"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 febbraio 2014

Sospeso un sacerdote caldeo

By Baghdadhope*

Fonte delle notizie: Patriarcato Caldeo

Con un provvedimento pubblicato sul sito ufficiale del patriarcato caldeo ed a firma del vescovo di Zakho ed Amadhiya, Monsignor Rabban Al Qas, un sacerdote caldeo  è stato sospeso dal servizio sacerdotale.
La sospensione, come precisato, è dovuta a diversi motivi: il rifiuto di fare ritorno alla sua diocesi, quello di servire nelle parrocchie in Europa come proposto dal Patriarca in accordo con Monsignor Al Qas, e l'essersi recato in Svizzera nel 2006 in vacanza senza più far ritorno in Iraq ed aver lì richiesto asilo sulla base di minacce ricevute nel Kurdistan che secondo il vescovo non ci sono mai state.
Il provvedimento non mancherà di suscitare reazioni, la prima delle quali è arrivata al sito del patriarcato già ieri, giorno di pubblicazione del documento accusatorio, ed è firmata da una fedele caldea, Lina Sabah Naom. Nel commento al provvedimento la Signora Naom si appella al patriarca a favore del sacerdote, a suo dire molto attivo a favore della comunità caldea residente in Svizzera che ne ha "disperatamente bisogno"  e fa notare come a quel paese non sia stato ancora assegnato un sacerdote che possa seguire i fedeli.
Certamente la sospensione sarà discussa anche nel prossimo incontro dei sacerdoti caldei operanti in Europa che si terrà dal 10 al 14 marzo prossimi a Roma e che sarà presieduto dal Visitatore Apostolico per l'Europa, Monsignor Ramzi Garmou, che proprio in questi giorni ha iniziato dall'Austria la sua visita pastorale nel Vecchio Continente.
Altrettanto certamente una tale decisione è un duro colpo per lo stesso Patriarca per il quale il restare fedeli alla propria religione ed al proprio paese è di vitale importanza, come da egli stesso sottolineato durante un incontro con i fedeli svoltosi a Baghdad proprio ieri. Non è facile, infatti, convincere i fedeli a rimanere in Iraq quando sono i sacerdoti a lasciarlo, magari approfittando, come nel caso delle accuse contenute nel documento, di maggiori opportunità di espatrio rispetto ai laici, e quando, come discusso in un incontro dei vescovi caldei operanti in Iraq, il numero dei sacerdoti è in continua decrescita.       

Festival biblico: a Vicenza cinque incontri in vista del decennale

By SIR
 
Cinque incontri su “Parola divina, racconti umani - Uomo e Dio s’incontrano nella Scrittura”. È il cammino per prepararsi al decennale del Festival Biblico, in programma a Vicenza dal 22 maggio al 2 giugno, promosso dalla diocesi di Vicenza e dalla Società San Paolo, che quest’anno s’intitola “Le Scritture, Dio e l’uomo si raccontano”. “Ci siamo chiesti come potevamo prepararci adeguatamente per festeggiare questo importante anniversario - spiega don Ampelio Crema, presidente del Festival - e abbiamo pensato che uno dei modi, visto anche il tema di questa edizione, ovvero la narrazione, non poteva che essere quello di ripercorrere i grandi temi affrontati in tutti questi anni, cioè raccontare i dieci anni del Festival. Per far memoria, ma anche per prendere consapevolezza, ancora una volta della ricchezza della Parola”. Il percorso ripercorre alcune tappe salienti delle edizioni passate: appuntamento sempre alle 20.30, nella chiesa Santa Maria in Araceli (piazza Araceli 21, Vicenza), fatto salvo l’incontro del primo maggio, che si terrà ad Arzignano. Ha aperto, lunedì 24 febbraio, don Dario Vivian, teologo e coordinatore artistico della rassegna, raccontando il significato del Festival a partire dall’edizione 2005. “La Parola - ha osservato - nasce dalla vita e ci riporta alla vita. È una parola che nutre, che riempie i sensi. Il Festival biblico nasce proprio per far assaporare le Scritture”.
Prossimo appuntamento lunedì 10 marzo: sarà la volta dello psicanalista e saggista Massimo Recalcati, che in “Figure di figlio: Isacco, Telemaco e il figliol prodigo” analizzerà i ruoli di figlio, madre e padre nel contesto di un rapporto tra generazioni, ispirandosi ai temi delle edizioni 2011 e 2013. Lunedì 31 marzo, in collaborazione con Abaco Architettura, il monaco Michael Davide Semeraro e il monaco benedettino e liturgista Jako Ors Fehérvary, coordinati da Francesca Lenzi, faranno un excursus su “Luoghi di Dio, dimore dell’uomo”, ripercorrendo i temi delle edizioni 2006 e 2008. Giovedì 1° maggio, straordinariamente alle 17, al Palatezze di Arzignano (via Mameli 1/b), Saad Sirop, pastore e vescovo ausiliare della metropolia patriarcale di Babilonia dei caldei, in un evento in collaborazione con Comunità Abramo, incontrerà il pubblico per parlare de “L’ospitalità di Abramo, paradigma biblico di una società ospitale”, omaggiando i temi delle edizioni 2009 e 2010 del Festival. Chiuderà il ciclo, lunedì 5 maggio (di nuovo all’Araceli a Vicenza), il dialogo tra il pastore Paolo Doni e il giornalista economico Paolo Madron su “Tempo di crisi.
Info:
www.festivalbiblico.it

27 febbraio 2014

La vocation des chrétiens d'Orient, défis actuels et enjeux d'avenir dans leurs rapports à l'islam

By Université Catholique de Lyon

Les chrétiens d'Orient vivent une situation délicate qui s'avère déterminante pour leur avenir.
Autour du bassin méditerranéen (du Maghreb jusqu'en Turquie) et tout particulièrement et au Moyen-Orient (en Terre Sainte, en Égypte, au Liban, en Syrie, en Iraq...), la situation de minorité en période de tension et de crise de nature religieuse, culturelle, politique et économique nécessite une prise en compte de plusieurs paramètres : le rapport aux musulmans dans leur diversité, la montée des intégrismes, l'exode d'une grande partie de chrétiens, la cristallisation autour du conflit israélo-palestinien...
Originaires de la région, les chrétiens se trouvent dans une situation critique qui montre l'urgence d'une réflexion à la mesure des enjeux, d'où l'émergence de questions auxquelles le colloque tentera de répondre.
Quelle est la réalité des chrétiens d'Orient depuis ces trent dernières années ? 
Que penser de la diaspora ?
Quel soutien apporter à ces chrétiens pour une présence significative vis-à-vis des musulmans ?
A l'aide d'analyses universitaires et de témoins venant de différents pays, le colloque conjugue interventions en plénière, travail en ateliers et discussions autour de tables rondes.

Intervenants

Muhannad Al-Tawil, op
Curé de la paroisse Chaldéenne, Lyon

Sami Aoun
Professeur titulaire, Université de Sherbrooke, Canada
Samir Arbache
Maître de conférences, Université Catholique de Lille
Fabrice Balanche
Maître de conférences, Université Lyon 2
Christian Cannuyer
Directeur de Solidarité-Orient, Belgique
André Daher
Directeur du bureau pédagogique des écoles des Pères Antonins
Catherine Ducret
Association des Amis d’Anaphora
Roland Dubertrand
Conseiller pour les affaires religieuses du Ministère des Affaires Étrangères
Monika Dullman
Congrégation des soeurs de Saint Joseph de l’Apparition, directrice de l’hôpital français Saint Louis à Jérusalem
Frédéric Encel
Maître de conférences, Sciences-Po Paris
Bernard Fleuriot
Ancien Lieutenant pour la France de l’Ordre du Saint Sépulcre de Jérusalem
Antoine Fleyfel
Maître de conférences, Université Catholique de Lille
Ramzi Garmo
Archevêque des chaldéens de Téhéran et apostolique des chaldéens en Europe

Pascal Gollnisch
Directeur général de l’OEuvre d’Orient, Paris
Levon Isakhanyan
Directeur du département des affaires juridiques de l’Église Apostolique Arménienne en Géorgie
Maroun Lahham
Évêque auxiliaire du patriarche latin de Jérusalem, vicaire patriarcal pour la Jordanie
Pierre Lory
Directeur d’étude, École pratique des hautes études, Paris
Joseph Maïla
Ancien directeur de la Prospective au Ministère des Affaires Étrangères, directeur du programme Médiation à l’ESSEC.
Giacinto-Boulos Marcuzzo
Evêque auxiliaire du patriarche latin de Jérusalem, vicaire patriarcal pour Israël
Georges Massouh
Enseignant, Université Orthodoxe de Balamand au Liban
Tarek Mitri
Ancien ministre de la culture au Liban, envoyé spécial des Nations-Unis en Libye
Claudio MongeDominicain, Enseignant, Université de Galatasaray, Turquie
Laurence Ritter
Sociologue et journaliste
Paul Rouhana
Évêque maronite de Sarba, Liban
Ashraf Sadek
Ancien professeur, Université de Limoges
Fadel Sidarouss, sj
Enseignant à la Faculté des Sciences Humaines et Théologiques à Maadi, le Caire
Hilda Tchoboian
Conseillère régionale Rhône-Alpes Présidente du Covcas Center
Joseph Yacoub
Professeur honoraire, Université Catholique de Lyon
Zaven Yégavian
Directeur honoraire du département des communautés arméniennes de la Fondation Calouste Gulbenkian
Hanan Youssef
Soeur du Bon Pasteur, directrice du dispensaire Rouayssat au Liban 

By Aleteia
by Solène Tadié
La Faculté de Théologie de l'Université Catholique de Lyon organise fin mars un colloque consacré à la situation précaire des chrétiens d’Orient. Qu’il s’agisse des zones du bassin méditerranéen ou du Moyen-Orient, la position minoritaire de ces chrétiens vient encore compliquer un quotidien déjà marqué par des conflits incessants. Certains thèmes revêtent une importance capitale à leurs yeux, voiren constituent tout bonnement une question de survie : le rapport aux musulmans dans leur diversité, la montée des intégrismes, l'exode d'une grande partie de chrétiens, sans oublier la cristallisation autour du conflit israélo-palestinien...
Cette rencontre internationale s'est fixée pour objectif d’apporter des réponses aux principaux enjeux actuels, au vu de la réalité des chrétiens d'Orient ces 30 dernières années. Quid de la diaspora ? Comment soutenir les chrétiens pour une présence significative vis-à-vis des musulmans ?
Au programme de ce colloque : des matinées de conférences et de témoignages, suivies d’ateliers de 45 minutes, et de tables rondes venant clore les discussions en fin de journée.
La soirée d’ouverture se tiendra le 26 mars à 18 h, avec les interventions de S.E. Cyril Vasil secrétaire de la Congrégation des Églises Orientales, S.B. Louis Raphaël Ier Sako patriarche de l’Église chaldéenne catholique, et S.Em. Philippe Cardinal Barbarin, archevêque de Lyon et chancelier de l’Université Catholique de Lyon.

26 febbraio 2014

Appello dei vescovi cattolici iracheni: reagiamo davanti alla violenza che distrugge il Paese

By Fides

Photo www.saint-adday.com
La situazione drammatica vissuta dall'Iraq ha spinto i vescovi cattolici iracheni a riunirsi in assemblea per richiamare i cristiani e tutti i connazionali a reagire davanti alle violenze settarie e agli scontri tra fazioni politiche che stanno di nuovo precipitando il Paese nel caos. Dall'incontro, svoltosi a Baghdad la mattina del 25 febbraio presso la cattedrale caldea di san Giuseppe, è venuto un appello finale inviato anche a tutte le forze politiche e ai rappresentanti del governo e delle istituzioni irachene.
Nell'appello, pervenuto all'Agenzia Fides, sono formulate alcune raccomandazioni urgenti. A tutti i cristiani si chiede di pregare nel tempo di Quaresima per impetrare il dono della pace e della sicurezza per tutto il Paese. Alle forze politiche e sociali si chiede di dialogare e trovare soluzioni politiche urgenti alla crisi della nazione, per porre un freno al dilagare della violenza. I vescovi si rivolgono anche a quanti sono fuggiti dall'Iraq negli ultimi anni a causa dell'instabilità e dei conflitti, chiedendo agli emigrati di fare ritorno in Patria. Viene anche presa in considerazione la situazione della Siria, e si torna a auspicare la rapida liberazione dei due vescovi e delle suore di Maalula rapiti nel contesto del conflitto siriano. Si esprime anche viva gratitudine per quanto Papa Francesco sta facendo per la Chiesa, per il mondo e per la pace in tutte le aree sconvolte da guerre e violenze, ripetendo per tutti i cristiani l'incoraggiamento a rimanere nel proprio Paese per dare testimonianza della propria fede anche in contesti e momenti difficili.
Per la prima volta, all'assemblea dei vescovi cattolici iracheni hanno preso parte anche i superiori degli ordini e delle congregazioni religiose. L'organismo ha anche eletto il nuovo segretario nella persona di Shlemon Warduni, Vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei. A coadiuvarlo sarà Yousef Abba, Arcivescovo di Baghdad dei siro-cattolici.

24 febbraio 2014

Terra Santa Link: La violenta quotidianità di Baghdad

By TSD
21 febbraio 2014

Ancora attentati terroristici in Iraq. I cristiani lentamente abbandonano il Paese. Mons. Sleiman, vescovo di Baghdad: "Quelli che rimangono sognano un futuro di pace che ancora non esiste"

Il Patriarca Sako: in Quaresima digiuni e preghiere per chiedere che i cristiani non emigrino dall'Iraq

By Fides

“Vi chiedo di digiunare e di pregare, affinché i cristiani non emigrino dall'Iraq”. E questa la richiesta pressante contenuta in un breve e intenso messaggio che il Patriarca di Babilonia de Caldei Louis Raphael I Sako ha rivolto in particolare agli appartenenti alla sua Chiesa e a tutti i cristiani iracheni in occasione dell'imminente inizio del tempo di Quaresima. “La nostra identità cristiana” si legge nel messaggio, inviato all'Agenzia Fides “è radicata nel profondo della storia e della geografia irachene, da duemila anni. Le nostre radici e le nostre sorgenti limpide si trovano nel nostro Paese, e se lo lasciamo, saremo separati dalle nostre origini”. A giudizio del Patriarca occorre “perseverare e sperare”, evitando di ascoltare “quelli che vi fanno paura” e tutti coloro che, in vario modo, invitano o spingono i cristiani iracheni a lasciare la loro nazione. “Questi” insiste il Patriarca “non vogliono il vostro bene. Noi siamo qui per volontà di Dio, e rimaniamo qui con l'aiuto della sua grazia per costruire ponti e collaborare con i nostri fratelli Musulmani per lo sviluppo del nostro Paese.
Nel messaggio per la Quaresima, il Patriarca Sako chiede anche di pregare e digiunare affinchè per l'Iraq, la Siria, il Libano e l'intera regione finisca il tempo dell'angoscia. In Iraq - aggiunge il Patriarca Sako – è urgente “aprire una nuova pagina con le prossime elezioni", affinché nel Paese possano tornare “la pace e la sicurezza, per il bene di tutti i cittadini”.

Di seguito il messaggio completo per la Quaresima del patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako giunto a Baghdadhope:

Messaggio della Quaresima del Patriarca Sako


Digiuniamo e preghiamo per il futuro del nostro paese e della regione.
Digiuniamo e preghiamo affinché i cristiani non emigrino dall'Iraq.


Colgo l’occasione della Quaresima, per augurvi un tempo forte per la preghiera, per una vera conversione, e per vivere la carità nel concreto. La Quaresima è un tempo distinto per partecipare al mistero Pasquale e incorporarsi in Cristo.
Di fronte ai conflitti sanguinosi ed alla violenza in molte città del nostro paese e della regione, e di fronte all'eradicazione di molte famiglie dalle loro città e case, vorrei che dedicaste questo tempo al digiuno ed alla preghiera, per un futuro migliore del nostro paese e della regione della Siria e del Libano, e per realizzare una vera riconciliazione tra tutti i politici, e rinnovare la fiducia tra di loro per uscire da questa situazione angosciante. I responsabili devono stabilire sane regole per incontrarsi ed aprire una nuova pagina con le prossime elezioni affinché il paese possa ritrovare la pace e la sicurezza per il bene di tutti i cittadini, e possa occupare il suo posto a livello regionale ed internazionale.
Vi chiedo allo stesso tempo di digiunare e di pregare affinché i cristiani non emigrino dall'Iraq. La nostra identità cristiana è radicata nel profondo della storia e della geografia irachena, e questo da duemila anni. Le nostre radici e le nostre limpide
sorgenti si trovano nel nostro paese, e se lo lasciassimo perderemmo le nostre origini. Perseverare  e sperare è un'espressione della fedeltà piena alla nostra fede ed alla nostra patria.  Non ascoltate quelli che vi attraggono o quelli che vi fanno paura perchè non vogliono il vostro bene. Noi siamo qui, per volontà di Dio, e rimaniamo qui con la sua grazia per costruire ponti e collaborare con i nostri fratelli Musulmani per lo sviluppo del nostro paese, affinché ritorni una terra di beni e di glorie.
Approfittiamo dunque della Quaresima di quest'anno per diffondere la cultura dell’amore, del perdono e della pace, affinché tutti vivano nella libertà e nella dignità.

Buona Quaresima a tutti

21 febbraio 2014

Iraq: insegnamento del siriaco e della religione cristiana in 152 scuole pubbliche


Il Ministero dell'educazione dell'Iraq ha disposto che il siriaco e l'insegnamento della religione cristiana siano introdotti nei currucula di 152 scuole pubbliche nelle province di Baghdad, Ninive e Kirkuk. Lo scopo dichiarato è quello di contribuire a preservare la lingua madre di tutte le comunità confessionali cristiane autoctone ancora presenti nel Paese, segnate negli ultimi anni da una drastica riduzione numerica a causa dell'impennata dei flussi migratori registrata dopo la caduta del regime baathista. Le 152 scuole sono state selezionate nelle aree del Paese dove è maggiore la concentrazione di battezzati. Secondo i dati forniti ai media da Emad Salem Jeju– che guida la Direzione per lo studio del siriaco - le scuole coinvolte nel progetto sono frequentate da più di 20mila studenti. Lo stesso Jeju ha confermato che l'Assemblea dei vescovi cattolici in Iraq entro il prossimo anno preparerà delle nuove linee guida per l'insegnamento scolastico della religione cristiana. I cristiani in Iraq appartengono a 14 diverse denominazioni confessionali. In alcune delle classi coinvolte nel progetto, tutte le materie - e non solo il corso di siriaco e quello di educazione religiosa - vengono insegnate in lingua siriaca. In Iraq, dall'agosto 2011, è stata istituita la Direzione generale di Arte e Cultura siriaca. Da allora sono aumentate le iniziative volte a favorire la ripresa dell'uso della lingua siriaca. Nel Kurdistan le politiche a sostegno del siriaco erano state inaugurate già negli anni Novanta. Di recente il Parlamento iracheno ha riconosciuto anche il siriaco e l'armeno tra le lingue ufficiali del Paese, insieme al linguaggio parlato dai Turkmeni. La legge sulle lingue ufficiali è stata approvata dalla Camera dei Rappresentanti martedì 7 gennaio, e costituisce il punto d'arrivo di dieci anni di sforzi e mobilitazioni per far riconoscere a livello legislativo un principio già affermato dalla Costituzione, che lo garantiva come espressione dell'uguaglianza dei diritti esercitati da tutti i cittadini iracheni. Di fatto, fino a quel momento, le uniche lingue riconosciute come ufficiali dall'amministrazione pubblica erano l'arabo e il curdo. Le iniziative che favoriscono l'uso corrente della lingua siriaca sono state accolte con soddisfazione dai gruppi militanti più impegnati nella difesa identitaria delle popolazioni assire, caldee e siriache, come l'Assyrian Democratic Movement. Allo stesso tempo, va registrato il fatto che in gran parte delle famiglie cristiane il siriaco non viene più parlato correntemente. Per questo motivo molti genitori cristiani hanno manifestato una certa riluttanza a iscrivere i propri figli nelle classi dove tale lingua viene utilizzata nell'insegnamento di tutte le materie.

Fides: Progetto-pilota per l'insegnamento del siriaco e della religione cristiana in 152 scuole
21 febbraio 2014

Al Monitor:
Iraq moves to preserve Christian heritage, Syriac language
19 febbraio 2014

20 febbraio 2014

Iraq verso il voto in un clima di guerra: migliaia i morti

di Daniele Rocchi

“Siamo un Paese in guerra”: non usa mezzi termini monsignor Shlemon Warduni, il vescovo ausiliare di Baghdad, per commentare l’ultima ondata di attentati che ha colpito la capitale irachena e altre città del Paese, come Hilla, provocando almeno 49 morti e decine di feriti. Ad essere colpiti centri commerciali e stazioni di autobus, chiaro l’obiettivo degli attentatori: fare più morti possibile. “Quando si piazzano bombe in mezzo a tanta gente innocente e si provocano stragi non si può parlare di un Paese pacificato, tutt’altro”, dichiara il vescovo caldeo, da poco rientrato nella sua residenza dopo una riunione con la Caritas Iraq di cui è presidente. “Qui ogni giorno si contano morti”. Al momento mancano rivendicazioni ma da più parti si tende a pensare che gli attacchi rientrino in una strategia della tensione voluta da gruppi integralisti islamici legati ad Al Qaeda e da fazioni sunnite che combattono l’attuale premier, sciita, Al Maliki. Il 30 aprile, poi, vi saranno le elezioni legislative e si teme, per questo, un aumento della violenza.
Eccellenza, cosa sta succedendo in Iraq? Dalla caduta di Saddam Hussein nel 2003, il 2013 è stato l’anno più violento, superando anche le violenze del periodo 2006-2007. E il 2014 ha visto a gennaio oltre mille morti e in questo scorcio di febbraio quasi 500 vittime…
“Solo un profeta, o un angelo mandato dal cielo, può dire veramente cosa sta accadendo qui. Non riusciamo a dare una spiegazione a tanta violenza. Gli analisti la attribuiscono alla prossima tornata elettorale del 30 aprile. Ma mi chiedo: anche in Italia accade lo stesso quando ci sono le elezioni? Non credo proprio. Eppure in Iraq si verifica. Ci dicono di restare tranquilli, di non uscire, di usare prudenza. Ma come si fa a vivere così? È rischioso muoversi per fare la spesa, per andare a lavoro, a pregare nelle chiese e nelle moschee. Le bombe non guardano in faccia nessuno”.
Se la situazione politica interna è grave, quella economica e sociale lo è forse di più. Come vive oggi la popolazione irachena?
“L’Iraq è un Paese ricchissimo, pieno di risorse naturali e materie prime. La sua popolazione potrebbe vivere benissimo e anche quelle dei Paesi vicini potrebbero avere ricadute positive. Invece, dopo tanti anni, non abbiamo ancora infrastrutture, stabilità e sicurezza. L’80% del budget del nostro Paese, miliardi di dollari, si perde in mille rivoli, va sprecato e non porta vantaggi al popolo, in nessuna forma”.
Alle emergenze interne si sommano quelle alle frontiere con la Siria. Caritas Iraq è in prima linea nell’assistere i profughi siriani in fuga…
“Certamente. Stiamo cercando di alleviare le loro sofferenze attraverso aiuti di vario tipo. Purtroppo stanno crescendo anche i bisogni di tanti iracheni, cristiani e non, che sono, anch’essi, in fuga dalle loro città, come Ramadi, Falluja e altre ancora, a causa delle violenze settarie. In Caritas stiamo pensando a un progetto anche per loro e con i nostri partner vedremo come agire per dare risposte a questi bisogni”.
Il 30 aprile l’Iraq andrà al voto. Nella lotta tra sciiti e sunniti, i cristiani sembrano essere i più deboli anche politicamente, complice anche una certa frammentazione. Sono ben nove le liste cristiane in corsa e solo 5 i seggi loro riservati dalla legge elettorale. Come garantire, allora, una maggiore rappresentatività ed incisività alla minoranza cristiana?
“Come Chiesa caldea esortiamo i nostri fedeli, quelli desiderosi d’impegnarsi in politica, a fare unità. Purtroppo la risposta non è quella che ci aspettiamo. La frammentazione e la divisione non aiuta né i cristiani né il Paese che da noi si attende un’azione di mediazione, di riconciliazione. L’idea della ‘Lega caldea’, perorata dal patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako, è ottima e spero venga accolta. A giorni avremo a Baghdad un incontro tra tutti i vescovi cattolici del Paese e speriamo di fare dei passi in avanti in questa direzione. L’idea è quella di riunire persone che rivestono ruoli nella vita pubblica, professionisti, esperti, docenti, coordinarne l’azione con lo scopo di contribuire alla rinascita sociale, civile e non solo politica del nostro Paese. Per questo invitiamo tutti i fedeli a recarsi al voto al momento delle elezioni e a non disertare le urne”.

14 febbraio 2014

Il Patriarca Sako: ci vuole una “Lega Caldea”

By Fides

Nel tempo difficile che continua a vivere la nazione irachena, c'è bisogno di dar vita a una “Lega Caldea”: un'associazione per coordinare e favorire il contributo dei caldei alla società civile e aiutare l'Iraq a vincere le derive del settarismo confessionale e etnico. Questa è l'urgenza che il Patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphael I Sako esprime in una conversazione con l'Agenzia Fides, delineando obiettivi e caratteristiche di un progetto destinato a prendere forma nei prossimi mesi.
“Come caldei” spiega a Fides il Patriarca Sako “viviamo un tempo di confusione e di incertezza. La nostra presenza nella società è debole, frammentata nel campo della politica, della cultura, dell'azione sociale. Una 'Lega caldea' potrà aiutarci a rendere più concreto e efficace il nostro contributo alla vita civile del Paese”. Il modello è quello di organizzazioni analoghe nate in seno a altre comunità ecclesiali d'Oriente, come la Lega Maronita e la Lega Siriaca. Un'associazione che non diventi strumento diretto dei politici cristiani - che in Iraq militano in liste contrapposte e perseguono spesso interessi particolari - ma cerchi di muoversi su un orizzonte più largo. “L'immagine che ho presente” spiega il Patriarca Sako “è quella di un'élite di laici - professionisti, intellettuali, esperti, persone che hanno ruoli nella vita pubblica – che si coordini e renda più efficace e visibile il contributo civile e umanitario dei caldei a servizio di tutta la società, per costruire ponti tra i cristiani e con tutti gli iracheni non solo sul piano religioso e spirituale, ma anche su quello sociale e civile”.
La proposta è rivolta anche ai caldei della diaspora, e prefigura un'organizzazione legata alla comunità caldea ma senza tutele formali o sostegno economico diretto da parte delle gerarchie ecclesiastiche. “Ci sono tanti cristiani” insiste il Patriarca caldeo “che già lavorano in tante istituzioni pubbliche o in settori importanti come la sanità e l'educazione. Ma il loro contributo al bene comune appare frammentato. E' venuto il tempo di creare un'organizzazione che sappia valorizzare i loro talenti e le loro competenze, al servizio di tutti”.
L'idea di istituire una Lega Caldea, annunciata pubblicamente dal Patriarca Sako nei giorni scorsi, sta raccogliendo adesioni e commenti positivi. Il progetto dovrebbe prendere forma più dettagliata entro l'estate, dopo la probabile celebrazione di un nuovo Sinodo della Chiesa caldea. “L'importante” sottolinea il Patriarca Sako “è vincere la tentazione del nazionalismo cieco e della frammentazione, che stanno mettendo in crisi il Paese: Non dobbiamo imitare i gruppi che si chiudono in se stessi e lottano tra loro. Come caldei, vogliamo collaborare con tutti e essere aperti a tutti”.

12 febbraio 2014

Governatore di Bassora: Aiuteremo i cristiani irakeni a tornare nella loro terra

di Joseph Mahmoud

Aiuteremo i cristiani a far ritorno nella provincia, concedendo loro un pezzo di terra da coltivare e creando al contempo opportunità di lavoro e di sviluppo per quanti sono fuggiti in passato per le violenze e la mancanza di sicurezza. È quanto ha sottolineato il leader sciita Majid Al-Nasrawi, dal giugno 2013 governatore di Bassora (nel sud dell'Iraq, al confine con il Kuwait), durante l'incontro con Sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako e i vertici della Chiesa caldea. Il summit è avvenuto la scorsa settimana, in concomitanza con i festeggiamenti per l'ingresso del nuovo vescovo (mons. Habib Hormuz Al-Nofaly) nella diocesi irakena. Un momento di gioia e di festa per tutta la comunità cristiana, che ha accolto il nuovo pastore nel corso di una concelebrazione eucaristica. 
Il governatore di Bassora ha voluto organizzare un pranzo solenne per rendere omaggio al Patriarca caldeo e alla delegazione cristiana che lo ha accompagnato. Fra i presenti - oltre ai delegati del Consiglio provinciale - il nuovo vescovo della città, il nunzio apostolico in Iraq mons. Giorgio Lingua, il vescovo ausiliare di Baghdad Shlemon Warduni, alcune suore caldee della Congregazione delle Figlie di Maria e altri prelati.  
Durante l'incontro Majid Al-Nasrawi ha espresso la sua "gioia" per la visita della leadership cristiana, confermando il forte legame che unisce la provincia con i suoi figli cristiani; egli ha inoltre esortato i vescovi a "convincere le famiglie a restare e favorire il rientro di quanti sono fuggiti". 
Il Patriarca caldeo ha confermato l'attenzione posta dalla Chiesa irakena al sud del Paese, e in particolare la città di Bassora, testimone dei primi passi del cristianesimo nell'area con l'ingresso di San Tommaso Apostolo. La nomina di un nuovo vescovo, dopo 10 anni di vacanza, è la conferma di un rinnovato impegno verso la comunità cristiana locale. Ad accogliere e a salutare Mar Sako e i vescovi vi erano anche delegazioni provenienti di Nassiriya,  dalla città di Ur, capi tribù e rappresentanze diplomatiche straniere fra cui quella statunitense, iraniana e turca. 
Durante la visita, la leadership caldea ha celebrato una messa solenne nella chiesa di Mar Afram, pregando "per il bene di Bassora e per il suo nuovo vescovo", chiamato a contribuire allo sforzo comune per portare pace, amore e armonia nella regione. Nel corso della funzione Mar Sako ha più volte ricordato il bisogno di una "coesistenza pacifica" fra le diverse anime della città e della nazione. Mons. Habib Hormuz Al-Nofaly ha focalizzato l'attenzione sullo studio della Bibbia e ha auspicato che Bassora possa diventare "un modello" per le altre diocesi del Paese.
Nella diocesi vi sono più di 200 famiglie cristiane caldee, oltre a piccole rappresentanze di cattolici e ortodossi siriani, cattolici armeni. Da tempo la Chiesa irakena è impegnata a contrastare l'esodo della comunità cristiana, che in dieci anni si è più che dimezzata. Prima dell'invasione americana e della caduta di Saddam Hussein i fedeli erano più di un milione mentre oggi, secondo stime recenti, sono circa 300mila.

11 febbraio 2014

Quel che resta dei cristiani d'Oriente

di Sandro Magister

Fervono sotto traccia i preparativi del viaggio di papa Francesco in Terra Santa, in programma dal 24 al 26 maggio.
Quando mezzo secolo fa Paolo VI si recò a Gerusalemme – primo papa della storia –  i luoghi santi della città erano quasi tutti entro i confini del regno di Giordania. E così gran parte della Giudea e la valle del Giordano. I cristiani erano numerosi e in alcune località come Betlemme erano in netta maggioranza. Nella mente di molti cattolici d'Occidente – come il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, oggi in corsa verso gli altari – brillava l'utopia di una vicina pace messianica che avrebbe affratellato cristiani, ebrei e arabi.
Su questo sfondo e in questo clima, il viaggio di Paolo VI fu un evento di risonanza grandiosa. Nella città vecchia di Gerusalemme la folla araba strinse il papa in un abbraccio fisico travolgente, a tratti sollevandolo da terra. E anche al suo ritorno a Roma una folla sterminata fece ala al papa che rientrava in Vaticano.

Oggi quel clima non c'è più. La geopolitica del Medio Oriente è completamente mutata. Non c'è pace tra israeliani e palestinesi. Il Libano è stato dilaniato da una guerra civile. La Siria è al collasso. L'Iraq è devastato. L'Egitto esplode. Milioni di profughi fuggono da una regione all'altra.

E i cristiani sono quelli più stretti nella morsa. Il loro esodo dai paesi mediorientali è incessante, non compensato dalla precaria immigrazione nei paesi ricchi del Golfo di manodopera proveniente dall'Asia.

Ha dichiarato in proposito il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin nella sua prima intervista a largo raggio dopo la sua nomina, ad "Avvenire" del 9 febbraio:

"La situazione dei cristiani in Medio Oriente è una delle grandi preoccupazioni della Santa Sede, sulla quale essa non cessa di sensibilizzare quanti hanno responsabilità politiche, perché ne va della pacifica convivenza in quella regione e nel mondo intero".

Ed ha aggiunto, riferendosi alla presenza in Medio Oriente di cristiani appartenenti a diverse confessioni e implicitamente all'incontro che papa Francesco avrà a Gerusalemme con il patriarca ecumenico di Costantinopoli, mezzo secolo dopo l'abbraccio tra Paolo VI e Atenagora:

"Questo è pure un ambito di particolare rilevanza a livello ecumenico, dato che i cristiani possono cercare e trovare vie comuni per aiutare i fratelli nella fede che soffrono in varie parti del mondo".

Ma quanti sono e chi sono i cristiani che abitano in Terra Santa e nelle regioni circostanti?

Nell'insieme essi sono oggi tra i 10 e i 13 milioni, a seconda delle stime, su una popolazione complessiva di 550 milioni di abitanti. Quindi circa il 2 per cento.

Ecco qui di seguito una loro mappa aggiornata, ripresa dal n. 22 del 2013 dalla rivista "Il Regno" dei dehoniani di Bologna, scritta da un esperto in materia.



CHIESE ANTICHE E FRAGILI
di Giorgio Bernardelli

 
Quanti sono i cristiani del Medio Oriente? Quante e quali sono le loro Chiese? Per orientarci, il punto di riferimento sono i patriarcati del cristianesimo dei primi secoli, che oltre a Roma e Costantinopoli assegnavano un ruolo di primo piano anche ad Antiochia, Alessandria e Gerusalemme.

I COPTI

Guardando ai numeri di oggi non si può partire che dai cristiani dell’Egitto, gli eredi del patriarcato di Alessandria. E specificamente dalla Chiesa copta ortodossa, guidata dal papa Tawadros II, a cui fa riferimento più del 90 per cento dei cristiani dell’Egitto.

La si chiama copta ortodossa, ma va chiarito subito che non ha nulla a che vedere con l’ortodossia figlia dello scisma tra Roma e Costantinopoli. La genesi di una Chiesa autonoma egiziana affonda infatti le sue radici nel rifiuto del patriarca di Alessandria di partecipare al concilio di Calcedonia del 451, all’epoca delle dispute teologiche sulla natura di Gesù.

I copti sono oggi la comunità cristiana più numerosa in Medio Oriente. Ma quanti sono? Negli ultimi due censimenti del 1996 e del 2006 la domanda sulla religione di appartenenza in Egitto è stata omessa dai questionari, seguendo un’indicazione in tal senso proveniente dalle Nazioni Unite. Solo che questo ha alimentato due contabilità parallele.

Da una parte quella della Chiesa copta ortodossa, che basandosi sui suoi registri sostiene che i cristiani siano il 10 per cento della popolazione del paese, vale a dire tra gli 8 e i 9 milioni.

Dall’altra c’è la statistica ufficiale, che sostiene che siano molti di meno: nel 2012 l’Agenzia governativa parlava di non più di 5.130.000 cristiani. E anche una fonte indipendente come l’americano Pew Research Center stima addirittura in soli 4.290.000 i cristiani in Egitto, pari al 5,3 per cento della popolazione. Non è comunque detto che questi numeri della statistica ufficiale siano di per sé più accurati: bisogna tenere conto che l’Egitto non è solo il Cairo e – soprattutto per i distretti più periferici – gli stessi numeri sulla popolazione complessiva sono molto dubbi.

Va aggiunto che i numeri dei cristiani egiziani comprendono anche la Chiesa copta cattolica, di rito copto ma in comunione con Roma, guidata dal patriarca Ibrahim Isaac Sidrak, che conta circa 160.000 fedeli. E poi ci sono i cristiani egiziani di matrice evangelica, che si stimano intorno ai 250.000.

Se tante sono le incertezze sui copti in Egitto il discorso non può essere diverso per le stime sui cristiani egiziani che hanno lasciato il paese negli ultimi anni.

Di certo c’è che la comunità più folta della diaspora è quella degli Stati Uniti, dove circola il dato di 900.000 persone. Molto grandi anche le comunità in Canada (circa 200.000) e in Australia (75.000). Più piccole invece, fino a un paio di anni fa, risultavano le presenze copte nei paesi europei.

Tutto questo, però, al netto di quanti hanno lasciato il paese negli ultimi due anni. Su questo il Washington Institute for Near East Policy ha diffuso una stima che parla di 100.000 cristiani fuggiti dall'Egitto dopo la caduta di Mubarak. Dato però contestato dalla Chiesa coìpta ortodossa, che parla di poche decine di migliaia di persone, ma ha anche interesse a contenere il fenomeno.


I GRECO-ORTODOSSI

Sono gli eredi del patriarcato di Gerusalemme, che nell’antichità restò sempre nell’orbita di Costantinopoli. Ma sono anche uno dei diversi filoni nati dalla cattedra di Antiochia, il patriarcato dalla storia più travagliata.

Anche per questo motivo i greco-ortodossi in Medio Oriente si trovano tuttora sotto la giurisdizione di due patriarcati tra loro distinti: quello di Gerusalemme – guidato attualmente dal patriarca Teofilo III –, che conta circa 500.000 fedeli ed è la comunità cristiana più folta in Israele, in Palestina e in Giordania; e quello greco-ortodosso di Antiochia, che ha la sua sede a Damasco ed è guidato da pochi mesi dal patriarca Youhanna X Yazigi, fratello di uno dei due vescovi rapiti ad Aleppo.

A questo secondo patriarcato si stima facciano riferimento circa 2 milioni di fedeli, comprendendo però, oltre a quelle della Siria, le comunità ortodosse del Libano, della Turchia e dell’Iraq e soprattutto gli emigrati della diaspora, presenti in numeri molto significativi negli Stati Uniti, in America Latina, in Australia e nell’Europa occidentale.

Questa diaspora era cominciata già ben prima della tragedia che oggi la Siria sta vivendo, ma certamente la guerra la sta accentuando. Se nella primavera del 2011 si stimava che in Siria i greco-ortodossi fossero oltre 500.000, oggi a questo numero non si possono che affiancare tanti drammatici punti interrogativi. È eloquente un dato fornito dal patriarca melchita Gregorio III Laham, secondo cui su 1,5 milioni di cristiani siriani sono almeno 450.000 quelli che hanno dovuto lasciare le proprie case a causa della guerra.


I MELCHITI

Li abbiamo appena citati accanto ai greco-ortodossi del patriarcato d’Antiochia e non a caso. I melchiti nascono infatti da una scissione interna proprio a quella comunità, avvenuta quando nel 1724 il patriarca di Costantinopoli non riconobbe l’elezione alla cattedra greco-ortodossa di Antiochia di Cirillo VI, ritenuto troppo vicino all’Occidente. Cinque anni dopo questi tornò alla piena comunione con Roma mantenendo il rito bizantino.

Come i copti cattolici, dunque, anche i melchiti sono una Chiesa cattolica di rito orientale. Secondo le statistiche dell’Annuario pontificio oggi contano circa 1,6 milioni di fedeli. Di questi però solo 750.000 vivono ancora in Medio Oriente, dunque meno della metà; ed è impressionante constatare come un numero praticamente pari risieda attualmente in America Latina.

In Medio Oriente i melchiti sono presenti in diversi paesi: in Siria erano circa 235.000 (ma sul loro numero attuale vale lo stesso discorso fatto per i greco-ortodossi siriani), in Libano quasi 400.000, comunità più piccole sono presenti in Israele, in Palestina, in Giordania. Anche il patriarca melchita ha la sua sede a Damasco.


I SIRI

Quello bizantino non è però l’unico volto del cristianesimo figlio del patriarcato di Antiochia. Anche qui, infatti, un primo scisma si era consumato già ai tempi del concilio di Calcedonia e gli eredi di quella comunità costituiscono tuttora la Chiesa siro-ortodossa. Chiesa dalla grandissima tradizione missionaria nel primo millennio, testimoniata tuttora dal fatto che più di 5 milioni di siro-ortodossi vivono in India, contro il milione che risiede tra il Medio Oriente e il resto della diaspora.

Altra caratteristica significativa è il fatto che questa Chiesa ha conservato come sua lingua liturgica l’aramaico, la lingua parlata da Gesù. Dal 1980 la Chiesa sira è guidata dal patriarca Mar Zakka I, che ha la sua sede a Saydnaya nei pressi di Damasco, ma risiede a Beirut.

Esiste anche una Chiesa siro-cattolica dalla storia parallela a quella melchita, anche se la loro comunione con Roma risale a un secolo prima. I siro-cattolici in Medio Oriente sono attualmente 140.000 e vivono principalmente in Siria e in Iraq, guidati dal patriarca Ignazio III Younan.


I MARONITI

Sempre nell’alveo della tradizione siriaca vanno inseriti anche i maroniti, la Chiesa cattolica di rito orientale con il maggior numero di fedeli.

I maroniti sono il gruppo cristiano maggioritario in Libano. Sono eredi di comunità di rito siriaco che nel 451 aderirono al concilio di Calcedonia. In Libano, secondo i dati dell’ Annuario pontificio , sono poco meno di 1,6 milioni in un paese di 4 milioni di abitanti. E questo fa sì che il paese dei Cedri sia quello con la percentuale più alta di cristiani, intorno al 36 per cento.

Anche qui, però, va ricordato che soprattutto negli anni della guerra civile l’emigrazione ha colpito pesantemente. Oggi circa la metà dei 3,5 milioni di maroniti vive lontano dal Medio Oriente, con il gruppo più consistente, oltre 1,3 milioni, in America Latina.

La Chiesa maronita è guidata dal patriarca Bechara Rai, che è oggi l’unico patriarca a essere anche cardinale. Lo era anche il patriarca copto cattolico Antonio Naguib, che ha però dovuto rinunciare alla cattedra di Alessandria per gravi ragioni di salute.


I CALDEI

Un ulteriore filone del cristianesimo siriaco è quello della Chiesa assira, che oggi conta 400.000 fedeli tra l’Iraq e la diaspora e ha la sua sede a Chicago, dove vive anche il suo patriarca Mar Dinkha IV. Da essa traggono origine i caldei, il gruppo maggioritario tra i cristiani iracheni.

Anche quella caldea è una Chiesa cattolica di rito orientale, in comunione con Roma fin dal 1553. Ed è la comunità che soffre sulla sua pelle tutto il dramma del dopo Saddam Hussein. Prima della guerra i caldei in Iraq erano almeno un milione, oggi non ne restano che 300-400.000, concentrati soprattutto nell’area del Kurdistan iracheno. Un esodo spaventoso che rischia di riprendere dopo che negli ultimi mesi – complice anche la saldatura tra gli scontri settari a Baghdad e la guerra in Siria – il numero degli attentati nel paese è tornato a crescere.

L'attuale situazione ha portato il patriarca caldeo Raphael Sako a utilizzare recentemente toni molto forti contro la fuga dei cristiani, arrivando ad accusare alcuni paesi occidentali di fomentarla attraverso la concessione dei visti di ingresso agli iracheni.


GLI ARMENI

Storicamente rilevante per il Medio Oriente è anche la presenza dei cristiani di tradizione armena. Anche in questo caso si tratta di un’antica Chiesa orientale che non aderì al concilio di Calcedonia del 451.

Pur avendo il suo centro spirituale ad Echmiadzin – nell’attuale Armenia – la Chiesa apostolica armena ha due sedi importanti in Medio Oriente: il Catholicato di Cilicia, che ha giurisdizione sul Libano e sulla Siria ed è guidato dal catholicos Aram I, e il patriarcato armeno di Gerusalemme, sulla cui cattedra siede il patriarca Nourhan Manougian.

La comunità numericamente più consistente è in Libano dove gli armeni sono circa 150.000. Altri 100.000 erano presenti in Siria, soprattutto nell’area di Aleppo e Deir ez-Zor, destinazione finale delle lunghe marce forzate della persecuzione attuata dai Giovani Turchi. Armeni sono anche la grande maggioranza dei cristiani iraniani (80-100.000).

Anche in questo caso esiste pure una Chiesa di rito armeno in comunione con Roma: è quella guidata dal patriarca armeno di Cilicia Nerses Bedros XIX, con sede a Beirut. Questa comunità conta nel mondo circa 540.000 fedeli, di cui però meno di 60.000 vivono oggi in Medio Oriente.


I LATINI

In questo quadro così complesso come si colloca la Chiesa di rito latino, che ha il suo fulcro nel patriarcato di Gerusalemme guidato da Fouad Twal? La sua giurisdizione è su quelle comunità di Israele, della Palestina e della Giordania fiorite lungo i secoli intorno alla presenza in Medio Oriente degli ordini religiosi della Chiesa latina, francescani in primis, ma non solo.

Si tratta di una comunità piccola: al netto del fenomeno nuovo degli immigrati, la comunità latina conta attualmente in tutta la regione circa 235.000 fedeli, cioè appena il 7 per cento tra i cristiani in comunione con Roma.

È il gruppo che assieme ai greco-ortodossi e ai melchiti ha sofferto di più a causa dell’esodo dalla Terra Santa. I latini sono oggi appena 27.500 in Israele, 18.000 in Palestina, 50.000 in Giordania.

A livello generale in Palestina il numero dei cristiani a partire dal 2000 si è dimezzato, passando dal 2 all’1 per cento della popolazione. Più complesso il dato su Israele, dove l’ufficio centrale di statistica parla di 158.000 cristiani, stabili intorno al 2 per cento della popolazione; ma si tratta di un numero dai due volti, perché mentre in Galilea la comunità cristiana cresce secondo le normali dinamiche di una popolazione giovane, a Gerusalemme i cristiani sono rimasti appena 6.000 in una città che conta ormai 780.000 abitanti, mentre erano più del doppio nel 1967, quando Israele assunse il controllo dell'intera Gerusalemme e gli abitanti della città erano appena 260.000.

Ma il discorso sui latini resta incompleto se non si affronta anche il tema degli immigrati cristiani giunti in questi ultimi anni a centinaia di migliaia in Medio Oriente, spinti dalle nuove rotte del mercato del lavoro globale.

Si tratta di filippini, indiani, thailandesi, ma anche romeni o nigeriani. In Israele solo i filippini sono oltre 50.000, cioè praticamente il doppio degli arabi cristiani che frequentano le parrocchie di rito latino.

Ancora più macroscopico, poi, diventa questo fenomeno se si allarga lo sguardo alla Penisola Arabica, terra dove i cristiani fino a pochi anni fa praticamente non esistevano.

Grazie all'immigrazione, i cristianì sono oggi 1,2 milioni in Arabia Saudita (il 4,4 per cento in rapporto alla popolazione), 950.000 negli Emirati Arabi Uniti (12,6 per cento), 240.000 in Kuwait (8,8 per cento), 168.000 in Qatar (9,6 per cento) 120.000 in Oman (4,3 per cento), 88.000 in Bahrein (7 per cento).

Si tratta però di una presenza cristiana strutturalmente straniera, esposta alla provvisorietà e, per quanto riguarda i paesi del Golfo, sottoposta a pesanti restrizioni alla propria vita religiosa.

Infine va anche aggiunto che – pur essendo canonicamente sotto la giurisdizione dei vescovi latini dei due vicariati d’Arabia – tra i cristiani di questi paesi vi sono anche molti indiani appartenenti alle Chiese cattoliche siro-malabarese e siro-malankarese.


Il testo integrale dell'articolo, in "Il Regno" 22/2013:
Chiese antiche e fragili

I cristiani iracheni e l’islam. Il patriarca Sako: «Non si può interrompere una storia di duemila anni»

By Tempi, 11 febbraio 2014
di Leone Grotti
 
Nel 2003 c’erano 1,5 milioni di cristiani in Iraq. Oggi non più di 300 mila. Circa dieci cristiani al giorno lasciano il paese mentre la guerra tra sunniti e sciiti fa quasi mille morti al mese. A guidare la Chiesa cattolica caldea in un momento così drammatico è Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, eletto patriarca di Babilonia un anno fa, l’1 febbraio 2013.
Facendo un bilancio del suo primo anno alla guida della Chiesa caldea con tempi.it, il patriarca Sako si dimostra assai combattivo: «Le sfide che mi ritrovo ad affrontare sono tante e complesse: da una Chiesa che era ridotta al caos all’esodo dei cristiani, dal rapporto con i musulmani e il governo a quello con papa Francesco: vedo segnali di speranza ma per ottenere quello che ci spetta dobbiamo lottare, non possiamo aspettare che qualcuno ci conceda diritti che ci appartengono come se fosse un regalo».
La Chiesa caldea era allo sfascio?C’era una situazione difficile perché mancava l’ordine e non c’era un’autorità. Quest’anno abbiamo cominciato piano piano a organizzarci, a seguire i preti e due settimane fa abbiamo consacrato tre nuovi vescovi, che ci danno grande forza e speranza.
I cristiani, però, continuano a scappare dal paese.È vero ma le cose stanno cambiando. Da un anno abbiamo cominciato un dialogo con le autorità a Baghdad: ora ci rispettano e la presenza cristiana è un po’ più forte. I cristiani non hanno più paura come prima, escono, vanno in chiesa, si mostrano all’aperto. La settimana scorsa a Bassora si è insediato il nuovo arcivescovo e tutte le autorità civili musulmane sono venute alla celebrazione.
In che modo aiutano i cristiani?Il governatore ci ha detto che non vogliono che i cristiani se ne vadano e mi ha fatto una promessa.
Quale?Darà a tutte le famiglie cristiane che torneranno a Bassora una casa, un lavoro e molte altre facilitazioni per vivere.
I cristiani hanno più fiducia?I cristiani hanno poca fiducia nell’avvenire perché hanno sofferto tanto, ma ora scappano meno persone. Di solito sono i figli all’estero a chiedere ai genitori di raggiungerli, anche perché una volta partita questa gente perde tutto. Chi scappa perde la sua storia e una volta che si inserisce nella società occidentale smarrisce la lingua, la morale, le tradizioni, la liturgia, tutto: questi cristiani perdono tutto. E non solo loro.
Che cosa intende?Una storia di cristianesimo che dura da duemila anni in queste terre sarà interrotta, finirà e ci rimetterà tutto il Medio Oriente, tutto l’Iraq e anche i musulmani. Loro infatti perderanno la componente della società più aperta, che si occupa della formazione, dell’educazione e aiuta lo sviluppo di un paese riconoscendo dignità alle donne. La Chiesa, poi diventerà più debole: che senso ha infatti la Chiesa senza i cristiani?
Che cosa fate per convincerli a restare?Noi aiutiamo le famiglie povere, abbiamo costruito appartamenti per loro e anche aperto un ospedale a Baghdad, che accoglie sia cristiani sia musulmani. Una piccola testimonianza della nostra carità.
Ha detto spesso che l’islam estremista è una delle principali cause della fuga dei cristiani.Ed è vero anche se da un anno circa i cristiani qui in Iraq non sono più un obiettivo. La guerra è soprattutto tra sciiti e sunniti. Fino a due anni fa, però, vivevamo la stessa situazione dei cristiani in Siria. I musulmani li vedono come un ostacolo per la costruzione dello Stato islamico e per l’applicazione della sharia. Quando hanno bisogno di denaro gli estremisti attaccano i cristiani perché sono deboli, non vengono difesi da nessuna tribù, senza contare che quando vengono sequestrati i cristiani pagano perché per loro la vita ha un valore assoluto. Anche da noi due anni fa la persecuzione era a questo livello ma ora le cose vanno meglio.
Anche i rapporti tra cristiani e musulmani migliorano?I rapporti in genere sono buoni: il popolo è aperto, non è fanatico. Purtroppo si trovano tanti capi religiosi chiusi. Un imam poche settimane fa ha chiesto ai musulmani di non salutare i cristiani. Io sono andato dal primo ministro e gli ho detto che queste cose non devono succedere. L’imam è stato subito chiamato dalla polizia, che gli ha chiesto conto delle sue parole.
È un caso isolato?Purtroppo no. Un altro imam a Mosul ha detto che tutti i cristiani sono “porci” e per questo non bisogna avvicinarli. Io sono andato dal presidente del Parlamento e lui ha avvertito subito la polizia, perché così si creano tensioni tra gli iracheni. Non bisogna avere paura di dire le cose. Io quando incontro i capi religiosi islamici dico sempre che devono cambiare il modo di parlare nelle moschee ed essere più aperti. È inaccettabile che il cristianesimo venga solamente “tollerato”: noi vogliamo avere pari dignità, non vogliamo che qualcuno ci dia il diritto di vivere. Questo è inaccettabile, è disumano.
Il cristianesimo è discriminato anche a scuola?Sì. L’insegnamento religioso parla male dei cristiani, falsifica tutto: si insegna che il Vangelo vero è quello di Barnaba, la Trinità viene travisata, l’incarnazione non è capita. Ma noi abbiamo reagito: io ho fatto un fascicolo spiegando il cristianesimo ai musulmani in una maniera aggiornata e anche un po’ l’islam ai cristiani.
Lei critica spesso l’Occidente, dicendo che “siamo ciechi”. Perché?L’Occidente è cieco perché non ha religione, non se ne preoccupa più, anzi accoglie i musulmani, permette loro di costruire moschee e centri religiosi mentre i paesi arabi non permettono ai cristiani neanche di tenere in casa la Bibbia. Ci deve essere reciprocità ma l’Occidente non la richiede. I paesi occidentali devono aiutare i cristiani non in quanto cristiani, ma in quanto minoranze. Si parla dei diritti dell’uomo, ma dove sono questi diritti? L’Occidente cerca solo interessi, basta guardare che risultato hanno avuto le guerre in Medio Oriente. Dove sono la democrazia e la libertà in Libia? Dove sono in Siria?
Lei ha già incontrato papa Francesco tre volte in un anno. Molti lo accusano di non essere vicino alle vostre sofferenze. È così?Non è vero, il Papa ci è molto vicino con la preghiera ma anche quando parla. Quando ha detto che i cristiani del Medio Oriente devono avere gli stessi diritti dei musulmani in Occidente ha usato parole molto forti. Ma lui ha tanti problemi, il suo fardello è pesante. La nostra situazione non è l’unica sua preoccupazione. Io penso che lui sia un uomo che vede le cose con occhi profetici, è davvero un dono di Dio.
Nel suo messaggio di Natale ai cristiani ha parlato di “speranza”. Da dove deriva?Non si vive senza speranza e la nostra nasce dalla Chiesa. Ci aiuta anche il miglioramento della situazione nel paese. I cristiani però devono lavorare e non solo aspettare che qualcuno conceda loro i diritti che gli spettano come se fossero un regalo. Questo non va bene, bisogna chiedere, lottare, collaborare con tutti, rafforzare la presenza cristiana. Dobbiamo anche aiutare i musulmani ad aprirsi alla convivenza, al rispetto, al perdono, a una morale comune. Questo è possibile, quando i cristiani sono formati e coraggiosi. Ci sono segnali di speranza nel paese, ma ci vuole tanto lavoro anche per formare una squadra di politici cristiani che possano giocare un ruolo importante nella politica del paese. Questi sono fondamentali, perché anche se sono pochi possono fare tanto. I cristiani non devono pensare a scappare in Occidente perché se qui abbiamo tante difficoltà, il Paradiso non è certo da voi.
 

10 febbraio 2014

Baghdad. Beyt Anya. Mar Sako: "Una candela in un tunnel buio"

By Baghdadhope*

La XXII giornata internazionale del malato che cadrà domani, 11 febbraio, è stata celebrata a Baghdad lo scorso 8 febbraio nella chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza, teatro nel 2010 del più efferato attacco alla comunità cristiana irachena dall'invasione americana del paese nel 2003.
Durante la Santa Messa presieduta dal vescovo siro cattolico di Baghdad, Mar Ephrem Yousef, ed alla quale era presente anche il Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, Mons. Giorgio Lingua, il patriarca della chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako, ha tenuto un discorso in presenza di molti fedeli ma diretto soprattutto ai malati, specialmente quelli che dal 2000, anno della sua nascita, sono ospitati da Casa Beyt Anya, una casa di riposo e cura che accoglie persone in difficoltà a dispetto della loro religione o appartenenza etnica, e che basa la sua opera sul volontariato di decine di collaboratori che da anni, anche quelli più difficili della storia irachena, le assistono, guidate da una consacrata, Alhan, che ha dedicato loro la vita.
Il discorso di Mar Sako - di cui Baghdadhope pubblica i passi più importanti - ha trovato spunto nelle parole di Gesù nel Vangelo di Matteo (25:35/36) "Perché avevo fame e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato e in prigione e siete venuti a trovarmi!" ed in quelle che Gesù rivolse a Paolo: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" (Atti 9:4) per arrivare alla conclusione che il prossimo che ha bisogno del nostro aiuto è Gesù stesso, e che la fede cristiana è nell'amare concretamente il prossimo perchè la domanda cruciale rimane quel "che cosa hai fatto a tuo fratello?" sulla base della cui risposta saremo tutti giudicati.
L'amore per il prossimo ha trovato, secondo Mar Sako, espressione piena in Alhan, da egli definita "segno illuminato della nostra attuale situazione"  che dovrebbe essere "incoraggiata e sostenuta perché il suo è un lavoro umanitario che supera il settarismo ed in questo senso favorisce la pace e la fraternità tra musulmnani e cristiani in una società dove, invece, tutto è regolato dall'appartenenza settaria."
Ricordando le sue visite a Beyt Anya Mar Sako ha definito l'istituzione una "esperienza straordinaria del vivere insieme in spirito di armonia e collaborazione" ed ha sottolineato di essere stato colpito dalle testimonianze delle donne musulmane che lì vivono a riprova del fatto che "tutti siamo chiamati a fare del bene, anche nel nostro piccolo, proprio come fa Alhan con il suo gruppo di collaboratori, e che non bisogna aspettare trovando scuse per negare il nostro aiuto a chi ha bisogno perché il bene fatto è come una candela che illumina il tunnel lungo e buio che stiamo attraversando." 

Riorganizzazione della diocesi patriarcale caldea a Baghdad.

By Baghdadhope*

Lo scorso gennaio sono stati nominati tre nuovi vescovi per la chiesa caldea: Mons. Yousef Thomas Mirkis per la Diocesi di Kirkuk e Sulaymanyya, Mons. Habib Al Nawfali per la diocesi di Bassora e Mons. Saad Sirop per la diocesi di Baghdad.
La nomina episcopale di Mons. Sirop, già parroco della cattedrale di San Giuseppe, ha reso necessario dei cambiamenti nell'organizzazione diocesana ratificati nel corso di una riunione presieduta dal Patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako.
Vediamo quali sono:
Confermato il ruolo di Monsignor Jacques Isaac, rettore del Babel College e responsabile delle riviste patriarcali, a Mons. Shleimun Warduni sono state affidate le pubbliche relazioni del Patriarcato ed a Mons. Sirop i sacerdoti e gli affari pastorali.
Padre Azad Sabri (Diocesi di Erbil) è stato destinato alla Svezia dopo aver lasciato la diocesi di Erbil.
Padre Albert Hisham, responsabile media del patriarcato e già parroco della chiesa di San Paolo, è il nuovo parroco della cattedrale di San Giuseppe e della chiesa dedicata alla Vergine Maria Regina del Rosario e sarà assistito da Padre Ameer Gammo.
Padre Nashat Tuza è stato destinato ad assistere Mons. Shleimun Warduni nella chiesa della Vergine Maria di Palestine Street nonché, in qualità di parroco, a quella di Mar Mari nel quartiere di Hay Al Benook. 
Padre Yousef Khalid è il nuovo parroco delle chiese di Mar Buthion e della Santa Trinità.
La parrocchia di Mar Efrem nel quartiere di Shaljia (nord di Baghdad) è stata accorpata alla parrocchia dell'Assunzione della Vergine Maria nel quartiere di Mansoor, dove padre Robert Saeed è parroco.
Padre Hani Abdelahad assisterà il Corepiscopo Mons. Mushtaq Zambaqa nella chiesa della Congratulazione della Vergine Maria.

I fedeli sono stati invitati dal Patriarca ad offrire liberamente una volta all'anno il proprio sostegno economico alle chiese perchè possano svolgere i compiti pastorali ed assistere i bisognosi, un'offerta, è stato sottolineato, che andrà direttamente alle parrocchie e che ha carattere assolutamente volontario. 

9 febbraio 2014

L’arcivescovo che spiega ai musulmani la Trinità

di Romina Gobbo, 2 febbraio 2014
 
Non c’è pace per l’Iraq. Il Paese nel 2013 ha visto quasi 4.000 morti e migliaia di feriti in attacchi terroristici ed esplosioni, nelle moschee, nei mercati, nei bar.
«È vero. C’è una tensione generale, regionale in Medio Oriente - dice mons. Louis Raphael I Sako, patriarca della Chiesa caldea d’Iraq, raggiunto al telefono a Baghdad - Nel nostro Paese, come in Siria e Libano c’è una lotta intestina nell’Islam, fra gruppi sunniti e sciiti per la conquista del potere. Ma la loro maniera di lottare e, prima ancora, di pensare, è la maniera del Medioevo. Una lotta confessionale oggi è qualcosa di strano. E, come sempre, è la popolazione a pagare, gli innocenti. Uccidere qualcuno perché è cristiano, o sciita, o sunnita, o ebreo..., questa è una vergogna».
E' una questione religiosa o politica?
«Entrambe le cose, perché nell’Islam vanno insieme. Questo poteva avere un senso al tempo del profeta Muhammad, perché bisognava orientare la gente. Oggi religione e politica sono due campi  diversi: la religione si basa sulla fede, sulla morale; la politica ha altri obiettivi. I musulmani devono capire che il mondo è cambiato, che è pluralista e multiculturale. Oggi noi dipendiamo gli uni dagli altri, non è come 2000 anni fa, quando tutto era piccolo e separato».
La gente cosa dice?
«Gli iracheni si rendono conto che la religione è strumentalizzata, usata come una scusa per arrivare al potere. Ma il problema è più grande di loro. Ci vorrebbe un’autorità religiosa o politica riconosciuta che intervenisse sulla questione. Io ammiro la nuova costituzione tunisina, che ha detto che l’uomo e la donna sono uguali, che non c’è un essere umano superiore. Questo è già un passo avanti. La religione musulmana non è l’unica fonte di legislazione».
 I cristiani come vivono?
«In Iraq i cristiani saranno tra i 500 e i 600mila, ma non esistono statistiche precise; sono deboli, non hanno armi, non sono educati per fare la guerra. Per lo più vivono qui a Baghdad, dove noi caldei abbiamo 35 parrocchie, poi ci sono assiri, cattolici, armeni... Le nostre parrocchie in questo periodo non funzionano del tutto, perché ci sono zone pericolose, perciò non si riesce ad espletare il servizio pastorale ordinario, magari il prete va una volta al mese per la messa. Ci sono quartieri dove l’esercito non riesce a garantire la sicurezza: ogni giorno, vi sono attacchi. Alcuni, pur avendo un lavoro, scelgono di andarsene, la vicinanza della Siria fa paura. Le famiglie sono divise, perché magari i figli già se ne sono andati e premono per il ricongiungimento. Quindi, molti, psicologicamente sono già fuori».
Il governo non riesce ad imporsi?
«Sia il governo (guidato da un primo ministro sciita, Nuri al-Maliki), che le forze di polizia sono deboli. Si sente che non c’è unità nel Paese, non c’è un progetto di cittadinanza. Qui, tutto è basato sul confessionalismo: curdi, arabi, turkmeni, cristiani, sono tutti rappresentati nel governo. Ma ognuno vuole tutto, senza lasciare una parte agli altri. Questa mentalità è sorta dopo l’invasione americana, prima non era così. Da quando gli occupanti se ne sono andati, c’è maggiore libertà - noi cristiani possiamo costruire una chiesa, pubblicare un libro, aprire una radio, editare una rivista, possiamo anche avere un partito politico -, ma è peggiorata la sicurezza. Ed è una libertà che la popolazione non è in grado di gestire. Se gli americani volevano la democrazia, dovevano educare la gente, non cercare di cambiare le cose con un intervento militare. Adesso è un guaio, siamo all’anarchia».
Ad aprile ci saranno le elezioni. E' già partita la campagna elettorale?
«No, però solo i cristiani hanno 13 liste, noi cerchiamo di unificare, ma è difficile. Chi si è candidato, non è capace di una tale responsabilità, serve gente competente, che possa contribuire al bene nazionale ».
Nell'agosto 2011, quando una bomba esplose sulla soglia di una chiesa cattolica di kirkuk, ferendo 23 persone, lei chiese agli imam di condannare il gesto perché "contrario a Dio ed alla religione". Continua a credere nel dialogo?
«Il dialogo è fondamentale, anche quello teologico, ed è un’iniziativa che deve venire dalla Chiesa. Io cerco di spiegare ai musulmani l’Incarnazione e la Trinità. Ho realizzato un fascicolo sulla religione cristiana rivolto ai musulmani, ma ho anche spiegato ai cristiani che cos’è l’Islam».
Vi aspettate una visita del papa?
«Io l’ho chiesto. Basterebbe anche un visita breve, per celebrare una messa con i cristiani e incontrare i capi religiosi musulmani, ma la Santa Sede mi ha posto il problema della sicurezza. Ma già la sua venuta a maggio in Terra Santa sarà per noi di grande appoggio. Andrò a salutarlo in Giordania, lo conosco, sono stato il primo a essere ricevuto dopo il suo insediamento. Questo Papa è un dono di Dio».
Ma lei ha mai paura?
«Io no, io vado dappertutto, visito tutti i fedeli, ogni domenica in una parrocchia diversa. E senza scorta».