"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 ottobre 2015

Card. Filoni ha presentato il suo libro sulla Chiesa in Iraq


In Iraq e in Siria, “senza la pace, non c'è speranza per nessuno”, e solo la fine dei conflitti settari potrà garantire la sopravvivenza delle comunità cristiane autoctone fiorite fin dai tempi apostolici nello spazio geografico della Mesopotamia. Così il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, ha richiamato le insidie che minacciano il presente e il futuro dei cristiani in ampie aree del Medio Oriente. Lo ha fatto nel corso della presentazione del suo libro «La Chiesa in Iraq. Storia, sviluppo e missione, dagli inizi fino ai nostri giorni», svoltasi ieri pomeriggio presso l'Aula Magna della Pontificia Università Urbaniana.

Un libro d'attualità dal consistente valore documentario
L'attualità e il consistente valore documentario del volume scritto dal porporato e pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, sono stati esposti dai relatori intervenuti nel corso della presentazione: Il rettore della Pontificia Università Urbaniana padre Alberto Trevisiol, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael Sako, e il prof. Joseph Yakoub, titolare della cattedra Unesco “Mémoire, cultures et interculturalitè” dell'Università cattolica di Lione. Alla presentazione, moderata dalla professoressa Lorella Congiunti, vice-rettore dell'Ateneo pontificio, insieme ai cardinali Tarcisio Bertone e Giovanni Battista Re hanno presenziato numerosi vescovi caldei, che in questi giorni sono convenuti a Roma per partecipare all'Assemblea sinodale della loro Chiesa.

Un volume per conoscere la storia millenaria dei cristiani d’Oriente
Il volume del card. Filoni – che durante l'incontro ha più volte fatto riferimento alla sua esperienza di nunzio apostolico in Iraq e Giordania dal 2001 al 2006, proprio negli anni segnati dall'intervento militare a guida Usa e dal crollo del regime di Saddam Hussein - ripercorre la storia, lo sviluppo e la missione delle comunità cristiane nello spazio geografico corrispondente all'attuale Iraq, dagli inizi ai nostri giorni. L'opera – come è emerso anche dagli interventi dei relatori – rappresenta un antidoto prezioso al pressappochismo che maltratta anche le storie millenarie dei cristiani d’Oriente: «conoscere la storia delle cristianità del Vicino Oriente e in particolare della Mesopotamia» - così scrive l'autore - è l’unico modo di «comprendere le ragioni e le vicende drammatiche di quella regione e apprezzare la vita, la cultura, la testimonianza di fede e i motivi di attaccamento dei cristiani alla propria terra, ma anche l’odio dei loro nemici».

Il racconto di una chiesa martire
Negli interventi dei relatori, è emersa più volte la connotazione martiriale che continua a segnare anche oggi tutta la vicenda delle comunità cristiane di quelle terre. Il rettore Trevisiol ha sottolineato il valore dell'opera anche come testimonianza di prossimità verso le Chiese che ora soffrono persecuzione da parte del “Califfato” jihadista.

Il libro verrà tradotto anche in arabo
Il patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha annunciato l'imminente pubblicazione della versione araba del volume, e ha ricordato con gratitudine le due visite compiute dal card. Filoni tra i profughi iracheni come Inviato speciale di Papa Francesco, nell'agosto 2014 e nei giorni di Pasqua di quest'anno. Il prof. Yacoub, dal canto suo, ha messo in risalto la consistenza del volume dal punto di vista storiografico, facendo riferimento ai molti documenti inediti citati, “che il card. Filoni ha esplorato in nunziatura, negli anni della sua presenza in Iraq”.

Discorso di Sua Beatitudine il Patriarca Louis Sako, all’inaugurazione del Sinodo Caldeo il 25 ottobre a Roma

By Baghdadhope*

Di seguito il TESTO INTEGRALE pervenuto a Baghdadhope del discorso di Sua Beatitudine il Patriarca Louis Sako, all’inaugurazione del Sinodo Caldeo.
Roma, 25 ottobre 2015


Fratelli miei nell’episcopato, saluto ciascuno di voi, e spero che ognuno di voi partecipi al Sinodo condividendo le idee ed i suggerimenti per il servizio della nostra Chiesa al nostro popolo in questi tempi difficili.
1.     All’apertura del Sinodo per la famiglia, Papa Francesco ha detto, il 5 ottobre, che il Sinodo non è un parlamento che sancisce le leggi, ma è una comunione episcopale che si raduna attorno a Gesù e, illuminata dallo Spirito Santo, lavora nell’unità e per l’unità come faceva la comunità degli apostoli, (atti 1:14) rafforzando la comunione e la collaborazione e radicandole così nella vita della Chiesa, sia fuori sia dentro il suo territorio patriarcale.
2.     Con la preghiera, l’ascolto, il ragionamento responsabile e l’impegno ecclesiastico e pastorale studiamo il programma dei lavori, consapevoli che la differenza e la varietà delle opinioni sono una ricchezza se mettiamo il bene della Chiesa e del nostro popolo al di sopra del nostro proprio bene e della nostra gloria. Lavoriamo con passione e zelo affinché questo Sinodo sia un tempo di grazia e di benedizione per ciascuno di noi e per tutti i figli e le figlie della nostra Chiesa.
3.     Ammetto che ognuno di noi è soffocato dai problemi della propria diocesi, ma ogni diocesi è una parte importante della nostra Chiesa Caldea. Le vostre preoccupazioni sono quelle di ciascuno di noi e del Patriarca. Con tutta umiltà, apertura e Spirito di Dio, lavoriamo insieme per raggiungere una soluzione. Lasciamo da parte il “dice e il detto” ed il pensiero di essere eterni e che non ci sia un'alternativa, perché così pensando, dimentichiamo l’obiettivo e commettiamo un  grave errore.  
4.     Nei  due anni passati il mio grande interesse è stato, e tuttora è, quello di dare alla Chiesa Caldea un senso spirituale, culturale, intellettuale, sociale ed anche politico, affinché possa compiere la sua missione nonostante gli eventi difficili di cui non si conosce la fine. Ho fatto tutto ciò che ho potuto e così hanno fatto anche gli altri, e se alcuni hanno posto degli ostacoli noi chiediamo che il Signore li perdoni. Se c’è qualcuno che possa fare più di ciò che io ho fatto si faccia avanti, perché la mia opera è a servizio della Chiesa e del popolo, e non necessariamente attraverso la carica patriarcale che ricopro.  

Cari fratelli
5.     Speriamo che l’anno della misericordia che comincerà tra breve sia un’occasione per esaminare noi stessi, valutare e correggere il nostro cammino come Sinodo e come incaricati delle diocesi, tutti insieme e ciascuno nella propria diocesi. Speriamo che l’anno della misericordia sia un’occasione unica per noi, padri, pastori e servitori, per sviluppare un serio pensiero nell’esercizio della misericordia sull’esempio di Gesù, insieme ai nostri collaboratori, i preti, i diaconi ed i fedeli. L’anno della misericordia è un’occasione unica per approfittare della misericordia di Dio, per il rinnovamento spirituale, pastorale ed amministrativo, e per un impegno apostolico comune ed efficace che risponda all’invito di Papa Francesco “che il Giubileo del perdono accolga tutti i fedeli come esperienza originale di misericordia e di Dio che accoglie i peccatori, li perdona e dimentica i loro peccati”.
6.     Lasciamoci alle spalle, infine, il passato con le sue speculazioni, ed iniziamo un tempo nuovo come esige l’anno giubilare della misericordia. Basta con i problemi che non hanno giustificazione alcuna. La nostra Chiesa e il nostro popolo si aspettano da noi unità e servizio secondo lo spirito di paternità, fratellanza e speranza. Che lo Spirito Santo ci guidi, oggi, domani e per sempre affinché il nostro piede non inciampi in un sasso.

28 ottobre 2015

Refugee Stories: “The straw that broke the camel’s back”

By Patheos
David Rupert

Bassam Jacob lived in a mixed neighborhood in central Baghdad. For his whole life he watched Shite and Sunni Muslims vie for power. Usually it was at the expense of each other, but sometimes it was the Christian minority that suffered injury or loss of life and property.
It was a way of life.
According to Bassam, the situation was already terrible in Baghdad. The school had closed down. People were routinely killed. Basic commodities like food and fuel were increasingly in short supply.
He had lived in Baghdad his whole life, so he has “seen it all.”
“Life under Sadaam wasn’t easy, but at least he allowed the Christians to worship.”
He was among those who cheered his overthrow, as any kind of opposition to the dictator was met with swift punishment.
But the dictator also played his heavy hand smartly, holding rival factions at bay.

Things just got worse

After Sadaam Hussein’s removal by a world coaltion, the vacuum created a power grab. Many players entered the market, including Al Qaeda. The withdrawal of U.S. forces only hastened the chaos as even more extreme groups entered the arena.
“We were happy with the American presence.  For us, when they left, it got worse,” said Bassam. “They should have kept our soldiers there. They should have stayed until things were stable.”
But the insertion of Daesh, also known as ISIS or ISIL, changed things. The term “Daesh” is a word is an acronym of the group’s full Arabic name al-Dawla al-Islamiya fi al-Iraq wa al-Sham. It’s an expression which means “a bigot who imposes his view on others.”
It’s meant to be an insult, and most Iraqis I spoke to have no problems using it.
When they moved in Bassam’s neighborhood it brought a new level of threat that went beyond harassment.

If you don’t leave, we will kill you

He worked for a printer, delivering menus, guide books and promotional materials to businesses. It wasn’t a job that threatened anyone and he thought he would be left alone to provide for his family.
But all that changed one day when a man with a mask commandeered his truck. He drew a knife and issued a threat. “We know who you are. We know who you worship.”
The man also issued a threat to kidnap his children, “for the cause.”
“And then, if you don’t leave, we kill you.”
The “we” was Daesh, and Bassam knew they meant business.
This was, as he put it in Arabic – “The straw that broke the camel’s back.”
Yes, it’s a shared expression with the English language, but one that is best understood from a Middle Eastern perspective. Camels are great beasts of help and industry, but they reach a breaking point. Put too much weight on them and they will drop to their knees and quit. For Bassam, the expression had a different outcome – he took his family and ran.
His family consisted of a wife, Maysoon, and two boys and a girl. They had lived their whole lives in Iraq. It was home for generations of his family and they never thought of leaving. They were Assyrian Christians, a Roman Orthodox faith group that is among the world’s oldest.
The kidnapping threat was real. The children of their pastor had already been kidnapped. The ransom money was paid and the family promptly moved to Lebanon. So horrific was her time, the girl didn’t speak for a week.
“If that happened, I wouldn’t be able to pay a ransom since we were so poor.”

No money. No work. Just hope of immigration

Maysoon is wistful as she recalls their departure a year ago.
“I miss my family – we all left at the same time and went different directions,” she said. “I’m not upset about what we left behind. I’m just happy to be here with my husband and children.”
The couple doesn’t regret their decision, but their last year has been difficult. They live in a small apartment in Jordan. They are not allowed to work, so they depend on money sent by friends in the West. The United Nations gave them about $60 in April.
Their only hope is an immigration application filed with the United Nations. They hope to settle in the U.S., Canada or Australia. They had two interviews with officials, the last one was about six months ago. They were told to wait.

A child-like trust

Despite the upending of their lives, their faith hasn’t wavered.
“My faith has never, never, never become less,” said Maysoon. “Sometimes I am tempted to doubt. But we are believing family. Jesus has been in this house from the beginning.”
“For most of I life, I didn’t want to learn all the details of my religion,” she said. “It was like a sea, that goes very deep. I was just fine being on the water.”
As she has bonded with U.S. aid workers and other refugees, she has seen her faith deepen. But she still has a child-like trust.
“I am satisfied because we are safe,” she said.
Are they angry?
“God will compensate them according to what they have done,” said Bassam. “We don’t think of those who’ve wronged us. When we decided to leave, our Muslim neighbors didn’t want us to go. They were our friends.”
Their mind is never far from those still in Iraq.
“We want you to pray,” Maysoon said. “Pray for the good people – Christians and Muslims – who are suffering”

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These stories are part of a ten-day trip David Rupert recently took to Jordan to hear first-hand from Christian refugees from Syria and Iraq.

Il Parlamento respinge la richiesta di cambiare la legge sulla affiliazione religiosa dei minori

By Fides

Il parlamento iracheno ha respinto la proposta – avanzata dai rappresentanti cristiani, ma sostenuta da parlamentari appartenenti a schieramenti diversi – di modificare la legge secondo la quale un minore viene automaticamente registrato come musulmano, nel caso in cui anche solo uno dei due genitori, si converta all’islam. La proposta, messa ai voti martedì 27 ottobre, chiedeva di aggiungere al paragrafo della legge riguardante i minori una frase, per stabilire che i minori rimangono nella religione originaria di appartenenza fino ai diciotto anni, per poi scegliere la religione a cui appartenere in piena libertà di coscienza, e non per un automatismo innescato dalla conversione all'islam di un proprio genitore. La richiesta ha trovato l'appoggio di 51 deputati, ma a votare in senso contrario sono stati 137 parlamentari.
A settembre, il Patriarca della Chiesa caldea, Louis Raphael I, aveva inviato una lettera al Parlamento iracheno con la richiesta di cambiare la legge, sottolineando la sua incompatibilità con l’articolo 37/2 della Costituzione irachena, che garantisce “la protezione dell’individuo da ogni forma di coercizione intellettuale, politica e religiosa”. “I cristiani - aveva scritto il Patriarca caldeo in quella lettera, pervenuta all'Agenzia Fides - rispettano la libertà di cambiare la propria religione a patto che ciò non sia il risultato di una forzatura”.


21 settembre 2015
Appello del patriarca caldeo al governo iracheno perchè sia rispettata la libertà nella scelta della religione.

27 ottobre 2015

Arcivescovo di Erbil: «temo che il numero di cristiani possa diminuire ancora»


«I cristiani ormai hanno perso qualsiasi speranza di tornare presto alle loro case».
Così l’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda, ha descritto lo stato d’animo dei suoi fedeli durante una vista al quartier generale di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Germania.
A più di un anno dal massiccio esodo di cristiani da Mosul e dalla Piana di Ninive «nessuno si lascia andare a false illusioni sulla possibilità che i territori in mano ad Isis possano essere liberati in breve tempo». Intanto la Chiesa cerca di fare il possibile per alleviare le sofferenze della popolazione e aiutare i cristiani a rimanere in Iraq. «Quando vedono i tanti sforzi che facciamo per loro, sono meno propensi ad emigrare», afferma monsignor Warda.
Tuttavia molte famiglie cristiane continuano ad abbandonare la loro patria. Delle 13500 famiglie di fedeli registrate lo scorso anno nella diocesi di Erbil, oggi ne rimangono soltanto 10mila. Secondo il presule ad incentivare la fuga dei cristiani all’estero, sono anche le tante immagini che giungono dall’Europa. «In televisione vedono l’enorme flusso di rifugiati che giungono nei paesi europei e si convincono che le porte del Vecchio Continente sono spalancate. E di certo ciò rende il nostro tentativo di convincerli a rimanere in Iraq molto più difficile».
La Chiesa continua a sua opera di assistenza alle migliaia di sfollati cristiani, offrendo aiuti umanitari e cura pastorale. «Grazie al sostegno di Aiuto alla Chiesa alla Chiesa che Soffre nessuno vive più nelle tende, come lo scorso anno, quando ad Erbil sono giunti oltre 120mila cristiani costretti ad abbandonare le proprie case dallo Stato Islamico». Dal giugno 2014, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato alla Chiesa irachena oltre 11milioni di euro, in parte per l’acquisto e l’istallazione di case prefabbricate e il pagamento dell’affitto di alcuni appartamenti per le famiglie cristiane.
«Inoltre ACS ci ha donato 8 scuole prefabbricate, grazie alle quali tutti i bambini di Erbil e tutti i piccoli rifugiati ricevono un’istruzione». Anche la distribuzione del cibo avviene ormai regolarmente. Ogni mese, tutte le famiglie ricevono di che vivere per almeno trenta giorni: riso, zucchero, olio, fagioli, carne, formaggio e acqua. Un sostegno he ACS continua a garantire, donando in media 120mila euro al mese soltanto per questo progetto.
Accanto al sostegno pratico, la diocesi garantisce anche la cura pastorale. «Da poco abbiamo organizzato un Festival della Fede, a cui hanno partecipato 1200 persone. Sono rimasto profondamente colpito dalle storie che ho ascoltato. Quando i nostri fratelli nella fede sono stati costretti a fuggire, non hanno perso soltanto le loro case, ma anche la loro gioia, la loro fiducia, i loro sogni». La vicinanza della Chiesa, espressa dall’amore e la cura dei sacerdoti e delle religiose ha aiutato i cristiani ad avere coraggio e a mantenere una fede forte.
Tuttavia, guardando al futuro, monsignor Warda teme che il numero di cristiani in Iraq possa continuare a diminuire. «Facciamo quello che possiamo per impedirlo. Noi cristiani d’Iraq apparteniamo a questa terra».

Another Synod of Bishops demands attention – especially from US Catholics

By Crux
John L. Allen Jr.

During the past month, the 2015 Synod of Bishops on the family has been the dominant Catholic story in the world. The gathering of 270 prelates in Rome drew massive coverage and commentary, with many styling it as almost a “Vatican III” – maybe with a dash of the Iowa caucuses thrown in, because of its political intrigue.
There’s a case to be made, however, that it wasn’t even the most important synod of Catholic bishops in October.
To be sure, the issues involved, such as whether divorced and civilly remarried Catholics should be able to receive Communion, and how the Church ought to think about gay and lesbian relationships, raised important questions about the Catholic Church in the early 21st century: its pastoral effectiveness and its relationship with the culture.
What was not at stake in any literal sense, however, was raw survival. That clearly is the case with the Synodal Assembly of the Chaldean Church in Iraq, which is taking place in Rome Oct. 24-29.
The Chaldean Catholic church is the largest of the Eastern Catholic churches in Iraq, presently numbering around 500,000 people.
In August, Iraqi Christians marked the grim one-year anniversary of an ISIS offensive in the Plains of Nineveh in northern Iraq that broke out on Aug. 6-7, 2014 and left thousands of Christians and Yazidis dead. It also drove an estimated 120,000 Christians into exile either inside the country, in places such as Kirkuk and Erbil, or in refugee camps in nations such as Turkey and Jordan.
During the assault, churches, and monasteries were destroyed, centuries-old Christian manuscripts were burned, and scores of Christians were killed, often in staggeringly brutal fashion – flogged to death, beheaded, and, in at least a few cases, reportedly crucified.
In that context, there are real questions about whether Christianity is an endangered species in Iraq as well as in neighboring Syria, the strongholds of ISIS and its self-declared caliphate.
The synod going on now brings together 21 Chaldean bishops representing both the Middle East and the diaspora, predominantly in the United States, Canada, and Australia. It was originally scheduled for September in a suburb of Erbil in Iraq, but then postponed to coincide with the synod on the family in Rome.
(Although no one quite wants to say so out loud, moving the meeting to Rome also has an obvious security advantage. Under present circumstances, bringing all the Chaldean bishops together in one location inside Iraq creates an awfully tempting target.)
The bishops are discussing the fate of tens of thousands of Christian refugees who fled the Nineveh Plains, both their short-term humanitarian situation and also plans for their long-term future. The tension is between sympathy for the utterly natural desire many of them feel to get out of the country, versus trying to encourage them to hold on so Christianity itself can endure.
Another agenda item is the situation of Chaldean priests who have fled the country without authorization, including nine who settled in the United States, mostly in the San Diego area.
Chaldean Patriarch Raphael Louis Sako of Baghdad issued an order in the fall of 2014 that those priests must return to set a good example for their people, but several defied it, arguing that returning under the present circumstances would be tantamount to a death sentence.

Sako suspended the priests, but some are continuing to minister while they appeal to the Vatican.
Pope Francis addressed the Chaldean bishops on Monday, saying he wanted to bring the Vatican’s “complete support and solidarity” to the Chaldean Church.
“Your visit enables me to renew my heartfelt appeal to the international community to adopt every useful strategy aimed at bringing peace to countries terribly devastated by hatred,” he said, decrying what he called “the fanatical hatred sown by terrorism.”
Given that no Christian community on earth today faces a more lethal threat than in Iraq and Syria, the outcome of the Chaldean synod ought to be a front-burner concern for Catholics everywhere.
US Catholics in particular, however, have an obligation to take an interest. Whatever one makes of the moral legitimacy of the 2003 US-led war in Iraq, it’s undeniable that invasion created the context in which widespread assaults on the country’s Christian minority are occurring.
A couple of weeks ago, Crux spoke to Sako in Rome, both about the synod on the family and his own. Among other points, he insisted that the United States ought to be willing to put boots on the ground in Iraq as part of an international coalition or in cooperation with the Iraqi government, in order to break the back of ISIS.
“There’s no other way,” Sako said. “The United States has a moral responsibility, because they destroyed the country.”
Airstrikes alone, Sako said, won’t cut it.
“The Americans are saying [it will take] five years, 10 years, 30 years, and this language is encouraging ISIS [to think], ‘You can stay’,” he said. “It’s discouraging Christians and other refugees, [who are] thinking they can’t go back home now.”
One can agree or disagree with Sako’s call for military action, but there’s no debate about the precariousness of the situation or the responsibility of Americans, including American Catholics, to do whatever they can to help.
In other words, Americans may need to rethink which Synod of Bishops in October 2015 is the real wake-up call.

Premier Repubblica Ceca, pronti ad accogliere cristiani Iraq

By ANSA

Il primo ministro ceco Bohuslav Sobotka ha affermato che il suo governo è pronto ad accettare la proposta di accogliere 152 cristiani iracheni che si trovano attualmente nei campi di Erbil.
Sobotka ha sottolineato che il gruppo è stato costretto a fuggire dalle proprie case a causa dell'avanzata degli estremisti dello Stato Islamico in Iraq, e ha contattato la Repubblica Ceca con una domanda d'asilo attraverso un'organizzazione non governativa.
Il ministro dell'Interno, Milan Chovanec, presenterà una proposta al governo in questo senso, dopo i colloqui con le Nazioni Unite previste la prossima settimana per chiarire lo status dei profughi. L'esecutivo dovrebbe dividere le spese per con le ONG per il trasferimento dei profughi.

Il Patriarca caldeo al Papa: convocare i patriarchi delle chiese orientali e cercare una soluzione ai problemi che le affliggono

By Baghdadhope*

Di seguito il TESTO INTEGRALE pervenuto a Baghdadhope del discorso rivolto dal Patriarca di Babilonia dei Caldei, MAR LOUIS RAPHAEL I SAKO al SANTO PADRE nel corso dell'udienza ai membri del Sinodo caldeo tenutasi a Roma ieri, 26 ottobre 2015.  


Beatissimo Padre,
1. oggi noi vescovi caldei abbiamo la grande gioia d’essere accolti da Sua Santità in udienza particolare. E' un tempo forte per la nostra chiesa e d’incoraggiamento nella drammatica situazione in cui viviamo insieme ai nostri fedeli perseguitati, scacciati e derubati di tutto, a motivo della nostra fede in Cristo. Noi sentiamo sempre la Sua vicinanza, la Sua preghiera e i suoi appelli, e recentemente il 9 ottobre durante il sinodo, l'ha espresso con l’affetto di Padre che soffre per i suoi figli. Grazie di cuore Santità.   Auspichiamo ed attendiamo la Sua visita quando sarà possibile per confermarci più nella nostra fedeltà al Cristo e darci conforto e speranza.
2. Beatissimo Padre, oggi ci troviamo insieme con Lei prima del nostro sinodo patriarcale e vogliamo rinnovare la nostra fedeltà nel servire tutti senza distinzione fino alla fine e con grande amore e dedizione. Siamo consapevoli dei rischi, ma la nostra fede ci dona il coraggio di continuare a sperare e amare. Dobbiamo avere il coraggio di nostro Padre Abramo che sperò contro ogni speranza.
3. La nostra Chiesa è apostolica non solo perché è stata fondata dagli apostoli, ma perché è martire come lo è stata la Chiesa primitiva degli apostoli. Seguendo l'esempio dei nostri martiri iracheni, che non possiamo certo dimenticare, noi troviamo la forza di perseverare, sperando in un cambiamento dei cuori di tutti gli uomini, là dove germoglia la Grazia divina ci sarà un futuro migliore per tutti.
E speriamo che un giorno vengano dichiarati beati e santi tutti coloro che sono stati uccisi per la fede, il vescovo Raho ed i sacerdoti come Raghid e gli altri, con i laici.  
4- I cristiani del Medio oriente sempre sono stati sottoposti a pressioni e nulla lascia pensare che presto troveranno la pace.  La tolleranza di cui si parla non significa per nulla libertà e uguaglianza. Tolleranza è un termine peggiorativo. Vogliamo vivere nel nostro paese e nella nostra terra, senza distinzione tra una maggioranza e una minoranza, ma come cittadini che hanno i loro diritti e doveri, sia che siano cristiani o musulmani, e di lavorare per il consolidamento dei valori di libertà e dignità, unità e la sovranità.
In tutto questo la Santa Sede ha un ruolo cruciale, perciò propongo a Sua Santità di convocare i patriarchi per studiare la situazione e presentare delle prospettive pratiche per questi paesi.
5. I Pastori delle Chiese orientali cattoliche sui iris constatano, con preoccupazione e dolore, che il numero dei loro fedeli si riduce sui territori tradizionalmente patriarcali e, da qualche tempo, sono obbligati a sviluppare una pastorale dell’emigrazione. Sono certo che essi fanno il possibile per esortare i propri fedeli alla speranza, a restare nel loro paese ed a non vendere i loro beni. Anche qui un patriarca come padre di un popolo e non di una terra geografica ha a cuore tutte le problematiche e le difficoltà che oggi le nostre comunità al di fuori del territorio patriarcale vivono.
Chiedo la Vostra Benedizione Apostolica, Santo Padre, per me, per i nostri vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e per tutta la comunità caldea sparsa in tutto il mondo, La chiedo anche per tutti i cristiani dell'Iraq e tutti i nostri fratelli musulmani cui vogliamo bene.
Grazie

26 ottobre 2015

Pope Francis to the Holy Synod of the Chaldean Church

By Baghdadhope*

Here the complete text of the words by Pope Francis to the Patriarch of the Chaldean Church and the members of the Holy Synod gathered in Rome.

By Vatican News

Your Beatitude,
Dear Brother Bishops,
I welcome you with joy and I thank His Beatitude Patriarch Louis Raphaël I Sako for his kind words. I take this occasion to reach out, through you, to the faithful and all those dwelling in the beloved lands of Iraq and Syria in this particularly troubled and sensitive moment, with a message of comfort and Christian solidarity. With the approach of the Jubilee Year, may God’s mercy soothe the wounds of war afflicting the heart of your communities, that no one may feel discouragement in this time when the outcry of violence seems to drown out our heartfelt prayers for peace.
Today the situation in your lands of origin is gravely compromised by the fanatical hatred sown by terrorism, which continues to cause a great hemorrhage of faithful who leave the lands of their fathers, where they grew up firmly rooted in the furrow of tradition. This state of affairs clearly undermines the vital Christian presence in that land which witnessed the beginning of the journey of the Patriarch Abraham, heard the voice of the Prophets who called Israel to hope during the Exile, and saw the foundation of the first Churches upon the blood of many martyrs. There too Christians bore witness to the fullness of the Gospel, made their specific contribution to the growth of society over centuries of peaceful coexistence with our Islamic brothers and sisters. Sadly, these are times which are instead marked by countless examples of persecution, and even martyrdom.
The Chaldean Church, which suffers from the war, is also conscious of the needs of the faithful in the diaspora, who are desirous to maintaining their solid roots while becoming part of new situations. So I confirm, today more than ever, the complete support and solidarity of the Apostolic See in favour of the common good of the entire Chaldean Church. I pray that Christians will not be forced to abandon Iraq and the Middle East – I think especially of the sons and daughters of your Church, and their rich traditions.
I urge you to work tirelessly as builders of unity in all the provinces of Iraq, fostering dialogue and cooperation among all those engaged in public life, and contributing to healing existing divisions while preventing new ones from arising.
Your visit enables me to renew my heartfelt appeal to the international community to adopt every useful strategy aimed at bringing peace to countries terribly devastated by hatred, so that the life-giving breeze of love will once more be felt in places which have always been a crossroads for peoples, cultures and nations. May the peace for which we all hope arise on the horizon of history, so that the grievous tragedies caused by violence may yield to a climate of mutual coexistence.
The Synod which you are celebrating these days in Urbe , is a “journeying together”, a favorable moment of exchange amid the diversities which enrich your fraternal communion under the gaze of Christ, the Good Shepherd. As I had occasion to say in commemorating the 50th anniversary of the Synod of Bishops, “Journeying together is an easy concept to put into words, but not so easy to put into practice… Let us never forget this! For the disciples of Jesus, yesterday, today and always, the only authority is the authority of service, the only power is the power of the cross. As the Master tells us: “You know that the rulers of the Gentiles lord it over them, and their great men exercise authority over them. It shall not be so among you; but whoever would be great among you must be your servant, and whoever would be first among you must be your slave” ( Mt 20:25-27). It shall not be so among you : in this expression we touch the heart of the mystery of the Church, and we receive the enlightenment necessary to understand our hierarchical service” (A ddress for the Fifieth Anniversary of the Synod of Bishops , 17 October 2015).
I ask, then, to take up the Apostle Paul’s exhortation to have among you the mind of Christ (cf. Phil 2:5), acting with mercy, humility, patience and a mutual acceptance which gives rise to communion.
May the work of the Synod reflect a sense of responsibility, participation and service. Keep always before you the image of the Good Shepherd who is concerned for the salvation of his sheep, and is especially concerned for those who have strayed. May you imitate him: zealous in seeking the salus animarum of priests as well as laity, realizing full well that the exercise of communion sometimes demands a genuine kenosis , a self-basement and self-spoliation.
I encourage you to be a father to your priests and all consecrated men and woman, who are your primary collaborators, and, in respect for tradition and canonical norms, to be accepting of them, benevolent and understanding of their needs, discerning ways to help them be ever more aware of the demands of their ministry and service to the faithful. In doing so, you will bridge distances and discern the response to be given to the pressing needs of the Chaldean Church today, in your native lands and in the diaspora. In this way the reflections which emerge from your discussions will be able to provide fruitful solutions to your current needs and points of convergence for resolving liturgical and more general issues.
As I urge you to carry on your pastoral responsibilities with fraternal communion and a missionary spirit, I ask all of you, their pastors, to bring my words of encouragement to the faithful of the Chaldean Church. May they echo on your lips as a caress from the Pope which warms their hearts.
Entrusting the Chaldean Church to the maternal protection of the Virgin Mary, I impart to you, your priests and religious, and all the faithful, my Apostolic Blessing as a pledge of hope and consolation in the love of our Merciful God.

Papa: pace per Iraq e Siria, i cristiani non siano costretti a fuggire

By Radiovaticana

“Prego affinché i cristiani non siano costretti ad abbandonare l’Iraq e il Medio Oriente”. È uno dei passaggi più importanti del discorso che il Papa ha rivolto ai partecipanti al Sinodo caldeo, ricevuti in udienza in Vaticano. Francesco ha chiesto ancora una volta alla comunità internazionale di attuare tutte le “strategie valide” per riportare la pace nell’area. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Pietre ultramillenarie sbriciolate dai bulldozer, che macinano sotto i cingoli la storia cristiana e prima ancora quella ebraica. O colpi di mortaio che sventrano chiese e cuori, preda di paure e di voglia di fuga.

Vitale presenza cristiana
Iraq e Siria hanno conosciuto tutto questo da troppi anni e nel momento in cui Papa Francesco si trova seduto accanto ai vescovi della Chiesa Caldea diventa per lui impellente manifestare solidarietà verso gli abitanti di terre in cui, riconosce, la situazione “è gravemente compromessa dall’odio fanatico del terrorismo che continua a provocare una forte emorragia di fedeli”:
“Questo stato di cose sta certamente minando alle fondamenta la vitale presenza cristiana in quella terra che ha visto iniziare il cammino del patriarca Abramo, risuonare la voce dei Profeti che richiamavano alla speranza Israele durante l’esilio, fondare le prime Chiese sul sangue di tanti martiri, testimoniare la pienezza del Vangelo, far crescere le società con il proprio contributo, durante secoli di pacifica convivenza con i nostri fratelli seguaci dell’Islam”.

La Santa Sede vi è vicina

I nostri tempi sono invece segnati purtroppo, osserva il Papa, “da innumerevoli esempi di persecuzione, anche fino al martirio”, uno stato di cose che fa soffrire la Chiesa Caldea alla quale sono ben presenti anche “i bisogni dei fedeli nella diaspora”, che “sentono – dice Francesco – il desiderio di restare saldi nelle proprie radici e di inserirsi nei nuovi contesti”:
“Pertanto confermo, oggi più che mai, tutto il sostegno e la solidarietà della Sede Apostolica a favore del bene comune dell’intera Chiesa Caldea. Prego affinché i cristiani non siano costretti ad abbandonare l’Iraq e il Medio Oriente – penso in particolare ai figli e alle figlie della vostra Chiesa, con la loro ricca tradizione”.
 

 “Stategie valide” per la pace
Il Papa chiede al clero caldeo di condividere un cammino di unità durante il Sinodo – spostato a Roma proprio per problemi a celebrarlo ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno, oggi ricovero di migliaia di profughi cristiani. Favorite “il dialogo e la collaborazione tra tutti gli attori della vita pubblica”, è la raccomandazione di Francesco, e contribuite “a risanare le divisioni", impedendo che ne insorgano altre”:
“La vostra visita mi permette di rinnovare un accorato appello alla comunità internazionale, affinché sappia adottare tutte le strategie valide al fine di promuovere il raggiungimento della pace in Paesi terribilmente devastati dall’odio (…), affinché i luttuosi drammi inferti dalla violenza lascino il posto ad un clima di reciproca convivenza”.

Paterni con i sacerdoti
Vi incoraggio, soggiunge il Papa, “a essere paterni con i sacerdoti e con tutti i consacrati, che sono i vostri primi collaboratori, e, nel rispetto della tradizione e delle norme, ad essere accoglienti verso di loro, benevoli e comprensivi verso le loro necessità, avviando percorsi perché siano sempre più consapevoli delle esigenze del loro ministero al servizio dei fedeli".
Così facendo – conclude – "riuscirete a colmare le distanze che separano e a discernere le risposte alle urgenze attuali della Chiesa Caldea sia nella madrepatria sia nella diaspora”. 



Di seguito il testo completo del discorso di Papa Francesco

Beatitudine,
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Vi accolgo con gioia e ringrazio Sua Beatitudine il Patriarca Louis Raphaël I Sako per le sue cortesi parole. Colgo l’occasione per raggiungere, attraverso di voi, i fedeli e tutti gli abitanti delle amate terre di Iraq e Siria, in un periodo particolarmente sofferto e delicato, con il conforto e la solidarietà cristiana. Possa la misericordia di Dio, nell’imminenza dell’Anno Giubilare, lenire le ferite della guerra che piagano il cuore delle vostre comunità, affinché nessuno si scoraggi in questo momento, in cui i clamori della violenza sembrano superare le accorate preghiere per la pace.
Oggi, la situazione nelle vostre terre di origine è gravemente compromessa dall’odio fanatico del terrorismo che continua a provocare una forte emorragia di fedeli che si allontanano dalle terre dei loro padri, ove sono cresciuti ben radicati nel solco della tradizione. Questo stato di cose sta certamente minando alle fondamenta la vitale presenza cristiana in quella terra che ha visto iniziare il cammino del patriarca Abramo, risuonare la voce dei Profeti che richiamavano alla speranza Israele durante l’esilio, fondare le prime Chiese sul sangue di tanti martiri, testimoniare la pienezza del Vangelo, far crescere le società con il proprio contributo, durante secoli di pacifica convivenza con i nostri fratelli seguaci dell’Islam. Purtroppo, invece, questi nostri tempi sono segnati da innumerevoli esempi di persecuzione, anche fino al martirio.
La Chiesa Caldea, che soffre per questo stato di cose causato dalla guerra, conosce anche i bisogni dei fedeli nella diaspora, i quali sentono il desiderio di restare saldi nelle proprie radici e di inserirsi nei nuovi contesti. Pertanto confermo, oggi più che mai, tutto il sostegno e la solidarietà della Sede Apostolica a favore del bene comune dell’intera Chiesa Caldea. Prego affinché i cristiani non siano costretti ad abbandonare l’Iraq e il Medio Oriente – penso in particolare ai figli e alle figlie della vostra Chiesa, con la loro ricca tradizione.
Vi esorto ad adoperarvi instancabilmente come costruttori di unità in tutte le province dell’Iraq, favorendo il dialogo e la collaborazione tra tutti gli attori della vita pubblica, contribuendo a risanare le divisioni e impedendo che ne insorgano altre.
La vostra visita mi permette di rinnovare un accorato appello alla comunità internazionale, affinché sappia adottare tutte le strategie valide al fine di promuovere il raggiungimento della pace in Paesi terribilmente devastati dall’odio, per riportare il soffio vitale dell’Amore in luoghi che da sempre sono stati crocevia di popoli, culture e nazioni. La tanto auspicata pace possa sorgere all’orizzonte della storia, affinché i luttuosi drammi inferti dalla violenza lascino il posto ad un clima di reciproca convivenza.
Il Sinodo, che in questi giorni state celebrando in Urbe , è un “cammino insieme”, un momento propizio di confronto tra le diversità che arricchiscono la comunione fraterna tra di voi, sotto lo sguardo di Cristo Buon Pastore. Come ho avuto modo di dire commemorando i cinquant’anni del Sinodo dei Vescovi, «camminare insieme è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica […] Non dimentichiamolo mai! Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce, secondo le parole del Maestro: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” ( Mt 20,25-27). Tra voi non sarà così : in questa espressione raggiungiamo il cuore stesso del mistero della Chiesa – “tra voi non sarà così” – e riceviamo la luce necessaria per comprendere il servizio gerarchico» ( Discorso nel 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi , 17 ottobre 2015).
Vi invito pertanto a seguire l’esortazione dell’apostolo Paolo ad avere tra voi gli stessi sentimenti di Cristo (cfr Fil 2,5), operando con misericordia, nell’umiltà, nella pazienza e nella reciproca accoglienza che genera comunione.
Il Sinodo sia vissuto con senso di responsabilità, partecipazione e servizio, avendo sempre dinanzi l’immagine del Buon Pastore, che ha a cuore la salvezza delle sue pecorelle e, in particolar modo, si prende cura di quella smarrita. Siate anche voi così: zelanti nella ricerca della salus animarum , dei presbiteri come dei laici, ben sapendo che l’esercizio della comunione talora richiede una vera e propria kenosi , un abbassamento e una spogliazione di sé.
Vi incoraggio ad essere paterni con i sacerdoti e con tutti i consacrati, che sono i vostri primi collaboratori, e, nel rispetto della tradizione e delle norme, ad essere accoglienti verso di loro, benevoli e comprensivi verso le loro necessità, avviando percorsi perché siano sempre più consapevoli delle esigenze del loro ministero al servizio dei fedeli. Così facendo, riuscirete a colmare le distanze che separano e a discernere le risposte alle urgenze attuali della Chiesa Caldea sia nella madrepatria sia nella diaspora. In tal modo le riflessioni che emergeranno potranno offrire soluzioni proficue alle vostre attuali esigenze e spunti di convergenza per la risoluzione di problematiche liturgiche e di ordine generale.
Nell’esortarvi a proseguire il vostro impegno pastorale con fraterna comunione e spirito missionario, a voi tutti, Pastori Caldei, affido le mie parole di incoraggiamento ai fedeli: risuonino sulle vostre labbra come la mia carezza che riscalda i loro cuori.
Affido la Chiesa Caldea alla materna protezione della Vergine Maria e imparto su di voi, sui sacerdoti, sui religiosi e le religiose e su tutti i fedeli la Benedizione Apostolica, pegno di speranza e di consolazione nell’Amore di Dio Misericordioso.

Classes swell in Iraq camps as teachers leave for Europe

By AINA
Bram Janssen

The young Syrian refugees at the Kawergosk refugee camp in northern Iraq have already lost so much -- and now they're losing their teachers.
One after another, school teachers have packed up and left for Europe -- searching for opportunity, safety and a better life.
With the school year just kicking off in Iraq, schools like this one are scrambling to accommodate the refugee students left behind. Nine of Kawergosk's teachers fled to Europe this summer and the remaining teachers are doubling up on students.
Mizgeen Hussein, 28, is among those teachers left behind. A refugee from Derik, Syria, Hussein admits that despite her commitment to the students, she would leave if she had the money.
"The reason for me to leave is to have a future", said Hussein, who teaches a class of 37 children at the camp's school. "For sure this has an effect on us," she added. "For now, we'll solve it with the people who are here until they will bring other teachers."
Camps across Iraq are experiencing the same exodus of teachers heading to Europe. Meanwhile student numbers are on the rise as fighting continues to tear through Syria and Iraq, forcing people to flee their homes. An increasingly chaotic civil war has gripped Syria for nearly five years, and the Islamic State militant group has claimed territory in a third of both Iraq and Syria.
Four of the 21 teachers at the Kobani primary school in Domiz camp have left in the past month. With over 1,000 students, manager Abdullah Mohammed Saeed said the school's future is in jeopardy.
"We need new people, otherwise we have to close the school," he said.
"Our problem is that now our teachers are escaping to Europe," said Mazhar Mohammed, Kawergosk's principal. "We don't have any other problems. The government is providing us with enough books."
Iraq's semi-autonomous northern region hosts approximately 250,000 Syrian refugees, with more than a third of them living in camps. Many have found work, opened shops and pursued some form of education. But their uncertain future has caused those in doubt to flee the region, either back to Syria or across the border to Turkey and beyond.
According to the U.N. refugee agency, the number of Syrians leaving northern Iraq for Europe has tripled in recent months. Among them are many Syrian teachers who have been getting paid by the Kurdish regional government to teach at the various camps. But the region is facing a severe financial crisis, and many teachers have not received salaries -- another reason to leave.
On the first day of school at Kawergosk, children gripped the school's fence waiting for the gates to open. Hundreds flooded into the schoolyard, anxious to get back into their classrooms.
The lessons are shortened, as there are not enough teachers to handle all the students. "We dropped the last lessons, so we send the students home earlier," Mohammed, the camp principal, said. The lack of teachers has forced many instructors to give lessons in areas outside their specializations, with history teachers covering geography and math teachers expanding into physics.
Some teachers, like Jeveen Salah Omer, have nevertheless vowed to stay, whatever the cost.
"The education of students is more important than anything," she said. "They became refugees and had to come here. This is the least we can do for them."

“No one has to live in a tent anymore” - Archbishop Warda of Erbil in Northern Iraq

By Aid to the Church in Need
Oliver Maksan

More than a year after having fled and been driven out by the terrorist militia “Islamic State”, Christians in Iraq no longer harbour the hope that they will be able to return to their homes anytime soon. This is what the Chaldean Catholic Archbishop of Erbil, Bashar Matti Warda, said during a recent visit to the head office of the Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN).
“The people are not fooling themselves by believing that the occupied regions can quickly be liberated. In the meantime, we as the church are trying to make it possible for them to stay in Iraq. When the people see the efforts the church is making on their behalf, they think twice about leaving.” In the summer of last year, more than 125,000 Christians fled to the autonomous Kurdish regions of Iraq after IS advanced like lightning into Mosul and the Nineveh Plains. The majority continue to live there as refugees.
In the meantime, Archbishop Warda has observed a considerable exodus of Christians from Iraq. “Last year we had 13,500 registered Christian refugee families in our archdiocese. Now there are only about 10,000 left. This means that more than 3,000 families have left Iraq.”
News of the stream of refugees from the Middle East to Europe has long since made the rounds among Iraqi Christians.
“We feel the effects of this development in Europe acutely. Of course the people find out about this and believe that the gateway to Europe is now wide open.” However, the bishop said that up until now he has yet to notice an acceleration in the emigration from Iraq due to the events in Europe. “However, of course it does not make our work convincing the people to stay any easier.”
According to Archbishop Warda, the main concern of the church is to offer humanitarian as well as pastoral aid. “Thanks to our partners, the humanitarian situation has in the meantime been stabilised. No one has to live in tents anymore, as they did last year. The majority are now living in caravans or in flats we have rented. Furthermore, with the help of Aid to the Church in Need, we were able to get eight schools up and running so that today, there are practically no children who are not receiving lessons. Naturally, things looked a lot different last year. Finally, our supply network for food is now running smoothly. Each family receives a packet from us each month.” However, the archbishop believes that more Christians will leave the country should the support from outside of the country wane.
The archbishop emphasised that next to humanitarian aid, pastoral care plays a decisive role.
“Just recently we held a Festival of Faith. Twelve hundred people took part. I was deeply moved by the stories the people told. Many young people spoke of the darkness they had been forced to pass through. After all, when they fled, they not only lost their homes, but also their hopes, joy, trust and dreams. However, when they saw that the church was with them, that priests and nuns stood by them, they took courage once more. Their faith returned. They may no longer have a house, but at least they have a living faith.”
However, despite this Archbishop Warda is certain that the number of Christians in Iraq will further decline. “The situation is dire. We as the church are doing what we can. However, I believe that, in the long term, it will be decisive that those that stay have a mission. We Christians of Iraq belong to this land. It is our job to build bridges, to live Christian values. It is my dream to also pray the Lord’s Prayer together with non-Christians. After all, this would be easy to do. What is decisive, however, is living it. The message of the Lord’s Prayer is that God’s love is for all people.”
Aid to the Church in Need has been supporting the Christians in Iraq for many years. With the beginning of the Christian refugee crisis, it greatly intensified its commitment. More than $16.7 million were approved for projects in 2014 and 2015. This was primarily used to rent living quarters for the people, to build schools and to provide food.

Sinodo Chiesa caldea. Patriarca Sako: Iraq ha bisogno di aiuto

By Radiovaticana

Fuga di massa dall’Iraq, violenze nel Medio Oriente, una Chiesa che vuole essere madre e sorella di chi chiede speranza. Sono molti e delicati i temi che da oggi al 29 ottobre prossimo si accinge ad affrontare la Chiesa caldea. Un segno delle gravi difficoltà che la riguardano viene dalla sede dell’assemblea sinodale, in precedenza convocata per lo scorso 22 settembre ad Ankawa, il sobborgo di Erbil abitato in maggioranza da cristiani, dove sono ospitati anche buona parte dei profughi della Piana di Ninive fuggiti davanti all’avanzata dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Il Sinodo è stato rinviato e spostato a Roma, dove sono giunti i vescovi della diaspora, provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada e dall'Australia. Paolo Ondarza ha intervistato il Patriarca Louis Raphael I Sako, di Babilonia dei Caldei, presente al Sinodo sulla famiglia:

 Abbiamo tanti soggetti da studiare, la nostra situazione in Iraq, in Siria, è una situazione precaria: come affrontare le sfide delle famiglie sfollate nel Kurdistan o anche nei Paesi vicini, l’esodo di massa – la gente va via, perché non vede una soluzione all’orizzonte – poi come riorganizzare la nostra Chiesa. In genere, infatti, durante le crisi, la Chiesa deve essere dinamica, forte, per dare speranza alla gente, soprattutto lì. La Chiesa, dunque, deve essere un segno di speranza per i cristiani, ma anche per i musulmani. I preti devono seguire una formazione permanente, sia quelli all’interno dell’Iraq sia quelli che servono fuori. Noi, purtroppo, abbiamo vissuto il dramma della fuga dei preti e dei monaci. Abbiamo anche bisogno di un aggiornamento della liturgia.
Nello specifico, per quanto riguarda l’Iraq chiaramente grande attenzione sarà data ai tanti cristiani, come diceva, che sono fuggiti. Pensiamo ai profughi della Piana di Ninive, che sono appunto in fuga di fronte all’avanzata del Daesh, del sedicente Stato Islamico. Come la Chiesa si pone di fronte a questa minaccia? Quali suggerimenti, quali possibili soluzioni, lei si augura possano uscire da questo Sinodo?
Prima di tutto, noi, come vescovi e preti sul posto, dobbiamo essere molto presenti tra loro, in mezzo a loro, così che non sentano di essere stati lasciati soli. Abbiamo anche chiesto la solidarietà della Chiesa universale. Io ho fatto un appello alle Conferenze episcopali occidentali, soprattutto americane, perché facciano pressione sul loro governo per cercare una vera e duratura soluzione pacifica per questi Paesi. Questo è molto importante. Invece di accogliere questi rifugiati, sarebbe meglio aiutarli a rimanere nel loro Paese, vivendo in pace e nella dignità. Ma c’è anche l’emergenza, il bisogno di aiutare queste famiglie. Noi ora non siamo capaci di rispondere ai loro bisogni. Abbiamo molto aiutato, ma adesso abbiamo bisogno dell’aiuto delle nostre Chiese nel mondo. Anche le agenzie di carità – Aiuto alla Chiesa che soffre, la Caritas, l’Oeuvre d'Orient, Misereor, Missio, la Conferenza episcopale italiana – ci hanno aiutato molto. Noi dunque siamo grati, ma aspettiamo anche un aiuto morale e spirituale, politico e anche economico.
La questione del Medio Oriente, dei cristiani in Iraq, è stata anche presente qui al Sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si chiude mentre si apre il vostro della Chiesa caldea…
Sì, certo. I problemi, infatti, non sono gli stessi per noi. Non c’è matrimonio civile, divorzio… Pochi i casi di annullamento. La famiglia è molto unita e vive in comunità. Le sfide di queste famiglie sono la persecuzione, le migrazioni, il fondamentalismo, l’essere emarginati da questa mentalità musulmana che non accetta l’altro. E noi dobbiamo fare qualcosa per loro.

23 ottobre 2015

Dal 24 ottobre il sinodo. I caldei si riuniscono a Roma


«Stendi, o Madre, il mantello della tua protezione sulla santa Chiesa caldea e intercedi presso la santa Trinità e l’unico Dio che ti ha fatto regina del cielo e della terra perché essa scenda sul nostro patriarca e sui vescovi del sinodo della Chiesa a Roma perché lavorino per il bene della Chiesa e la salvezza dei fedeli».
È un passagio della preghiera che i cattolici caldei sono stati invitati a recitare in questi giorni, in vista dell’ormai imminente assemblea sinodale. Dal 24 al 29 ottobre prossimi, a Roma, si terrà infatti il sinodo della Chiesa caldea, al quale sono stati convocati i ventuno vescovi alla guida delle diocesi caldee presenti in territorio iracheno, in Medio oriente e presso le comunità caldee in diaspora.
Molti, e delicati, gli argomenti all’ordine del giorno. I presuli, secondo quanto diffuso dal patriarcato caldeo, saranno chiamati a confrontarsi soprattutto sulle tragiche emergenze che coinvolgono i popoli del Medio oriente, comprese quelle che riguardano le decine di migliaia di cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive sotto l’incalzare dei fondamentalisti del cosiddetto Stato islamico. Ai vescovi verrà anche chiesto di tracciare un bilancio dei due anni e mezzo trascorsi dall’elezione del patriarca Louis Raphaël I Sako. Verrà affrontata, inoltre, come riferisce l’agenzia Fides, la controversia ecclesiale sorta intorno a un gruppo di sacerdoti e monaci che, nel corso degli ultimi anni, avevano lasciato le proprie diocesi e le proprie case religiose in Iraq senza il permesso dei superiori, e si erano trasferiti negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali dove è più diffusa la diaspora caldea. Già nell’ottobre dello scorso anno, come si ricorderà, il patriarca Sako aveva pubblicato un decreto in cui ordinava ai fuoriusciti senza permesso di rientrare nelle rispettive diocesi di origine, o di concordare con i propri vescovi e con i capi delle comunità la regolarizzazione del proprio trasferimento.
Nel corso dell’assemblea sinodale, i vescovi caldei saranno anche chiamati a stabilire i criteri che devono orientare una gestione efficace e trasparente dei fondi destinati alla carità e all’assistenza ai rifugiati. Si discuterà anche dell’urgenza di favorire la partecipazione dei laici alla vita ecclesiale, attraverso la valorizzazione dei consigli parrocchiali.
È alle porte, dunque, un sinodo particolarmente importante, per la buona riuscita del quale il patriarcato ha invitato a pregare tutte le parrocchie e le comunità caldee sparse nel mondo. In modo specifico, come accennato, a partire dalla scorsa settimana è stata suggerita la recita di una preghiera speciale dedicata alla Vergine Maria da aggiungere a quella del rosario. La preghiera, pubblicata dal sito del patriarcato e tradotta e rilanciata dal sito Baghdadhope, affida all’intercessione di Maria il sinodo e i vescovi che vi prenderanno parte affinché «lavorino per il bene della Chiesa e la salvezza dei fedeli».
Il sinodo della Chiesa caldea era stato in precedenza convocato per lo scorso 22 settembre ad Ankawa, sobborgo di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, abitato in maggioranza da cristiani, dove sono ospitati anche buona parte dei profughi della Piana di Ninive fuggiti davanti all’avanzata dei jihadisti del sedicente Stato islamico. Successivamente, però, l’assemblea sinodale è stata rinviata, anche nella speranza che la nuova convocazione a Roma possa rendere più agevole il viaggio per i vescovi provenienti dagli Stati Uniti, dal Canada e dall’Australia. Tra l’altro, come è noto, il patriarca Sako si trova già a Roma, dove in Vaticano prende parte ai lavori del sinodo generale ordinario dell’episcopato della Chiesa cattolica sulla vocazione e missione della famiglia.

Bishop Angaelos: Christians at risk of being left out by Syrian refugee schemes

By Christian Today
Harry Farley

Syrian Christians fleeing Islamic State are at risk of not having equal access to the Government's refugee scheme, the General Bishop of the Coptic Orthodox Church in the UK said this evening.
Bishop Angaelos was speaking during a service to celebrate the Coptic New Year at St Margeret's Church, Westminster Abbey.
He reflected on the opportunity the last year offered, as well as the sadness, in his sermon to members of both the House of Lords and the Commons, ambassadors, guests from other Christian churches and members of the Coptic community. Focussing on the crisis in the Middle East, he urged the congregation not just to pray, but to act.
"Let us offer our hospitality, our homes and our hearts" to Syrians arriving in Britain, he said.
However, speaking to a group of journalists after the service, Bishop Angaelos praised the UK government scheme to accept 20,000 refugees over the next five years but said it may inadvertently be leaving out Christians.
"From what we hear from the Church in Syria and in Iraq, the Christians are not in the UNHCR refugee camps," he said. "They are being hosted by church camps and by Christian communities but they are not in the camps because they do not feel safe there.
"So if we just take people from the camps then we are not going to find Christians.
"The government scheme is very good but it inadvertently leaves out a whole group because they are not there."
This information was from churches in Syria, Iraq and the surrounding countries, Bishop Angaelos explained. He urged the government to use other networks outside the refugee camps to ensure Christians have at least equal access to the government's scheme.
Although he was quick to praise the Government for making "a start" by accepting 20,000 refugees, he agreed with the 84 Church of England bishops who have called on David Cameron to accept 50,000 and said more must be done.
"I agree we need to accept as many as we can. 20,000 is a start and let's work with that but it is not enough. We need to take more.
"What the magic number is no one knows. I would agree with 50,000 but it could even be more."
However he also accepted that taking more refugees was never going to a long-term solution.
"The only solution is to find a solution from within. No matter how many refugees we take there it will never be enough.
"In this case we need a diplomatic solution. There needs to be a willingness to get to the table and resolve the issue."
Speaking to Christian Today, Bishop Angaelos elaborated on comments made in his sermon where he described the situation in the Middle East as "crossing a line of evil" and marked a "return to medieval brutality."
"It is the worst evil we have seen since even before the Holocaust," he said.
"When was the last time we heard of beheadings on this scale? When was the last time we heard of people being burnt alive? How many times have we heard about women being sold on the internet with a price list? We are talking about slavery and human trafficking."

400 giovani cristiani hanno preso parte alla “giornata della gioventù” a Kirkuk

By Fides

Sono stati più di 400 i ragazzi e le ragazze cristiani di diverse confessioni che hanno preso parte alla “Giornata della gioventù” convocata a Kirkuk su iniziativa della locale arcidiocesi caldea. L'evento, svoltosi sabato 17 ottobre, ha avuto come epicentro la cattedrale caldea di san Giuseppe. Dal mattino fino a tarda sera, la kermesse è stata scandita da riflessioni bibliche, momenti di preghiera, rappresentazioni teatrali, giochi collettivi, conferenze con domande e risposte e momenti di svago, per concludersi con una fiaccolata e con una manifestazione di fuochi d'artificio. I momenti di approfondimento spirituale sono stati affidati a predicatori e teologi di diverse chiese cristiane, a partire dall'Arcivescovo caldeo Yousif Thomas Mirkis OP.
Un attacco alla città di Kirkuk da parte delle milizie jihadiste dello Stato islamico era stato respinto lo scorso gennaio. La città è presidiata in particolare dalle milizie curde Peshmerga. Tra sabato e domenica scorsi, l'esercito iracheno in coordinamento con le milizie curde ha sfondato il fronte delle milizie jihadiste nella zona della città di Havija, a Sud-Ovest della provincia di Kirkuk. L'esercito siriano ha chiesto alla città di Kirkuk di tener aperto un “corridoio di sicurezza” per accogliere i profughi provenienti da Havija.

Cristiani in Iraq: non è persecuzione. È genocidio

By Vita
Martino Pillitteri

«Le difficoltà sono immense, il rischio altissimo. Ma il nostro spirito è alto e non perdiamo mai la speranza. Il mondo cristiano in Iraq sta facendo un lavoro incredibile per tenere unita la comunità, per trattenerla nel paese, per mantenere viva la propria identità. Ma è difficile convincere una famiglia a rimanere in Iraq. Quando ci provi, le loro argomentazioni battono le mie». È realista e battagliero Bashar Warsa, Arcivescovo caldeo di Erbil nel Kurdistan iracheno.
Incontrato da Vita.it a Bruxelles presso la sede del Comece ( Commission of the Bishops' Conferences of the European Community) l’arcivescovo ha fatto il punto sulla situazione dei cristiani iracheni, e su come il network delle Chiese locali nell’Iraq del nord si sta impegnando per gestire le esigenze di migliaia di profughi. Negli ultimi 15 mesi, circa 125 mila cristiani nelle aree adiacenti a Mosul e la piana di Ninive sono stati costretti ad abbandonare le loro case a causa dell’espansione dello stato islamico. Tra le famiglie in cerca di rifugio o di un alloggio anche tanti musulmani.
«Stiamo facendo tanto per chi ha lasciato le proprie case. E non parlo solo pe i cristiani. Noi aiutiamo tutti anche i musulmani e gli yazidi. Senza l’intervento della Chiesa nel fornire alloggi, cibo, servizi sanitari ed educativi, la situazione in Iraq sarebbe più disastrosa di quello che è attualmente».
Secondo i dati che ci ha fornito Caritas Belgio la partership solidale delle chiese irachene copre l’affitto delle case per 2294 famiglie nelle zone di Ozal, Knajan, Dewaza e Nesh mentre 2700 famiglie nel villaggio di Ankawa vivono in roulotte fornite dalla Chiesa. Grazie all’intervento delle Chiese, sono state costruite 9 scuole (ad altre 4 grazie ad altre associazioni cattoliche) e health centers, centri di cura e di servizi sanitari frequentati da 2200 persone al mese. Il costo mensile delle medicine è di 42 mila dollari. Ogni giorno vengono distribuite confezioni alimentari a 13500 persone.
«I soldi, che sono stati messi in un fondo chiamato ICA (Iraqi Christian Aid) sono stati raccolti grazie a donazioni elargite da benefattori sparsi in tutto il mondo. Ma molto resta ancora da fare e da investire. Per esempio abbiamo bisogno di 2 milioni e mezzo per coprire il costo degli affitti fino a 30 giugno 2016. Ci ha dato una grossa mano anche la Caritas italiana. Don Roberto è venuto a trovarci; dall'Italia non ci fanno mancare il loro contributo. In tanti ci stanno auitando a costruire un ambiente dignitoso e sicuro che possa convincere le persone a rimanere in Iraq. Sappiamo che è difficile vincere la loro fiducia. I motivi per andarsene sono superiori a quelli per rimanere. Ma almeno facciamo bene la nostra parte, la gente ci pensa due volte prima di partire. Già quello è un successo. Riscontro che, oltre le tante famiglie che lasciano l’Iraq, ce ne sono almeno 10 al mese che tornano perché non ce l’hanno fatta a stabilizzarsi nei paesi limitrofi».
Parlando di famiglie, Warda non nasconde che in molte zone la gente non si fida neppure del proprio vicino di casa. « Mi dispiace ammetterlo, ma ci sono persone non affiliate con l'Isis che sequestrano persino il loro vicino di casa per estorcere dei soldi. Nonostante tutto, noto che i cristiani non si stanno vendicando. La vendetta non è nel DNA della nostra comunità. Tuttavia, l’Isis si deve combattere anche con la forza. Il dialogo e la diplomazia non servono. Non ti ascoltano. L’intervento militare è una parte della soluzione».

Genocidio

Non usa giri di parole per definire quello che è successo ai cristiani in Iraq. «E’ un genocidio, punto. Bisogna chiamare le cose con il loro nome. L’Europa e le istituzioni come l’Onu non l’hanno compreso. Credo che l’opinione pubblica mondiale si renderà conto di quello che accade in Iraq quando le istituzioni come Onu e Eu adotteranno termini come genocidio e crimini contro l’umanità nelle loro discussioni e nelle letture degli eventi. Lo scorso dicembre ho incontrato l’alto commissario per la politica estera europea Federica Mogherini. Mi ha detto che avrebbe portato le mie istanze e preoccupazioni a Bruxelles. Ad oggi non mi risulta che abbia iniziato un processo o messo in moto qualcosa. Comunque, ho in agenda un incontro con il suo staff tra poche ore. Vediamo quello che succede».
Termino la chiacchierata con questa domanda: Teme per la sua vita? «Si, molto. Ma non faccio nulla per proteggermi. Se vogliono farmi fuori lo possono fare con molta facilità indipendente dalle precauzioni e dalla protezione».