"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 luglio 2012

Siria ed Iraq: non risparmiare sforzi per la pace e la riconciliazione

By Vatican Information Service, 30 luglio 2012

"Continuo a seguire con apprensione i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi - ha detto il Papa dopo la recita dell'Angelus - Per questi chiedo che sia garantita la necessaria assistenza umanitaria e l’aiuto solidale. Nel rinnovare la mia vicinanza alla popolazione sofferente ed il ricordo nella preghiera, rinnovo un pressante appello, perché si ponga fine ad ogni violenza e spargimento di sangue. Chiedo a Dio la sapienza del cuore, in particolare per quanti hanno maggiori responsabilità, perché non venga risparmiato alcuno sforzo nella ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto".
"Il mio pensiero si rivolge anche alla cara Nazione irachena - ha proseguito il Pontefice - colpita in questi ultimi giorni da numerosi e gravi attentati che hanno provocato molti morti e feriti. Possa questo grande Paese trovare la via della stabilità, della riconciliazione e della pace".

27 luglio 2012

Cristiani iracheni in Siria. Come al solito tra due fuochi.

By Baghdadhope*

In un'intervista rilasciata ad Ankawa.com il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, Mons. Shleimun Warduni, ha indicato uno dei problemi che stanno investendo in questi giorni la comunità di profughi cristiani iracheni giunti negli scorsi anni in Siria per fuggire dalle violenze in patria.
Mons. Warduni, costantemente in contatto con il vescovo caldeo di Aleppo. Mons. Antoine Audo, ha infatti ricordato come oltre che rischiare la vita a causa della guerra civile in Siria questi profughi si trovano di fronte ad un dilemma gravissimo. 
Come ha confermato infatti Mons. Warduni a Baghdadhope, molti di loro, infatti, una volta arrivati in Siria hanno fatto domanda presso l'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite per essere dislocati in un paese terzo, di solito occidentale, ed ora devono scegliere: tornare in Iraq considerato per ora e malgrado gli attentati più sicuro della Siria e perdere di  conseguenza l'anzianità nella lista dell'UNHCR o rimanere ma rischiare la vita. 

Come al solito gli iracheni cristiani si trovano a vivere tra due fuochi.
"Stanno vivendo una situazione infernale" ha ricordato a Baghdadhope  Mons. Warduni, "di cui purtroppo noi abbiamo esperienza visto che anche qui in Iraq la pace è lontana, e lo dimostrano i gravissimi attentati di lunedì scorso."

Interrogato se la Chiesa si stia preparando ad accogliere gli iracheni cristiani di ritorno dalla Siria Mons. Warduni ha affermato che per ora "la qestione non è stata ancora affrontata" ma che certamente in caso di necessità la Caritas ed altre associazioni si attiveranno in tal senso.  

26 luglio 2012

"Estate ragazzi" a Baghdad. Insegnamento, intrattenimento ed unione.

By Baghdadhope*


Il logo
Per quanto possa apparire strano anche a Baghdad, una città che ancora non conosce pace e dove ogni giorno si registrano atti di violenza ormai quasi neanche più riportati dalle cronache occidentali, si svolge una sorte di “estate ragazzi”.
 A farsi promotore del progetto che coinvolge circa 300 bambini e bambine tra i 7 ed i 13 anni è stato Padre Douglas Al Bazi, parroco della chiesa caldea di Mar Eliya al Hiri.
“Durante l’estate” ha spiegato il sacerdote a Baghdadhope, “è necessario cercare di tenere impegnati i bambini liberi dagli impegni scolastici e molte volte impossibilitati ad uscire di casa per i troppi pericoli di una città come Baghdad, perché non farlo in chiesa, un ambiente più protetto della strada? ”
Certo, quella proposta da Padre Al Bazi è un’attività che a differenza dei nostri campi estivi si svolge solo di venerdì, la giornata festiva in Iraq. Per il resto però si può dire non ci siano molte diversità.
“Per ora le attività iniziate venerdì 13 luglio sono programmate fino al 3 di agosto ma stiamo già pensando di estenderle nel tempo” ha spiegato padre Al Bazi. “I bambini arrivano in chiesa alle 9.00 del mattino e vi rimangono fino alle 16.00 mentre alle 12.30 è previsto il pranzo per tutti.”
“Ai bambini offriamo corsi e divertimento. I corsi sono di varia natura: catechismo, musica, inglese, computer, pittura e lingua aramaica. I bambini possono praticare il nuoto visto che negli spazi esterni alla chiesa sono state approntate 11 diverse piscine asportabili di varie misure e profondità  e possono divertirsi grazie agli animatori che giocano con loro.”
“Questa attività ricalca quelle che già la chiesa offre durante l’anno scolastico quando i bambini possono frequentare un giorno alla settimana corsi extra di inglese, computer e lingua aramaica, oltre che nuotare quando il tempo lo permette. Gli stessi corsi in altri giorni della settimana possono essere frequentati anche dagli adulti dai 99 agli 0 anni, come diciamo, ma ad essi si aggiungono, ed è la prima volta che una chiesa offre questo genere di servizio, anche corsi di teoria di guida che l’anno scorso hanno avuto 81 studenti, per la maggior parte donne.”
Molte opportunità, quindi…
“In una città difficile come Baghdad ogni momento di aggregazione è utile ed ogni attività può insegnare qualcosa. Ogni bambino ad esempio ha imparato a dire il proprio nome con il linguaggio dei segni e la scorsa settimana abbiamo ricevuto la visita di alcuni portatori di handicap. Queste attività mirano a far capire ai bambini che non ci sono differenze, che il portatore di handicap o chi è muto può benissimo e deve integrarsi nella società. Riteniamo che in un paese dalle mille divisione come l’Iraq insegnare a rispettare il diverso sia fondamentale per i cittadini del futuro ed è per questa ragione che al progetto hanno aderito altre chiese. Non solo quelle caldee dell’Ascensione, di San Giorgio, di San Pithion e della Santa Trinità ma anche quella Assira dell’Est di San Mari e la chiesa Evangelica che ha inviato i gruppi di animatori Happy Team e Smiling Face. Altri aiuti sono arrivati dalla Caritas che ha fornito una buona parte delle magliette e dei cappellini che servono a dividere i bambini in squadre per i tornei, e dal dipartimento governativo per i cristiani, gli yazidi ed i mandei che ha fornito le piscine.”
Un progetto all’insegna della sinergia e dell’unione.
“Collaborare con le altre chiese, cattoliche e non, per il bene dei bambini è importante non solo al momento ma anche e soprattutto per il futuro. La comunione del cuore  e nella preghiera è necessaria ma l’unione messa in pratica è fondamentale. In Iraq i cristiani sono ormai pochi e non ha senso che siano divisi. Questo è ciò che vogliamo insegnare ai nostri bambini, e lo facciamo giocando perché l’unione diventi per loro naturale come rspirare.” 
Gruppo dedicato al martire Padre Ragheed Ganni
Bambini in chiesa alla preghiera del mattino
Lezione di inglese
Gruppo dedicato al martire Mons. Faraj P. Raho
Lezione di aramaico

"Junior summer camp" in Baghdad. Teaching, entertainment and unity.

By Baghdadhope*

Timetable
Although it may seem strange even in Baghdad, a still unpeaceful city  where every day there are acts of violence most of which not even reported in the Western news, Iraqi Christian children can attend a sort of "junior summer camp”.
Promoter of the project involving about 300 boys and girls between 7 and 13 is Father Douglas Al Bazi, the Chaldean parish priest of Mar Eliya the Hiri church.
"During the summer," said the priest to Baghdadhope, "it is necessary to keep the children busy. They are free from school  and often they spend their time  at home because Baghdad is a very dangerous city. Why don’t gather them in the church, a more secure environment than the roads?   
Unlike our summer camp the activities offered by Father Al Bazi to the children are for only one day in a week, on Friday, the Iraqi day-off, but a part form this they are similar.
"By  now  the activities begun on the thirteen of  July  are scheduled until the third of  August but we are already planning of extending them beyond that date" said Father Al Bazi. "Children come to the church at 9.00 am and stay here until 16.00. At 12.30 lunch is provided for all of them."
"We provide courses and entertainment. The courses are catechism, music, English, computers, painting and Aramaic language. Children can enjoy swimming in the outdoor spaces where there are 11 plastic swimming pools of different sizes and depths and can have fun thanks to the entertainers who play with them.”
"These activities follow those that the church already offers during the school  year when children can attend one day per week extra courses in English, computer and Aramaic language, as well as swim when the weather is good. The same courses on other days of the week may also be attended by adults aged from 99 to 0 years, as we say, but in addition to them we offer, and  it is the first time that a church offers this kind of service, driving theory lessons attended  last year by 81 students, mostly women. "
So, many opportunities ...
"In a difficult city like Baghdad every moment of aggregation is useful and every activity can teach something. Every child, for example, learned  how to say his or her name in the language of signs and on the  last week we were visited by some handicapped people. These activities are designed to teach to the children that there are no differences, that the handicapped or who is deaf or dumb or both may and must   integrate into the society.
We believe that in a country like Iraq, where there are thousands of divisions, to teach to respect who is different is crucial for the future citizens and that’s why that other churches joined the project. Not only  Chaldean churches such as the Ascension, St. George, St. Pithion and the Holy Trinity but also that the Assyrian church of the East of St. Mari and the Evangelical Church that sent the groups of entertainers, Happy Team and Smiling Face.
We had further aid from Caritas, that provided half of the shirts and hats designed to divide the children into teams for the tournaments, and the government department responsible for Christians, Yazidis and Mandeans that supplied the swimming pools.”

A project characterized by synergy and unity.
"Working with the other churches, Catholic and not, for the sake of the children is important not only now but also and especially for the future. The communion of hearts and prayer is needed but the union put into practice is essential. In Iraq, Christians are now few and there is no reason for them to be divided. This is what we teach to our children, and we do it by playing because the union will become for them as natural as breathing."  

Fun in the swimming pool
The group named after the martyr Father Waseem Sabeeh
Language of signs



Handicapped people visiting the children





The group named after the martyr Father Thair Sad-alla Abd-al

Iraq, Ramadan insanguinato. L'arcivescovo Louis Sako: "la pace è molto lontana dal Medio Oriente, prigioniero di regimi dittatoriali e d'un concetto religioso ristretto"

By Crema online, 25 luglio 2012
di Andrea Galvani

Anche se i riflettori del mondo mediatico sono puntati sulla Siria, che vive momenti drammatici, non va dimenticato che tutto il medioriente è segnato da violenze e guerre che non risparmiano nemmeno il momento sacro del Ramadan. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare monsignor Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, più volte ospite a Crema in cattedrale, per sapere qual è la situazione oggi in Iraq.

Perché è così insanguinato il Ramadan in Iraq?
"Il Ramadan dovrebbe essere un tempo forte per la conversione e la solidarietà con gli altri, ma per alcuni è un tempo di jihad, guerra santa per l'Islam ed un tempo per imporre la legge islamica e creare uno Stato con la sharià. Per alcuni politici è un tempo di sfruttamento per interessi politici ed economici. La religione viene usata da tutti secondo i loro interessi. C'è una tensione fra Sunniti e Sciiti per il potere ed il petrolio; poi fra il governo centrale e il Kurdistan. L'Islam vive una profonda crisi, nell'Islam non c'è un'autorità ufficiale per spiegare i testi sacri e non c'è un Islam moderato per sostenere i cambiamenti della società moderna".
Lunedì 23 luglio è una data tragica
"Ciò che è successo in Iraq quel giorno, con 22 esplosioni che hanno portato 113 morti e oltre 200 feriti, è legato anche alla situazione in Siria. Gli sciiti appoggiano il regime di Assad e i sunniti e kurdi la resistenza".
Si può parlare di pace imminente o è ancora molto lontana?

"Non penso. La pace è molto lontana dai paesi musulmani del Medio Oriente, che sono prigionieri da una parte dei regimi dittatoriali e dall'altra d'un concetto religioso ristretto. La soluzione migliore è la separazione della religione dallo Stato, con la democrazia. L'unico progetto dovrebbe essere la cittadinanza e non la sola religione o le sette. L'Islam deve aggiornarsi, preparare dei capi aperti e colti, altrimenti non avrà futuro nel tempo. Ovunque ci sono guerre e conflitti: Egitto. Libia, Tunisia, Syria, Bahrain, Iraq. L'Islam politico guadagna terreno, perché convinto che sia la soluzione per frenare la modernità occidentale che ritengono essere fonte di corruzione e così elimina i capi di Stato pro Occidente, da dove secondo loro provengono tutti i mali".
Quale ruolo svolge la Chiesa in questa mediazione?
"La Chiesa ha una doppia missione: riflettere i valori cristiani in un vocabolario positivo, quella che chiamiamo Buona Novella del Vangelo, comprensibile e adatta alla mentalità musulmana, come hanno fatto i padri della Chiesa con la filosofia greca. La Chiesa ha la missione di riconciliare come ha fatto Cristo e promuovere la cultura del dialogo e della pace e del rispetto reciproco. E questo è possibile perché è una missione disinteressata". 

24 luglio 2012

Iraq. Anche il silenzio uccide


Le notizie che ci giungono anche oggi dall’Iraq, un centinaio di morti, alcune centinaia di feriti a Baghdad, a Kirkuk e in diverse altre città, riaprono una ferita nel cuore e nella memoria.
Noi di Pax Christi siamo stati molte volte in Iraq. Prima, durante e dopo la guerra. L’ultima volta circa un anno fa, con una delegazione guidata dal Presidente mons. Giovanni Giudici, Vescovo di Pavia.
Quando non si parla più di una situazione che ha vissuto per anni guerre e tragedie, si rischia di pensare che ormai tutto sia tranquillo. Questo vale anche per la Bosnia, l’Afghanistan, la Palestina e per molte zone dell’Africa e del mondo intero.
Il sapere che numerose esplosioni hanno seminato ancora morte e dolore. Il parlare con i molti amici che vivono in quella terra, come mons Sako e mons. Warduni, ci fa sentire più coinvolti. E ci invita a non tacere. Ad esprimere vicinanza a tutte le vittime, di ogni popolo e di ogni religione.
Siamo nel mese del Ramadan, un tempo privilegiato e intenso di preghiera, di perdono e di riconciliazione.
“Chiediamo a tutti – scriveva nel 2009 mons. Sako, Vescovo di Kirkuk – di impegnarsi in un dialogo fraterno, sincero e costruttivo, al fine di trovare una soluzione praticabile per la salvaguardia della sicurezza del popolo, per la stabilità della città e per la pace nel paese. La violenza non ha mai portato ad alcuna soluzione duratura dei problemi, anzi sempre è stata nutrimento per la vendetta ed occasione di maggiori lutti.”
Al dolore per le vittime delle bombe si aggiunge la preoccupazione per le numerose famiglie irachene che dopo essersi rifugiate in Siria ora ritornano, fuggendo dalla Siria dove hanno perso tutto.
Da una terra insanguinata ad una terra violentata. Accomunate, forse, da un connivente silenzio.
Certo, la nostra voce è debole e disarmata, ma non ci rassegniamo alla logica della guerra e delle bombe. Non vogliamo lasciare soli i nostri amici della terra di Abramo.
L’invito al dialogo, al rispetto, al rifiuto della violenza e della guerra per un cammino di pace, intendiamo rivolgerlo non solo a chi vive in Iraq o a chi, nelle sedi istituzionali, può operare per la pace.
Anche nelle nostre realtà è possibile fare gesti concreti di rispetto e di incontro, ad esempio riconoscendo e accompagnando i gesti di religiosità presenti nel mondo islamico, come il Ramadan.
Badiamo a non cadere in gesti di intolleranza, e vegliamo accanto ad ogni vittima di violenza e di guerra, gridando le ragioni della speranza nella pace.

d. Renato Sacco, responsabile per l’Iraq
Pax Christi Italia

Mons. Audo (Aleppo): "Un altro attacco ai cristiani in Siria sarebbe disastroso"

By Baghdadhope*

Il governatore iracheno della provincia di Ninive, Athiel Al Nujaifi, ha dichiarato ieri che il posto confine con la Siria è aperto dal lato iracheno e pronto ad accogliere i propri concittadini che però trovano difficoltà nell’attraversare  il confine dal lato siriano.
Secondo quanto affermato da Muhammad Al Khuzay, portavoce della Mezza Luna Rossa irachena, sarebbero già 7000 gli iracheni che hanno fatto ritorno in patria a causa della difficile e pericolosa situazione siriana.
Tra essi si sospetta possano rientrare anche gruppi armati ed è per questa ragione che il governo iracheno sta cercando di controllare l’identità di tutti coloro che varcano le frontiere dello stato provenienti dalla Siria.
 

Sempre più difficile è comunque la situazione dei cristiani siriani ed iracheni come confermato ad Aid to the Church in Need dal vescovo caldeo di Aleppo, Mons. Antoine Audo, che ha dichiarato come i cristiani che vivono in Siria siano terrorizzati dal possibile ripetersi della tragedia di Homs dove, nella scorsa primavera, i quartieri cristiani sono stati attaccati causando l’esodo dei loro abitanti, più di 120.000 persone.
Se ciò che è avvenuto ad Homs dovesse ripetersi in altre città, ha affermato Mons. Audo: “sarebbe disastroso.”
In una situazione pericolosa e volatile come quella siriana comprensibile è la prudenza con cui si è espresso il vescovo caldeo che, pur avvertendo del pericolo che potrebbero correre i cristiani, non si è sbilanciato nell’indicare una ragione per la quale la comunità potrebbe essere fatta oggetto di attacchi ma ha solo sottolineato come essa non abbia nessuna possibilità di difendersi in quanto minoranza sempre minacciata. 
Non si può fare a meno, leggendo l’intervista concessa da Mons. Audo, di pensare a come la sorte dei cristiani in Siria sia uguale a quella dei loro fratelli in Iraq.
Minoranza in pericolo, indifesa, e soprattutto costretta dalla situazione a non schierarsi da una parte o dall’altra per provare a sopravvivere. La Siria sarà il prossimo paese che vedrà la sua comunità cristiana ridursi ad un lumicino? Per ora niente è certo, ma intanto il parlamento iracheno ha chiesto al governo di provvedere non solo ai suoi concittadini che fuggono dalla Siria ma anche agli eventuali profughi siriani. 

23 luglio 2012

Ponte aereo per rimpatriare gli iracheni dalla Siria. Di nuovo profughi, questa volta in patria.

By Baghdadhope*

10 aerei partiranno da Baghdad per cercare di riportare in Iraq il maggior numero possibile di iracheni che vivono o si sono rifugiati in Siria. 
Questa decisione, comunicata dal portavoce del governo iracheno, Osama Al Nujaifi, segue l'arrivo di 8 aerei provenienti dalla Siria a Baghdad e la conseguente decisione del parlamento di facilitare l'evacuazione dei propri cittadini dal paese coordinando, come comunicato dal portavoce del governo iracheno, Ali Al Dabbagh, con l'ambasciata irachena in Siria agevolazioni nel disbrigo delle pratiche burocratiche necessarie allo scopo.    
Tra le migliaia di iracheni in pericolo per l'esplosiva situazione siriana moltissimi sono i cristiani e molti tra essi, come riferisce la TV Ishtar, risulterebbero bloccati alla frontiera tra Siria ed Iraq in attesa di poter fare ritorno nel paese al quale erano fuggiti negli scorsi anni alla ricerca di sicurezza ma nel quale, come affermato in un'intervista a Radio Free Iraq da Liqaa Wardi, a capo della commissione parlamentare per gli sfollati non è ancora stato approntato un piano di accoglienza. 
Una situazione tragica quindi che colpisce chi è già fuggito dalle violenza e  che non mancherà di creare altro disagio viste le difficoltà che queste persone dovranno affrontare per ricominciare la loro vita per l'ennesima volta senza più una casa, senza prospettive di lavoro ed in un paese che, pur essendo ormai uscito dalle cronache, è tutt'altro che pacificato come gli attentati degli ultimi giorni confermano.  

Attentati in Iraq: Mons. warduni (Baghdad), "Ci resta solo la preghiera"

By SIR

“Non sappiamo più cosa pensare e cosa dire. La nostra unica salvezza rimane la preghiera”: a parlare da Baghdad è mons. Shlemon Warduni, vicario patriarcale caldeo della capitale, all’indomani di una serie di attentati e di esplosioni che hanno colpito, contemporaneamente, ben 14 diverse località irachene, tra cui Kirkuk e Tikrit, provocando almeno 90 morti e circa 200 feriti. Si tratta della giornata più sanguinosa degli ultimi due anni. Data la modalità degli attentati le Forze di sicurezza irachene ritengono che dietro possa esserci la mano di al-Qaeda.
Forte la condanna del presule degli attacchi che, dichiara al SIR, “giungono proprio all’inizio del mese di Ramadan, di digiuno, penitenza e preghiera, un tempo che dovrebbe essere di pace e che invece è stato macchiato dal sangue di vite innocenti. Non sappiamo cosa dire, ci resta solo la preghiera con cui impetrare pace e riconciliazione a Dio per tutti gli iracheni. Chiediamo a Dio che ci aiuti a ricercare vie di dialogo e di pace”. 

Gruppi islamisti in azione a Damasco: le vittime sono civili cristiani e profughi iracheni


Gruppi islamisti radicali, nelle file dei rivoluzionari, seminano il terrore fra i civili a Damasco. A farne le spese sono tutti coloro che sono considerati “lealisti”, fedeli al regime di Bashar al Assad. Fra le vittime, riferiscono fonti di Fides a Damasco, vi sono anche dei cristiani del sobborgo di Bab Touma e i profughi iracheni che occupavano i sobborghi di Oujaira e Sada Zanaim.
Il gruppo ribelle islamista “Liwa al-Islam” (“La Brigata dell’Islam”), che nei giorni scorsi ha rivendicato l’uccisione di alti generali del governo Assad, questa mattina ha ucciso una intera famiglia cristiana a Bab Touma. Fra i fedeli locali, racconta un fonte di Fides, c’è costernazione e sdegno per l’assalto ai civili indifesi. I militanti di “Liwa al-Islam” hanno bloccato l'auto di un cristiano, Nabil Zoreb, pubblico ufficiale civile, hanno fatto scendere dall’auto lui, sua moglie Violet e due figli, George e Jimmy, uccidendoli tutti a bruciapelo. I militanti del gruppo sono molto attivi soprattutto nella regione di Duma e in altre zone a Est di Damasco, dove hanno compiuto altri atti criminali.
Inoltre nel Sudest di Damasco, combattenti islamisti del gruppo “Jehad al nosra”, vicini alla Fratellanza musulmana, hanno attaccato le case dei profughi iracheni, saccheggiandole, bruciandole e costringendo i loro occupanti a fuggire. L’assalto è stato riportata anche dai mass media occidentali, come la BBC. Secondo i profughi iracheni, “bande di terroristi musulmani ci hanno attaccato e inseguito”. La maggior parte delle bande che operano nel Sudest di Damasco sono considerate vicine alla Fratellanza musulmana, mentre i membri del gruppo “Liwa al Islam” sono di ideologia wahhabita.

13 luglio 2012

L'urgenza dell'unità Mons. Warduni (Baghdad) parla dell'Esortazione post-sinodale

By SIR

Tra circa due mesi Benedetto XVI volerà in Libano (14-16 settembre) per un viaggio apostolico che lo vedrà promulgare l’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente, frutto dell’Assemblea speciale del Sinodo, svoltosi in Vaticano dal 10 al 24 ottobre 2010, sul tema “La Chiesa cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza - La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32).
Al termine dei lavori furono presentati i documenti conclusivi, il “Messaggio al popolo di Dio” e 44 “Propositiones”, concentrati, in particolare sulla presenza cristiana in Medio Oriente, la comunione ecclesiale e la testimonianza di fede, la questione palestinese, le realtà dell’Iraq e del Libano, con un appello “ai responsabili pubblici” e “alla comunità internazionale”.
Sui possibili contenuti dell’Esortazione post-sinodale, Daniele Rocchi, per il Sir, ha posto alcune domande al vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, tra i partecipanti al Sinodo.
Alla luce delle Propositiones, quali sono, a suo avviso, i temi principali che verranno toccati nell’Esortazione?

“Penso che l’Esortazione sarà un testo abbastanza ampio che prenderà in esame tutte le questioni cruciali del Medio Oriente, in particolare la pace, l’emigrazione, la libertà religiosa, la convivenza tra le varie Confessioni e le diverse religioni, la cittadinanza, viste nell’ottica del bene di tutti i cittadini del Medio Oriente, una regione segnata da continue crisi e conflitti”
.
Un’Esortazione, quindi, che potrebbe rivolgersi non solo alle Chiese del Medio Oriente ma anche ai cittadini di questa area martoriata?
“Tutti i cittadini mediorientali desiderano vivere nella stabilità, nella sicurezza, nel diritto e nella libertà, in una parola vogliono la pace. Le religioni possono fare molto per costruire la pace nella regione, ma non devono essere strumentalizzate a fini politici, non devono essere motivo di violenza e di divisione. Le religioni sono per il bene dell’uomo, per permettere la convivenza naturale”.
Purtroppo le religioni sono anche una delle cause di violenze e di abusi e a farne le spese sono soprattutto le minoranze cristiane mediorientali che emigrano…

"Dio ha creato l’uomo per amore e tutte le fedi vogliono glorificare Dio compiendo il bene e il bello. Ogni atto che esce da questa sfera non appartiene alla religione, non proviene da Dio. La violenza religiosa appartiene all’odio e al rancore e non a Dio che semina solo amore, pace e riconciliazione. L’emigrazione non è altro che la conseguenza di atti sbagliati dell’uomo contro suo fratello, spinto a cercare altrove libertà, pace, diritto. Tutto ciò che è contro l’uomo è rigettato dalla Chiesa. L’Esortazione chiederà l’amore tra gli uomini, non fa differenza se cristiani, musulmani, ebrei, poiché tutti siamo figli di Dio”.
Prima parlava di “cittadini”: quello della piena cittadinanza, spesso non goduta dai cristiani mediorientali, è stato un tema affrontato nel Sinodo che è riapparso qualche mese dopo, nelle manifestazioni di piazza della “primavera araba”, come rivendicazione di pieni diritti e libertà civili. Pensa che troverà spazio nell’Esortazione?

“La tessera dell’uomo mediorientale non è la religione ma la cittadinanza. La religione viene dopo la cittadinanza, ma deve essere il motore dell’unità tra gli uomini e della libertà”.
C’è un messaggio che più di altri si attende da questa Esortazione, magari rivolto direttamente alle Chiese locali?

“L’Esortazione avrà un peso importante per tutto il Medio Oriente. Per le nostre Chiese mi aspetto un richiamo all’unità. Se vogliamo il bene dei cristiani dobbiamo unirci, almeno nei pensieri, per servire i nostri fedeli, per aiutarli a restare nelle loro terre. Il rischio che corriamo è che questa terra, che ha dato tanti apostoli, discepoli, santi e martiri, si svuoti dei cristiani, i suoi veri cittadini. Con le Chiese sorelle dobbiamo unirci, sacrificarci e allontanare l’egoismo che esiste in ognuno di noi. Risuona forte e attuale il tema del Sinodo, ‘comunione e testimonianza’. La Chiesa di oggi deve tornare alle origini, a come vivevano i primi cristiani che si amavano gli uni gli altri mettendo in comune i loro beni”.

Violence forces Iraqi Christians to leave Mosul

By Business Recorder, 17/13/2012
by Sahar Badran

Violence remains a fact of life in the northern Iraqi city of Mosul, nine years after US forces deposed Saddam Hussein. While all sects have fallen victim to relentless bombing and shooting attacsk, members of the city's once-numerous Christian community say they are being singled out.Two waves of killings and intimidation in 2008 and 2010 sent Christians fleeing from Mosul in such haste that the United Nations had to arrange emergency assistance. Umm Ishwa, 50, abandoned the city for a safer village even earlier, and has stayed there since.
"We left Mosul when my son, a doctor, was assassinated near his clinic in 2006," she told dpa. (
Deutsche Presse-Agentur) Mosul, 400 kilometres north of the capital Baghdad, remains one of the most violent places in Iraq despite a government security campaign. The authorities admit they still have much to do.
"Attacks targeting Christians in the city are still continuing, in addition to daily violence," says General Ahmad Mohammed al-Jabouri, director general of the Mosul police. "And that is despite the security measures that have been taken, which include deploying all kinds of security as well as a special intelligence effort."

"Between 2005 and 2011," al-Jabouri explained, "our operational command recorded the assassination of some 69 Christians, including university students, priests, female employees and housewives. The last attack targeting Christians was in March 2012 when armed men killed a Christian man, his wife and injured a four-year-old child.
We are working to bring about a quiet life for the Christians," he adds.
Some 25,000 Christians lived in Mosul, which with a total population of almost 2 million is Iraq's second-largest city. Many more live in the surrounding Nineveh province.

The United Nations says 12,000 fled Mosul in 2008, some of whom have since returned, and another 5,000 left in 2010. About 70 per cent of the city's Christians belong to the Chaldean Church, a Catholic group that follows Assyrian rites.

Christianity is deeply rooted in the area, where it spread among the Assyrians as early as the first century AD. Monasteries dating to the fourth century stud the countryside around Mosul.

But after the US-led invasion of Iraq in 2003 and the subsequent violence, many Christians fled to neighbouring Syria - until last year, a safe refuge - or to villages outside the city.

Maha Qureiqoz, head of the Hope Association for Christians' Rights in Bartala, east of Mosul, says the future is bleak for Iraq's Christians. "We are worried about the continued flight of Christian families from Mosul."

12 luglio 2012

Manifestazione nazionale "Salviamo i cristiani"


Un'occasione, a Roma, per far sentire la propria voce contro la crescente persecuzione nei confronti dei cristiani. Tra i partecipanti anche il Sindaco Alemanno

Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, parteciperà alla manifestazione nazionale “Salviamo i cristiani” che si terrà a Roma in Piazza Santi Apostoli mercoledì 18 luglio alle ore 19. L'iniziativa è promossa dall'Associazione “Salviamo i cristiani” presieduta dalla scrittrice Silvana De Mari.
La manifestazione è apartitica ed è aperta al coinvolgimento di tutte le forze politiche, sociali e religiose che vogliono far sentire la propria voce contro la crescente discriminazione, persecuzione, stragi nei confronti dei cristiani, che sono determinate a difendere i valori assoluti e universali della sacralità della vita, della dignità della persona, della libertà religiosa che garantiscono tutti senza alcuna eccezione.
La manifestazione vuol essere la continuazione ideale della mobilitazione del 4 luglio 2007, sempre in Piazza Santi Apostoli a Roma, per denunciare l'impennata delle violenze contro i cristiani in Iraq e altrove nei Paesi a maggioranza islamica, promossa dall'allora vice-direttore del Corriere della Sera Magdi Allam, a cui parteciparono circa un centinaio di parlamentari di diversi schieramenti tra cui Silvio Berlusconi, l'esponente islamica moderata Souad Sbai e il rappresentante della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici.

Tutti coloro che vogliono aderire alla manifestazione possono comunicarlo alla mail 
segreteria@salviamoicristiani.it o telefonando al 348.6584001 (Marialuisa Bonomo)

I cristiani in fuga dall'Iraq. Mons. Warduni: per farcela dobbiamo restare uniti

By Radiovaticana 10 luglio 2012

Sono cinquemila le famiglie cristiane che hanno lasciato negli ultimi mesi la zona di Mossul nel nord dell’Iraq. Mossul, distante 400 chilometri da Baghdad, è tornata ad essere insicura e le violenze sono all’ordine del giorno malgrado il piano di sicurezza ideato dal premier, Nuri al-Maliki, e l’impegno dichiarato dell’esercito. Dal 2005 alla fine del 2011 sono stati almeno 69 casi di omicidio tra i membri della comunità cristiana, in particolare giovani e studenti di scuola e università.
Della situazione dei cristiani in Iraq Fausta Speranza ha parlato con mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, che innanzitutto allarga il discorso a tutto il Medio Oriente:

La situazione in Medio Oriente, in genere, non è buona - come tutti sanno - e questo influisce anche sull’Iraq. Inoltre, la nostra situazione non è tranquilla perché ci sono diverse questioni tra il governo, i partiti e le confessioni e ciò influisce negativamente su tutto il Paese. Noi dobbiamo parlare innanzitutto dela situazione in generale degli iracheni, perché i cristiani vivono in questo ambiente. In più, il numero di noi cristiani è minore rispetto a quello degli altri, specialmente dei musulmani, e questo ci fa vivere tante altre difficoltà. La fuga dei cristiani, purtroppo, non si ferma e avviene ovunque: da Mosul, dal Nord, da Baghdad. I cristiani di Mosul in genere vanno al Nord oppure fuggono all’estero, verso altre nazioni. Da noi manca la pace, manca la sicurezza, mancano le occasioni di lavoro.

Come mai la politica non riesce a sostenere i cristiani o comunque è troppo debole l’intervento in difesa delle minoranze?

Ci fanno tante belle promesse, ma di fatti ce ne sono pochi. Una delle cause è che il governo è occupato nella riconciliazione fra questo e quello, tra chi chiede di più e chi chiede di meno, e non guardano quindi al bene della nazione. Dicono di voler risolvere tutti i problemi, di volere il bene di tutti, però nei fatti non è così. C’è però una lacuna anche nei cristiani, nella loro mancanza di unità, mancanza di cooperazione, mancanza di aiuto reciproco. Questa è una grande lacuna. Quindi, noi dobbiamo unirci per poter resistere e per poter preparare, offrire, presentare le nostre difficoltà con unità, con più forza.

Durante la guerra in Iraq, molti cristiani sono fuggiti in Siria. Ora, queste persone stanno fuggendo anche dalla Siria, stanno tornando in Iraq, e cosa altro?
Certamente, molti di loro stanno fuggendo. Molti sono andati in Turchia, molti sono voluti andare in Giordania, ma non li fanno restare e sono tornati in Iraq, e molti, forse, sono andati in Libano. Quindi, questi poveri fuggono da un posto all’altro e solo il Signore li aiuta, perché il mondo è occupato nei suoi affari: come fare politica, come vendere di più le armi a questo o quello. Questi sono i mali della guerra o i mali del mondo di oggi: gli interessi, mammona. Ciascuno vuole per sé.

9 luglio 2012

Francia: Progetto per una nuova chiesa caldea che sarà dedicata a San Giovanni Apostolo

By Baghdadhope*

Nel 2014 Parigi avrà un'altra chiesa caldea. La capitale francese ospita già due edifici di culto per i fedeli caldei, all'incirca 18.000 persone in tutta la Francia delle quali quasi 11.000 vivono a Parigi ed a nord della capitale. La prima ad essere consacrata, nel 1992, fu, nel XVIII arrondissement parigino, la chiesa di Nostra Signora dei Caldei affidata a Mons. Pretus Yousef, amministratore patriarcale caldeo in Francia. Ad essa fece seguito la consacrazione nel 2004 della chiesa di San Tommaso Apostolo a Sarcelles nel dipartimento della Val-d'Oise nella regione dell'Île-de-France, affidata alla cura di Padre Sabri Anar.
La nuova chiesa che sorgerà ad Arnouville, sempre a nord di Parigi, sarà dedicata a San Giovanni Apostolo, "il discepolo che Gesù amava" e che trascorse una buona parte della sua vita in Turchia, il paese dal quale provengono molti dei fedeli caldei che vivono in Francia.
In un'intervista ad Ankawa.com, Padre Sabri Anar ha descritto come è nata l'idea di costruire un nuovo edificio di culto caldeo ed ha dato qualche dato.
La chiesa, ha spiegato Padre Anar, è necessaria per servire una comunità di circa 500 famiglie, equivalente a circa 3000 persone, che ne faranno il proprio punto di riferimento. Una comunità numerosa e viva se contiamo i 220 battesimi celebrati lo scorso anno, i 75 matrimoni, i 1100 studenti di catechismo, i 188 bambini che si stanno preparando alla prima comunione ed i 150 studenti di aramaico  
Il terreno su cui la chiesa sorgerà (circa 4.500 mq) è stato acquistato dalla comunità caldea in due tempi e la posa della prima pietra è prevista per la fine del 2012. L'edificio, che nella forma ricorderà le ziqqurat mesopotamiche, ospiterà la chiesa ma anche sale riunioni, sale per seminari e catechismo nonchè gli alloggi per i sacerdoti, ed ad esso si affiancheranno (da realizzare successivamente) una scuola privata ed una casa di riposo.      

5 luglio 2012

Ur dei Caldei - Iraq. Una tenda sicura


Dove e perché
L’Iraq è conosciuta come una terra in guerra. Dal 2003, anno di inizio del conflitto armato, si può dire che la guerra non ha più lasciato il paese, devastando le infrastrutture e distruggendo i terreni in superficie e in profondità (causando così grossi problemi di accesso alle fonti d’acqua). I continui conflitti hanno gettato il Paese in una situazione molto confusa anche a livello sociale.
Ancora una volta sono i  piccoli a registrare i maggiori disagi in questa situazione: la distruzione di tutte le infrastrutture ha avuto un effetto negativo sulle opportunità educative dei bambini e ragazzi e sulla situazione sanitaria. Migliaia di scuole sono state distrutte e a metà di quelle rimaste manca la rete fognaria e l’acqua potabile. Anche la situazione delle donne non è certamente migliore: si parla di apartheid sessuale nel riferirsi alle condanne a morte per lapidazione, alla segregazione sessuale nei luoghi di lavoro, ai permessi che i padri o i mariti devono concedere alle donne per permettere loro di lavorare, studiare o viaggiare, ed al fatto che alle donne divorziate non è permesso vedere i loro bambini.
La popolazione è costituita nella maggioranza da arabi, con alcune minoranze etniche tra e quali la più numerosa è costituita dai curdi. La religione professata dal 97% della popolazione è musulmana; solo una piccola minoranza è cristiana.

Cosa vogliamo fare
Ur dei Caldei è luogo molto caro alla cristianità. Lì abitava Abram, quando venne raggiunto dall’invito di Dio di andarsene da quel paese, dalla casa di suo padre, per porre la sua tenda in una nuova terra. È quindi in Iraq che Abram ebbe le sue origini, in quella terra costruì la tenda per la sua famiglia, con la gente di quella terra intessé le relazioni più umane e gli affetti più veri…
Sarà poi, intorno agli anni 70-80 d.C., sulle orme storiche di Abramo, nostro Padre nella fede, che è stata annunciata, dall’apostolo san Tommaso, la novità del Vangelo di Gesù.
I pochissimi cristiani che vivono in questa terra, non hanno mai avuto vita facile: la testimonianza autentica della fede in Cristo, li ha sempre obbligati a faticosi periodi di persecuzione o di intolleranza. Dalla Congregazione della Santa Sede per le Chiese Orientali, è cui è affidato il Patriarcato della Chiesa Cattolica Caldea, arriva un progetto di sostegno dei più piccoli: le Suore Caldee Figlie del Sacro Cuore, una congregazione locale nata cento anni fa, sono presenti nella città di Ankawa-Arbil e svolgono numerosi servizi nel campo pastorale, caritativo, assistenziale. Il loro impegno primario è rivolto ai 250 bambini che accolgono in una sorta di asilo infantile. La struttura che ospita i piccoli è estremamente fatiscente: tre piccole stanza ubicate al pianterreno del convento delle suore e tre tende costruite provvisoriamente nel cortile. Ankawa- Arbil è una città costruita nel deserto: la polvere, l’escursione termica, il troppo freddo e il troppo caldo…. non sono buoni compagni di coloro che abitano le tende, soprattutto se essi sono bambini. Il progetto si prefigge di offrire un aiuto concreto alle suore, dando loro la possibilità di realizzare una semplice struttura in muratura che ospiti i piccoli, offrendo loro una sistemazione dignitosa e sicura.

Per sostenere il progetto
•    Con 50,00 euro puoi contribuire all’acquisto di 20 mattoni
•    Con 20,00 euro si partecipa allo stipendio giornaliero di un operaio
•    Con 100,00 euro puoi dare il tuo aiuto per l’impianto idraulico
•    Con 100,00 euro puoi contribuire all’impianto elettrico
•    Con 60,00 euro puoi contribuire all’acquisto dei sacchi di sabbia
Costo annuale del sostegno a distanza è 250,00


Per eventuali versamenti:

Versamento diretto
Direttamente nella sede del Centro Missionario Diocesano
Bollettino Postale
ccp n. 11757242
intestato a Ufficio Missionario Diocesano,
via Conventino, 8
24125 Bergamo

Bonifico bancario
Banco di Brescia, via Camozzi Bergamo
CC n. 1400, ABI 3500, CAB 11102
IBAN: IT41G0350011102000000001400

Credito Bergamasco, Fil. Della Malpensata
CC n. 6500, ABI 03336, CAB 11105
IBAN: IT90K0333611105000000006500

  


4 luglio 2012

‘Noi, cristiani in fuga nel Kurdistan iracheno’

di Luca Attanasio

A Erbil, capitale curda dell'Iraq con la più grande comunità cristiana del paese, da qualche anno è sorto un ambulatorio gestito da medici cristiani, una delle pochissime realtà di volontariato autoctono del paese. Il centro è intitolato alla memoria di Ragheed Ganni, il sacerdote 35enne ucciso a Mosul il 3 giugno del 2007 assieme a tre suddiaconi nei pressi della sua parrocchia.
La visita dei ventidue medici iracheni alla comunità di Sant'Egidio e ad altre realtà sanitarie d'Italia è l'occasione per parlare della clinica, ma anche della situazione attuale dell'Iraq, del Kurdistan teatro di nuove tensioni, della condizione dei cristiani tra proposte di mini-Stati e minacce continue e del futuro del nuovo Iraq.

Basman Marqus, medico di base, Erbil
Faiq Braimok Basa, neurologo, Erbil
Omar Salim Peter, otorinolaringoiatra, Baghdad
Nadeen Janed Ibrahim, dentista, Baghdad
Fadi Basheer Zakko, otorinolaringoiatra, Mosul

LIMES Come e quando nasce la vostra esperienza?
Basman: Neanche quattro mesi dopo l’assassinio di padre Ragheed Ganni, un prete a lui molto vicino, padre Rayan Atto, ha voluto dare vita a un’iniziativa benefica in suo nome. Visti i problemi sanitari ed economici di tanta gente – in particolare di chi ha lasciato le città del sud dell’Iraq e Mosul, per trovare rifugio in Kurdistan – ha contattato un piccolo gruppo di medici. In breve siamo diventati ventidue. Le comunità cristiane della diaspora in Europa ci inviano costantemente farmaci che noi raccogliamo e distribuiamo senza chiedere alcun compenso. Offriamo anche visite specialistiche: chi può lascia una donazione, gli altri, la gran parte, sono visitati gratuitamente.
Che tipo di patologie affrontate in genere?
Omar: Molte patologie croniche. In più, poiché le persone che vengono al nostro centro sono in maggioranza profughi interni, sono in aumento le patologie di tipo psicologico, depressioni, stress post-traumatici. Per le patologie croniche, come il cancro ad esempio, le percentuali tra la popolazione del sud dell’Iraq sembrerebbero essere più alte della media, forse a causa delle radiazioni e di una maggiore fragilità immunologica da stress.
Il centro è aperto a tutti?
Fadi:
Assolutamente sì. Vorrei sottolineare il carattere universale del nostro centro. In un paese in cui l’etnicità, anche tra i cristiani, è esaltata, in cui sui documenti viene segnalata l’appartenenza religiosa, noi vogliamo essere un esempio di unità: i medici sono caldei, siro-ortodossi, siro-cattolici e tra i nostri pazienti, oltre a tutte le confessioni cristiane, ci sono molti musulmani.
Quali sono i problemi sociali di una società post-bellica che ancora sperimenta grossissime tensioni?
Basman:
Sul concetto di post-bellico avrei qualcosa da osservare. Sì, è vero, la guerra tra forze alleate ed esercito iracheno è finita. Per come la vedo io però siamo in guerra permanente dal 1958, anno in cui da regno siamo divenuti una repubblica. Non vediamo la luce alla fine del tunnel.
Omar: Un grosso problema è poi l’immensa corruzione che esiste a ogni livello di amministrazione. La situazione economica, specie nel Kurdistan, è l’unico segnale leggermente positivo, poiché ci sono maggiori opportunità di lavoro.
Nadeen: Temo che quello che dice Omar non sia più vero adesso: fino a uno o due anni fa lo era, ma ora il lavoro comincia a scarseggiare anche in Kurdistan a causa dell'enorme afflusso di profughi.
Basman: La guerra e la violenza sono diminuite, ma le conseguenze sono ancora visibili. Abbiamo vissuto per decenni in perfetto isolamento, non conosciamo neanche il significato di concetti come diritti umani e civili. Abbiamo conosciuto solo dittatura e guerra non sapendo cosa succedeva al di fuori. Ora speriamo finalmente di avere la possibilità di uscire e conoscere altre realtà (molti dei ventidue medici sono per la prima volta in Europa, n.d.r.).
A livello politico, quali sono le questioni aperte?
Fadi: 
Siamo molto preoccupati per le grosse tensioni che al momento vi sono tra il governo centrale e quello del Kurdistan. Ultimamente si registra l'ascesa dell’islam radicale anche in Kurdistan, con aumento dei consensi dei partiti confessionali. Ci sono state violenze a Zakho e a Dohok (nel dicembre scorso a Zakho e in seguito a Dohok, gruppi estremisti islamici sotto la spinta di un imam locale, hanno distrutto alcune attività dei cristiani nella zona; gli attacchi hanno causato l’incendio di decine di negozi e almeno 30 feriti, n.d.r.). Ma anche a Erbil hanno distrutto negozi e bar che vendevano alcool o articoli contrari alla fede islamica.
Omar: Sta aumentando l’estremismo, lo capisci anche dalle semplici conversazioni al lavoro con i colleghi. Tutti sanno poi che i motivi di conflitto tra regione e regione, specie per la distribuzione dei proventi del petrolio, sono moltissimi. Tutto è diviso, frazionato a seconda delle appartenenze. Un paese bloccato senza speranza di ascesa sociale: se non appartieni a certi gruppi non ti muovi.
Che influenze ha avuto sul vostro paese la primavera araba?
Basman: 
Io personalmente non la chiamo primavera araba ma islamica.
Siete d’accordo anche voi?
Tutti: 
Certamente…
Basman:
È un movimento portato avanti perlopiù da islamici e temo che non avrà sbocchi molto democratici. In ogni caso, a seguito della primavera islamica la situazione attorno all’Iraq si è fatta ancora più calda e ciò crea ulteriori pressioni sulle minoranze, non solo sui cristiani. La situazione è molto tesa.
Tutti voi siete nati e cresciuti nell’era di Saddam: come cristiani e semplici cittadini, quali sono oggi i maggiori cambiamenti?
Faiq:  Direi che le principali differenze sono due: sotto Saddam c’era maggiore sicurezza. Per i cristiani ad esempio, la protezione era maggiore al centro e al sud - non al nord. Dal punto di vista economico e quello delle opportunità di impiego oggi va meglio, i salari sono un po’ più alti. La sicurezza però, lo ribadisco, è quasi nulla. Per questo tutti noi - e decine di migliaia come noi - abbiamo dovuto rifugiarci in Kurdistan.
Basman:
Per me non è cambiato molto, la democrazia per noi era e resta un concetto astratto, il nostro unico diritto è che ci lasciano pregare.
Omar:
Se lo Stato non separa una volta per tutte politica e religione, non vedo futuro per il nostro paese. Spero che altra gente come noi possa visitare l’Europa e altre aree per uscire dall’isolamento e scoprire altre vie possibili, altre culture. Noi siamo una generazione di “isolati” ed è difficile che possa scaturire qualcosa di buono da gente che ha conosciuto solo guerra, chiusura, pensiero unico.
Tempo fa si parlava della costituzione di un’enclave cristiana nella zona della piana di Ninive, a ridosso di Mosul. È ancora una pista percorribile? Voi che ne pensate?
Fadi:
È chiaro che dopo anni di attentati, minacce, uccisioni anche di massa di membri della comunità cristiana irachena, si siano esplorate nuove possibilità, tra queste anche quella di un mini-Stato. In realtà il progetto piana di Ninive è completamente sepolto per vari motivi. La zona attorno a Mosul è al 95% sunnita, l’ala più dura dell’Islam iracheno, inoltre esistono in quell’area altre minoranze, non vedo come potremmo costituire uno Stato cristiano. Ma poi se il problema è essere continuamente sotto il mirino, concentrarci tutti in un’area sarebbe un invito a chi ci perseguita. Di recente si è cominciato a discutere dell’istituzione di una provincia cristiana con un margine di autonomia e maggiore protezione.