"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 aprile 2008

Il vescovo ausiliare di Baghdad a Venezia: in San Marco una messa per la pace in Iraq

Fonte: Gente Veneta

Il vescovo caldeo mons. Shlemon Warduni, ausiliare del patriarca di Baghdad, sarà a Venezia sabato 3 maggio e pregherà, nella basilica di San Marco, per la pace nel mondo ed in particolare nella sua martoriata terra. L'appuntamento è per le ore 18.45 nella cattedrale marciana: concelebrerà l’Eucaristia il vescovo ausiliare di Venezia mons. Beniamino Pizziol. Mons. Warduni è accompagnato da don Renato Sacco della delegazione di Pax Christi Francia-Italia che si è recata in Iraq lo scorso febbraio. «Invitiamo tutti - è scritto nel volantino diffuso in questi giorni da Pax Christi Venezia - ad essere vicini al dolore e alla sofferenza che sta vivendo da troppo tempo il popolo iracheno, e con esso la chiesa, per invocare il dono della pace, pregare per tutte le vittime e ricordare in modo particolare l'Arcivescovo di Mosul, Paulos Faraj Rahho, rapito e trovato morto il 3 marzo». (Era il 13 marzo, nota di Baghdadhope)

Iraq: Mgr. Warduni in Venice "A Mass for peace"

Source: GenteVeneta

Translated by Baghdadhope

The Chaldean bishop Mgr. Shlemon Warduni, Auxiliary of the Patriarch of Baghdad, will be in Venice next Saturday, May 3, and will pray in the Basilica of San Marco "for peace in the world and in his battered land." To give the news is the press office of the Patriarchate of Venice: the appointment is at 18.45 in the cathedral. The Eucharist will be celebrated by the auxiliary bishop of Venice, Mgr. Beniamino Pizziol. Mgr. Warduni is accompanied by Don Renato Sacco, who was part of the Franch-Italian delegation of Pax Christi that went to Iraq on last February. "We invite everyone - we read in the pamphlet given out in last days by Pax Christi Venice - to be near the pain and suffering that Iraqi people, and the church, have been living since too long ago, to invoke the gift of peace, to pray for all the victims, remembering especially the Archbishop of Mosul, Paulos Faraj Rahho who was kidnapped and found dead on March 3.” (It was the 13 of March, note by Baghdadhope)

Sondaggio UNHCR: Solo il 4% dei rifugiati iracheni in Siria ha deciso di tornare in patria


Secondo i risultati di un sondaggio condotto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), il 95 percento dei rifugiati iracheni in Siria è fuggito dal proprio paese a causa di minacce dirette o delle condizioni di sicurezza difficili in tutto l’Iraq. Il sondaggio, per il quale sono stati interpellati quasi mille rifugiati iracheni, ha mostrato anche come solo il 4 percento preveda di far ritorno a breve in Iraq.L’ultimo Studio di Valutazione sui Rimpatri è stato eseguito per l’UNHCR in Siria dall’agenzia di ricerche di mercato IPSOS tra il 2 ed il 18 marzo. 994 rifugiati residenti a Damasco hanno risposto ai questionari IPSOS nei punti di registrazione e di distribuzione di beni alimentari dell’UNHCR, nei centri sociali di quartiere e nel corso di visite a domicilio degli operatori umanitari. L’86 percento dei rifugiati iracheni interpellati è registrato con l’UNHCR a fronte di un 14 percento che non lo ha ancora fatto. Il 95 percento afferma di essere fuggito dall’Iraq nel corso degli ultimi anni a causa di minacce dirette (65 percento) o delle condizioni di sicurezza difficili (30 percento). Il 2 percento circa ha lasciato l’Iraq prima del 2003; il 44 percento lo ha fatto tra il 2003 ed il 2006; il 54 percento dopo il 2006. Il 94 percento ha un permesso di soggiorno siriano in corso di validità.


Clicca su "Leggi tutto" per il sondaggio dell'UNHCR
Il sondaggio mostra inoltre come solo 39 delle 994 persone che hanno risposto al questionario, ovvero il 4 percento, prevedono di far ritorno in Iraq a breve. Di queste 39 persone, il 31 percento pensa di farlo nei prossimi 12 mesi, mentre il restante 69 percento non ha ancora fissato una data per il ritorno. L’89,5 percento (890 su 994) non pensa di tornare in Iraq, mentre il 6,5 percento (65 su 994) non sa se lo farà.Dal sondaggio risalta il carattere estremamente poco statico di questa popolazione, di cui il 34 percento ha visitato l’Iraq una o due volte nel corso dell’ultimo anno. I rifugiati iracheni, inoltre, sono in contatto con le aree d’origine e con i loro concittadini che hanno scelto il rimpatrio volontario. Il 27 percento afferma di conoscere persone che sono già tornate in Iraq. Di questo 27 percento, il 62 percento è ancora in contatto con chi ha fatto ritorno ed il 77 percento ha potuto fornire informazioni riguardo al fatto che le condizioni in patria non sarebbero adeguate per una serie di ragioni.I rifugiati iracheni in Siria che non vogliono tornare nel proprio paese non lo vogliono fare per una serie di motivi: il 61 percento afferma di essere l’oggetto di minacce dirette in Iraq; il 29 percento cita le difficili condizioni di sicurezza; l’8 percento afferma che la propria casa è stata distrutta o è occupata da altre persone; l’1 percento non ha un lavoro in Iraq; un altro 1 percento dice di non avere più parenti nel paese.I risultati del sondaggio saranno disponibili sulla pagina web dedicata all’Iraq del sito internazionale dell’UNHCR (http://www.unhcr.org/cgi-bin/texis/vtx/iraq). Un altro sondaggio, per il quale sono state interpellati 400 rifugiati iracheni nel corso delle prime tre settimane di marzo, è stato svolto in Giordania. I risultati di questo sondaggio saranno pubblicati a breve. Gli iracheni costretti a fuggire a causa della crisi nel proprio paese sono 4,7 milioni. Più di 2 milioni di loro sono rifugiati e vivono nei paesi confinanti, perlopiù in Siria ed in Giordania. 2,7 milioni, invece, sono sfollati all’interno dell’Iraq. L’UNHCR ribadisce il proprio impegno ad identificare gli ostacoli che impediscono agli iracheni di far ritorno a casa in maniera sicura e dignitosa ed a lavorare con il governo iracheno affinché vengano attuate misure tese a superare questi ostacoli per far sì che il rimpatrio volontario possa essere possibile in futuro. A gennaio l’UNHCR ha lanciato un appello per la raccolta di 261 milioni di dollari per le operazioni a favore dei rifugiati e degli sfollati interni iracheni. Ad oggi l’Agenzia ha ricevuto poco meno della metà di questi fondi, che non saranno quindi sufficienti a coprire le spese nella seconda metà del 2008. Al 22 aprile i principali donatori per il programma Iraq dell’UNHCR erano gli Stati Uniti ($95,4 milioni), il Canada ($1,5 milioni) ed il Regno Unito ($6,2 milioni), cui si aggiungevano Germania, Svezia, Finlandia, Commissione Europea, Kuwait, Francia, Italia (292.000 $, dato pubbblicato nelle versioni inglese e francese, nota di Baghdadhope) ed i donatori privati in varie parti del mondo.

Survey shows most Iraqis in Syria still unwilling to return home

Source: UNHCR

GENEVA, April 29 (UNHCR) – A survey of nearly 1,000 Iraqis currently staying in Syria has shown that 95 percent fled their homeland because of direct threats or general insecurity and that only 4 percent currently had plans to return to Iraq.
The latest Assessment on Returns to Iraq was carried out for the UN refugee agency by the IPSOS market research agency in Syria from March 2-18. A total of 994 interviews were undertaken in Damascus at UNHCR's registration and food distribution sites, in community centres or during home visits.
Some 86 percent of the respondents were registered with UNHCR, while 14 percent had not yet been registered. A total of 95 percent stated that they had fled Iraq in recent years, either due to direct threats (65 percent) or general insecurity (30 percent). About 2 percent of the interviewed Iraqis had left Iraq before 2003; 44 percent between 2003 and 2006; and 54 percent since 2006. A total of 94 percent had a valid residency permit in Syria.


Click on "leggi tutto" for the survey by UNHCR

The survey revealed that of all those interviewed, only 39 out of 994 people – or 4 percent – were planning to return to Iraq. Of these 39 people, 31 percent planned to return within the next 12 months and the remainder had not set a date. A total of 89.5 percent (890 out of 994) were not planning to return to Iraq, while 6.5 percent (65 out of 994) did not know if they were returning to Iraq.
The survey demonstrated not only the highly mobile nature of this population, with 34 percent having visited Iraq once or twice in the last year, but also that Iraqis are in touch with their home areas and people who have returned voluntarily.
Of the 27 percent who reported knowing people who had returned to Iraq, 62 percent said they were still in contact. Of those Iraqis who knew people who had returned, 77 percent provided feedback that stated that the conditions at home were not satisfactory.
The following reasons were given by those not wishing to return: 61 percent stated they were under direct threat in Iraq; 29 percent did not want to return because of the general insecurity in Iraq; 8 percent responded that their home in Iraq had been destroyed or was presently occupied by others; 1 percent said they had no job in Iraq; and 1 percent said they had no more relatives left at home.
A similar survey has been conducted in Jordan, where 400 Iraqis were interviewed during the first three weeks of March. The results of that survey are still being analyzed.
A total of 4.7 million Iraqis have been uprooted as a result of the crisis in Iraq. Of these, more than 2 million are living as refugees in neighbouring countries – mostly Syria and Jordan – while 2.7 million are displaced inside Iraq.
"UNHCR remains committed to identifying obstacles to a safe and dignified return to Iraq and to working with the Iraqi government on measures aimed at addressing these obstacles to ensure that a voluntary return will someday be possible," agency spokeswoman Jennifer Pagonis said in Geneva on Tuesday.
She noted that UNHCR had appealed in January for US$261 million for its work on behalf of Iraqi refugees outside their country as well as for the internally displaced. "So far, we have received just under half of that amount, which is not enough to keep our programmes going during the second half of 2008," she stressed.
Iraq programme donors as of April 22 include the United States (US$95.4 million); Canada (US$1.5 million); United Kingdom (US$6.2 million); Germany (US$3.9 million); Sweden (US$2.3 million); Finland (US$1.5 million); European Commission (US$6.3 million); Kuwait (US$1 million); France (US$740,000); Switzerland (U$702,000); Italy (US$292,000); private donors (US$109,000).

Iraq : Une récente étude sur le retour montre que peu prévoient de rentrer bientôt

Source: UNHCR France

Ceci est un résumé des déclarations du porte-parole du HCR Jennifer Pagonis – à qui toute citation peut être attribuée – lors de la conférence de presse du 29 avril 2008, au Palais des Nations à Genève.
Une enquête commandée par l'UNHCR auprès de 1 000 Iraquiens résidant actuellement en Syrie montre que 95 pour cent d'entre eux ont fui leur pays d'origine à cause de menaces directes ou de l'insécurité générale. Seulement quatre pour cent d'entre eux ont actuellement prévu de rentrer en Iraq.
Cette dernière évaluation sur les retours vers l'Iraq a été menée par l'institut de sondage IPSOS en Syrie entre le 2 et le 18 mars pour l'UNHCR. Un total de 994 interviews ont eu lieu à Damas dans les centres d'enregistrement et de distribution alimentaire de l'UNHCR, dans des centres communautaires ou au cours de visites à domicile.

Click on "Leggi tutto" for the survey by UNHCR

86 pour cent des personnes interrogées étaient enregistrées auprès de l'UNHCR, alors que 14 pour cent ne l'étaient pas encore. Au total, 95 pour cent ont expliqué qu'elles avaient fui l'Iraq au cours de ces dernières années à cause de menaces directes (65 pour cent) ou de l'insécurité générale (30 pour cent). Quelque deux pour cent des Iraquiens interrogés avaient fui l'Iraq avant 2003 ; 44 pour cent entre 2003 et 2006 et 54 pour cent après 2006. 94 pour cent d'entre eux ont un permis de résidence en cours de validité en Syrie.
L'étude a révélé que parmi toutes les personnes interrogées, seulement 39 sur les 994 personnes – soit quatre pour cent – ont prévu de rentrer en Iraq. Sur ces 39 personnes, 31 pour cent ont prévu de rentrer dans les 12 prochains mois et les autres n'ont pas encore fixé de date précise. 89,5 pour cent (890 sur 994) ne prévoient pas de rentrer en Iraq, alors que 6,5 pour cent (65 sur 994) ne savent pas s'ils retourneront en Iraq.
L'étude a démontré non seulement que cette population est très mobile, avec 34 pour cent qui se sont rendus au moins une à deux fois en Iraq l'année dernière, mais également que les Iraquiens sont en contact avec leurs régions natales et des personnes qui sont rentrées volontairement. Sur les 27 pour cent disant qu'ils connaissent des personnes rentrées en Iraq, 62 pour cent d'entre eux sont toujours en contact avec ces personnes. Sur ces Iraquiens qui connaissent des personnes qui sont rentrées, 77 pour cent ont reçu des informations faisant état de conditions dans le pays qui ne sont pas satisfaisantes pour diverses raisons.
Les raisons suivantes sont celles données par ceux qui ne souhaitent pas rentrer : 61 pour cent ont indiqué qu'ils font toujours l'objet de menaces directes en Iraq, 29 pour cent ne veulent pas rentrer à cause de l'insécurité générale en Iraq, huit pour cent répondent que leur maison en Iraq a été détruite ou qu'elle est actuellement occupée par d'autres personnes, un pour cent disent qu'il n'y a pas d'opportunité de travail en Iraq, et un pour cent disent qu'ils n'y ont plus de proches.
Les résultats de cette étude seront disponibles en anglais sur le site de l'UNHCR (dossier spécial Iraq). Une étude similaire a été menée en Jordanie, où 400 Iraquiens ont été interrogés au cours des trois premières semaines de mars. Les résultats de cette étude sont en cours d'analyse.
Quelque 4,7 millions d'Iraquiens ont été déracinés à cause de la crise en Iraq. Parmi eux, plus de deux millions vivent dans les pays voisins en tant que réfugiés – principalement en Syrie et en Jordanie – alors que 2,7 millions sont déplacés à l'intérieur de l'Iraq. L'UNHCR demeure très impliqué pour identifier les obstacles pour des retours dans la sécurité et la dignité en Iraq et pour travailler avec le Gouvernement iraquien sur des mesures permettant de faire face à ces obstacles pour assurer qu'un jour un retour volontaire sera possible.
En janvier, l'UNHCR a lancé un appel de 261 millions de dollars pour son travail aux côtés des réfugiés iraquiens hors de leur pays ainsi qu'auprès des déplacés internes. Jusqu'à présent, nous avons reçu moins de la moitié de ce montant, ce qui n'est pas suffisant pour mener à bien les programmes au cours du second semestre de 2008. Les donateurs sur le programme Iraq à la date du 22 avril étaient les Etats-Unis (95,4 millions de dollars); le Canada (1,5 million); le Royaume-Uni (6,2 millions); l'Allemagne (3,9 millions); la Suède (2,3 millions); la Finlande (1,5 million); la Commission européenne (6,3 millions); le Koweït (1 million); la France (740 000 dollars); la Suisse (702 000 dollars); l'Italie (292 000 dollars) et les donateurs privés (109 000 dollars).

Rifugiati iracheni: Moussalli (Caldei di Giordania) "L'Occidente non taccia"

Fonte: SIR

"Le Nazioni Unite devono farsi carico dei rifugiati iracheni in Giordania (1 milione, ndr) , di questi 25 mila sono cristiani. La Giordania é un Paese piccolo e non riesce ad ospitare tutta questa massa di gente. In migliaia arrivano ancora tra sciiti, sunniti e cristiani"
.
A denunciare la gravità dei profughi iracheni é padre Raymond Moussalli, vicario patriarcale dei caldei in Giordania. "Tutte queste persone vivono in condizioni di estrema precarietà - dice al Sir - riescono a mantenersi solo con i soldi che arrivano dai loro familiari in Usa, Australia o Europa. Molti lavorano in nero. Nessuno ha documenti, il permesso di soggiorno dura solo tre mesi e alla scadenza devono pagare una tassa di soggiorno giornaliera di circa 2 dollari. E devono pagare anche i bambini nati qui. Solo chi ha parenti all'estero può permettersi di vivere qui". Per fronteggiare questa situazione che ha riflessi "drammatici" anche sul campo della casa, dell'istruzione e della sanità, padre Moussalli invoca "un forte intervento delle Nazioni Unite. Come Chiesa siamo impegnati con la Caritas ma i nostri mezzi sono limitati". "L'Occidente - conclude - non taccia davanti alla tragedia irachena. Gli iracheni vogliono la pace ed amano la loro terra. Aiutateci a rientrare".

Iraqi refugees: Moussalli (Chaldeans of Jordan) "Let the West speak up before the tragedy"

Source: SIR

"The United Nations must take care of the Iraqi refugees in Jordan (1 million, editor’s note), including 25 thousand Christians. Jordan is a small country and cannot receive all this mass of people. Thousands are still arriving, including Shiites, Sunnis and Christians".
The seriousness of the state of the Iraqi refugees is denounced by father Raymond Moussalli, patriarchal vicar of the Chaldeaans in Jordan. “All these people live in state of extreme uncertainty – he says to SIR –. They can only live off the money they receive from their relatives in the USA, Australia or Europe. Many work illegally. No one has any papers, the residence permit lasts just three months and when it expires they have to pay a residence tax of about 2 dollars a day. And the children born here have to pay as well. Only those who have family abroad can afford to live here". To cope with this situation, which is having “dramatic” repercussions on housing, education and health care as well, father Moussalli asks for “a powerful action from the United Nations. As a Church, we are working through Caritas but our means are limited”. “Let the West – he concludes – speak up before the Iraqi tragedy. The Iraqis want peace and love their land. Help us go back home".

29 aprile 2008

Processo a Tareq Aziz, vescovo di Kirkuk: “giustizia, ma nel rispetto dell’uomo”

Fonte: Asia News

“Giustizia, ma nel rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, contro ogni condanna capitale”, è l’appello che l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako, lancia oggi all’apertura del processo che vede imputato, e a rischio di pena di morte, l'ex vice premier iracheno Tareq Aziz, unico cristiano ai vertici del regime di Saddam Hussein.
Volto pubblico internazionale della dittatura del raìs, è accusato dell'esecuzione di 42 commercianti nel 1992, colpevoli di avere speculato sui prezzi dei generi alimentari, in violazione dei controlli di Stato. L’ex ministro degli Esteri, cristiano caldeo, è spesso citato come prova del favore che i cristiani avrebbero goduto sotto Saddam. “Niente di più falso”, dicono alcuni caldei iracheni profughi in Italia. Nato nel 1936, vicino Mosul da famiglia caldea, Tareq Aziz ha sempre messo in secondo piano la sua appartenenza religiosa, presentandosi prima di tutto come arabo iracheno e membro del Baath. Ha cambiato il suo nome originale, Michael Yohanna, per uno meno compromettente. Davanti alla nazionalizzazione delle scuole cristiane “non ha mosso ciglio”, stessa cosa con il provvedimento per l’insegnamento obbligatorio del Corano.
In un’intervista ad AsiaNews del 2003, mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad per i cattolici latini, spiegava che “Tareq Aziz non era vice premier perché cristiano, ma perché era un grande amico di gioventù di Saddam. Con lui aveva compiuto anche alcune stragi nei loro primi anni di azione e aveva contribuito alla presa di potere del partito Baath”. Lo stesso presule ricordava che “spesso come minoranza cristiana ottenevamo concessioni non da Aziz, ma da altri ministri musulmani”.
E' la prima volta, da quando si è arreso alle forze Usa nell'aprile 2003, che Aziz, 72 anni, risponde delle accuse che gli sono contestate. Il suo avvocato definisce “infondate” le accuse. A presiedere il processo è il giudice curdo Rauf Rasheed Abdel, lo stesso che pronunciò la condanna a morte di Saddam Hussein. Al banco degli imputati insieme ad Aziz anche altri sette gerarchi dell'ex regime, tra cui il fratellastro di Saddam, Watban Ibrahim Al Hassan, e "Ali il chimico", già condannato a morte a giugno per il suo ruolo nella campagna Anfal negli anni ‘80, in cui furono uccisi decine di migliaia di curdi.

Leggi l'articolo di Baghdahope: "Arrivederci Roma... Goodbye... au revoir..."

Tariq Aziz on trial, bishop of Kirkuk: "justice, but in respect of man"

Source: Asia News

"Justice, but in respect for human rights and of the dignity of the person, against any capital sentence", is the appeal that the Chaldean archbishop of Kirkuk, Louis Sako, issued today at the opening of the trial, with risk of the death penalty, against former Iraqi deputy prime minister Tariq Aziz, the only Christian among the leadership of the regime of Saddam Hussein.
The international public face of the dictatorship of the rais, Aziz is accused of executing 42 merchants in 1992, guilty of having speculated on food prices in violation of state controls. The former foreign minister, a Chaldean Christian, is often cited as proof of the favour that Christians enjoyed under Saddam. "Nothing could be more false", say some Chaldean Iraqi refugees in Italy. Born to a Chaldean family near Mosul in 1936, Tariq Aziz always put his religious affiliation in second place, presenting himself first of all as an Iraqi Arab and a member of the Baath party. He changed his original name, Michael Yohanna, for less compromising one. He "did not bat an eye" at the nationalisation of the Christian schools, nor at the provision for the obligatory teaching of the Qur'an.
In an interview with AsiaNews in 2003, Jean Benjamin Sleiman, archbishop of Baghdad for the Latin Catholics, explained that "Tariq Aziz was not prime minister because he was Christian, but because he was a great childhood friend of Saddam. He had participated in several massacres with him in their first years of action, and had contributed to the Baath party's rise to power". The archbishop also recalled that "as a Christian minority, we often obtained concessions not from Aziz, but from other Muslim ministers".
It is the first time since he surrendered to U.S. forces in April of 2003 that Aziz, aged 72, is responding to the accusations against him. His lawyer calls the accusations "unfounded". The trial will be presided over by Kurdish judge Rauf Rasheed Abdel, the same one who pronounced the death sentence against Saddam Hussein. Also facing charges together with Aziz are seven other top officials of the former regime, including Saddam's stepbrother Watban Ibrahim Al Hassan and "chemical Ali", already condemned to death in June for his role in the Anfal campaign in the 1980's, in which tens of thousands of Kurds were killed.

Read also the article by Baghdadhope: "Arrivederci Roma... goodbye...au revoir...

28 aprile 2008

Rapporto sulla Clinica dedicata a Padre Ragheed Ganni ad Erbil

Ricevuto da Padre Rayan Paolus Atto e tradotto da Baghdadhope

ERBIL: CLINICA DEDICATA ALLA MEMORIA DI PADRE RAGHEED GANNI

Sommario:
Dal momento dell'apertura della clinica, il 13 ottobre 2007, i nostri medici hanno ricevuto diverse forniture contenenti farmaci e strumentario medico. Il progetto ha quindi raggiunto il suo scopo: essere al servizio di tutti i pazienti e, in particolare, quelli affetti da malattie croniche fornendo loro mensilmente tutto ciò di cui hanno bisogno.
Chi ci sta aiutando:
Il Dottor Noel Dominic, membro della nostra comunità in Austria, svolge un importante ruolo nel realizzare questo progetto preparando personalmente ed inviando i farmaci in coordinamento con la Caritas di Vienna e la Croce rossa austriaca.
Il personale medico:
Il nostro personale medico, composto da circa dieci medici e cinque farmacisti che operano nei diversi campi di specialità, ha il compito di ricevere le spedizioni, di smistare i farmaci e di distribuirli ai pazienti che visitano la clinica ed agli ospedali governativi della zona, così come di aiutare i pazienti e distribuire gratuitamente i farmaci a tutti coloro che ne hanno bisogno.
Meccanismo di ricezione e distribuzione dei farmaci:
Il Dottor Noel Dominic raccoglie decine di scatole di farmaci e strumenti medici provenienti da diverse fonti ed associazioni caritatevoli in Austria e le invia, con l'aiuto della Caritas di Vienna e della Croce Rossa austriaca, dall’aeroporto di Vienna a quello di Erbil al costo di 1200 € per ogni 250 kg grazie ad un accordo con la compagnia aerea che trasporta le merci ad Erbil. Ad Erbil il nostro staff, con la supervisione di Padre Rayan Paulos Atto, si adopera per ottenere le necessarie autorizzazioni da parte del Ministero della Salute di Erbil a sdoganare la merce ed a trasferirla presso il centro di raccolta nella chiesa di Mar Qardagh ad Erbil. I medici ordinano i farmaci per categorie e li distribuiscono come segue:
1. Una grande quantità è distribuita ai più di 500 pazienti che affluiscono al nostro ambulatorio mensilmente.
2. Secondo quanto ricevuto una parte dei farmaci è distribuita ai principali ospedali governativi della zona alcuni dei quali sono qui di seguito elencati:
Ospedale Ematologico ed Oncologico Nanakaly - Erbil.
Ospedale universitario Rizgary - Erbil
Ospedale universitario Erbil - Erbil
Ospedale Ostetrico Ginecologico - Erbil
Clinica mobile gestita dall’Assemblea popolare Caldea Assira Siriaca
Ospedale Helen per i bambini portatori di handicap e per i disturbi psichiatrici - Erbil
Il nuovo Centro Salute di Ankawa - Erbil
. Casa Beit ‘Anya per la cura degli anziani, dei poveri e dei senza famiglia - Baghdad
. Il gruppo giovanile che gestisce le attività caritatevoli in una parrocchia di Mosul
. Il comitato di carità, gestito dall’Associazione Giovanile di Ankawa
. La clinica di carità gestita dall’Associazione Famiglie Pensionati ad Ankawa
. La clinica di carità gestita dalla chiesa di Shaqlawa
. Società di Diabetologia Pediatrica di Erbil
. Akad Sport Club ad Ankawa.

Come collaborare a questo progetto
:
La creazione di questa clinica ci ha permesso di comprendere i bisogni di molte persone e di fornire aiuti attraverso la fornitura di medicinali e l’esecuzione di analisi cliniche, alcune delle quali eseguite presso la clinica stessa, altre, gratuitamente, presso studi specialistici con i quali abbiamo stretto rapporti di collaborazione. Anche analisi particolarmente sofisticate e costose vengono da noi sovvenzionate presso centri attrezzati.
Per queste ragioni incoraggiamo chiunque abbia fiducia in questo progetto e sia disposto ad aiutarci finanziariamente e moralmente a contattare Padre Rayan Paolus Atto perché la nostra squadra possa continuare il suo lavoro.
L’indirizzo mail cui scrivere (ANCHE IN ITALIANO) è : fr.rayan @ gmail.com
Dio benedica tutti voi…

Report about Fr. Ragheed Ganni's Charity Clinic

By Baghdadhope


Received by Father Rayan P. Atto





Report about
Fr. Ragheed Ganni's Charity Clinic
Mar-Qardagh Church / Erbil
25th April 2008
Summary:
Since the opening of the clinic at 13th October 2007, our doctors have received successive shipments that contained different kind of medications and other medical instruments. The project reached its mission in serving all patients and especially those with chronic illnesses by providing them with all what they need continuously on monthly bases.

The supplier party:
Doctor Noel Dominic
, who is a member in our colony in Austria, has played a great role in making this project real and successful with his great effort. He personally prepares, sends and follows up such huge amounts of medications in coordination with Caritas Vienna and the Austrian Red Cross.

The medical staff:

Our medical staff that consists of about ten physicians and five pharmacists, who work in different field of specialties, take over all the tasks delegated to them in terms of receiving the shipments, sorting them out and distributing them to the patients who visit the clinic and to the governmental hospitals in the area, as well as other parties that are concerned about helping patients and distributing the medications to everyone who is in need, free of charge.

Mechanism of receiving and distributing the medications:

Doctor Noel Dominic collects tens of boxes and cartons of medications and medical instruments from different parties and charity places in Austria, he organize them in boxes and cartons and send them through the help of Caritas Vienna and Austrian Red Cross, he ship them from Vienna Airport to Erbil Airport at a cost of € 1200 for every 250 kg and as per the agreement with the airline that transports the shipment to Erbil Airport, thankfully.
In Erbil, our staff starts, with the supervision of The Pastor Fr. Rayan Paulos ATTO, to obtain the necessary approvals from the Ministry of Health in Erbil in order to take the shipment out of the Airport and bring it to our storehouse in Mar-Qardagh Church / Erbil.
The doctors then try to sort the medications out into categories and groups and distribute them as follows:

1. A large quantity is given to the patients who visit our clinic directly and continuously in a monthly manner, their number is now more than 500 patients.
2. Part of the shipments are dedicated to some of the major local hospital that are run by the government according to what we receive, some of these hospital are listed below:

· Nanakaly Hospital for Blood Diseases and Tumors – Erbil.
· Rizgary Teaching Hospital – Erbil.
· Erbil Teaching Hospital – Erbil.
· Maternity Hospital – Erbil.
· The charity mobile clinic, run by The Chaldean Assyriac Syriac People Assembly.
· Helen Hospital for handicapped children and psychiatric disorders – Erbil.
· The new Ankawa Health Center – Erbil.

· Other parties like:
. Dar Anya House in Baghdad that takes care of old as well as abandoned poor people.
. Group of youth who carry some sort of charity activities in Mosul Parish.
. The charity committee, run by Ankawa Youth Club in Ankawa.
. The charity clinic, run by Family Pensioners Clubhouse in Ankawa.
. The charity clinic, run by Shaqlawa Church.
. Pediatric Diabetes Society in Erbil.
. Akad Sport Club in Ankawa.

How to participate in the continuity of such project:
The establishment of this clinic has helped many people enormously and also helped us to broaden our mind on peoples' needs and such guide them in matters that concern their health and how to follow up their investigations, some of which we perform in our clinic and others are sent to specialist with whom we have already arranged the free checkups. Other patients who need some sophisticated investigations are subsidized as it might cost the patient a lot of money.
Therefore, every one, who have faith in this project and is willing to help us financially and morally, is deeply encouraged to contact Fr. Rayan Paolus ATTO in order for our devoted team to carry on… Fr. Rayan can be contacted at:
fr.rayan@gmail.com

God bless you all…

27 aprile 2008

Mar Bawai Soro: un posto d'onore a San Pietro

By Baghdadhope

Nei due banchi che hanno ospitato i vescovi caldei oggi presenti in Vaticano in occasione delle ordinazioni sacerdotali, tra le quali quella di Padre Robert S. Jarjis di Baghdad, sedevano anche Monsignor Mikhail Jamil, Procuratore presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico in Europa per la chiesa siro cattolica, e Monsignor Bawai Soro, una figura che ha suscitato negli ultimi anni parecchie polemiche negli Stati Uniti.
Vescovo della Holy Apostolic Assyrian Church of the East guidata dal patriarca Mar Dhinka IV che risiede a Chicago, Mar Bawai fu sospeso dal sinodo che si tenne a novembre del 2005. Alla sospensione seguì un periodo di forti contrasti all'interno della chiesa assira che sfociarono in una causa legale presso la Corte Suprema di Santa Clara in California incentrata sulla richiesta da parte della chiesa assira della restituzione di tutte le proprietà della stessa ancora sotto controllo di Mar Bawai Soro.
Il 3 novembre 2007 in una dichiarazione ufficiale Mar Bawai accettò la decisione della corte a favore della chiesa assira dichiarando di non avere intenzione di appellarsi e riaffermò le sue intenzioni di "ripristinare l'unità tra tutte le branche della Chiesa dell'Est superando il divario teologico con i protestanti, ristabilire la comunione con gli altri cristiani, aiutare finanziariamente i cristiani bisognosi nel Medio Oriente e riportare l'unità alle comunità caldee-assire in Iraq."
Nella stessa dichiarazione ufficiale Mar Bawai, al punto 3, affermò che: "Nei passati due anni molte volte ho dichiarato che non si vuole da parte nostra creare una nuova branca indipendente della Chiesa dell'Est, né abbandonare o sostituire la tradizione della Chiesa dell'Est con un'altra. Siamo e rimarremo fedeli al Signore, adorandolo all'interno del patrimonio della Chiesa dell'Est. All'atto pratico ciò significa che noi, in quanto diocesi (un vescovo, sacerdoti, diaconi e fedeli) ci uniremo ad una delle due altre branche della tradizione della Chiesa dell'Est: l'Antica Chiesa dell'Est o la Chiesa Cattolica Caldea."
Il cammino verso l'unione richiesto dalla dichiarazione di Mar Bawai preceduto, come annunciato, da contatti con entrambe le chiese (Antica dell'Est e Caldea) ebbe un'altra tappa importante il 27 gennaio scorso con la nascita dell'ACAD, la "Assyrian Catholic Apostolic Diocese" guidata da Mar Bawai, nella cui dichiarazione di intenti adottata a Dublino (California) si afferma la volontà di "entrare in piena comunione con la chiesa cattolica" e di "ristabilire l'unità della chiesa con la chiesa Cattolica Caldea" e di dare inizio ad "un processo di negoziazione con le rispettive autorità ecclesiastiche per definire in concreto il modello di questa unione."
Un processo di unione accolto con gioia da Monsignor Sarhad Y. Jammo, vescovo caldeo dell’eparchia degli Stati Uniti occidentali che in una lettera aperta datata 11 febbraio 2008 ed intitolata “Uniti in una sola chiesa” ha auspicato, come fine ultimo “la piena comunione e la fattuale unione ecclesiastica” tra la chiesa cattolica e le altre chiese apostoliche, impegnandosi inoltre in prima persona a favorire il processo canonico con la Santa Sede ed il Patriarcato ed il Sinodo caldeo all0 scopo di “formulare e porre in atto un modello concreto di unione ecclesiastico soddisfacente per tutte le parti in causa.”
E’ ancora presto per dire se e quando questo processo di unione, di passaggio di un vescovo proveniente da una chiesa che non riconosce l’autorità del Pontefice di Roma (Chiesa Assira dell’Est) ad una che invece lo fa (Caldea) si avvererà. I tempi vaticani, si sa, specialmente in casi così difficili sono lunghi. Certamente tale processo sarà facilitato, e forse accelerato, dal background di Mar Bawai, dal 1984 impegnato a promuovere il dialogo tra le chiese, e dal sostegno che sempre Monsignor Sarhad Y. Jammo gli ha accordato. Altrettanto certamente la sua stessa presenza in Vaticano ed il posto d’onore ad egli riservato dal cerimoniale potrebbero essere interpretati come un segnale di “ufficiosa” accoglienza. Che la Santa Chiesa oltre a 29 nuovi sacerdoti si stia preparando ad accogliere tra le sue amorevoli braccia anche un nuovo vescovo?

Mar Bawai Soro: place of honour in Saint Peter

By Baghdadhope

In the two benches reserved for the Chaldean bishops present in Vatican today on the occasion of the priestly ordinations, among them that of Father Robert S. Jarjis of Baghdad, sat also Mgr. Mikhail Jamil, Procurator to the Holy See and the Apostolic Visitator in Europe for the Syriac Catholic church, and Mgr.Bawai Soro, a figure that has aroused in recent years several controversies in the United States.
Bishop of the Holy Apostolic Assyrian Church of the East led by Patriarch Mar Dhinka IV who lives in Chicago, Mar Bawai was suspended by the synod held in November 2005. The suspension was followed by a period of sharp contrasts within the Assyrian church that led to a lawsuit at the Supreme Court of Santa Clara County, California, focusing on the request by the Assyrian Church of the return of all properties of the same church still under control of Mar Bawai Soro. On 3 November 2007 in an official statement Mar Bawai accepted the decision of the court in favour of the Assyrian church saying that he had no intention to appeal, and restating his intentions to "restoring unity among all branches of the Church of the East, bridging the theological gap with the Protestants, re-establishing communion with other Christians, financially helping our needy people in the Middle East and bringing unity to the Chaldo-Assyrian community of Iraq." In the same statement Mar Bawai, in paragraph 3, stated that: "In the past two years I have stated several times that our side would not establish a new independent branch of the Church of the East, nor would it abandon or replace Church of the East tradition with another one. We are and shall always remain faithful to the Lord, worshipping Him within the Church of the East patrimony. Practically speaking this means that we, as a Diocese (i.e. a bishop, priests, deacons and faithful) shall unite with one of the two remaining branches of the Church of the East tradition: either The Ancient Church of the East or the Chaldean Catholic Church." The road to unity required by Mar Bawai’s declaration preceded, as announced, by contacts with both churches (Ancient of the East and Chaldean) took another important step on January 27, 2008 with the birth of ACAD, "Apostolic Catholic Assyrian Diocese" led by Mar Bawai, in the declaration of intents of which adopted in Dublin (California) is stated the willingness to "enter full communion with the Catholic church" and "to resume church unity with the Chaldean Catholic church" and to begin a "process of negotiation with respective Church authorities to define a concrete model of this union.” A process of unity welcomed with joy by Mgr. Sarhad Y. Jammo, Chaldean bishop of the Western United States who in an open letter dated February 11, 2008 and entitled "United in one church" called, as the ultimate goal "full communion and factual ecclesiastical unity" between the Catholic Church and other apostolic churches, committing also himself to promote the canonical process with the Holy See and the Patriarchate and the Chaldean synod to "formulate and enact a concrete model of ecclesial unity suitable for all concerned." It is still too early to say if and when this process of unity, this passage of a bishop from a church that does not recognize the authority of the Pope of Rome ( Assyrian Church of the East) to one who does so (Chaldean) will happen. Vatican times, is well known, especially in such difficult cases are long. Certainly this process will be facilitated, and perhaps accelerated, by the background of Mar Bawai, committed since 1984 to promote the dialogue between the churches, and by the support Mgr. Sarhad Y. Jammo always granted to him. Equally certainly his very presence in the Vatican and the place of honor reserved to him by the ceremonial could be interpreted as a signal of "unofficial" welcome. Maybe the Holy Church is preparing to welcome among its loving arms a new bishop besides 29 new priests?

Un nuovo servo della chiesa irachena: Abuna Robert S. Jarjis

By Baghdadhope

Secondo quanto annunciato nella diretta del Centro Televisivo Vaticano sono 29 e non 28 i diaconi che stamani nella basilica di San Pietro sono stati ordinati alla vita sacerdotale per la Diocesi di Roma.
Tra essi, per il Patriarcato di Babilonia dei Caldei, l'iracheno Padre Robert S. Jarjis.
Ad assistere alla cerimonia per la chiesa caldea Monsignor Shleimun Warduni, vescovo di Baghdad, Monsignor Sarhad Y. Jammo vescovo dell'eparchia degli Stati Uniti occidentali, Monsignor Ramzi Garmou, vescovo di Tehran e Monsignor Philip Najim, Procuratore caldeo presso la Santa Sede.
"Eccomi" e "lo prometto". Queste le parole pronunciate dai neo sacerdoti in risposta alla chiamata del Pontefice durante le toccante cerimonia di cui rimane il ricordo delle lacrime che bagnavano il viso di uno dei giovani neo sacerdoti al momento della vestizione, le mani di tutti i nuovi servitori della Chiesa stretti tra quelle del Santo Padre al momento dell'unzione con il Crisma, e l'unica veste sacerdotale bianca ornata dalla croce caldea sulla schiena, quella di Padre Robert, a sancire la perfetta comunione della Chiesa Caldea con quella di Roma ma anche il rispetto per la sua antichissima tradizione di cui Padre Robert è chiamato, d'ora in poi, ad essere testimone. Rispetto dimostrato anche da Papa Benedetto XVI che, lasciando la Basilica di San Pietro per recarsi presso i suoi appartmenti per la recita dell'Angelus domenicale, ha stretto la mano e rivolto alcune parole a Monsignor Shleimun Warduni.

Assente alla cerimonia, invece, Padre Saad Sirop Hanna, il sacerdote caldeo sequestrato a Baghdad il 15 agosto 2006 che in quegli stessi momenti era ospite del programma di Rai 1 "A Sua immagine" dedicato ai martiri cristiani durante il quale, raccontando la sua terribile esperienza durata 28 giorni, ha denunciato l'obiettivo di svuotare il paese dai cristiani perseguito dai gruppi fondamentalisti che hanno fatto di quella minoranza la vittima di continue violenze, ha affermato di pregare per tutti, cristiani, musulmani e soprattutto proprio per i violenti, ed ha concluso il suo intervento affermando che pur avendolo invocato "non ho avuto la grazia del martirio" ricordando chi, invece, proprio per la fede è stato ucciso.

A new servant for Iraqi Church: Abuna Robert S. Jarjis

By Baghdadhope

As announced by Vatican Television Center the deacons who this morning have been ordained to priestly life for the Diocese of Rome in the basilica of St. Peter are 29 and not 28. Among them, for the Patriarchate of Babylon of the Chaldeans, the Iraqi Father Robert S. Jarjis.

To attend the ceremony for the Chaldean church were Mgr. Shleimun Warduni, bishop of Baghdad, Mgr. Sarhad Y. Jammo of the Eparchy of Western United States, Mgr. Ramzi Garmou, bishop of Tehran and Mgr.Philip Najim, the Chaldean Procurator to the Holy See.
"Here I am" and "I promise". These were the words uttered by the neo priests in response to the call of Pope during the touching ceremony of which it will remain the memory of the tears bathing the face of a young neo priest at the taking of habit, of the hands of all the new servants of the Church in those of the Holy Father at the moment of the unction with the Holy Chrism, and of the only white priestly vestment adorned on the back by the Chaldean Cross, that of Father Robert, to sign the perfect communion of the Chaldean Church with that of Rome but also the respect for its ancient tradition of which Father Robert is called, from now onwards, to be a witness. Respect showed also by Pope Benedict XVI who, while leaving St. Peter's Basilica to go to his apartments for the Sunday Angelus, shook his hands and exchanged some words with Mgr. Shleimun Warduni.

Absent in the ceremony, instead, was Father Hanna Saad Sirop, the Chaldean priest abducted in Baghdad on August 15, 2006 who in those moments was a guest of the TV programme "In His image" broadcasted by Italian Television dedicated to the Christian martyrs during which, recalling his terrible experience that lasted 28 days, he denounced the objective of clearing the country by Christians pursued by fundamentalist groups that have made that minority the victim of continuing violence, said he prays for everyone, Christians, Muslims and especially for the violent people, and concluded his speech by saying that despite having invoked it "I had not the grace of martyrdom" recalling who, on the other hand, because of the faith has been killed.

25 aprile 2008

Un nuovo sacerdote caldeo: Padre Robert S. Jarjis

By Baghdadhope

"Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno"


Con queste parole il diacono caldeo Robert S. Jarjis ha annunciato la sua prossima ordinazione, un' occasione di "immensa gioia e gratitudine".
La celebrazione si terrà domenica 27 aprile alle ore 9.00 nella Basilica di San Pietro a Roma e sarà officiata da Sua Santità Papa Benedetto XVI.
Per la chiesa caldea saranno presenti alla celebrazione Monsignor Shleimun Warduni, Vescovo di Baghdad, Monsignor Sarhad Y. Jammo, Vescovo della Diocesi degli Stati Uniti Occidentali, Monsignor Ramzi Garmou, Vescovo di Tehran e Monsignor Philip Najim, Procuratore caldeo presso la Santa Sede oltre a sacerdoti, monaci e suore caldee provenienti dall'Italia e dall'Europa.
Domenica 28 aprile alle ore 18.00, nella cappella del Collegio Pontificio Urbano di Roma Padre Robert S. Jarjis celebrerà la sua prima Messa

Ad Abuna (Padre) Robert, come sarà da oggi in poi chiamato, i migliori auguri di un sereno cammino lungo la strada che egli ha scelto.

La cerimonia potrà essere seguita in diretta su TELEPACE:
EUROPA:
Satellite Eutelsat Hotbird @ 13° E
Frequenza 12384 MHz
Polarizzazione Verticale
FEC 3/4
Symbol Rate 27.500 MSym/sec
Transponder Txp 84
PID Video/Audio V = 3027, A1 = 3037, A2 = 3097, SID = 3007

NORD AMERICA:
Satellite Intelsat Galaxy 25 @ 97° W
Frequenza 11874 MHz
Polarizzazione Orizzontale
FEC 2/3
Symbol Rate 22.000 MSym/sec
Transponder Txp K8
PID Video/Audio V = 2124, A1 = 2161, A2 = 519, SID = 229

Segnaliamo inoltre che sempre domenica 27 aprile, nella puntata del programma "A Sua immagine" che va in onda a partire dalle 10.30 su RAI 1 sarà ospite in studio la teologa Marinella Perroni, che spiegherà la diaspora dei cristiani perseguitati da Gerusalemme ad Antiochia, a partire dal martirio di Santo Stefano, il primo martire della storia dei cristiani.
Il racconto verrà attualizzato con le storie dei cristiani perseguitati oggi.
"In studio l'esclusiva testimonianza di un sacerdote iracheno vittima di un rapimento in Iraq."

A new Chaldean priest: Father Robert S. Jarjis

By Baghdadhope

"Our Father who art in heaven, hallowed be your name, your kingdom come"

By these words, the Chaldean deacon Robert S. Jarjis announced his next ordination, an occasion of "immense joy and gratitude."
The celebration will be held on Sunday, April 27 at 9:00 am in St. Peter's Basilica in Rome and will be officiated by His Holiness Pope Benedict XVI.
Present at the ceremony for the Chaldean church will be Mgr. Shleimun Warduni, Bishop of Baghdad, Mgr. Sarhad Y. Jammo, Bishop of the Diocese of Western United States, Mgr. Ramzi Garmou, Bishop of Tehran and Mgr. Philip Najim, the Chaldean Procurator to the Holy See, as well as priests, monks and nuns from Italy and Europe.
Sunday, April 28 at 18.00 pm, in the chapel of the Pontifical Urban College in Rome Father Robert S. Jarjis will celebrate his first Mass.

To Abuna (Father) Robert, as he will be called from today onwards, best wishes for a peaceful journey along the road he chose.

The ceremony will be broadcasted live by TELEPACE:
EUROPE:
Satellite Eutelsat Hotbird @ 13° E
Frequenza 12384 MHz
PolarizzazioneVerticale
FEC 3/4
Symbol Rate 27.500 MSym/sec
Transponder Txp 84
PID Video/Audio V = 3027, A1 = 3037, A2 = 3097, SID = 3007
NORTH AMERICA:
Satellite Intelsat Galaxy 25 @ 97° W
Frequenza 11874 MHz
Polarizzazione Orizzontale
FEC 2/3
Symbol Rate 22.000 MSym/sec
Transponder Txp K8
PID Video/Audio V = 2124, A1 = 2161, A2 = 519, SID = 229

24 aprile 2008

Tareq Aziz: "Arrivederci Roma... good bye... au revoir"

By Baghdadhope

Era aprile dello scorso anno, e Tareq Aziz, ex primo ministro, ex ministro degli esteri, ma soprattutto ex "volto presentabile" del regime di Saddam Hussein, sognava di poter vivere a Roma una volta scarcerato dagli americani che lo detengono a Baghdad dal 24 aprile del 2003, quando si consegnò nelle loro mani.
La realtà è però molto diversa dai sogni, e sempre ad aprile, ma il 29 prossimo, per Tareq Aziz inizierà un altro tipo di viaggio: quello che dalla prigione in cui è detenuto lo porterà al tribunale dove un giudice curdo - lo stesso che pronunciò la condanna a morte di Saddam Hussein - presiederà al processo che vede Aziz coinvolto, insieme ad altri gerarchi dell'ex regime tra cui il fratellastro di Saddam, Watban Ibrahim Al Hassan, nell'uccisione di 42 commercianti che nel 1992 vennero accusati di avere speculato sui prezzi dei generi alimentari.
Un'accusa che sa tanto di pretesto visto che ben altri sono i crimini di cui Aziz verrà probabilmente accusato magari non in quanto esecutore ma in quanto complice passivo.
Tareq Aziz quindi, l'8 di picche del famoso mazzo di carte che rappresentava i 52 ricercati più importanti del regime di Saddam, difficilmente potrà ancora avanzare richieste di sorta.
Non serviranno gli appelli del figlio Ziad che, dalla Giordania dove vive con il resto della famiglia, ha più volte chiesto la scarcerazione del padre per problemi di salute. Nè serviranno quelli
del Patriarca Caldeo, il Cardinale Mar Emmanuel III Delly che ancora lo scorso Natale ne aveva richiesto la liberazione in una più generale richiesta per coloro che erano detenuti in Iraq senza prove a loro carico.
Inevitabilmente questo processo, come gli altri che lo hanno preceduto, sarà dichiarato da molte voci nel mondo come irregolare e manipolato dal governo americano che di fatto controlla quello iracheno. Niente di più vero. La stessa, frettolosa esecuzione di Saddam Hussein, ha dimostrato il desiderio che non venissero alla luce i misfatti e le complicità dei governi stranieri con il regime iracheno.
E' anche vero però che un comportamento negativo non ne cancella un altro solo perchè ad esso precedente. I crimini americani in Iraq non cancellano quelli del regime di cui Aziz era parte importante.
Il cristiano caldeo Michael Yohanna, nato a Tel Keif nel 1936, colui che si creò un' identità araba cambiandosi il nome in Tareq Aziz e la cui stessa presenza nel gotha del potere iracheno veniva citata come prova della benevolenza del regime verso le minoranze potrà ripetere in aula le
parole di suo figlio: "Mio padre lavorava nel campo politico, non era responsabile nei confronti della gente, eseguiva gli ordini e non aveva potere decisionale."

Ma sarà inutile. E sarà poco. Perchè troppi iracheni non hanno avuto il potere per denunciare i crimini del regime. Lui invece l'ha avuto, ma non l'ha usato. Anche questo è un crimine.

Tareq Aziz: "Arrivederci Roma... good bye... au revoir..."

By Baghdadhope

It was in the month of April, last year, that Tareq Aziz, former prime minister, former foreign minister, but especially former public face of the regime of Saddam Hussein, dreamed of being able to live in Rome once released by the Americans who detain him in Baghdad since 24 April 2003, when he surrendered to US soldiers.
But reality is different from dreams, and always in April, but on the next 29 of the month, Tareq Aziz will start another kind of journey: from the prison where he is held to the court where a Kurdish judge - the same who read the death sentence of Saddam Hussein - will chair the process that sees Aziz involved, along with other hierarchs of the former regime including Saddam's half-brother, Watban Ibrahim Al Hassan, in the killings of 42 merchants who in 1992 were accused of having speculated on the prices of foodstuffs. A charge that appears as a pretext as others are the crimes Aziz will be probably accused of, maybe not as a performer but as a passive accomplice. Tareq Aziz then, the 8 of spades in the famous deck of cards representing the 52 most wanted hierarchs of the regime of Saddam, hardly will be able to make other requests. Unhelpful will be the appeals made by his son Ziad, who lives in Jordan with the rest of the family, who repeatedly demanded his father’s release for health problems. Neither will be those of the Chaldean Patriarch, Cardinal Mar Emmanuel III Delly who still last Christmas requested Aziz’s release in a more general request for those who were detained in Iraq without evidence against them. Inevitably this process, like the others that preceded it, will be declared by many voices in the world as illegal and manipulated by the American government that effectively controls the Iraqi one. Nothing could be more true. The same, hasty execution of Saddam Hussein demonstrated the desire to hide the misdeeds and the complicity of foreign governments with the Iraqi regime. It is also true, however, that a negative behaviour does not erase another just because it is prior to it. Americans crimes in Iraq will not erase those of the regime Aziz was an important part of. The Chaldean Christian Michael Yohanna, who was born in Tel Keif in 1936, the one who created for himself an Arab identity changing his name in Tareq Aziz and whose very presence in the elite of Iraqi power was cited as evidence of the benevolence of the regime towards minorities can repeat his son’s words: "My father worked in the political field, was not responsible for anything against his own people, he was following orders and had no decision-making power."

But it will be useless. And it will be little. Too many Iraqis did not have the power to denounce the crimes of the regime. He had this power, but he did not use it. This is also a crime.

23 aprile 2008

QUELLA NUOVA FORTEZZA NEL CUORE DI BAGHDAD. . .

Source: Misna




“Sembrerebbe che gli Stati Uniti occuperanno l’Iraq per sempre”: così una giornalista del canale televisivo ‘Nbc’ conclude il servizio dedicato alla “controversa” costruzione della nuova ambasciata americana a Baghdad, in via di completamento sulle rive del Tigri. I giornalisti l’hanno ribattezzata “Fortress America” ed è tutto un programma: una città nella città, della superficie di 42 ettari (come la Città del Vaticano), 27 palazzi, due campi da basket, una piscina e alloggi per almeno 600 dipendenti, senza contare i circa 200 agenti di sicurezza necessari per proteggere la ‘fortezza’. “Sarà la più grande ambasciata del mondo ed è già costata al contribuente americano 700 milioni di dollari, senza contare i 35 milioni da aggiungere alla fattura per i ritardi di costruzione e i due miliardi di dollari che costerà ogni anno” riferisce ancora il servizio della tv statunitense. “Un edificio del genere sarà sicuramente molto bello e dotato di ogni confort e garanzie di sicurezze, ma al di là delle mura di questa fortezza irraggiungibile si trova il popolo iracheno, un popolo che soffre ogni giorno di più, al quale è stata tolta ogni dignità: costretto alla fuga, sottoposto a un’insicurezza costante, in un paese ormai diviso, occupato e saccheggiato delle proprie risorse” commenta alla MISNA monsignor Philip Najim, iracheno, procuratore dei Caldei presso la Santa Sede.
“Sarebbe stata una bella vittoria per gli americani - dice ancora - se avessero costruito oltre all’ambasciata anche qualche bel palazzo per gli iracheni, scuole e ospedali, infrastrutture e pensato un po’ di più al benessere della popolazione nelle nostre città ormai diventate città di morte”. Da cinque anni, continua l’esponente della Chiesa caldea, “la comunità internazionale ci fa promesse di democrazia, di libertà, di dignità ma a guardare quello che succede ogni giorno nel paese ci chiediamo dove siano e soprattutto – insiste – chiediamo alla coscienza della comunità internazionale come mai sta accettando di vedere la democrazia andare nel verso sbagliato”. Noi, dice alla MISNA monsignor Najim, “non siamo contro gli americani in particolare, non siamo contro nessuno, ma siamo davvero dispiaciuti che non si prendano mai in considerazione gli interessi e le esigenze del popolo iracheno”.

Iraq: Warduni (Baghdad) "Il paese non può perdere i cristiani"

Fonte: SIR

“Apprendo con soddisfazione delle richieste che vengono da alcuni Paesi dell’Unione europea in merito all’accoglienza in Europa dei rifugiati cristiani iracheni ma occorre anche lavorare affinché i cristiani non lascino più l’Iraq”.
Lo ha dichiarato al Sir il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni che avverte: “il Paese rischia di svuotarsi dei cristiani se non si lavora per garantire loro, come a tutta la popolazione, sicurezza e stabilità”. Per il vescovo, infatti, è “quanto mai urgente venire incontro alle centinaia di migliaia di rifugiati cristiani che si trovano sparsi tra Siria, Libano, Giordania ed altri Paesi limitrofi. Per questi si potrebbe prevedere una sistemazione rispettosa della dignità umana nei Paesi europei in attesa che facciano rientro in Iraq quando la situazione lo consentirà”. Allo stesso tempo “è necessario che la Comunità internazionale e il Governo iracheno facciano il possibile per dare sicurezza e stabilità ai cristiani che sono in Iraq, così come a tutta la povera popolazione vessata da questa guerra. E’ fondamentale – conclude - che i cristiani restino nel Paese e che quelli che sono fuori, sradicati, possano tornare alle loro case, al loro lavoro, ai loro affetti”.

Iraq: Warduni (Baghdad) "The country cannot lose its Christians"

Source: SIR

“I am glad to learn about the requests that some countries of the European union have made to us about taking in Europe the Iraqi Christian refugees, but we must also work so that Christians will never have to leave Iraq again”.
This was stated to SIR by the auxiliary bishop of Baghdad, mgr. Shlemon Warduni, who warns: “the country risks losing its Christians, unless we work to ensure them, as well as to all the population, security and stability”. According to the bishop, it is “more urgent than ever to help the hundreds of thousands of Christian refugees who are scattered all over Syria, Lebanon, Jordan and other neighbouring countries. They might find a form of accommodation that is respectful of their human dignity in the European countries, while they wait to go back to Iraq when the situation so allows”. At the same time, “the international community and the Iraqi Government must do all they can to give security and stability to the Christians who are in Iraq, as well as to all the poor population, tormented by this war. It is essential – he concludes – that Christians remain in the country and those who are outside, uprooted, may come back to their homes, to their jobs, to their loved ones”.

22 aprile 2008

Iraq: Mauro (PE) "Applicare la risoluzione sulla persecuzione delle comunità cristiane"

Fonte: SIR

"La situazione dei profughi in Iraq è in continuo peggioramento, ogni giorno che passa aumentano le violenze e le vittime, che sono soprattutto di religione cristiana". È l'ennesima denuncia del vicepresidente del Parlamento europeo, Mario Mauro, che si unisce così all'appello per l'accoglienza dei profughi portata avanti dal ministro Federale dell'Interno tedesco, Wolfgang Schaeuble.
"Le istituzioni internazionali, Unione europea e Nazioni Unite, insieme con gli stati membri dell'Unione europea, diano finalmente un seguito concreto alla Risoluzione sulla persecuzione delle comunità cristiane e di altre comunità religiose in tutto il mondo, approvata il 12 novembre scorso - prosegue - non si può negare che la situazione della comunità cristiana in Iraq sia particolarmente a rischio" conclude l'eurodeputato che replica anche alle affermazioni del ministro sloveno Dragutin Mate, secondo il quale non bisognerebbe creare un corridoio preferenziale per i cristiani. "I numeri – dice Mauro - parlano chiaro, essi costituiscono un bersaglio privilegiato e sono sicuramente più vulnerabili rispetto a tutte le altre minoranze in Medio Oriente". Nei giorni scorsi circa 4.000 persone erano scese in piazza a Bruxelles per protestare contro l'aumento delle violenze nei confronti dei cristiani in Iraq.

Iraq: Mauro (EP) "Enforcing the resolution on the persecution of Christian communities"

Source: SIR

"The situation of refugees in Iraq is getting worse all the time; every passing day, cases of violence and victims, who are mostly Christians, increase". This is the umpteenth denunciation from the deputy president of the European Parliament, Mario Mauro, who thus joins the appeal for accommodating refugees that was submitted by the German Federal Minister of the Interior, Wolfgang Schaeuble.
"The international institutions, the European Union and the United Nations, along with the other EU member states, should at last enforce the Resolution on the persecution of Christian communities and other religious communities all over the world, which was passed on November 12th last year – he goes on – We cannot deny that the situation of the Christian community in Iraq is particularly at risk", concludes the MEP, who also replies to the statements of the Slovenian Minister Dragutin Mate, according to whom no preferential corridor should be created for Christians. “The figures – says Mauro – speak loud; they are a preferential target and are certainly the most vulnerable minority in the Middle East”. Over the last few days, approximately 4,000 people had rallied in Brussels to protest against the rise in violence against Christians in Iraq.

19 aprile 2008

Iraq: Bruxelles, in 4000 manifestano contro le violenze sui cristiani

Fonte: Alicenews

(Ap) - Circa 4.000 persone sono scese in piazza nel centro di Bruxelles per protestare contro l'aumento delle violenze nei confronti dei cristiani in Iraq. Gli ultimi episodi, in ordine di tempo, sono gli omicidi di monsignor Paulos Faraj Ranho, arcivescovo caldeo di Mosul, a metà marzo, e del sacerdote, Youssef Adel, direttore di una scuola superiore mista di Baghdad, frequentata da cristiani e musulmani.
Intanto, ieri a Lussemburgo, non è stata accolta con grande entusiasmo dal Consiglio Giustizia e Affari Interni Ue, la proposta dei conservatori tedeschi di accogliere in Europa migliaia di cristiani, oggetto di persecuzioni in Iraq. Il progetto, già discusso a livello tedesco, è stato proposto agli altri 26 partner europei che hanno deciso di riparlarne nel giugno prossimo, senza prendere al momento alcuna decisione. La principale obiezione alla proposta tedesca è di averla circoscritta ai soli cristiani perseguitati, a scapito di altre minoranze o comunità religiose.
La stampa tedesca parlava nei giorni scorsi di circa trentamila profughi che potrebbero essere accolti in Europa. Secondo alcune stime, dall'inizio della guerra, cinque anni fa, la metà del milione e mezzo di cristiani che viveva in Iraq ha abbandonato il Paese.

18 aprile 2008

Il testamento di mons. Rahho: amore per i “fratelli musulmani e l’Iraq”

Fonte: Asianews
È una consegna piena, totale e senza limiti nelle mani di Dio il testamento di mons. Paulos Faraj Rahho, l’arcivescovo caldeo di Mosul, trovato morto dopo 14 giorni di sequestro lo scorso 13 marzo. Nel testo, pubblicato dal sito in arabo Ankawa.com e che porta la data del 15 agosto 2003, il presule ucciso dal terrorismo islamico lascia un forte messaggio di amore e di fratellanza per tutte le comunità religiose dell’’“amato Iraq” e ricorda con particolare tenerezza i disabili della “Fraternità di Carità e Gioia”, da lui fondata nel 1989: “Da voi ho imparato l’amore, voi mi avete insegnato ad amare”. Rivolgendosi poi ai suoi famigliari ammette con semplicità: “Io non possiedo niente e tutto quello che possiedo non è mio. Io stesso ero una proprietà della Chiesa, e dalla Chiesa non potete rivendicare niente”.
Commentando il testamento, p. Amer Youkhanna, sacerdote caldeo di Mosul si dice “molto colpito” dalle parole di quello che era il suo vescovo sulla morte: “Nell’indicare la vita dopo la morte come il proseguimento più grande e infinito del donarsi a Dio, egli vuole dirci che quello che ci attende non è solo una ricompensa ‘passiva’ ma una vita in cui il Signore ci rende attivi con Lui”.

Di seguito riportiamo alcuni stralci del testamento, tradotti dall’arabo da AsiaNews.
“Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore.” (Romani 14,7-8).
La morte è una realtà tremenda, la più tremenda di ogni altra realtà, ed ognuno di noi dovrà attraversarla. L’uomo, che dona la sua vita, se stesso e il suo essere e tutto ciò che possiede a Dio e all’altro esprime così la profonda fede che ha in Dio e la sua fiducia in Lui. Il Padre Eterno si prende cura di tutti e non fa mai male a nessuno. Perché il suo amore è infinito. Lui è Amore, ed è anche la pienezza della paternità. Così si comprende la morte: morire è interrompere questo donarsi a Dio e all’altro (nella vita terrena, ndt) per aprirsi ad un donarsi nuovo e infinito, senza macchia. La vita è il consegnarci pienamente tra le mani di Dio; con la morte questo consegnarci diventa infinito nella vita eterna.
Chiedo a tutti voi di essere sempre aperti verso i nostri fratelli musulmani, yazidi e tutti i figli della nostra Patria amata, di collaborare insieme per costruire solidi vincoli di amore e fratellanza tra i figli del nostro amato Paese, Iraq.

Il servo del Vangelo di Cristo
Paolo Faraj Rahho

17 aprile 2008

Non si ferma la diaspora dei cristiani dall'Iraq

Fonte: Radiovaticana

“Cristiani in Iraq: la Chiesa caldea ieri e oggi”: tema di un incontro ieri a Roma, organizzato da Pax Christi, presso la sede della comunità di San Paolo. Tra i partecipanti mons. Philip Najim, procuratore caldeo presso la Santa Sede, che ha messo in risalto le difficoltà che i cristiani sono costretti a vivere quotidianamente in Iraq. ''Prima dell'intervento americano del marzo di cinque anni fa - ha raccontato padre Najim - nessuno osava attaccare le chiese o le moschee, c'era un rispetto reciproco e non ci si chiedeva a quale religione si appartenesse perché si rispettavano le persone in quanto tali''. Oggi, ha constatato il procuratore caldeo, è tutto diverso: ''Io non vedo un Paese liberato dal dittatore - ha detto - ma vedo un Paese fantasma di se stesso, escluso dalla comunità internazionale, privo di ospedali e scuole e dove i cristiani non hanno più speranze per un futuro prospero''. Secondo alcune stime, fino agli anni '90, i cristiani in Iraq erano circa un milione, il 3% dell'intera popolazione, mentre oggi ne sarebbero rimasti meno di 400 mila, dopo un esodo in massa provocato dalla guerra e dalle violenze interconfessionali. ''Una diaspora'' l'ha definita padre Najim che ha aggiunto: ''Oggi siamo addirittura più numerosi fuori che dentro l'Iraq'', precisando che, oltre all'esodo forzato, questa situazione è frutto anche dello spirito missionario che compete da sempre alla tradizione caldea. Infine ha lanciato un appello alla comunità internazionale: ''L'Iraq non ha bisogno di soldi - ha spiegato - perché siamo un Paese ricco di risorse, non abbiamo bisogno di un atto umanitario ma umano'', che riconsegni l'Iraq e ''la dignità agli iracheni." Un antico detto iracheno recita: 'la religione è per Dio ma la Patria è per tutti' e suggerisce l'immagine di un Paese in cui le varie fedi convivono secondo i principi condivisi di tolleranza e rispetto. Una realtà lontana da quella che si presenta oggi: un Iraq, dove le chiese vengono attaccate, i preti rapiti quando non uccisi e dove i cristiani sono vittime di persecuzioni e intimidazioni. Ed è proprio l'Iraq della ''tolleranza e della pace che esisteva fino al 2003'', che rivorrebbe padre Najim.
Alle parole del procuratore caldeo, ha fatto eco mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad, dopo che ieri non meno di 70 persone hanno perso la vita e più di 100 sono rimaste ferite in diversi attentati e scontri militari in più parti del Paese, in quella che è stata una delle tre giornate più cruente dall’inizio dell’anno. “Siamo scoraggiati e preoccupati” - ha detto mons. Sleiman all’agenzia Misna - “giornate come quelle di ieri danno il segnale che la guerra è lontana dall’avere una soluzione e che manca una vera strategia complessiva sia militare sia politica; ma anche la società è lontana dal risolvere le sue profonde divisioni interne ”.

IRAQ: Monsignor Rahho. Video

Source: H²ONEWS

15 aprile 2008

IRAQ - La forza della minoranza. Il ruolo della Chiesa nell’Iraq di oggi

Fonte: SIR

Di Daniele Rocchi

Uccisi, perseguitati, costretti a fuggire o ad emigrare, con i loro sacerdoti e vescovi rapiti e messi a morte: resta grave la situazione dei cristiani in Iraq. Un mese dopo (13 marzo) il ritrovamento del corpo dell’arcivescovo di Mossul, mons. Paulos Faraj Rahho, non si hanno ancora notizie sulle indagini che dovrebbero assicurare alla giustizia esecutori del delitto ed eventuali mandanti. Nonostante ciò la Chiesa irachena continua la sua missione facendosi sempre più apprezzare dai musulmani, quelli distanti dai terroristi e dai fondamentalisti, per i continui appelli alla riconciliazione e al dialogo. Nel momento della sua massima debolezza la Chiesa sta mostrando una forza nascosta, che la tiene legata disperatamente alla sua terra che abita dalle origini e dalla quale non vuole staccarsi, la forza del dialogo a tutti i costi. Ne abbiamo parlato con don Renato Sacco di Pax Christi Italia, conoscitore dell’Iraq dove è stato meno di due mesi fa per una visita di solidarietà con una delegazione italo-francese del movimento di cui fa parte.
Poco più di un mese fa veniva ritrovato morto mons. Rahho, ma sulla vicenda sembra calato un velo di silenzio. Perché?
“Sulle indagini su mons. Rahho c’è silenzio. Da Mossul giungono voci di una situazione drammatica. Non si sa a che punto siano le indagini, se hanno arrestato qualcuno o se è un modo per calmare la richiesta di verità. Ma questo silenzio sull’assassinio di mons. Rahho riflette anche quello che si registra per l’Iraq. In generale si avverte sul Paese un silenzio strano eppure ci sono oltre 4 milioni e mezzo di profughi iracheni, un numero enorme. Un terzo della popolazione è a rischio di vita per mancanza di acqua, medicinali e cibo, e cosa grave, non vedo un particolare interesse dell’informazione su questi temi. Dobbiamo invece informare e lavorare per la verità, per la giustizia e per non lasciare soli gli iracheni”.
Giudica insufficiente l’informazione che si dà sull’Iraq?
“Ci sono grosse tensioni in tutto il Paese e quello che si legge sono solo alcune notizie slegate e frammentate. Si parla di miglioramenti nella sicurezza nel Paese ma non sappiamo se sia veramente così. Non leggo riflessioni o analisi organiche sulla situazione in Iraq che diano un quadro di ciò che accade e che dicano veramente come si vive oggi in questo Paese. La rivolta di Bassora non è stata quella di uno sparuto gruppo di insorgenti ma qualcosa che vede l’Iran coinvolto. Nonostante l’eco della morte di mons. Rahho, vedo silenzio sia dal Governo iracheno che dalla comunità internazionale. Tante cose non trapelano, come per esempio, il recente ritrovamento in un deposito di armi della guerriglia di 20mila pistole di fabbricazione italiana. Chi l’ha vendute? Nessuno parla di disarmo. Io non ho sentito parlare di Iraq nell’ultima campagna elettorale”.
Cosa ha lasciato la morte di mons. Rahho e quali conseguenze sta avendo nella vita della Chiesa irachena?
“I giorni del rapimento dell’arcivescovo hanno rivelato l’amicizia e la vicinanza di tanti musulmani che chiedono e cercano il dialogo. Molti leader islamici di Mossul, e non solo, hanno espresso ferma condanna del rapimento. La morte di mons. Rahho ha ampliato lo spazio nel quale costruire una rete di dialogo che parte dal basso e questo processo continua anche se con la fatica e la paura di molti fedeli. Con il dialogo si possono creare i presupposti anche per accordi di natura politica che diano all’Iraq un futuro vero”.
Allo stato attuale dei fatti, con quale forza la Chiesa potrebbe intessere questa rete di dialogo e di incontro?
“Con la forza tipica di chi è minoranza. In particolare, la Chiesa in Iraq non è vista come parte politica in causa”.
Ci fa capire meglio...
“La Chiesa non ha truppe, non ha armi, non ha milizie; non rappresenta una preoccupazione per un eventuale, futuribile, stato sciita, sunnita o curdo, ed essendo fuori da questa logica di spartizione del potere può giocare un grande ruolo nel costruire ponti e far incontrare chi non riesce a dialogare. La Chiesa non sposa la causa di nessuna fazione perché così facendo perderebbe il suo ruolo di mediazione. Per questo chiede di essere sostenuta a restare in Iraq, per contribuire al futuro del Paese. E adesso avrebbe questa possibilità. A sostenerlo sono molti leader islamici che ho incontrato nel mio recente viaggio: la Chiesa può inventare modi di incontro e di dialogo nuovi. Gli iracheni non ce la fanno più stanno soffrendo da molto tempo, hanno fame di dialogo e di pace”.

14 aprile 2008

Cristiani in Iraq:la chiesa caldea ieri e oggi

Cantiere del Cipax
Centro interconfessionale per la pace
Un luogo di pace per ascoltare racconti, scambiare esperienze, costruire il futuro
Anno 2007/2008
L´incontro con le sapienze di altre culture
Storia, spiritualità e vita quotidiana dei Cristiani d´Oriente


Mercoledì 16 aprile 2008 ore 18
nella sala della Comunità di S. Paolo, via Ostiense 152 b

ne parleremo con
Mons. Philip Najim
Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico dei Caldei in Europa
Don Renato Sacco
di Pax Christi Italiana

Modera
Luigi Sandri

Seguirà un momento conviviale
Siete tutte e tutti invitati a portare le vostre specialità!


Informazioni: Cipax, via Ostiense 152, 00154 Roma, tel e fax 06.57287347
e.mail
cipax-roma@libero.it

Iraq: Don Sacco (Pax Christi) "Verità sulla morte di MOns. Rahho"

Fonte: SIR

E’ passato un mese dal ritrovamento, il 13 marzo, del corpo di mons. Rahho, l’arcivescovo caldeo di Mossul e non ci sono notizie sulle indagini e sui colpevoli. A chiedere verità e giustizia è don Renato Sacco, di Pax Christi Italia che al Sir denuncia: “sulle indagini su mons. Rahho c’è silenzio. Da Mossul giungono voci di una situazione drammatica. Non si sa a che punto siano le indagini, se hanno arrestato qualcuno o se è un modo per calmare la richiesta di verità”.
Per il sacerdote, che recentemente è stato in Iraq con una delegazione italo-francese di Pax Christi, “questo silenzio riflette anche quello in atto sull’Iraq, eppure ci sono oltre 4 milioni e mezzo di profughi iracheni, un terzo della popolazione è a rischio di vita per mancanza di acqua, medicinali e cibo. Dobbiamo informare e lavorare per la verità, per la giustizia e per non lasciare soli gli iracheni”. Nonostante le enormi difficoltà la Chiesa sta emergendo con una forza particolare, quella della “minoranza”, che, afferma don Sacco, la pone “fuori da ogni logica di spartizione del potere e così può giocare un grande ruolo nel costruire ponti e far incontrare chi non riesce a dialogare. A chiederlo sono tanti leader islamici per i quali la chiesa può inventare modi di incontro e di dialogo nuovi. Gli iracheni hanno fame di dialogo e di pace”.

11 aprile 2008

Iraq: Messa in Vaticano, Card. Sandri: "Dai martiri iracheni germogli la pace"

Fonte: SIR

Mons. Rahho, sottratto da mani e cuori violenti, ha seminato la Parola di Dio. Ora siamo pieni di speranza per il raccolto che si prepara”.
Lo ha detto il card. Leonardo Sandri, prefetto per la Congregazione per le chiese orientali, durante la messa celebrata questa mattina in Vaticano in suffragio dell’arcivescovo di Mossul, mons. Rahho e di tutte le vittime della guerra in Iraq.
“La sofferenza di oggi – ha ricordato il cardinale – prepara frutti di riconciliazione nella comunità ecclesiale e nella chiesa caldea, e in tutto l’Iraq. Che la morte di mons. Rahho, le cui ultime ore sono nel calice di Cristo, possa far germogliare la pace ad ogni livello, radicata nella preghiera e sia da stimolo per tutta la chiesa caldea con i suoi vescovi, sacerdoti e fedeli”. Al termine del rito, cui erano presenti, tra gli altri, diplomatici di Paesi accreditati presso la Santa Sede come Slovenia, Paraguay, Usa, Irlanda, Argentina, Albania, Cipro e Iraq, il procuratore caldeo presso la Santa Sede, padre Philip Najim ha letto una lettera di ringraziamento del patriarca caldeo di Baghdad, card. Emmanuel III Delly, in cui invoca “pace e tranquillità per l’amato Iraq”. La messa, presieduta da Sandri, è stata concelebrata dai cardinali Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e Bernard Francis Law.

Iraq: Mass in Vatican, Card. Sandri "Let peace sprout from the Iraqi martyrs"

Source: SIR

Mgr. Rahho, taken away by violent hands and hearts, has sown God’s Word. Now, we are full of hope for the harvest that is about to come up”.
This was said by card. Leonardo Sandri, prefect for the Congregation for the Eastern Churches, during Mass in the Vatican this morning, for the repose of the soul of the archbishop of Mossul, mgr. Rahho, and all the victims of the war in Iraq.
“Today’s suffering – recalled the cardinal – is preparing fruits of reconciliation in the ecclesial community and in the Chaldean Church and all over Iraq. Let the death of mgr. Rahho, whose last hours are in Christ’s Cup, make peace sprout, at all levels, rooted in prayer, and let it be a spur to all the Chaldean Church, with its bishops, priests and devotees”. At the end of the celebration, which was also attended by diplomats from countries accredited to the Holy See, such as Slovenia, Paraguay, USA, Ireland, Argentina, Albania, Cyprus and Iraq, the Chaldean procurator to the Holy See, father Philip Najim, read a thank-you letter from the Chaldean patriarch of Baghdad, card. Emmanuel III Delly, in which he begs for “peace and tranquillity for the beloved Iraq”. Mass, officiated by Sandri, was concelebrated by cardinal Jean-Louis Tauran, president of the Papal Council for Inter-Religious Dialogue, and by cardinal Bernard Francis Law.

10 aprile 2008

Iraq: Messa in Vaticano, una lettera del Patriarca di Baghdad Card. Delly

Fonte: SIR

Nel corso della messa che sarà celebrata domani in Vaticano in suffragio dell’arcivescovo di Mossul, mons. Rahho e di tutte le vittime della guerra in Iraq sarà letta una lettera scritta dal patriarca caldeo di Baghdad, il card. Emmanuel III Delly. A rivelarlo al Sir è lo stesso patriarca che ne anticipa il contenuto:
“Ho scritto alla Congregazione per le chiese orientali ringraziando il prefetto, card. Leonardo Sandri, per questa iniziativa – afferma Delly - siamo uniti a loro per chiedere al Signore la pace e la tranquillità e ringraziamo il Santo Padre per questa vicinanza a nome di tutta la chiesa, di tutto l’episcopato e popolo caldeo. Ringrazio di cuore tutti i presenti e tutti i fedeli che pregano per questa intenzione”.

Iraq: Mass at the Vatican, a letter by the Patriarch of Baghdad, Card. Delly

Source: SIR

During the Mass which is going to be celebrated at the Vatican tomorrow, for the souls of the Archbishop of Mossul, Msgr. Rahho, and of all the victims of the Iraqi War, a letter written by the Chaldean patriarch of Baghdad, Cardinal Emmanuel III Delly, will be read. SIR was told that by the patriarch himself, who talked about its content in advance:
“I wrote to the Congregation for Oriental Churches to thank the prefect, Card. Leonardo Sandri, for this initiative – stated Delly - we are together with them to ask the Lord peace and tranquillity, and we thank the Holy Father for this closeness in the name of the whole church, the whole episcopate, and the Chaldean people. I thank all the present people and all the believers who pray for this intention with all my heart”.

Riportare la pace in Iraq, impegno primario dell’ONU. Intervista con Staffan de Mistura


Nel panorama internazionale, l’Iraq rimane una delle principali emergenze politiche ed umanitarie, per la soluzione della quale urge un'azione immediata e ad ampio raggio delle istituzioni mondiali. Mentre la cronaca dal Paese del Golfo giornalmente offre notizie di scontri, violenze e vittime, l’ONU ripropone la sua presenza a Baghdad, affinché la sicurezza, la vivibilità e la pace tornino per tutte le realtà sociali e religiose del Paese.
Giancarlo La Vella ne ha parlato con Staffan de Mistura, rappresentante delle Nazioni Unite in Iraq:

E’ una situazione in cui ci sono ombre e luci. Le ombre sono chiaramente gli atti di violenza. Non dimentichiamo quello che è avvenuto al vescovo di Mossul, l’uccisione del sacerdote a Baghdad, quello che sta avvenendo a Bassora e a Sadr City; ma ci sono anche delle luci. Gli iracheni sono stanchi della violenza, l’economia sta migliorando e ci sono vaste zone nel Nord e altrove dove la vita, se non torna normale, comunque è molto migliorata. E c’è una volontà di prendere il futuro nelle loro mani, in poche parole: partecipare alle elezioni, partecipare alla vita quotidiana migliorata. La gente sta chiedendo servizi, acqua, luce; non vuole più vedere solo un dibattito violento.
Ecco: a fronte di un possibile disimpegno americano, sia pure in un futuro non ancora prossimo, si sta pensando ad un’assunzione di responsabilità dell’ONU in Iraq?
Sta già avvenendo! Con la risoluzione 1770, sulla base della quale il segretario generale Ban Ki-moon mi ha inviato in Iraq, l’ONU ha vaste responsabilità. Un esempio: siamo coinvolti in prima persona nell’assistere gli iracheni affinché ci siano queste elezioni che dovrebbero dare una voce a chi non ha una voce e che quindi non debba tornare ad essere violento per strada e perché la sua voce sia ascoltata. Due: la questione Kirkuk e dei territori contesi, che sono potenzialmente esplosivi. Tre: la questione dei diritti umani e dell’aiuto umanitario. In tutto questo, l’ONU è in prima linea.
Ogni situazione di crisi genera quasi sempre un’emergenza umanitaria. L’Iraq è un Paese dal quale si fugge, un aspetto – questo – che riguarda soprattutto la minoranza cristiana. Che cosa si può fare?
Sono 4,2 milioni tra rifugiati e sfollati, oggi, in Iraq. La maggior parte di loro sono sunniti, ci sono anche sciiti e la comunità cristiana. Sono fuggiti durante il periodo peggiore della violenza, che era quello dopo la distruzione della moschea di Samarra. Quello che si può e si deve fare è che ci sia prima di tutto stabilità e sicurezza. La gente – i cristiani – hanno bisogno di sapere che, dove stanno, possono continuare a vivere. Quello che si può fare, dunque, da parte nostra è insistere affinché il governo faccia il proprio dovere, quello di proteggere non soltanto in generale la comunità, ma le comunità e le minoranze. I cristiani sono una componente importante, rispettata, che ha dato molto – professionalmente – agli iracheni e che ha l’intenzione di rimanere in Iraq, ma hanno bisogno di sicurezza. Proprio in questi giorni sono stato nel Nord dell’Iraq: non ho sentito nessuno dei cristiani che mi dicesse: vogliamo andar via. Mi hanno detto: “Amiamo questa terra, siamo parte di questa terra, ma abbiamo bisogno di sicurezza”.
Quando lei ha assunto questo in carico, che cosa ha pensato di questa sfida così importante, di portare la pace in questo Paese così martoriato?
Non è stata una decisione facile! Ma non potevo dire di no. Per tre motivi: il primo è che il segretario generale, Ban Ki-moon, insisteva che ci fosse una missione con persone esperte dell’Iraq affinché l’ONU avesse e potesse avere l’occasione di dimostrare la propria utilità in un momento cruciale. Due: perché questo è un momento cruciale. Il 2008 è l’anno della verità, in Iraq, nel quale gli iracheni avranno la possibilità, ma anche la responsabilità, del proprio futuro. E tre perché lo debbo a degli amici, dei miei colleghi, che sono morti in Iraq: Sergio Vera De Mello ed altri. I quali non devono essere morti invano.