Francesco Pierpaoli direttore del Centro Giovanni Paolo II che ha sede in Loreto, ha incontrato ieri sera a Istanbul la commissione che si occupa della pastorale giovanile delle Chiese cattoliche della capitale turca. Al termine della messa delle Ceneri celebrata insieme nella chiesa Santo Spirito, la delegazione ha avviato rapporti di conoscenza e collaborazione con i rappresentanti dei giovani di rito latino, siriano, armeno e caldeo. Don Jacky Doyen, coordinatore della commissione turca, ha ringraziato gli italiani “per le parole di speranza portate e per il forte senso di Chiesa emerso dall’incontro”. Il sacerdote ha inoltre auspicato che la serata possa essere “l’inizio di un cammino da percorrere insieme”.

25 febbraio 2009

Medio Oriente. Senza cristiani? Intervista con l'islamologo Samir Khalil Samir

Fonte: SIR Italia

di Daniele Rocchi

Da tempo, ormai, la Chiesa, nella persona del Papa e dei vescovi, mostra viva preoccupazione per la sorte dei cristiani in Medio Oriente. Nella visita ad limina dei vescovi caldei, a gennaio, si è arrivati a proporre un Sinodo dei vescovi sui cristiani in Medio Oriente per cercare di approfondire la conoscenza reale dei loro problemi, delle persecuzioni e pressioni cui sono soggetti e della difficoltà di restare nei loro Paesi.
Una proposta "giustificata" per l'islamologo Samir Khalil Samir che al SIR ha provato a tracciare il futuro delle Chiese cristiane in Medio Oriente.
Secondo dati citati dal sociologo Bernard Sabella, dell'Università di Betlemme, i cristiani Medio Oriente (Egitto, Iraq, Giordania, Libano, Territori palestinesi, Siria e Israele) sarebbero poco meno di 12 milioni, di cui 8 milioni in Egitto (10%) e 1,2 milioni in Libano (30%). Negli altri Paesi la percentuale varia tra l'1 e il 5% della popolazione.
Da un punto di vista storico quali sono le differenze principali che esistono tra le componenti cristiane che abitano nei Paesi mediorientali?
"La situazione dei cristiani è diversa da Paese a Paese. In Iraq i cristiani hanno avuto un ruolo di primo piano nel IX e X secolo in quanto sono stati loro che hanno trasmesso ai musulmani la filosofia, la medicina e le scienze ed hanno marcato la cultura islamica di quel periodo. Successivamente, dopo il XIII sec. l'influsso è diminuito. Oggi i cristiani, anche a causa della guerra del 2003, sono una piccola minoranza che si attesta intorno al 3% (dal 5%). Nel regime laico di Saddam Hussein godevano di grande libertà di azione ed erano stimati. Anche in Siria, dove vigeva un governo laico analogo, hanno avuto un ruolo importante nella società civile. In Giordania c'è una tradizione di tolleranza verso i cristiani che sono solo il 3%, vivono in pace e sono stimati. In Egitto la situazione è molto più dura. Fino alla rivoluzione del 1952 i cristiani avevano il loro ruolo nella società, nell'economia, nelle scienze e nella medicina. La rivoluzione ha rovesciato tutto, negli anni Settanta il Corsivomovimento islamico ha subìto l'influsso sia dei fratelli musulmani che di Paesi come l'Arabia Saudita. È cominciata una pressione molto forte per islamizzare i cristiani e la società intera. Islamizzazione che continua ancora oggi. L'Egitto conta un 10% di cristiani, la più grande popolazione cristiana del mondo arabo (7-8 milioni circa), e la loro è una delle situazioni più dure".
Per quanto riguarda, invece, i cristiani libanesi e palestinesi?
"In Libano c'è tolleranza e qui i cristiani hanno avuto un ruolo essenziale nello sviluppo del Paese e della sua identità, più cristiana che musulmana. Per i musulmani, infatti, il Libano da solo non è così importante come l'insieme di Siria, Libano e mondo arabo. Tuttavia si registra un cambiamento: un certo numero di musulmani libanesi oggi difende la libanità, cosa che prima non accadeva. In Libano i cristiani hanno avuto un ruolo importante anche nella cultura, università e scuole cristiane sono famose. A livello di scuole elementari ci sono più scuole cristiane che statali e la gente le preferisce. Nella vita sociale, culturale, economica e politica, i cristiani occupano un posto importante, però la guerra civile (1975-1990) ha provocato l'emigrazione di molti di loro in Europa ed in America. I musulmani sono emigrati di meno e qualcuno è anche tornato. Così oggi la percentuale dei cristiani libanesi è al di sotto del 40%. Il rischio è che se questo movimento migratorio, non dovuto a intolleranza o a persecuzione ma a motivi politici e sociali, dovesse continuare, l'equilibrio tra cristiani e musulmani in Libano non reggerà più. È un equilibrio voluto: nel Parlamento ci sono 128 deputati, 64 cristiani e 64 musulmani e drusi. (Per convenzione in Libano, il presidente della Repubblica è cristiano maronita, il primo ministro sunnita e il presidente del Parlamento è sciita, ndr). Per quanto riguarda invece i cristiani di Palestina hanno abbracciato la causa palestinese per la giustizia ed il diritto poiché ingiustamente spogliati della loro terra con una decisione dell'Onu. I cristiani hanno una sensibilità viva per la giustizia ed il diritto ed hanno organizzato numerosi movimenti di liberazione per la Palestina. Nel tempo la causa palestinese si è islamizzata con la crescita del fondamentalismo. I cristiani non si sono più ritrovati più in questa situazione anzi da alcuni anni vengono dagli stessi musulmani considerati filo-occidentali e dunque poco tollerati".
Il problema comune dei cristiani si chiama fondamentalismo islamico?
"Diciamo di sì. La salita del fondamentalismo islamico è cominciata agli inizi degli anni Settanta. Di fronte agli atteggiamenti di Israele il movimento islamico si è presentato come l'unico difensore del mondo arabo e della causa palestinese. C'è una identificazione tra arabità e islamità. D'altra parte gli ebrei hanno fatto lo stesso identificandosi con Israele, il che non è logico, Israele è una nazione e gli ebrei sono in tutti gli Stati del mondo. C'è una parentela culturale e religiosa tra Islam ed Ebraismo: entrambi uniscono politica, cultura e religione. In questa situazione i cristiani sono tra l'incudine e il martello, una doppia vittima, pur essendo i più veri difensori della causa palestinese. Purtroppo la conseguenza di tutto ciò è anche l'emigrazione: a Betlemme il sindaco è ancora cristiano ma tutti sanno che sarà l'ultimo, dopo sarà musulmano. Lo stesso accadrà a Nazareth. In queste due città la presenza cristiana era notevole, l'università cattolica di Betlemme è sempre più islamizzata".
È giusto allora parlare di persecuzione religiosa?
"Una persecuzione religiosa nel mondo musulmano di solito non c'è. Anche se può accadere ogni tanto. C'è invece pressione religiosa, sempre, perché ci saranno sempre musulmani che fanno pressione per convertire i cristiani attraverso motivi sociali, politici e culturali. La pressione musulmana ha un fondamento nel Corano: è il sistema Dhimmi che in realtà è anteriore all'Islam e risale alla Persia. Non ti perseguito, ti tollero ma tu devi restare sottomesso. Il Corano afferma chiaramente: i non musulmani devono pagare di propria mano una tassa di protezione essendo umiliati, ovvero non possono affidarla ad altre persone. Questa umiliazione ha preso, talvolta, delle forme di vera intolleranza. Di uguaglianza non se ne parla. D'altronde nel sistema islamico il concetto di cittadino è recente, e risale alla fine dell'Ottocento, ma nella coscienza della gente esiste l'idea che i musulmani sono i padroni e tutto gli altri vengono tollerati. In teoria non è così ma nella psicologia si verifica questo. Posso costruire moschee dove e come voglio ma il governo me lo impedirà se lo faccio illegalmente, ma non posso costruire, a parità, una chiesa, la distruggeranno e se ho il permesso lo limiteranno. Non ci sono persecuzioni come in Cina o nell'impero sovietico ma pressioni e disuguaglianze".
Fenomeni come disoccupazione, mancata istruzione o sanità, mancato rispetto di diritti umani fondamentali sono maggiormente marcati per i cristiani oppure questi vivono le medesime difficoltà della componente musulmana maggioritaria?
"I cristiani ne risentono molto di più che i musulmani. Ci sono delle discriminazioni verso i cristiani. Il cristiano è più sensibile dei musulmani ai temi dei diritti umani in quanto il Vangelo propone ideali di libertà e di rispetto. In tutti i Paesi arabi non c'è democrazia e questo pesa di più sui cristiani che scelgono così di andarsene. Essendo una minoranza sono più deboli, meno capaci di difendere i loro diritti. Pensiamo all'Iraq dove alle recenti elezioni provinciali i cristiani si sono visti ridurre i seggi di rappresentanza. La domanda che tutti i cristiani si pongono in Medio Oriente è: c'è ancora speranza per noi e per i nostri figli? Il problema è che non viviamo in uno Stato di diritto ed il futuro dei cristiani è lasciato al benvolere del regime di turno".
Non è proprio rassicurante...
"Il futuro dei cristiani in Medio Oriente è anche legato allo scontro tutto interno al mondo musulmano per separare la religione dalla politica, in una parola scoprire la laicità. I cristiani sono i più forti difensori della laicità che vuole dire libertà. La parità è inconcepibile. La laicità non ha senso, anzi è tradotta come ateismo da tanti musulmani che concepiscono l'Islam solo come dominante".
Come può la Chiesa arrestare questa emorragia dei cristiani dal Medio Oriente e dare un futuro alle comunità locali? Recentemente mons. Sako, vescovo di Kirkuk, ha proposto un Sinodo dei vescovi sui cristiani in Medio Oriente...
"E ha fatto bene. Questa proposta è giustificata perché finché noi affronteremo il problema ognuno per suo conto non si troverà soluzione. Non esiste una visione comune, una pastorale del mondo arabo. Siamo deboli non solo a causa dei musulmani ma anche per le nostre stesse divisioni, per la nostra mancanza di visione unica. Assolutamente sono necessari una politica comune e costruire un progetto non contro ma con i musulmani. Questa regione del mondo è culturalmente musulmana. Il nostro scopo è quello di creare una città ed una civiltà comune, avere insieme un progetto di società valido per i più deboli, senza estremismi. Questo il cristiano lo può fare più naturalmente che un musulmano".
Chi trarrebbe vantaggio da un Medio Oriente senza cristiani?
"Nessuno. Anzi i primi a lamentarsene saranno proprio i musulmani. La fine del Cristianesimo in Medio Oriente, però, non sarà la vittoria dell'Islam. Quest'ultimo avrà espulso la diversità, ma senza di questa l'islam tornerà indietro. È la diversità che stimola: sono i cristiani che hanno promosso, tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, realtà come il giornalismo, la poesia e la letteratura moderna, il cinema, le università. Il ruolo dei cristiani nel mondo arabo non è quello di promuovere l'ateismo ma una modernità credente, aperta. Le chiese mediorientali sono piene, in tutti i Paesi. Siamo per la modernità e non per la secolarizzazione. In Occidente, invece, ciò che sorprende il musulmano, e anche il cristiano mediorientale, sono le chiese vuote, costumi libertini. La modernità per noi cristiani significa diritti umani, uguaglianza tra uomo e donna, ovvero gli aspetti fondanti di una sana laicità e non del laicismo. Il mondo cristiano del Medio Oriente è una chance di progresso per l'Islam. Costretti ad essere una minoranza sempre più esigua i cristiani perderanno la loro capacità di dinamismo, di innovazione sociale, culturale e politico. E questo coinciderà con la fine del progresso del mondo musulmano".

Cristiani in Medio Oriente: Sako (Kirkuk) “Per il sinodo bisogna attendere”

Fonte: SIR

“La proposta di un Sinodo per i cristiani in Medio Oriente è stata inoltrata al Sinodo dei vescovi. Ora bisognerà attendere. Da quello che so è stata ben accolta anche da molti presuli della regione”. Lo ha dichiarato al Sir mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, autore della proposta presentata a Benedetto XVI nella recente visita ad limina dei vescovi caldei.
“Il sinodo potrebbe essere uno strumento utile per avviare una pastorale araba comune a tutte le chiese del Medio Oriente. Questa richiede, innanzitutto, un cambiamento nel vocabolario, rendendolo più aperto, semplice e comprensibile sia ai nostri fedeli che ai musulmani con i quali siamo chiamati a dialogare. E’ urgente far comprendere loro che non siamo politeisti o infedeli, ci vogliono nuovi strumenti per parlare col mondo musulmano e per dare continuità alla presenza cristiana. C’è una testimonianza da dare ancora oggi, non possiamo restare confinati in un ghetto”. Per veicolare questo messaggio, per mons. Sako, “è utile tornare alla lingua araba, come fecero tanti teologi cristiani nel Medio Evo per spiegare la dottrina cristiana. Questo può rappresentare un aiuto per le nostre Chiese che utilizzano il caldeo, il siriaco, l’aramaico”. “Le sette protestanti che si stanno diffondendo, non da adesso ma già dal tempo dell’embargo, in Iraq – conclude - usano un linguaggio comprensibile ed anche per questo la gente le segue”.

Christians in the Middle East: Sako (Kirkuk) “For the synod, we’’ll have to wait”

Source: SIR
“The proposal of a Synod for the Christians in the Middle East was submitted to the Episcopal Synod. Now, we will have to wait. As far as I know, it has been well received even by many prelates of the region”. This was stated to SIR by mgr. Louis Sako, archbishop of Kirkuk, the author of the proposed submitted to Benedict XVI in the recent visit ad limina of the Chaldean bishops. “The synod might help open an Arab pastoral, that would be shared by all the Churches of the Middle East. To do this, we have first and foremost to change the vocabulary, making it more open, simple and understandable both by our devotees and by the Muslims we are called to dialogue with. We have to urgently make them understand that we are no polytheists or infidels, we need new ways to speak with the Muslim world and give continuity to the Christian presence. There is a testimony to be given even today, we cannot stay here, confined in a ghetto”. To convey this message, according to mgr. Sako, “it might help to go back to the Arab language, as many Christian theologians did in the Middle Ages to explain the Christian doctrine. This can help our Churches that use the Chaldean, the Syriac, the Aramaic languages”. “The Protestant cults that have been spreading, not just lately but since the time of the embargo, in Iraq – he concludes – use a language that is easy to understand, and that’s partly why people follow them”.

23 febbraio 2009

Iraq: l'arcivescovo di Baghdad accusa il fondamentalismo protestante Usa


Monsignor Jean Benjamin Sleiman
lancia un duro attacco contro la presenza degli evangelici in Iraq
L'intervento di Sleiman è stato questa mattina, durante il convegno ‘Il valore delle chiese in Medio Oriente' promosso dalla Comunità di Sant'Egidio, al quale sono intervenuti diversi rappresentanti del mondo cristiano e islamico in Medio Oriente.
L'arcivescovo latino di Baghdad indirizza profonde critiche ai ‘fondamentalisti islamici che confondono Dio e le loro attività politiche' ma anche verso quel ‘cristianesimo che strumentalizza Dio'. Sleiman chiarisce che ‘l'evangelizzazione rispetta la cultura, le Chiese già presenti e non può sostituirle', considerandolo un comportamento poco evangelico: sarebbe invece necessario 'aiutare coloro che sono sopravvissuti a tanti secoli di persecuzioni', non arrivare e tentare di spazzare via le altre confessioni. Il Monsignore di Baghdad accusa i protestanti evangelici statunitensi che ‘arrivano in un momento strategico, al crollo del regime che porta la libertà' in un luogo dove nessuno vi è mai stato abituato, ‘con uno scopo politico molto evidente' e ‘sostenuti dall'esercito e dalle autorità americane'. In merito all'eventualità di un cambio di strategia proveniente dalla nuova amministrazione a Washington, mons. Sleiman è stato prudente dichiarando che ‘bisogna aspettare un po' per vedere cosa farà Obama ma la divisione c'è, il male è fatto'. Per quel che riguarda la proposta di un sinodo di tutte le chiese orientali fatta da mons. Luis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk e presentata da poco al Papa, Sleiman pensa che molti vorrebbero ritrovarsi ma anche che la proposta ‘non è stata discussa a livello di chiese d'oriente'.

Le critiche dei rappresentanti delle chiese locali all'operato delle chiese evangeliche in Iraq non è nuovo. A tal proposito clicca qui per leggere l'articolo IRAQ: Il braccio religioso dell'impero americano di Luigia Storti pubblicato dalla rivista Missioni Consolata nel dicembre 2004

Papa/ Benedetto XVI incontrera' in Giordania vescovi iracheni


Il Papa incontrerà i vescovi iracheni in Giordania, nel corso della sua visita in Medio Oriente a maggio. "Come vescovi abbiamo ricevuto un invito ad andare in Giordania dalla Chiesa locale", ha riferito il vescovo latino di Baghdad, monsignor Jean Benjamin Sleiman, a margine di un incontro organizzato a Roma dalla comunità di Sant'Egidio.
"Penso che ci sarà un incontro".

Medio Oriente: S: Khalil (Islamologo) "Pastorale mondo arabo per fermare fuga cristiana"

Fonte: SIR

"Per arrestare l’emorragia dei cristiani dal Medio Oriente è necessaria una pastorale del mondo arabo”. A pensarla così è l’islamologo di fama mondiale, il gesuita Samir Khalil Samir che in una intervista al Sir si sofferma sul futuro dei Cristiani in Medio Oriente. “Siamo deboli non solo a causa dei musulmani ma anche per le nostre divisioni, per la mancanza di visione unica. E’ necessaria una politica comune e costruire un progetto non contro ma con i musulmani” afferma lo studioso per il quale la recente proposta di un Sinodo sui cristiani in Medio Oriente è “giustificata, perché finché affronteremo il problema dell’emigrazione ognuno per suo conto non si troverà soluzione. Il nostro scopo – dice - è quello di creare una città ed una civiltà comune, avere insieme un progetto di società valido per i più deboli, senza estremismi”. Il futuro dei cristiani in Medio Oriente, tuttavia, “è anche legato allo scontro interno al mondo musulmano per separare la religione dalla politica, in una parola scoprire la laicità. I cristiani sono i più forti difensori della laicità che vuole dire libertà. Tanti musulmani invece la traducono come ateismo”. “La fine del Cristianesimo in Medio Oriente, tuttavia, non sarà la vittoria dell’Islam. Quest’ultimo – conclude il gesuita - avrà espulso la diversità, ma senza di questa tornerà indietro”.

Middle East: S. Khalil (Islamic scholar) "Ministry of the arab world to stop Christian emigration"

Source: SIR

"To stop the flight of Christians from the Middle East, a ministry of the Arab world is needed.” This is the opinion of the world-famous Islamic scholar, the Jesuit Samir Khalil Samir, who outlined in an interview with the SIR the future of Christians in the Middle East. “We are weak not only because of the Muslims, but also because of our divisions, for the lack of global vision. We need a common policy to build a project not against but with Muslims,” said the scholar according to whom the recent proposal to hold a Synod on Christians in the Middle East is “justified, because if we tackle the problem of emigration each one for himself, we will never find a solution. Our goal is to create a common city, a common civilisation, to pursue together the project of a society supporting the weakest, without extremism,” he said. Nevertheless, the future of Christians in the Middle East “is also linked to the internal fight within the Muslim world about the separation of religion from politics. In a word it is linked to laity. Christians are the strongest supporters of laity which means freedom. Many Muslims, on the contrary, are interpreting it as atheism.” “The end of Christianity in the Middle East won’t lead to the victory of Islam. The latter may expel what is different, but without diversity it will go backwards,” the Jesuit concluded.

Medio Oriente: Matar (Vescovo Beirut) "I cristiani non si chiudano in isolamento"

Fonte: SIR

“Le chiese e le comunità cristiane d’Oriente non devono chiudersi in isolamento e non devono diventare dei musei. I cristiani devono assumersi il proprio dovere all’interno del Paese in cui vivono e non emigrare. Solo così potranno vedere i loro diritti riconosciuti e conservati”.
Lo ha detto oggi mons. Paul Youssef Matar, arcivescovo di Beirut dei maroniti, nel suo intervento all’incontro della Comunità di sant’Egidio, su “Il valore delle chiese in Medio Oriente – Cristiani e musulmani ne discutono insieme”. Per il vescovo, allo sforzo dei cristiani, deve corrispondere anche “l’impegno delle comunità islamiche a lavorare insieme oltre le onde del fanatismo del quale si conosce bene la causa, la mancanza di umanità”. “E’ falsa l’immagine che si ha dei cristiani di Oriente – ha dichiarato mons. Matar – ritenuti per lungo tempo il cavallo di Troia per l’occupazione dell’Oriente da parte dell’Occidente. Fortunatamente oggi non è così perché con il dialogo sta cambiando anche questa concezione e sta aumentando la conoscenza reciproca”.
Un concetto ribadito anche dal metropolita greco ortodosso di Aleppo, Paul Yazigi : “cristiani e musulmani hanno sempre vissuto insieme. I cristiani di Oriente parlano arabo e ciò li rende capaci di dialogare, essi non sono stranieri ma cittadini a pieno titolo nei loro Paesi. Spetta anche ai cristiani spezzare l’anello della paura che ora li circonda”. “Le comunità cristiane sono forti nella debolezza – gli ha fatto eco don Vittorio Ianari, della comunità di S.Egidio – chiese piccole ma di classe, che hanno scelto di non cercare potere politico o militare, ma di essere libere interiormente per conquistare, attraverso la cultura, l’amicizia dell’altro, capaci come sono di avere una sguardo simpatico sull’altro, anche se spesso non sono capite”.

Middle East: Matar (Bishop of Beirut) "Christians should not isolate themselves"

Source: SIR

“Christian Churches and communities in the Middle East do not have to isolate themselves nor to become museums. Christians have to take up their responsibility in the country they are living in and should not emigrate. This is the only way they can see their rights recognised and maintained.” So spoke today Mgr. Paul Youssef Matar, Maronite Archbishop of Beirut, in his address at the meeting organised by the Community of Sant’Egidio on “the Value of the Churches in the Middle East – Christians and Muslims talking about it.”
For the bishop, Christian efforts must find an echo in “the Muslim communities’ commitment to working together and overcoming extremism whose obvious cause is the lack of humanity.” “For many years, Eastern Christians have been considered the Trojan horse for the occupation of the East by the West, which is false,” said Mgr Matar. “Fortunately, now it is no longer the case, as this conception is changing through dialogue and a better mutual understanding”.
A concept also reaffirmed by Greek Orthodox Metropolitan of Aleppo, Paul Yazigi: “Christians and Muslims have always lived together. Eastern Christians speak Arab, which enable them to dialogue. They are not foreigners but full citizens in their countries. It is also up to Christians to dispel the fears surrounding them.” “Despite these fears, Christians communities are strong. Their small but high-ranking churches are committed not to pursue political or military power but to be free inside so as to conquer friendships through culture. They want to be friendly but often they are not understood,” said Father Vittorio Ianari from the Sant’Egidio community.

Convegno a Roma sulle Chiese in Medio Oriente


Si svolge oggi a Roma il convegno sul tema “Il Valore delle Chiese in Medio Oriente” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Partecipano all'evento studiosi, esperti e rappresentanti delle Chiese mediorientali.
Ce ne parla Claudia Di Lorenzi: “La luce d’Oriente ha illuminato la Chiesa universale” ha scritto Papa Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica “Orientale Lumen”. Un valore, quello delle Chiese cristiane in Medio Oriente , che si declina nelle dimensioni spirituale e teologica, educativa e sociale, e che ha trovato sottolineatura nell’odierno convegno romano, presso la comunità di Sant’Egidio, che ha visto riuniti esponenti delle Chiese cristiane orientali, come pure esperti dal mondo accademico e della cultura.

Tra i relatori mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini, che ha parlato del contributo spirituale portato dalla Chiese cristiane in Medio Oriente:
“Le Chiese cristiane in Medio Oriente sono eredi della prima cristianità, di una dimensione apostolica vissuta da grandi Santi, da grandi Padri della Chiesa. Oggi, forse, è importante, per queste Chiese, ritrovare questo patrimonio. Quando penso all’immigrazione, dico ‘cosa si fa di questo patrimonio, se si lascia questa terra così facilmente?’; noi abbiamo paura che queste ricchezze restino nei musei e nelle biblioteche”. Un contributo – ha detto il presule - che si esprime anche sul fronte della stabilizzazione dell’area e della pacificazione dei rapporti fra popoli di culture e religioni diverse: “Io penso che i cristiani, se continuano a conservare la pacifica coesistenza che hanno sempre cercato di salvaguardare, renderebbero già un grande servizio al Paese solo per la loro presenza, anche senza fare niente; la loro stessa presenza è infatti messaggio. Poi, con la loro cultura, la disponibilità a mediare, potrebbero fare tante cose, perché la ricostruzione è soprattutto quella delle anime, quella della cultura, della mentalità”. Una speranza che, tuttavia, oggi più che mai si scontra con l’esodo di massa dei cristiani dai territori arabi, a causa della persistente insicurezza, delle violenze e le discriminazioni che soffocano le minoranze cristiane. Una situazione drammatica che profila il rischio della scomparsa dei cristiani dal Medio Oriente, e che – sottolinea l’arcivescovo di Baghdad - richiama gli stessi fedeli di Cristo ad un atto di coraggio e di responsabilità: “Forse giova anche ricordare ai cristiani che non sono in Medio Oriente per caso. E’ importante ritrovare la propria identità; ci vuole anche, nella stessa comunione ecclesiale, un incoraggiamento, una condivisione”. Per favorire la permanenza in queste terre – aggiunge il presule – è necessario pensare ad una pastorale dedicata ai cristiani che vivono in Paesi a maggioranza musulmana, e favorire un dialogo che coinvolga le popolazioni: “Il dialogo è una santa e bella cosa, ma forse, per essere un po’ oggettivi, si sta svolgendo spesso tra specialisti e tra studiosi; forse bisogna fare dialogo sul posto, e coinvolgere la gente. E' il dialogo della vita la cosa più importante e che ci salva. E quando ci sono guerre e persecuzioni spesso viene colpito mortalmente: quindi è questo che bisogna resuscitare”. Prioritario, tuttavia, appare il rafforzamento del dialogo ecumenico, affinché le singole Chiese d’Oriente possano trovare forza nell’unità di tutti cristiani. Ancora mons. Sleiman: “E’ molto importante cominciare con l’ecumenismo; direi anche che esso è una condizione ‘sine qua non’. Non si riesce a fare il dialogo interreligioso se non abbiamo una comunione tra di noi”. Numerose – sottolinea infine don Vittorio Ianari, della Comunità di Sant’Egidio – le esperienze positive di dialogo e di collaborazione, soprattutto in Libano, Siria ed Egitto. Iniziative che – conclude – richiedono un impegno costante e rinnovato giacché il dialogo e l’armonia fra i popoli non sono mai scontati.

“Paolo letto da Oriente”: tema del convegno internazionale a Damasco, nell'Anno paolino


“Paolo letto da Oriente” è il tema del convegno internazionale promosso dalla Custodia di Terra Santa attraverso il Franciscan Centre of Christian Oriental Studies e il Memorial St. Paul di Damasco.
L’iniziativa, in memoria di padre Michele Piccirillo, si terrà proprio nella città siriana di Damasco dal 23 al 25 aprile.
“Si tratta di un'iniziativa scientifica e culturale nel quadro delle celebrazioni per il bimillenario della nascita di San Paolo – si legge nelle presentazione della Custodia – e la sua singolarità sta nel tenersi nel luogo che ha la più grande rilevanza nella storia dell’Apostolo delle Genti: Damasco. Questa città e la sua regione, che porta il nome di Siria, fu anche la prima porta di irradiazione dell’annuncio di cui Paolo si fece portatore”. Il convegno, rivolto alla comunità scientifica internazionale, alle comunità cristiane e al mondo intellettuale locale, intende, come riportato dall'Agenzia Sir, offrire nuove opportunità di dialogo avvalendosi anche del contributo di alcuni specialisti. Oltre venti le relazioni in programma: tra queste quelle di padre Fréderic Manns, dello Studium Biblicum Franciscanum, di mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), di mons. Boulos Yazji, arcivescovo greco-ortodosso di Aleppo, del patriarca grecomelkita Gregorio III e del cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, arciprete della Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma.

Per il programma completo dell'evento ed altre i nformazioni clicca qui

22 febbraio 2009

Il valore delle Chiese in Medio Oriente

In un momento delicato per il futuro del Medio Oriente, un’occasione di incontro e di dialogo, un osservatorio privilegiato: ne discutono protagonisti, studiosi, osservatori

Roma, 23 febbraio 2009
Comunità di Sant’Egidio
Piazza di Sant’Egidio, 3a

Il valore delle Chiese in Medio Oriente
CRISTIANI E MUSULMANI NE DISCUTONO INSIEME

Programma

ore 9.30
LA RICCHEZZA SPIRITUALE
Presiede Vittorio Ianari, Comunità di Sant’Egidio
Paul Yazigi, Metropolita greco ortodosso di Aleppo
Ahmad Al-Tayyeb, Rettore dell’Università di Al-Azhar, Il Cairo
Jean Benjamin Sleiman, Arcivescovo di Baghdad dei Latini
Paul Youssef Matar, Arcivescovo di Beirut dei Maroniti

ore 11.30
CULTURA, SOLIDARIETÀ, EDUCAZIONE
Presiede Oscar Luigi Scalfaro, Presidente emerito della Repubblica
Tarek Mitri, Ministro dell’Informazione, Libano
Mar Gregorios Yohanna Ibrahim, Metropolita siro ortodosso di Aleppo
Mohammad Sammak, Consigliere politico del Gran Mufti del Libano
Louis Sako, Arcivescovo di Kerkūk dei Caldei

ore 15.00
UNA FINESTRA SULMONDO
Presiede Andrea Riccardi, Comunità di Sant’Egidio
Antonio Maria Vegliò, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali
Hasan Hanafi, Università del Cairo
Samir Morcos, Fondazione Al Mesry per la Cittadinanza e il Dialogo, Egitto
Bernard Sabella, Università di Betlemme
Mohammed Esslimani, Teologo islamico, Arabia Saudita

ore 17.30
Tavola rotondaCRISTIANI NELMONDO ARABO: COMUNICARE LA COMPLESSITÀ
Presiede Marco Impagliazzo, Comunità di Sant’Egidio
Ugo Tramballi, Inviato “Il Sole 24 Ore”
Rachel Donadio, Corrispondente “New York Times”, Stati Uniti
Muhammad Krichen, Giornalista “Al Jazeera TV Channel”, Qatar
Ghassan Tuéni, Fondatore edizioni “An-Nahar”, Libano
Roberto Righetto, Caporedattore cultura “Avvenire”
Jeanne-Emmanuelle Hutin, Editorialista “Ouest-France”, Francia

21 febbraio 2009

Cristiani del Medioriente discutono le avversità legate alla loro religione

Fonte: Detroit Free Press

By Niraj Warikoo

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Man mano che la opolazione cristiana in Medio Oriente si riduce i membri della comunità di tutto il mondo si riuniscono a Southfield questo fine settimana per discutere come migliorare la propria situazione e stabilizzare la propria presenza.
Sebbene nato in Medio Oriente il cristianesimo lì è sotto assedio da parte dell'estremismo religioso, della guerra e dell'instabilità politica. Gli organizzatori della conferenza sperano di attirare l'attenzione sui problemi e trovare delle soluzioni.
La conferenza di Southfield - intitolata Cristianesimo in Medio Oriente: Antico e sempre nuovo - intende anche unire i diversi gruppi di nazionalità e denominazioni che costituiscono i cristiani del Medio Oriente stimati in 17 milioni. L'incontro riunirà leaders religiosi di Iraq, Giordania, Territori palestinesi, Egitto, Siria e Iran di diverse confessioni: protestante, ortodossa, cattolica e copta. "Se non agiamo presto non vi saranno più cristiani nella terra in cui è nato Cristo", ha dichiarato Bassam Rizk, uno degli organizzatori della conferenza per conto di Noursat, una TV cristiana in lingua araba che la ha in parte sponsorizzata "Vogliamo che il popolo americano sappia che esistiamo e che che i cristiani arabi che siamo interessati alla loro sorte." L'altro sponsor principale della conferenza è CAMECT - acronimo di Christian Arab and Middle Eastern Churches Together, una coalizione di diversi gruppi cristiani. I lavori sono ospitati dalla locale diocesi caldea. Metro Detroit è la patria di una parte significativa della popolazione di cristiani che hanno radici nel mondo di lingua araba. Essi sono preoccupati dal fatto che in Iraq, per esempio, la comunità cristiana è diminuita della metà rispetto a quella di 1.3 milioni del periodo anteguerra. Nei territori palestinesi i cristiani ora costituiscono meno del 3% della popolazione - un forte calo rispetto a 60 anni fa, ed in Libano la comunità cristiana è scesa dal 55% al 30% negli ultimi 30 anni, hanno dichiarato alcuni dirigenti di Noursat. "Non vogliamo che questo sia conferenza fatta di lamenti," dove la gente pianga solo la propria sorte, ha dichiarato Jacques El-Kallassi, presidente della Noursat, aggiungendo che gli organizzatori sono alla ricerca di soluzioni pratiche perchè i cristiani rimangano in Medio Oriente.
"E' nostro dovere aiutare", ha detto il Monsignor Ibrahim Ibrahim, capo della Chiesa cattolica caldea nel Michigan e tra i relatori della conferenza. "Non vogliamo che il Medio Oriente sia svuotato dei cristiani."

Mideast Christians to discuss religious woes


By Niraj Warikoo

As the Christian population dwindles in the Middle East, members of the community from around the world are gathering in Southfield this weekend to discuss how to improve their plight and stabilize their presence.
Though born in the Middle East, Christianity there finds itself under siege from religious extremism, war and political instability. Conference organizers say they hope to bring attention to the problems and find solutions.
The Southfield conference -- titled Christianity in the Middle East: Ancient Yet Ever New -- also aims to unite the diverse group of nationalities and denominations that make up the estimated 17 million Middle Eastern Christians.
The gathering is to include religious leaders from Iraq
, Jordan, Palestinian territories, Egypt, Syria and Iran and include Protestant, Orthodox, Coptic and Catholic denominations.
"If we don't act, there will be no more Christians soon in the land where Christ was born," said Bassam Rizk, a conference organizer with Noursat, an Arabic-language Christian TV station helping to sponsor the conference. "We want to let the American people know we exist and let the Arab Christians know we care about them."
The other main sponsor of the conference is CAMECT -- Christian Arab and Middle Eastern Churches Together -- a coalition of various Christian groups. And it's hosted by the local Chaldean diocese.
Metro Detroit is home to a significant population of Christians with roots in the Arabic-speaking world.
They worry that in Iraq, for example, the Christian community has dropped in half from its prewar population of 1.3 million. In the Palestinian territories, Christians now make up less than 3% of the population -- a big drop from 60 years ago, said community advocates. And in Lebanon, the Christian community has dropped from about 55% to 30% over the past 30 years, said Noursat managers.
"We don't want this to be a crying conference," where people just bemoan their fate, said Jacques El-Kallassi, chairman of Noursat. Organizers are looking for practical ways to remain in the Middle East, he said.
"It is our duty to help," said Bishop Ibrahim Ibrahim, head of the Chaldean Catholic Church in Michigan and among the conference speakers. "We don't want the Middle East to be empty of Christians."

20 febbraio 2009

Elezione dei Consigli Provinciali in Iraq: crollo dell'Assyrian Democratic Movement

By Baghdadhope

Pubblicati i risultati definitivi delle elezioni per i consigli provinciali che si sono tenute in Iraq lo scorso 31 gennaio. Secondo questi dati, per quanto riguarda i cristiani, che partecipavano alle elezioni dei soli consigli provinciali di Ninve (Mosul) Baghdad e Bassora, i risultati riportati dal sito Ankawa.com sono:

A Baghdad vittoria della Ishtar Slate il cui candidato è Khorkhis Isho Sada, a capo del Bet Nahrein Democratic Party nella capitale.
A Ninive vittoria della Ishtar Slate il cui candidato è Sa'ad Tanyos Jajii.
La Ishtar Slate (513) è una colazione di diversi partiti e candidati tra i quali l'Al-Suryan Indipendent Gathering Movement cui appartiene Sa'ad Tanyos Jajji, il Chaldean Syriac Assyrian People's Council, il Chaldean National Congress, il Bet Nahrein Democratic Party, la Patriotic Union of Bet Nahrein, la Chaldean Cultural Association of Ankawa e i Notables of Qaraqosh.

A Bassora vittoria del Chaldean Democratic Union Party il cui candidato è Sa'ad Matti.
Il Chaldean Democratic Union Party (503) è guidato da Abd al-Ahad Afram Sawa, deputato del parlamento iracheno eletto nella lista curda nel 2005.

Se i risultati saranno confermati clamorosa sarebbe la sconfitta dalla Rafidain List (504) composta dal solo partito guidato da Yonadam Kanna, deputato cristiano del parlamento nazionale eletto nel 2005, l'Assyrian Democratic Movement che sempre si è proposto come forza di contrapposizione al potere esercitato dal governo curdo attraverso i partiti cristiani ad esso vicini.
La vittoria della lista Ishtar a Ninive e Baghdad, se confermata ufficialmente, aumenterà i dubbi di chi già da subito dopo le elezioni ha avanzato accuse di brogli come ha fatto proprio Yonadam Kanna che a
PUKmedia ha dichiarato che la milizia (curda) affiliata alla lista Ishtar ha fatto pressione per pilotare il voto degli abitanti cristiani della Piana di Ninive.
Accusa ribadita in un rapporto frutto del lavoro di osservazione delle elezioni svolto dal 28 gennaio al 2 febbraio da Andrew Swan e Margaret Murphy della
Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO) e da Afram Yakoub dell' Assyria Council of Europe (ACE).
Il team di tre persone, secondo quanto riferito dall'ACE, una volta sul posto si è diviso. I due membri dell'UNPO hanno controllato le votazioni presso l'Università di Dohuk mentre Afram Yacoub si è recato nella cittadina di Qaraqosh, il capoluogo del distretto di Hamdaniya nel distretto di Ninive, un centro di circa 45.000 abitanti quasi tutti cristiani.
Le conclusioni del team dell'UNPO sono quelle di un generale svolgimento regolare delle elezioni minato da alcune irregolarità sui metodi di identificazione dei votanti, sulle facilitazioni ai disabili e su quelle agli sfollati (IDP Internally Displaced People).
Più dettagliate e critiche sono le conclusioni cui è giunto Afram Yakoub nella sua ispezione a Qaraqosh. Conclusioni che portano ad un'esplicita accusa alla Lista Ishtar di avere influenzato direttamente o indirettamente il voto nella cittadina.
Alcune testimonianze riportate dall'ACE, ad esempio, raccontano di attivisti della lista al Rafidain minacciati o addirittura fatti oggetto di violenze da parte di membri della milizia creata a protezione della cittadina e finanziata dal governo curdo attraverso il Chaldean Syriac Assyrian People's Council, uno dei gruppi costituenti la lista Ishtar.
Altre, invece, descrivono la situazione dei poveri abitanti di un complesso chiamato "Aghajan apartments" finanziato da Sarkhis Aghajan, che con regali, promesse di lavoro e riduzioni dei canoni di affitto, sarebbero stati indirettamente costretti a votare per la lista sponsorizzata dal loro benefattore. Così come lo sarebbero stati gli studenti della vicina università di Mosul minacciati dalla milizia di non poter più usufruire degli autobus necessari per recarsi ai corsi, per non parlare degli stessi membri della milizia il cui sostentamento dipende dal mantenimento del lavoro.
Le critiche quindi si concentrerebbero sulla persona di Sarkhis Aghajan, il ministro delle finanze del governo curdo che in quanto cristiano ha provveduto negli ultimi anni ai bisogni della comunità finanziando case, chiese, cimiteri e molti altri progetti. Progetti che malgrado gli abbiano fatto guadagnare l'imperitura riconoscenza di chi ne ha beneficiato e che si è addirittura tradotta in
onorificenze consegnategli dalle diverse chiese irachene, lo hanno sempre esposto alle feroci critiche di chi lo accusa di non lavorare per il bene dei propri correligionari ma per quello del governo curdo – Aghajan è membro del Kurdish Democratic Party di Massud Barzani - desideroso di dare all’esterno un immagine di governo democratico e rispettoso delle minoranze, ma soprattutto di creare una riconoscente base di favore utile nel sostenerlo nel progetto del “Grande Kurdistan”, l’allargamento cioè degli attuali confini della regione autonoma del Kurdistan attraverso l'annessione ad essa della Piana di Ninive, zona ad alta densità abitativa cristiana.
Alla luce di tali critiche e dei risultati provvisori che all’inizio del mese vedevano la Rafidain List prevalere a Baghdad sulla Ishtar List (45,5% contro 29,2%) le contestazioni sulle elezioni provinciali non finiranno anche se, per ora, nessuna dichiarazione a riguardo è giunta dall’Assyrian Democratic Movement.
Dichiarazione che, peraltro, più che suscitare polemiche all’interno dei circoli politici cristiani non otterrà nessun risultato visto che non più di tre giorni fa Faraj al-Haidari, a capo della commissione elettorale indipendente aveva dichiarato alla
Reuters che: "Nessuna lamentela, neanche la peggiore, avrà effetto sui risultati delle elezioni".
Le elezioni, come ha detto il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, avranno anche "rafforzato la democrazia irachena".
Certo però le parole di Faraj al-Haidari agli iracheni rammenteranno ben altre consultazioni elettorali, non "così" democratiche.

Election of Provincial Council in Iraq: collapse of the Assyrian Democratic Movement

By Baghdadhope

Published the final results of elections for provincial councils held in Iraq on January 31. According to these data, with regard to Christians, who participated in the elections of provincial councils only in Nineveh (Mosul) Baghdad and Basra, the results reported from the site Ankawa.com are:

Victory for Baghdad of the Ishtar Slate the candidate of which is Khorkhis Isho Sada, head of the Bet Nahrein Democratic Party in the capital.
Victory for Nineveh of Ishtar Slate the candidate of which is Sa'ad Tanyos Jajii.
The Ishtar Slate (513) is a coalition of various parties and candidates, including the Al-Suryan Independent Gathering Movement to which Sa’ad Tanyos Jajji belongs, the Chaldean Syriac Assyrian People's Council, the Chaldean National Congress, the Bet Nahrein Democratic Party, The Patriotic Union of Bet Nahrein, the Chaldean Cultural Association of Ankawa and the Notables of Qaraqosh.

Victory for Basra of the Chaldean Democratic Union Party, the candidate of which is Sa'ad Matti.
The Chaldean Democratic Union Party (503) is led by Abd al-Ahad Afram Sawa, Member of Parliament elected in the Iraqi Kurdish list in 2005.

If the results are confirmed it would be a resounding defeat of Rafidain List (504) composed of a single party led by Yonadam Kanna, a Christian member of parliament elected in 2005, the Assyrian Democratic Movement, always proposed as an opposition party to the power exercised by the Kurdish Government through Christian parties close to it.
The victory of the Ishtar Slate in Nineveh and Baghdad, if officially confirmed, will increase the doubts of those who soon after the elections made accusations of fraud as Yonadam Kanna did talking to PUKmedia when he said that the (Kurdish) militia affiliated to the Ishtar Slate lobbied to control the votes of the Christian inhabitants of the Nineveh Plain.
Accusation repeated in a report on the work of observation of the elections held between January 28 and February 2 by Andrew Swan and Margaret Murphy of Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO) and by Afram Yacoub of the Assyria Council of Europe (ACE).
The team of three people, according to the ACE, once in place worked separately. The two members of UNPO checked the votes at the University of Dohuk while Afram Yacoub went to the town of Qaraqosh, capital of the district of Hamdaniya in the district of Nineveh, a center of about 45,000 inhabitants almost all Christians. The conclusions of the team of UNPO are those of a general regular conduct of the elections undermined by some irregularities on the methods of identification of voters, on facilities for disabled and displaced persons (IDP Internally Displaced People).
More detailed and critical are Afram Yacoub’s conclusions in its inspection in Qaraqosh. Conclusions leading to an explicit accusation of Ishtar Slate to have directly or indirectly influenced the vote in the town. Some witnesses reported by ACE, for example, talks about activists at Rafidain List threatened or subjected to violence by members of the militia created to protect the town and funded by the Kurdish government through the Chaldean Syriac Assyrian People's Council, one of the groups comprising the Ishtar Slate.
Others describe the situation of the poor inhabitants of a complex called "Aghajan apartments” financed by Sarkhis Aghajan who through gifts, promises of employment and reductions in rents, would be indirectly forced to vote for the list sponsored by their benefactor. As were the students from nearby University of Mosul threatened by the militia of being unable to use buses to travel to courses, not to speak of the same members of the militia whose livelihood depends on maintaining their employment.
Criticism then focus on the person of Sarkhis Aghajan, the finance minister of the Kurdish government who as a Christian has in recent years attended to the needs of the community by financing homes, churches, cemeteries and many other projects. Projects that despite having assured him the imperishable gratitude of those who benefited from them, and that even resulted in honors from various churches in Iraq, always exposed him to the fierce criticism of those who blames him for not working for the welfare of his coreligionists but for that of the Kurdish government - Aghajan is a member of the Kurdish Democratic Party of Massud Barzani - anxious to give out an image of democratic government respectful of minorities, but especially to create a grateful favorable basis useful in supporting the project of the "Greater Kurdistan" i.e. the enlargement of the existing boundaries of the autonomous region of Kurdistan through the annexation of the Nineveh Plain, an area with a high density of Christian population.
In light of these criticisms and of the preliminary results published at the beginning of this month that saw the Rafidain List prevail in Baghdad on Ishtar Slate (45.5% versus 29.2%) disputes about provincial elections will not end, even if by now no statement about them came from the Assyrian Democratic Movement. Statement that, however, will not get any results rather than stir controversy within the Christian political circles considering that no more than three days ago Faraj al-Haidari, head of the Independent Electoral Commission told the Reuters that: "None of the complaints, even the red ones, will affect the results of the election." The elections, as the United Nations Secretary General Ban Ki-Moon said may have had the result of "strengthen(ing) democracy in Iraq."
But certainly Faraj al-Haidari’s words will recall to Iraqis other elections, not “so” democratic.

19 febbraio 2009

Germany: arrival of the first Iraqi refugees scheduled by European Union plan

By Baghdadhope

On last November the European Union supported a plan to resettle 10,000 Iraqi refugees fled to Syria and Jordan because of the violence in Iraq. A plan, it must be noted, that provides for the "voluntary" compliance by the member countries and that although concerns only "a certain number of refugees who have no prospect of any other lasting solution, even in the long term ... people in a vulnerable situation who are easily identifiable, especially those with medical needs, trauma or torture victims, members of religious minorities, or women on their own with family responsibilities" aroused many negative reactions in the following months.
The first to declare their opposition to the plan were the representatives of the churches in Iraq who look at it as a measure to boost the already massive exodus of the Christian community as declared to Baghdadhope by Msgr. Louis Sako, the Chaldean Archbishop of Kirkuk, who recalled how "The Christian when baptized swears loyalty to his faith, and the path of faith can be full of difficulties and sacrifices, but this is not a reason not to follow it" and that "to emigrate to live a life as a refugee is not the solution. Not even seeking a more comfortable life. These people must hope, pray and fight for the situation to get better and for a future without first or second class citizens. "
But to protest now are also the politicians.
Thus, Asghar Al-Musawi, Iraqi deputy minister responsible for the problems of displaced persons and refugees defined as "unacceptable" the encouragement to emigrate given to Iraqi Christians by "certain governments".
A practice even labeled as "contrary to the international law" as concerning a particular group (Christians) and completely "unjustified" because the situation in Iraq is "stable."
The reference made by Al-Musawi rather than to some "generic" government seems directed at the German one.
In April 2008 the Interior Minister Wolfgang Schaeuble stood up for accepting in Germany Iraqi refugees of Christian faith. A proposal rejected by the by-then President of the European Union, Dragutin Mate, who said that "we must accept refugees and give them asylum .. without preconditions of religion or race."
The question for some months seemed deadlocked, at least until November, the date of the resolution of the European Union, when Germany declared itself ready to receive 2.500 of the 10.000 refugees expected reiterating, these were the words of the Interior Minister of Hesse Volker Bouffier, the wish of taking care of Christians in particular without rejecting in any case the aid to persons not of the same faith but in similar particular and difficult situations. Yesterday, February 18, Pukmedia agency reported that the first 70 Iraqi refugees to be resettled in Germany will arrive in mid-March in Lower Saxony, one of 16 federate German states that will receive the refugees.
Germany, therefore, seems determined to continue on its path and to resettle those who, refugee in Jordan or Syria, does not want or cannot return to Iraq.
Consideration of the matter is complex. The attitude of the Church that seeks to preserve the already tiny community is understandable. Its disappearance from the country would be a loss both for Iraq and the world Christian community that would be deprived of one of its oldest members.
Less understandable is the attitude of Iraqi government representatives. Invoking the respect of international laws that would be violated if case of acceptance of Iraqi Christians only on one hand is understandable as such a measure implies a "targeted selection", on the other hand it appears as an interference in the decisions of a sovereign government claiming the right to that choice. Iraqis for too long have lived in a state prison. Nobody in the world hopes that they, Muslims or Christians, are forced to leave their country, their culture, their roots, to live the wretched life of the refugee in a foreign land. Similarly nobody in the world should deny them the right to choose where to live, especially considering the violence that they - all of them - suffered from in recent decades of war and dictatorship.
Time, and statistics, will say if Germany, for now the only European country to have started the implementation of the EU plan, really will accept only the Iraqi refugees of Christian faith. Condition that, it must be remembered, is not present in the resolution that refers "also" but not "only" to "members of religious minorities."
Right now what we know is that yesterday the German Minister of Foreign Affairs, Frank-Walter Steinmeier, inaugurated the German consulate in Erbil, in Iraqi Kurdistan, the territory where thousands of Iraqis from the centre and the south - and among them many, many, Christians - sought refuge.
When one talks about the stubbornness and the organization of the Germans!

Germania: in arrivo i primi profughi iracheni del piano dell'Unione Europea

By Baghdadhope

Lo scorso novembre la comunità europea si è dichiarata favorevole ad un
piano di reinsediamento di 10.000 profughi iracheni fuggiti in Siria e Giordania a causa delle violenze in Iraq. Un piano che, si badi bene, prevede l’adesione “volontaria” da parte dei paesi membri e che pur riguardando solo “un certo numero di rifugiati che non hanno alcuna prospettiva di soluzione duratura alternativa, neanche a lungo termine; persone che sono in una situazione di vulnerabilità e che sono facilmente identificabili, in particolare quelli con esigenze mediche, vittime di traumi o torture, membri delle minoranze religiose, o le donne sole con responsabilità familiari” ha suscitato nei mesi successivi molte reazioni negative.
I primi a dichiararsi contrari sono stati i rappresentanti delle chiese irachene che hanno visto in esso un provvedimento in grado di incentivare il già massiccio esodo della comunità cristiana come ha
dichiarato a Baghdadhope Mons. Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk, che ha ricordato come “Il cristiano con il battesimo giura fedeltà alla sua fede, ed il cammino della fede può essere pieno di difficoltà e sacrifici ma non per questo non deve essere percorso” e che “emigrare per vivere una vita da profugo non è la soluzione. Cercare una vita più comoda neanche. Queste persone devono sperare, pregare e lottare perché la situazione migliori e ci sia un domani senza più cittadini di prima o seconda classe.”
A protestare adesso sono però anche i politici.
Così, Asghar Al-Musawi, vice ministro iracheno responsabile dei problemi degli sfollati e dei rifugiati ha definito “inaccettabile” l’incoraggiamento ad emigrare dato agli iracheni cristiani da “alcuni governi”. Una pratica addirittura etichettata come “contraria alle leggi internazionali” visto che riguarderebbe gli appartenenti ad un gruppo particolare (i cristiani) e totalmente “ingiustificata” visto che la situazione in Iraq è “stabile”.
Il riferimento di Al-Musawi più che ad alcuni “generici” governi, sembra indirizzato a quello tedesco.
Nell’aprile del 2008 il ministro degli interni Wolfgang Schaeuble si era dichiarato favorevole ad accogliere in Germania profughi iracheni di fede cristiana. Una proposta rigettata dall’allora presidente dell’Unione Europea, Dragutin Mate, che aveva affermato che “dobbiamo accogliere i rifugiati e dare loro asilo.. senza precondizioni di religione o razza”.
La questione per qualche mese sembrò in stallo, almeno fino a novembre, data della risoluzione dell’unione europea quando la Germania si dichiarò favorevole ad accogliere 2.500 dei 10.000 profughi previsti ribadendo, furono le parole del Ministro degli Interni dell’Assia Volker Bouffier, di volersi occupare dei cristiani in particolare ma senza rifiutare l’aiuto a persone non della stessa fede ma in analoghe particolari, difficili, situazioni.
Ieri, 18 febbraio, l’agenzia
Pukmedia, ha riportato la notizia secondo la quale i primi 70 profughi iracheni destinati ad essere reinsediati in Germania arriveranno a metà marzo in Bassa Sassonia, uno dei 16 stati federati tedeschi che accoglieranno gli altri profughi.
La Germania, quindi, sembra intenzionata a continuare sulla sua strada ed ad accogliere chi, profugo in Giordania o Siria, non vuole o non può tornare in Iraq.
Il giudizio sulla questione è complesso. L’atteggiamento della Chiesa che intende preservare la già minuscola comunità è comprensibile. La sua sparizione dal paese rappresenterebbe una perdita sia per l’Iraq sia per l’intera comunità cristiana mondiale che verrebbe privata di una delle sue componenti più antiche.
Meno lo è quello dei rappresentanti del governo iracheno. Invocare il rispetto delle leggi internazionali che sarebbero violate in caso di accoglienza dei soli iracheni cristiani da una parte è comprensibile perché un tale provvedimento sottintende una “scelta mirata”, d’altra parte però si configura come un’ingerenza nelle decisioni di un governo sovrano che rivendica il diritto a tale scelta.
Gli iracheni per troppo tempo hanno vissuto in uno stato-prigione. Nessuno al mondo si augura che essi, musulmani o cristiani che siano, siano costretti ad abbandonare il proprio paese, la propria cultura, le proprie radici, per vivere la grama esistenza del profugo in terra straniera. Allo stesso modo però nessuno al mondo dovrebbe negare loro il diritto di scegliere dove vivere, specialmente in considerazione delle violenze che essi - tutti - hanno subito negli ultimi decenni tra guerre e dittatura.
Il tempo, e le statistiche, diranno se la Germania, per ora l’unico paese europeo ad aver iniziato la messa in pratica dell’invito dell’Unione, davvero accoglierà solo profughi iracheni di fede cristiana. Condizione che, è bene ricordare, non è presente nella risoluzione che si riferisce “anche” ma non “solo” ai “membri delle minoranze religiose”.
Per ora ciò che si
sa è che proprio ieri il Ministro degli Affari Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha inaugurato il consolato tedesco ad Erbil, nel Kurdistan iracheno, territorio dove a migliaia gli iracheni del centro e del sud - e tra essi molti, moltissimi, cristiani - si sono rifugiati.
Quando si dice la caparbietà e l’organizzazione dei tedeschi!

Rilasciate le due suore rapite in Kenya tre mesi e dieci giorni fa

By Baghdadhope

Rilasciate in Kenya Maria Teresa Olivero and Caterina Giraudo, le due suore rapite tre mesi e dieci giorni fa.
Una di loro è la sorella di Don Fredo Olivero, amico di lunga data della comunità irachena cristiana.
Baghdadhope ha contattato alcuni dei vescovi e dei sacerdoti caldei in Iraq ed in Italia che unanimamente hanno descritto questo come un gran giorno e la notizia come "veramente buona".
E' da sottolineare come i rappresentanti caldei che negli scorsi anni hanno incontrato Don Fredo Olivero in questi lunghi mesi di attesa hanno molte volte espresso la loro vicinanza ed hanno pregato per il rilascio delle due suore.
In special modo coloro che hanno vissuto la stessa esperienza come Padre Douglas Al Bazi che nel 2006 fu tenuto prigioniero per 10 giorni, e che ha trascorso molto tempo a Torino, la città di Don Fredo Olivero.

MISNA: LIBERATE SUORE ITALIANE, SI TROVANO GIA' A NAIROBI

Released the two nuns kidnapped in Kenya three months and ten days ago.

By Baghdadhope


Released in Kenya Maria Teresa Olivero and Caterina Giraudo, the two nuns abducted three months and ten days ago.
One on them is the sister of Don Fredo Olivero, a longtime friend of Iraqi Christian community.
Baghdadhope contacted some of the Chaldean bishops and priests in Iraq and Italy who unanimously reacted describing this as a great day and the news as a "very good one".
It must be noticed that the Chaldean representatives who in past years met Don Fredo Olivero in this long months of waiting many times expressed their closeness to him and prayed for the release of the two nuns. Especially those of them who had the same experience of abduction, as Fr. Douglas Al Bazi who was held by his abductors for ten days in 2006 and who spent a long time in Torino, Don Fredo Olivero's city.

MISNA: ITALIAN NUNS FREED AND ALREADY IN NAIROBI

18 febbraio 2009

Papa in Terra Santa: Moussalli (Giordania), "Canti in aramaico, incontro con i rifugiati"

Fonte: SIR

Risuoneranno anche canti liturgici in aramaico, la lingua di Gesù, nella messa che il Papa celebrerà nello stadio di Amman, durante la sua prossima visita in Terra Santa a maggio. Ad eseguirli i rifugiati cattolici iracheni, di rito caldeo, che sono riparati in Giordania per fuggire dalla violenza settaria del loro Paese d’origine. E’ possibile che una piccola delegazione possa poi incontrare Benedetto XVI per raccontare la loro sofferenza di rifugiati. Ad annunciarlo al Sir è padre Raymond Moussalli, vicario del vescovado caldeo di Giordania che da tempo si occupa dei circa 20 mila rifugiati cristiani nel regno hashemita. “I nostri fedeli aspettano con ansia una parola di incoraggiamento del Pontefice – afferma il vicario – ma è tutta la Giordania ad attendere Benedetto XVI con ansia. Dalla moschea del re Hussein il Papa aprirà una nuova pagina nel dialogo con l’Islam”. Secondo quanto riferito oggi dal portavoce della chiesa cattolica padre Refaat Badr, Benedetto XVI arriverà in Giordania l’8 maggio per ripartire, alla volta di Israele, l’11. In Giordania visiterà il monte Nebo, il luogo del Battesimo di Gesù, sulle rive del Giordano, e nella moschea di re Hussein dovrebbe tenere un discorso ad esponenti islamici giordani.

The Pope in the Holy Land: Moussalli (Chaldeans of Jordan), "Songs in Aramaic, a meeting with refugees."

Source: SIR
Liturgical songs in Aramaic language, Jesus’ language, will resound too at the Mass the Pope will officiate in the stadium of Amman, during his forthcoming journey to the Holy Land next May. They will be sung by the Iraqi Catholic refugees of the Chaldean rite who have fled to Jordan to escape sectarian violence in their native country. A small delegation might then meet Benedict XVI and tell him of their sufferings as refugees. This was announced to SIR by father Raymond Moussalli, vicar of the Chaldean bishopric of Jordan, who for some time has been taking care of the about 20 thousand Christian refugees in the Hashemite kingdom. “Our devotees are looking forward to hearing the Pontiff’s word of encouragement – states the vicar –, but it is all of Jordan that is looking forward to meeting Benedict XVI. From the Mosque of King Hussein, the Pope will turn a new leaf in the dialogue with Islam”. As reported today by the spokesman of the Catholic Church, father Refaat Badr, Benedict XVI will arrive in Jordan on May 8th and will leave for Israel on 11th. In Jordan, he will visit Mount Nebo, the place where Jesus was baptised, on the banks of the Jordan, and in the Mosque of King Hussein he should give a speech to some Jordanian Islamic leaders.

17 febbraio 2009

Patriarca Mar Ignatius Joseph III Younan


By Baghdadhope

Fonte:
Ankawa.com





Nella chiesa Siro cattolica di Nostra Signora dell’Assunzione a Beirut si è svolta due giorni fa la cerimonia di intronizzazione del nuovo patriarca Mar Ignatius Joseph III Younan che era stato nominato tale nel corso del Sinodo svoltosi a Roma lo scorso
gennaio.
Molti i presenti alla cerimonia tra rappresentanti politici ed ecclesiastici, libanesi e non.
Per la chiesa siro cattolica Mar Ignatius Daoud Musa, Patriarca Emerito, che ha presieduto la celebrazione assistito da Mar Rabula Antoine Beylouni, Arcivescovo Emerito di Aleppo dei Siri e Titolare della sede di Mardin dei Siri e da Mar Athanase Shaba Mati Matoka, Arcivescovo di Baghdad dei Siri. Mar Jacub Benham Hindo, Arcivescovo di Hassaké-Nisibi dei Siri, Mar Theophilus Georges Kassab, Arcivescovo di Homs, Hama e Nabk dei Siri, Mar Gregorios Elias Tabi, Vescovo coadiutore di Damasco dei Siri, Mar Jules Michael Al-Jamil, Arcivescovo titolare di Takrit dei Siri, Vescovo ausiliare emerito del Patriarcato Siro Cattolico (Libano) e procuratore della chiesa siro cattolica presso la Santa Sede, Mar Flavien Josef Melki, Vescovo di Dara dei Siri, Ausiliare di Antiochia dei Siri (Libano), Mar Gregorius Butros Melki, Esarca Patriarcale di Gerusalemme, Palestina e Giordania ed Ausiliare di Antiochia dei Siri (Libano), Mar Jacques Georges Habib Hafouri, Arcivescovo Emerito di Hassaké-Nisibi dei Siri, Mar Basilius George Alqas Musa, Arcivescovo di Mosul dei Siri, Mar Denys Antoine Chahda,Vicario Patriarcale di Aleppo dei Siri, Mar Iwannis Louis Awad, Vicario Apostolico del Venezuela per i fedeli di rito siriaco orientale titolare della sede di Zeugma (Siria), Mar Clemént Joseph Hannouche, Vescovo del Cairo e Vicario Patriarcale per il Sudan.
Per la chiesa maronita il Patriarca di Antiochia Cardinale Nasrallah P. Sfeir, per la chiesa copta cattolica il Patriarca di Alessandria (Egitto) Mons. Antonios Naguib, per la chiesa armeno cattolica il Patriarca di Cilicia degli Armeni Mons. Nerses Bedros XIX (Boutros) Tarmouni, per la chiesa siro Malankarese Mar Abraham Julios, per la chiesa caldea Mons. Mikha P. Maqdassi, vescovo di Alqosh, Mons. Petrous H. Harbouli, vescovo di Dohuk, Mons. Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk e Mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo (Siria), per la chiesa cattolica romana il Patriarca Emerito di Gerusalemme, Monsignor Michel Sabbah, il Nunzio apostolico in Libano Monsignor Luigi Gatti, l’incaricato d’affari vaticano a Damasco, Monsignor Andrzej Jozwowcz, ed il Cardinale Theodore Edgar McCarrick, Arcivescovo emerito di Washington, Distretto della Columbia, USA.
Presenti erano anche molte personalità politiche e militari libanesi ed Abdallah Al Naufali, a capo dell’ufficio governativo per gli affari dei non-musulmani in Iraq.

Per un resoconto della celebrazione: Nuovo Patriarca siro-cattolico installato in Libano Di Doreen Abi Raad Catholic News Service BEIRUT, Libano (CNS) -
Tradotto ed adattato da Baghdadhope
Tra acclamazioni ed espressioni di gioia, l'ex guida della diocesi siro-cattolica negli Stati Uniti e in Canada è stato celebrato come patriarca della Chiesa siro-cattolica.
Dicendo che "servirà, non per interessi personali, ma per ottenere il sostegno di Cristo" il patriarca Joseph Ignace III Younan il 15 febbraio è stato intronizzato nel corso di una Messa celebrata secondo i caratteristici riti della Chiesa cattolica orientale.
I presenti hanno applaudito ed acclamato e le donne hanno espreso la propria gioia durante la processione di ingresso nella chiesa siro cattolica di Nostra Signora dell'Annunciazione a Beirut. Il Patriarca Younan, con il capo coperto da un velo, è stato condotto nella chiesa da diversi vescovi siro cattolici tra cui il Patriarca Emerito, Cardinale Ignace Moussa Daoud. Il nuovo patriarca è passato tra patriarchi, cardinali, vescovi, sacerdoti e suore delle chiese orientali e latina, come pure di chiese ortodosse, ed ha preso posto sotto il Crocifisso dietro l'altare dove è rimasto coperto dal velo di pizzo, simbolo del digiuno di 40 giorni di Gesù nel deserto, fino a quando è stato ufficialmente intronizzato come patriarca appena prima della Comunione.
Il Cardinale Daoud ha celebrato la Messa in arabo e aramaico. Immediatamente dopo la sua intronizzazione, Il Patriarca Younan ha benedetto i fedeli mentre per tre volte veniva sollevato con la sua sedia . "Che tu sia benedetto ... lunga vita a te ", hanno cantato i fedeli in arabo mentre le donne uralvano tra acclamazioni ed applausi.
"E 'un grande onore che non merito" ha detto il Patriarca Younan, "ma ho riposto tutta la mia fiducia in colui che ha detto: Non avete scelto voi me, mai io ho scelto voi."
Ringraziando coloro "che hanno percorso grande distanze", il nuovo patriarca ha lodato "il mio caro amico", il Cardinale Theodore E. McCarrick, Arcivescovo Emerito di Washington "che è stato mio padre nella fede sin da quando ho iniziato come sacerdote missionario e poi come vescovo negli Stati Uniti." "Con il suo sostegno fraterno e la sua sollecitudine Sua Eminenza ha permesso alla nostra piccola comunità cattolica siriaca a Newark, NJ, di crescere in termini di dimensioni e di grazia", ha detto. Il Cardinale McCarrick ha servito come arcivescovo di Newark dal 1986 al 2000.
Nel mondo vi sono circa 200.000 cattolici siriaci, di cui 60.000-65.000 negli Stati Uniti e in Canada. Il Patriarca Younan fu inviato negli Stati Uniti a servire la comunità siriaca nel 1986 e dal gennaio 1995 fino alla sua elezione come nuovo patriarca di Antiochia è stato a capo della diocesi di rito siriaco di base a Newark per gli Stati Uniti ed il Canada.
Il Cardinale McCarrick, parlando in francese, ha detto che il Patriarca Younan è stato per lui come un fratello minore che "sono orgoglioso di considerare come mio amico spirituale".
Sull'altare, il cardinale McCarrick sedeva accanto al Cardinale Nasrallah P. Sfeir, patriarca della Chiesa cattolica maronita.
Nel suo discorso, il Patriarca Younan ha espresso il piacere di avere tra i presenti anche il suo compagno di studi a Roma, il vescovo siro-malankarese Abraham Kackanatt di Muvattupuzha, India. "La Sua presenza oggi è un urgente richiamo per tutti noi a rafforzare la comunione ecclesiale e liturgica", ha detto il Patriarca Younan. Nel suo intervento il vescovo Kackanatt ha detto che il patriarca (Younan) tornava alle radici della Chiesa, "la culla della convivialità e della spiritualità".
"Prego perché il patriarca porti un nuovo spirito a questa chiesa ed a tutte le chiese. Che possa portare maggiore unità ed amore a tutte le chiese qui oggi rappresentate che, purtroppo, non sono in piena comunione", ha detto il vescovo Kackanatt.
Acclamato dalle circa 150 persone arrivate dalla Siria - alcuni dal suo villaggio natale, Hassake - il patriarca ha ricordato di essere "nato in Siria dove i miei genitori trovarono rifugio dopo la fuga dalla Turchia."
Una delegazione di 35 persone proveniva da Istanbul, in Turchia. Circa 70 persone provenivano dall' Iraq, e numerose bandiere irachene erano visibili in tutta la chiesa.
Padre ST Sutton, che ha servito come segretario del Patriarca Younan quando era vescovo negli Stati Uniti ha detto che il nuovo patriarca è "molto intelligente, molto collaborativo e di mentalità aperta. Ed ha anche un grande senso dell'umorismo".
"E 'un uomo di preghiera. Il punto culminante della sua vita di preghiera è l'Eucaristia," ha detto il sacerdote. Padre Sutton ha anche aggiunto che il Patriarca Younan ha uno spiccato senso della universalità della chiesa. "E' un costruttore di ponti ed un guaritore. Non lavora per il suo interesse personale ma per unire e servire il Signore", ha detto Padre Sutton. Il sacerdote ha detto che la partenza del patriarca dagli Stati Uniti è "agrodolce" e che i fedeli sono ora in attesa di un nuovo vescovo, la cui scelta è prevista durante il sinodo del prossimo luglio.