"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

16 aprile 2006

Maran Qimle Mshobha Lshemeh

Maran Qimle Mshobha Lshemeh . Con queste parole, che in aramaico significano Felice giorno della Resurrezione, Papa Benedetto XVI ha salutato i fedeli cristiani che appartengono a quelle chiese di rito orientale che usano quella lingua per la liturgia, ed anche come lingua ancestrale dellla comunicazione familiare ed interpersonale con i membri della comunità.
Sono le chiese che hanno come cuore pulsante il martoriato Iraq. L'Iraq dove, secondo il Pontefice, la pace deve prevalere sulla guerra senza pietà.
Stamani le celebrazioni pasquali si sono tenute in tutto il paese senza incidenti di rilievo malgrado le minacce che nei giorni scorsi erano state rivelate ai sacerdoti da parte della polizia irachena e delle forze della coalizione.
Ai cristiani iracheni è difficile augurare una Felice Pasqua, per ora al massimo si può loro augurare che la Pasqua sia serena.

8 aprile 2006

Preoccupazione del Parlamento Europeo per la sorte dei cristiani iracheni

Il Parlamento Europeo ha approvato il 6 aprile 2006 un testo di risoluzione concernente la comunità assira irachena e la situazione delle prigioni in quel paese.
Qui di seguito il testo approvato con evidenziate le parti riguardanti la comunità assira (cristiana) irachena.
Fonte:
http://www.europarl.eu.int/omk/sipade3?PUBREF=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2006-0143+0+DOC+XML+V0//IT&L=IT&LEVEL=1&NAV=S&LSTDOC=Y&LSTDOC=N

Testi approvati dal Parlamento

Giovedì 6 aprile 2006 - Strasburgo

Iraq: comunità assira e la situazione nelle prigioni


Risoluzione del Parlamento europeo sull'Iraq: la comunità assira e la situazione nelle prigioni irachene
Il Parlamento europeo ,
– vista la sua risoluzione del 24 febbraio 2005 sulle priorità dell'Unione europea e le raccomandazioni per la 61a sessione della Commissione ONU per i diritti dell'uomo di Ginevra (dal 14 marzo al 22 aprile 2005)
(1) ,
– vista la sua risoluzione del 28 aprile 2005 sulla relazione annuale sui diritti dell'uomo nel mondo nel 2004 e sulla politica UE su tale problematica
(2) ,
– vista la sua risoluzione del 6 luglio 2005 sull'Unione europea e l'Iraq – Un contesto per l'impegno
(3) ,
– vista la decisione del Consiglio Affari generali e relazioni esterne del 21 febbraio 2005 di avviare una missione integrata sullo stato del diritto per l'Iraq (EUJUST LEX),
– viste le conclusioni sull'Iraq del Consiglio relazioni esterne del 7 novembre 2005,
– viste le conclusioni sull'Iraq del Consiglio relazioni esterne del 27 febbraio 2006,
– vista la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti,
– visti l'articolo 35 della Costituzione irachena del 2005, l'articolo 333 del suo Codice penale e l'articolo 127 del suo Codice di procedura penale che proibiscono tutte le forme di tortura,
– visto l'articolo 115, paragrafo 5, del suo regolamento,

Gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane)
A. considerando che il 29 gennaio 2006 quattro chiese e gli uffici del rappresentante del Vaticano a Baghdad, oltre a due chiese di Kirkuk, sono stati assaltati provocando la morte di tre persone (tra cui un ragazzo di 14 anni) ed il ferimento di altri,
B. considerando che gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane) sono sempre più spesso vittime di atti di violenza specificamente mirata come la distruzione delle case, rapimenti, assalti alle chiese, molestie, estorsioni e tortura nei confronti di coloro che all'apparenza non rispettano l'Islam,
C. riconoscendo che si è verificato un aumento delle aggressioni agli studenti cristiani delle università irachene, in particolare a Mosul, e che i cittadini cristiani di Mosul vengono invitati ad andarsene,
D. rilevando la triste situazione dei cristiani che sono fuggiti dall'Iraq e che si sono rifugiati nei paesi vicini, principalmente in Siria e in Giordania dove, secondo una relazione dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, non ricevono alcun aiuto internazionale,
E. considerando che gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane) rappresentano un antico popolo autoctono estremamente vulnerabile alle persecuzioni e all'emigrazione forzata e che esiste quindi il pericolo che la loro cultura si estingua,

La situazione nelle prigioni in Iraq
F. considerando che, secondo l'Ufficio dei diritti dell'uomo della missione di assistenza in Iraq dell'ONU (UNAMI), le condizioni delle detenzioni in Iraq e la relativa legalità sono sempre questioni che suscitano particolare preoccupazione,
G. considerando che, secondo il Ministero iracheno dei diritti dell'uomo, al 28 febbraio 2006, in Iraq vi erano 29.565 prigionieri, di cui 14.229 imprigionati dalla Forza multinazionale-Iraq (MNF-I), 8.391 presso il Ministero della giustizia, 488 minorenni presso il Ministero degli affari sociali e del lavoro, 5.997 presso il Ministero dell'interno e 490 presso il Ministero della difesa,
H. considerando che vengono effettuate ispezioni in tutto il paese da parte di rappresentanti dei ministeri iracheni nei luoghi di detenzione sotto il controllo dei Ministeri dell'interno e della difesa, così come in quelli gestiti dalle forze speciali,
I. considerando che EUROJUST LEX fornisce la necessaria formazione a più di 700 funzionari giudiziari, agenti di polizia e agenti carcerari iracheni,
J. ricordando che la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici prevede che nessuno possa essere oggetto di detenzione arbitraria e che la privazione della libertà deve essere basata su motivi e procedure stabiliti dalla legge e invitando tutte le parti ad applicare le sue disposizioni,

Gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane)
1. condanna vigorosamente tutti gli atti di violenza contro gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane) in Iraq; invita le autorità irachene e la MNF-I
[1] a individuare i perpetratori di questi gravi reati e a processarli quanto prima;
2. invita le autorità irachene a proteggere gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane) dalla discriminazione, conformemente agli obblighi internazionali;
3. invita le autorità irachene a migliorare la situazione della sicurezza degli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane) e a facilitare il rientro e la risistemazione dei rifugiati assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane) in un luogo sicuro dove vengano rispettate le loro usanze e il loro modo di vita;
4. chiede il coinvolgimento dei cristiani iracheni nella ricostruzione, oltre che nell'amministrazione del loro paese e dei loro villaggi nell'Iraq settentrionale e in altre parti della regione, allo scopo di preservare la loro identità culturale, religiosa ed etnica nell'ambito di un paese indiviso;
5. sostiene con fermezza gli appelli di buona parte dei leader politici e religiosi iracheni, i quali chiedono moderazione e invita le comunità irachene a unirsi in uno spirito di dialogo e di rispetto reciproco; esprime il proprio pieno sostegno per gli sforzi dell'ONU nella promozione del dialogo intercomunitario nell'ambito del dialogo nazionale; approva l'iniziativa degli Stati della Lega araba di effettuare una seconda conferenza sulla riconciliazione nazionale con la partecipazione di tutte le comunità irachene;
6. invita la Commissione costituzionale della Camera dei rappresentanti irachena a salvaguardare i diritti culturali e religiosi di tutte le comunità irachene nelle sue proposte concernenti la modifica della Costituzione;
7. invita la Commissione e il Consiglio ad adottare tutte le misure necessarie per assistere e proteggere gli assiri (caldei, siriaci e altre minoranze cristiane);

La situazione delle prigioni in Iraq
8. esprime la propria preoccupazione per le condizioni di detenzione nelle prigioni e in altri penitenziari in Iraq; riafferma la sua condanna del ricorso alla tortura e ad altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti nei confronti dei prigionieri; invita le autorità irachene e l'MNF-I ad assicurare che le condizioni di detenzione siano conformi agli standard internazionali sul trattamento dei prigionieri;
9. invita l'MNF-I e le autorità irachene a comunicare immediatamente le identità di tutti coloro che sono ancora in prigione e ad assicurare che abbiano accesso al patrocinio legale, che possano ricevere quanto prima le visite delle loro famiglie e vengano informati dei motivi della loro detenzione;
10. invita le autorità irachene e l'MNF-I ad attuare salvaguardie adeguate per proteggere i prigionieri dalla tortura e dai maltrattamenti, assicurando che:
a) tutte le accuse di maltrattamento siano oggetto di indagini tempestive, complete e indipendenti e che il personale militare, di sicurezza o di altro tipo che abbia praticato, ordinato o autorizzato la tortura venga processato;
b) i detenuti possano effettivamente contestare la loro detenzione dinanzi a un tribunale con tutte le garanzie legali;
c) tutti coloro attualmente detenuti senza capi d'imputazione per reati penali internazionalmente riconosciuti vengano processati o liberati;
11. approva le indagini in corso effettuate dall'MNF-I per quanto riguarda le accuse di maltrattare i prigionieri;
12. approva le ispezioni dei luoghi di detenzione in tutto il paese effettuate dalle autorità irachene; approva il fatto che sono in corso altre ispezioni; approva inoltre che l'UNAMI incoraggi questo processo;
13. invita l'MNF-I e le autorità irachene a concedere al Comitato internazionale della Croce Rossa il completo accesso a tutte le infrastrutture di detenzione britanniche e USA;
14. sostiene i continui sforzi del Ministero iracheno per i diritti dell'uomo per attuare standard elevati, anche nei confronti dei detenuti;
15. sostiene l'EUROJUST LEX; rileva che le autorità irachene hanno chiesto che la missione continui a operare dopo la fine del suo attuale mandato e di ampliare la formazione fornita; invita la Commissione e il Consiglio a prorogare la missione oltre la fine del suo attuale mandato e ad ampliare la formazione fornita, comprendendo la sorveglianza forense;
16. invita il Consiglio dei rappresentanti iracheno a ratificare la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti;
17. invita la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a dare un ulteriore contributo al rafforzamento dei diritti dell'uomo e dello stato del diritto in Iraq;
18. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al governo transitorio iracheno, al Consiglio dei rappresentanti iracheno, al governo degli Stati Uniti d'America e altri governi che fanno parte dell'MNF-I , nonché al Segretario generale dell'ONU.

[1] Multi National Forces Iraq = Forze Multinazionali Iraq

2 aprile 2006

Due giorni di preghiera e digiuno per l’Iraq, appello di Benedetto XVI
2 aprile 2006
In una Piazza San Pietro gremita di pellegrini convenuti per ricordare la morte, un anno fa, di Giovanni Paolo II, è riecheggiato l'appello del Pontefice Benedetto XVI a favore di due giornate di preghiera e digiuno, domani e dopodomani, per i cristiani iracheni.
L'appello che il Papa ha rilanciato è del Patriarca di Babilonia di Caldei, Emmanuel III Delly, ed era stato anticipato la scorsa domenica a Gallipoli da Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario, all'epoca in Italia.
"L'allontanamento da Dio ha causato spargimento di sangue, ed è necessario tornare a Lui e fare la Sua volontà perchè Egli restituisca all'Iraq, il paese di Abramo, la pace, la tranquillità e la sicurezza, e perchè l'amore, la fratellanza e la concordia regnino tra tutti gli iracheni ed in tutto il mondo. Che il buon Dio ascolti ed esaudisca le nostre suppliche"
Questo il sunto dell'appello di Mar Emmanuel che rende bene la situazione disperata in cui vivono gli iracheni tutti, ed i cristiani in particolare. Una situazione ribadita solo qualche giorno fa da Monsignor Andreas Abouna, anch'egli Patriarca Vicario dei Caldei, durante una visita in Germania, che, riferendosi all'esodo dei cristiani iracheni ha detto: "Con il cuore i cristiani non vorrebbero lasciare il paese ma a causa della situazione preferiscono farlo … le chiese sono piene ma al di fuori di esse si ha la sensazione che i cristiani siano finiti in Iraq.”
Benedetto XVI durante l'Angelus in Piazza San Pietro ha ben raccolto questa urgenza, e per questo ha detto:
“Invito tutti ad aderire all'iniziativa dei nostri fratelli di quel martoriato Paese, affidando tale intenzione all’intercessione di Maria Santissima, Regina della Pace"
La stessa Vergine Maria cui tutto l'Iraq fu consacrato dale chiese cristiane irachene, anche non cattoliche, il 21 marzo del 2003, a guerra già iniziata da un giorno, ma la cui benedizione è ancora necessario invocare, visto che è proprio di oggi la notizia di un'ennesima minaccia di morte ad un sacerdote caldeo di Baghdad, arrivatagli sotto forma di lettera lasciata nella casetta delle elemosine, a dimostrazione del fatto che neanche il chiuso di una chiesa può garantire la sicurezza in un paese dove, come ha affermato un altro sacerdote: “Qui non c’è – un - nemico, qui -ognuno - è un nemico.”

1 aprile 2006

Ai miei amici sconosciuti di Baghdad

Nella Baghdad di prima della guerra del 2003 c’era una strada che era diventata famosa: A’arasat al Indiya. In centro, e raggiungibile anche a piedi dai maggiori alberghi della capitale, in essa si era concentrato il lusso che in un paese sotto embargo era riservato solo a quella piccola parte della popolazione che con esso si era arricchito a dismisura, a differenza della maggioranza che di embargo, invece, moriva.
In A’rasat c’erano saloni di bellezza, e manifesti di algide bellezze nordiche impeccabilmente pettinate, boutiques, ed abiti da gran sera luccicanti di paillettes, profumerie, e fragranze francesi ed italiane, negozi di mobili, ed enormi lampadari le cui mille e mille gocce di cristallo riflettevano le luci della strada. In A’rasat sfilavano lente nello struscio notturno scintillanti macchine di lusso difficili da vedere anche sulle nostre strade, e dai cui finestrini aperti rimbombava la musica rock occidentale e si intravedevano gli occupanti, sempre uomini, sempre giovani, che con fare spavaldo scrutavano silenziosi i passanti, specialmente le donne.
In A’rasat c’erano alcuni dei ristoranti meglio frequentati della città dove era d’uso per le donne indossare l’abito lungo a cena. C’era il Castello, sì, proprio il Castello, in italiano. Un’improbabile ricostruzione in piccolo di un castello medioevale, le cui mura e le cui torrette erano ornate da una fila ininterrotta di lucine. Il Latakyia, di proprietà di un libanese, nel cui giardino una grande vasca ospitava le lente carpe del Tigri che, dopo essere state scelte dal cliente, sarebbero state cucinate secondo il metodo con il quale erano conosciute, il masgouf, e che consisteva nel poggiare il pesce, praticamente impalato da uno spiedo, sulle pareti di un forno circolare scavato nel pavimento ed al cui centro brillava un fuoco alimentato a legna. C’era il ristorante all’aperto su più livelli, al cui centro spiccava una vasta quanto inutile piscina, la cui sola illuminazione veniva da piccoli lumini posti sui tavoli ed i cui dondoli a due posti, strategicamente piazzati negli angoli più bui, ninnavano gli amori di adolescenti in jeans e t-shirt che parlottavano fitto, le mani intrecciate.
C’era il bar a tre piani con l’orchestrina dal vivo, un incredibile menu di gelati che malgrado le diverse forme e colori avevano tutti lo stesso sapore dolciastro e la stessa consistenza appiccicosa, e dove era possibile avere come vicini di tavolo gruppetti di ragazze truccatissime ed eleganti che, da sole, si godevano il fresco sorseggiando bibite gelate, fumando, e rispondendo con sguardi falsamente sprezzanti alle mute avances dei giovani conquistatori in macchina.
In A’rasat c’era anche Allan Melody, un negozio di musica molto conosciuto e dove, nonostante l’embargo si poteva trovare di tutto, dalla musica araba classica a quella moderna, da quella sinfonica tedesca al rock inglese, ma soprattutto gli ultimi successi made in USA. Non erano CD originali, questo sia chiaro, ma rispettabili copie che riuscivano però a soddisfare le richieste di quei clienti che criticavano la politica degli Stati Uniti d’America ma che ne ammiravano le stelle della musica.
Quel negozio ora non c’è più. Il proprietario lo chiuse dopo essere stato minacciato di morte, e dopo che una granata, che fortunatamente rimase inesplosa, fu gettata all’interno del locale. Anche il proprietario ora non c’è più. E’ morto a gennaio del 2006, ucciso dagli uomini che non miravano a lui ma che a tutti i costi volevano rapire colei che lui accompagnava, una giornalista americana, un ghiotto boccone da chi nel marasma iracheno cerca di trarre vantaggi politici od economici da queste azioni. Il nome di lei lo conosciamo, Jill Carroll, giornalista del Christian Science Monitor di Boston, rapita il 7 gennaio e liberata il 30 di marzo; quello del vecchio proprietario del negozio di dischi che di Jill era diventato l’interprete, è invece sconosciuto ai più. Il troppo orrore quotidiano dell’Iraq, e di Baghdad in particolare, nasconde i nomi dei morti, dei feriti, dei disperati iracheni non “eccellenti” ed il loro ricordo si perde nel dolore dei familiari e degli amici.
Così è per Allan Enwiya, ex venditore di musica, ex interprete, e poi ex figlio, marito, padre. Figlio unico, Allan aveva una moglie, un bambino di pochi mesi, Martin, ed una bimba di cinque anni, Mary Ann.
Allan, Martin, Mary Ann nomi inusuali per degli iracheni, ma non tanto a sapere che Allan era un cristiano e che come molti suoi correligionari portava, e dava ai figli, nomi non legati alla tradizione araba, quanto piuttosto a quella anglosassone, non per ricordare il periodo della dominazione britannica del paese, quanto piuttosto per ribadire coraggiosamente un’identità “altra,” diversa da quella della maggioranza islamica.
Allan Enwiya non è morto perché cristiano, storie simili alla sua ce ne sono migliaia in Iraq, e purtroppo riguardano tutte le diverse componenti del paese, i musulmani ed i cristiani, gli sciiti ed i sunniti, gli arabi ed i curdi, i turcomanni e gli assiri.
Allan Enwiya è morto però “anche” perché cristiano, anche se non direttamente.
Nell’Iraq di prima del 2003 i cristiani, tranne poche e famose eccezioni, non partecipavano alla vita politica e militare del paese. A livello politico la loro partecipazione era irrilevante anche se ufficialmente bilanciata dalla figura di Tareq Aziz, il cui stesso cambio di nome, originariamente Michael Yohanna, ben dimostra lo scarso attaccamento da egli dimostrato nei confronti dei suoi fratelli cristiani, e soprattutto la necessità di adeguamento totale, anche identitario, con la maggioranza per poter fare politica. Ed allora i cristiani si davano ad altre professioni. Come tutte le minoranze essi riconoscevano l’importanza dell’istruzione e molti quindi, erano in possesso di una laurea. Anche Allan era laureato, in ingegneria, ma la stagnazione dell’economia irachena sotto embargo lo aveva costretto a cambiare il corso della sua vita ed a diventare “DJAllan” come era conosciuto tra gli appassionati di musica di Baghdad.
La maggiore padronanza dell’inglese, e la disponibilità dei suoi parenti emigrati negli USA a mandargli le copie originali degli ultimi successi musicali che lui poi avrebbe doppiato, gli avevano consentito di gestire con successo il suo negozio. Poi però la scure dell’estremismo islamico che vorrebbe riportare il paese indietro nel tempo negandogli tutto ciò che è troppo “occidentale” e quindi “corruttivo” lo aveva costretto a cambiare mestiere ed era diventato interprete per i giornalisti americani, un lavoro rischioso, svolto prevalentemente dai cristiani le cui tipiche attività commerciali (saloni di bellezza, negozi di barbiere e parrucchiere per donna, produzione e vendita di alcolici, tra le altre) non hanno posto nel nuovo Iraq “democratizzato” dai mullah. Anche i bambini di Baghdad sanno che lavorare per gli americani è pericoloso, se non si è uccisi proprio perché “collaborazionisti,” lo si può essere negli attacchi che essi subiscono, ma a volte non ci sono alternative, e se non altro i cristiani non sono soggetti a ritorsioni da parte della loro stessa comunità, come accadrebbe invece per i musulmani che volessero fare il loro stesso mestiere.
Così Allan è morto per un colpo di pistola in testa il 7 gennaio. Così ora suo padre, sua madre, sua moglie ed i suoi due bambini sono fuggiti all’estero in attesa di un visto per gli USA, e di una nuova vita lontana dalla violenza di Baghdad.
Per la famiglia di Allan c’è stata una mobilitazione internazionale, il Christian Science Monitor, il quotidiano americano per cui lavora Jill Carroll, gli ha dedicato un tributo ripreso da molti altri organi di stampa, ed ha organizzato una raccolta fondi a favore della vedova e degli orfani, ma in Italia il suo nome è sconosciuto.
Perché dovrebbe essere altrimenti? Allan non era famoso, e soprattutto era iracheno, due caratteristiche che lo inseriscono di diritto nella lista dei morti dimenticati e mai conosciuti di questa assurda guerra senza fine.
Se io ne scrivo è solo perché con Allan io ci ho parlato, una volta. Non l’ho conosciuto, perché non si “conosce” una persona con la quale si scambiano solo poche parole, ma ricordo il suo negozio in A’arasat al Indiya, dove gli amici iracheni ci avevano portato in una calda serata di settembre assicurandoci che solo lì avremmo trovato tutto ciò che di musica stavamo cercando. Ricordo che a differenza di altri negozi analoghi in quartieri più popolari il volume della musica nel suo non ti spaccava i timpani, che tutto era ordinato e pulito, che lì comprai un DVD di Kadem el-Saher, il più popolare cantante iracheno, che uno schermo TV non visibile dalla strada mandava in onda filmati di poco vestite ballerine di danza del ventre - libanesi come ci dissero –
Devo aver parlato con Allan, sicuramente gli ho chiesto il conto, sicuramente l’ho ringraziato e salutato con il “Mah’-salama” di rito, ma i miei ricordi non vanno oltre.
Allan Enwiya è una delle centinaia di persone con cui ho scambiato almeno un saluto o un sorriso in Iraq, solo che di lui ora conosco il nome, la storia e la fine.
Chissà cosa ne è stato degli altri…