"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 giugno 2007

Monsignor Shleimun Warduni: "Non si può negare la persecuzione degli iracheni cristiani"

Di Baghdadhope

Le dichiarazioni fatte da Monsignor Avak Asadorian, vescovo della Chiesa Armena Apostolica e Segretario del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghdad, con cui, di fatto, ha negato che la comunità irachena di fede cristiana stia soffrendo proprio in quanto minoritaria, in un paese dove l’estremismo islamico sta avendo la meglio, hanno suscitato sconcerto.
In una dichiarazione telefonica rilasciata a Baghdadhope, Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario dei Caldei, anche a nome del Patriarca Mar Emmanuel III Delly, ha ribadito con forza ciò che negli ultimi mesi è parso chiaro a chiunque.
“Non è persecuzione l’uccisione di diaconi e sacerdoti o il loro rapimento? Non è persecuzione dei cristiani il fatto che le croci vengano tolte dalle chiese? O che le ragazze cristiane vengano obbligate a sposare dei musulmani? O che i cristiani debbano pagare la jizya, la tassa di protezione per non subire violenza o essere uccisi? Non è persecuzione il fatto che intere famiglie sono obbligate a lasciare tutto ciò che hanno e fuggire? Non è persecuzione questa? Come dovremmo chiamarla altrimenti?”
Le parole del vescovo sono un fiume in piena, la voce concitata. “E’ in corso in Iraq un terribile attacco alla cristianità che tutto il mondo deve conoscere. Noi non vogliamo lo scontro, ma il colloquio con i nostri fratelli musulmani. Ci siamo rivolti a tutti: ai capi religiosi, al governo, ma la risposta che vediamo tutti i giorni messa in pratica è che noi dobbiamo pagare la colpa del nostro essere cristiani. Tutti soffrono in Iraq, ma la comunità cristiana è piccola e così se i rapimenti, ad esempio, colpiscono anche i musulmani, per noi hanno un significato particolare perchè contribuiscono alla diffusione del terrore ed alla conseguente fuga.”
E’ necessario porre fine a questa tragedia, non negarla o sottovalutarla come nella dichiarazione di Monsignor Asadorian che l’ha riportata indietro di mesi, quando seppur tragica essa non aveva ancora raggiunto i livelli che l’hanno oramai apertamente qualificata come “persecuzione,” ma la soluzione, per Monsignor Warduni non è certo nella creazione di una zona protetta per la comunità.
Il famoso progetto della “Piana di Ninive” che li vorrebbe riuniti in un’area del governatorato di Mosul per favorirne la protezione, anche se non è chiaro da parte di chi per una comunità che non ha modo nè attitudine a rispondere alla violenza con le stesse armi, la “trappola per i cristiani iracheni” come è stata definita da Monsignor Luis Sako, non è la soluzione ai problemi degli iracheni cristiani. “Noi non possiamo accettare la creazione di un ghetto cristiano” dichiara Monsignor Warduni, “noi cristiani siamo originari di questa terra, noi abbiamo contribuito al suo sviluppo, noi abbiamo sempre vissuto in tutto l’Iraq, noi 'siamo' iracheni.”

Babel College, Ankawa





A sinistra: Monsignor Jacques Isaac, Rettore del Babel
College

Lo stendardo. In alto: Collegio Pontificio Babel per la Filosofia e la Teologia. In basso: Corso di studi "I martiri della Chiesa"

La Chiesa in Iraq deve avere una voce sola

Di Baghdadhope

Il costante peggiorare della situazione degli iracheni cristiani ha imposto un cambiamento di rotta nell’atteggiamento fino ai tempi recenti tenuto dalle gerarchie ecclesiastiche del paese. Alle dichiarazioni rassegnate nei confronti delle violenze che gli iracheni cristiani subivano, riferite come analoghe a quelle di cui anche i musulmani erano vittime, si sono sostituiti la denuncia della persecuzione mirata alla comunità, ed i ripetuti appelli lanciati al mondo cristiano ed alle istituzioni internazionali perchè essa non venga dimenticata e le sue sofferenze non vengano sottovalutate.
I ripetuti rapimenti di sacerdoti e la fuga di migliaia di famiglie cristiane da zone di Baghdad – Dora, innanzi tutto – dove era ormai diventato impossibile sopravvivere per le minacce e le violenze perpetrate dalle milizie islamiche, hanno spinto lo scorso maggio Mar Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, a pronunciare per la prima volta il termine fino ad allora diplomaticamente taciuto: persecuzione.

“Le persecuzioni cui i cristiani sono soggetti” disse “sono di due tipi: interne ed esterne. La persecuzione interna è quella operata dai loro stessi fratelli che li stanno scacciando dalle loro case e dalle loro terre, e della quale sono responsabili tutti coloro che, al potere, non hanno fatto e non fanno nulla per fermare tale tragedia.La persecuzione esterna è quella che ha toccato la dignità stessa di tutto il popolo iracheno le cui moschee, chiese ed istituzioni sono state distrutte o occupate, senza alcun rispetto per la fede.”
A questa dichiarazione ne sono seguite altre di tono simile, e non poteva essere altrimenti considerando il continuare delle violenze culminate nell’uccisione a Mosul, il 3 giugno, di Padre Ragheed Aziz Kanni e di tre suddiaconi “messi davanti ad un muro e colpiti ripetutamente” come ha riferito commosso al SIR Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario di Baghdad parlando di un paese dove “si viene uccisi, rapiti, minacciati e costretti alla fuga solo perchè cristiani.”
Un paese dove i cristiani sono “vulnerabili per eccellenza” come ha dichiarato il portavoce della Santa Sede, Padre Federico Lombardi che, ribadendo la preoccupazione del Santo Padre ha chiesto di “Non dimenticare il martirio di questi nostri fratelli, inermi in mezzo alla violenza”.
Persecuzione, quindi, e martirio. Parole forti. Parole senza dubbio pesate e dovute alla disperazione in cui la comunità è costretta a sopravvivere. Parole che fanno appello alla coscienza dei cristiani del mondo perchè si rompa il silenzio che fino ad ora, come ha dichiarato Monsignor Warduni, ha “addolorato il cuore dei cristiani iracheni [che] soffre nel vedere l'indifferenza dei loro fratelli cristiani nel mondo,” ma che sono anche rivolte a quella maggioranza di musulmani iracheni che non ha mai visto nel cristiano un nemico, ma che è ostaggio di frange violente di suoi correligionari per le quali anche solo dimostrare solidarietà nei confronti degli “infedeli” è sinonimo di tradimento dell’Islam.
Alla luce, quindi, di questa nuova politica di denuncia da tutti ormai condivisa - tanto che si stanno moltiplicando nel mondo le iniziative di sostegno alla comunità irachena cristiana - stupisce apprendere che Monsignor Avak Asadorian, vescovo di Baghdad della Chiesa Armeno Apostolica neghi la persecuzione dei cristiani in quanto tali ed attribuisca le violenze nei loro confronti solo al loro essere abbienti, e quindi bersaglio delle bande di sequestratori, o al loro “trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato.”
Una tale affermazione che riecheggia il precedente – e fallimentare – atteggiamento di “basso profilo” si basa, secondo il vescovo armeno, sulle “pallottole che non discriminano le vittime su base religiosa.” Sebbene questa dichiarazione si fondi sulla realtà – molti cristiani, ma moltissimi musulmani sono stati e sono vittime innocenti – essa sembra non tenere conto che la distruzione delle chiese non ha niente a che fare con le bande criminali che imperversano in Iraq e che trovano nei cristiani indifesi le vittime più facili da colpire. E neanche del fatto che niente giustifica l’imposizione da più parti denunciata dell’obbligo per i cristiani di pagare la “jizya,” * la tassa di protezione, se non il fatto che chi la impone loro li considera dei cittadini di seconda classe, oltre che una facile fonte di reddito.
Non tutti vedono i problemi sotto la stessa –cattiva – luce si potrebbe dire.
E’ vero. Le reazioni dell’animo umano alle difficoltà sono a volte diverse da persona a persona. Non si tratta di stabilire da che parte è la ragione, ma di ribadire un concetto già espresso e rimasto nella maggior parte dei casi senza applicazione. Gli iracheni cristiani, che siano cattolici o no, devono fare fronte comune. Le divisioni, ed anche un contrasto di valutazione lo è in questo frangente, non giovano. Non comprendere quanto una comunità minoritaria abbia bisogno di rimanere unita contro chi la sta distruggendo vuol dire offrire il fianco scoperto, vuol dire vanificare gli appelli di aiuto alla comunità internazionale che potrebbe non capire la gravità della situazione, confusa da dichiarazioni contrastanti. Proprio le chiese al di fuori dell’Iraq cui lo stesso Monsignor Asadorian si appella potrebbero ritirare ogni eventuale appoggio nel timore di un intervento troppo “invasivo.” Potrebbero chiedere ai rispettivi governi di spingere le potenze occupanti a mantenere le promesse fatte – e non mantenute - a tutti gli iracheni, non sottolineando però la necessità del rispetto delle minoranze che ovunque nel mondo è simbolo di democrazia, e lasciandone la responsabilità all’attuale governo iracheno che si è per ora limitato a sole parole di circostanza in occasione di fatti gravi.
La divisione interna alla comunità irachena cristiana ha già portato alla loro quasi totale scomparsa dalla scena politica nazionale a causa della frammentazione in una miriade di partiti e partitini che hanno “spalmato” i voti in nome di una pretesa “pluralità democratica.”
La Chiesa non dovrebbe ripetere lo stesso errore. Pur nel rispetto delle divergenze, anche solo di vedute ed interpretazioni, il bene comune della comunità deve metterle a tacere. Questo, d’altronde, è proprio uno dei punti discussi durante la riunione del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghdad di cui lo stesso Monsignor Asadorian è Segretario Generale, tenutosi nel dicembre 2006, quando si sottolineò “la necessità per i cristiani del paese di parlare con una sola voce.”
La cacofonia di suoni contrastanti può rendere il mondo sordo alle grida di aiuto di una comunità che, come ha ricordato Monsignor Philip Najim, Procuratore Caldeo presso la Santa Sede “sta morendo.”

* La Jizya era il tributo di capitolazione con il quale giudei e cristiani riconoscevano lo Stato islamico. Il pagamento della "jizya" conferiva loro lo status di "dhimmiy" (protetti) e con il quale ottenevano il diritto di vivere in pace e in sicurezza nello Stato islamico.
Il Corano. Traduz. it. Di Hamza R. Piccardo. Newton & Compton, Roma, 1999

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo originale sulle dichiarazioni di Monsignor Avak Asadorian dal sito del World Council of Churches, e per la traduzione ed adattamento in italiano di Baghdahope.

“Ci hanno rubato le notti di Baghdad”
In un’intervista a Juan Michel una figura importante della cristianità irachena espone la sua visione della situazione in un paese piagato dalla violenza.
“Io vengo da un Iraq ferito e da un’ancora più gravemente ferita Baghdad” ha detto l’uomo vestito di nero a 130 rappresentanti ecclesiastici provenienti da sei continenti e riuniti per una conferenza sulla pace in Medio Oriente che lo ascoltavano in silenzio. “La situazione nel mio paese è tragica” ha continuato l’uomo, “ci era stata promessa la libertà ma ciò di cui abbiamo bisogno è la libertà di avere elettricità ed acqua pulita, di soddisfare i bisogni basilari, di vivere senza temere di essere rapiti.”
L’uomo che ha parlato alla conferenza internazionale del World Council of Churches (WCC) intitolata “Le chiese insieme per la pace e la giustizia in Medio Oriente” che si è tenuta ad Amman dal 18 al 20 giugno era l’Arcivescovo Avak Asadourian, primate della chiesa Armena Apostolica in Iraq.
Asadourian era ad Amman in rappresentanza del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghad. Creato nel luglio del 2006 il Consiglio è formato da 17 capi religiosi, compresi due patriarchi, appartenenti a quattro grandi famiglie cristiane: cattolica, orientale, ortodossa e protestante, ed Asadourian ne è segretario generale.
Perché i capi religiosi di Baghdad hanno creato il Consiglio?
Per prenderci cura dei fedeli in questi tempi difficili e per tenersi in contatto con gli altri organismi cristiani. Il Consiglio illustra i bisogni della nostra gente alle organizzazioni umanitarie e si occupa di distribuire i loro aiuti.
Qual è la situazione degli iracheni cristiani?
La situazione è uguale per tutti gli iracheni, cristiani o musulmani, ed è tragica. Le pallottole non discriminano le vittime su base religiosa. Ogni giorno gli attacchi terroristici colpiscono persone che potrebbero rappresentare la base di partenza del nuovo Iraq: professionisti, medici ed ingegneri causando una “fuga di cervelli” verso l’estero, una vergogna se si pensa che ci vogliono decenni per formare tali professionalità.
I cristiani vengono colpiti a causa della loro fede?
Non proprio, a parte negli ultimi tempi quando ai cristiani che vivevano in alcune aree di Baghdad è stato ordinato di lasciare la zone pena la morte. La violenza colpisce tutti in ugual modo. Naturalmente in un contesto di completa mancanza di legge ci sono criminali che fanno ciò che vogliono: minacciano, rapiscono, uccidono. Recentemente due sacerdoti cristiani, uno ortodosso ed uno caldeo, sono stati uccisi. Nella mia chiesa 27 persone sono morte dal 2003 a causa delle violenze. Sebbene non bersagli destinati essi semplicemente erano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Altre 23 persone sono state rapite. Dato che molti cristiani sono relativamente abbienti i cristiani diventano bersagli per motivi di riscatto, proprio come succede ai ricchi musulmani.
Secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite circa 1.200.000 iracheni sono fuggiti dal paese dall’inizio dello scorso anno. Che cosa ci dice degli iracheni cristiani?
Prima della guerra i cristiani rappresentavano il 7/8% della popolazione, oggi questa percentuale è scesa al ¾%. I cristiani si stanno anche trasferendo nel nord del paese, in zone relativamente più sicure. Le chiese si stanno svuotando. In genere ad ogni funzione assistevano circa 600/700 fedeli, ora circa 100/150. Le ragioni sono molteplici: la paura di uscire, o semplicemente il non avere benzina per le auto – le code agli impianti sono lunghe dai tre ai cinque chilometri – o il fatto che si sono trasferiti fuori Baghdad.
Com’erano le relazioni tra islamici e cristiani prima della guerra , e come sono ora?
Noi cristiani abitavamo nel paese prima che l’Islam vi arrivasse, specialmente nella sua parte settentrionale. Ma le distinzioni basate sulla fede non sono mai state un problema: sunniti, sciiti, cristiani. Le nostre relazioni erano amichevoli e sono diventate problematiche solo dopo l’inizio della guerra. In ogni caso noi lavoriamo per mantenere dei ponti tra noi. Per due volte abbiamo incontrato il più importante clerico sciita, l’Ayatollah Ali al-Sistani, così come la leadership sunnita. E a questo proposito voglio riconoscere i meriti di ognuno: i vertici religiosi musulmani hanno fatto il possibile per evitare che il presente conflitto si trasformasse in una vera e propria guerra civile.
State provando sulla vostra pelle lo scontro delle civiltà?
Non vedo uno scontro di civiltà ma una guerra con tragici esiti per ambo le parti in causa. Mi sembra che le potenze occupanti non hanno lavorato bene, una cosa è prendere un paese, un’altra è gestirlo bene in modo che la gente possa essere in grado di esercitare la libertà [acquisita]. Per rendere effettiva la democrazia ci vuole sicurezza, la democrazia non è solo un concetto ma anche un sistema di vita. Oggi in Iraq abbiamo bisogno delle libertà fondamentali, di non avere paura, di lavorare, di viaggiare per soddisfare i nostri bisogni primari. Una delle tragiche caratteristiche dell’attuale situazione è che ci hanno rubato le notti di Baghdad.
Quale pensa sia una possibile soluzione?
Le potenze occupanti devono mettere in atto le convenzioni di Ginevra e garantire la sicurezza nel paese. Se fossero in grado di darci sicurezza tanti problemi sarebbero risolti. Il nostro è un paese ricco, abbiamo terra, acqua, intelligenza, le seconde riserve del mondo di petrolio, cosa che in realtà ha rappresentato più una maledizione che una benedizione.
Il mio messaggio al mio gregge è questo: non abbiate paura ma stiate attenti. Affrontare questa terribile situazione con ottimismo e lavorate e pregate per un futuro migliore.
Come possono le chiese del mondo aiutarvi?
Mi chiedo se le chiese al di fuori dell’Iraq stanno parlando di questa questione in modo abbastanza coraggioso da farsi udire. Se fossero in grado di presentarla con efficacia ai rispettivi governi dovrebbero dire alle potenze occupanti di mantenere le promesse fatte di una vita migliore in Iraq. Le promesse di un brillante futuro dovrebbero essere messe in pratica. Un punto fondamentale della parabola del Buon Samaritano non è solo che egli abbia offerto aiuto, ma che l’abbia fatto in modo completo ed efficace.
Alcune chiese americane hanno chiesto un calendario di ritiro delle truppe USA dall’Iraq. Cosa ne pensa?
A questo punto non lo so… E’ una lama a doppio taglio. Una tale soluzione porterà la pace o farà il gioco dei terroristi? In ogni caso un’occupazione non è mai accettabile ed è sempre qualcosa di temporaneo che deve finire.Il mio messaggio alle chiese del mondo, specialmente a quelle dei paesi occupanti è: aiutateci a migliorare la vita degli iracheni, ad alleviare le loro sofferenze, a far mantenere ai loro governi le promesse di un futuro migliore sotto ogni aspetto, e chiedete a Dio aiuto per questo sforzo umanitario.

Il World Council of Churches promuove l’unità dei cristiani nella fede, nella testimonianza e nel servizio per un mondo giusto e pacifico. Associazione ecumenica fondata nel 1948 la WCC oggi riunisce 347 chiese tra Protestanti, Ortodosse, Cattoliche ed altro in rappresentanza di 560 milioni di fedeli in 110 paesi del mondo, e collabora con la Chiesa Cattolica Romana. Il Segretario Generale del WCC è il Reverendo Samuel Kobia, della Chiesa Metodista del Kenia. Il quartier generale del WCC si trova a Ginevra, in Svizzera.

"They have stolen the nights of Baghdad from us"
In an interview with Juan Michel (*) a prominent Iraqi Christian shares his views on the situation in the violence-plagued country.

"I come from a wounded Iraq and a severely wounded Baghdad," said the man in black habit standing in front of some 130 silent church representatives from six continents gathered for a peace conference on the Middle East. "The situation in my country is tragic," the man continued. "We were promised freedom, but what we need today is freedom to have electricity, clean water, to satisfy the basic needs of life, to live without fear of being abducted."

The man addressing the World Council of Churches (WCC) 18-20 June international conference "Churches together for peace and justice in the Middle East" in Amman, Jordan was Baghdad's Armenian Archbishop Avak Asadourian, primate of the Armenian Apostolic Church (See of Etchmiadzin) in Iraq.

Asadourian was in Amman representing the Council of Christian Church Leaders in Baghdad. Created in June last year, it is a body made up of 17 church leaders, including two patriarchs, from four Christian families: Catholic, Oriental and Eastern Orthodox and mainline Protestants. The Armenian primate is its general secretary.
Why did Baghdad's church leaders establish this council?
To take care of our faithful in these difficult times and to keep in touch with other Christian bodies. The Council presents the needs of our people to humanitarian organizations and channels their help.
What is the situation of Iraqi Christians today?
The situation is the same for all Iraqis, Christians or Muslims, and it is a tragic one. Bullets do not discriminate between religions. Every day terrorist attacks are targeting people who could be the cornerstone of a new Iraq: professionals, physicians, and engineers. And this is resulting in an across-the-board brain drain, which is a shame since it takes decades to train qualified people.
Are Christians being targeted because of their religion?
Not as such, except lately when Christians living in a certain area of Baghdad have been ordered to leave or be killed. The violence is targeting everyone in the same way. Of course, in a context of complete lawlessness, some thugs do whatever they want. They can threaten you, kidnap or kill you.
Recently, two Christian priests, one Orthodox and the other Chaldean, were killed. In my church, 27 members have died because of the violence since 2003. Although not personally targeted, they were simply in the wrong place at the wrong time. Another 23 members have been kidnapped. Since many Christians are relatively well off, they become targets for possible ransom, just like well-off Muslims do.
According to the United Nations High Commissioner for Refugees, some 1.2 million people have fled Iraq since the start of last year. What about the Iraqi Christians?
Before the war, Christians made up some 7-8% of the population. Today, they are 3-4%. Christians are also moving north within the country, to relatively safer areas. The churches are emptying. In my own church, we used to have some 600-700 faithful worshipping every Sunday. Today, they are 100-150. The reasons are several: they might be afraid of going out, but they also might simply not have petrol in their cars - queues at gas stations are three to five kilometres long - or they might have moved out of Baghdad.
What were Muslim-Christian relations like before the war and what are they like today?
We Christians were in the country before Islam arrived, especially in the northern part. But faith-based distinctions were never an issue: Sunni, Shia, Christian. Our relationships were very amicable. These differences only became an issue after the war started. However, we work to maintain bridges. We have twice visited the country's most prominent Shia cleric, Ayatollah Ali al-Sistani, as well as the Sunni leadership. And I want to give credit where credit is due. High-ranking Muslim clerics deserve credit for their efforts in trying to prevent the present conflict from evolving into a full-blown civil war.
Are you experiencing the impact of clashing civilizations?
I don't see a clash of civilizations but a bungled war with tragic results for both sides. It seems to me that the occupying powers did not do their homework well. It is one thing to take over a country, and another thing to run it properly in order to allow people to be able to exercise freedom. Security is needed to make democracy viable. Democracy is not only a concept, but also a way of life. Today in Iraq, we need basic freedoms, like freedom from fear, freedom to work, to travel in order to satisfy basic needs. One of the tragic features of the current situation is the fact that they have stolen the nights of Baghdad from us.
What do you think would be a possible way out?
The occupying powers have to enforce the Geneva conventions and guarantee the security of the country. If they were able to bring about security, a lot of problems would be solved. Ours is a rich country. We have land, water, brainpower, the second largest oil reserves in the world - which ultimately instead of being a blessing has become a curse.
My message to my flock is: do not be afraid, but be careful. Confront this dire situation with optimism, and pray and work for a better future.
How could churches outside Iraq help you?
I wonder whether churches outside Iraq are speaking about this issue boldly enough to be heard. If they were able to advocate effectively with their governments, they should tell the occupying powers to fulfill their promises of a better life for Iraq. Promises of a bright future should now be substantiated. One key point in the story of the Good Samaritan is that he not only extended help, but his help was complete and effective.
Some US churches have been asking for a timetable for the withdrawal of US troops from Iraq. What do you think about this?
At this point in time, I don't know... It's a two-edged sword. Is it going to bring about peace or play into the hands of terrorists? But an occupation is never acceptable and is always something temporary that should eventually come to an end.
My message to churches outside Iraq, specially to those in the occupying countries, is: Help us to make life better for the Iraqi people, to alleviate its suffering, to keep their governments' promises for a better future in all walks of life, and ask for God's help in this humanitarian endeavor.

(*) Juan Michel, WCC media relations officer, is a member of the Evangelical Church of the River Plate in Buenos Aires, Argentina.

29 giugno 2007

L'appello del rappresentante caldeo in Europa: i Cristiani in Irak non vogliono il ghetto

Fonte: Petrus

di Angela Ambrogetti

In Svezia sono 20mila, soprattutto tra Goteborg e Stoccolma, quattro sacerdoti ne curano la pastorale e il Governo li ha inserti nel lavoro e nelle scuole. Sono i cristiani irakeni, principalmente Caldei. Negli anni hanno abbandonato la loro terra, dove vivevano da millenni, per cercare la pace, la libertà religiosa. Un esodo biblico, per i numeri e per la regione che lasciano: l’antica terra dei patriarchi. La diaspora dei cristiani caldei in Europa, America, Canada Australia oggi è più drammatica. Si fugge da vere e proprie persecuzioni, da violenze che uccidono e distruggono, che vogliono costruire muri abbattendo la collaborazione che da secoli unisce la gente irakena. Come ci racconta il corepisocopo caldeo Philip Najim, Procuratore del Patriarcato Caldeo di Babilonia presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico dei Caldei in Europa. “La nostra comunità vive in Irak da migliaia di anni, è nata in questo Paese, ha sempre contribuito alla costruzione dell’Irak, allo sviluppo, i cristiani sono stati i primi in molte professioni. Le suore caldee avevano scuole dove hanno studiato migliaia di irakeni e non solo cristiani. Quella dei cristiani caldei e di tutti i cristiani in Irak è una comunità che ha vissuto sempre nel rispetto e nella tolleranza con i fratelli musulmani, curdi e di tutte le etnie. Non c’è mai stata divisione in Irak, non si distingueva tra un cristiano, un curdo, un musulmano, un sunnita o uno sciita, non si è mai vista la divisione che stiamo vivendo oggi”.

Clicca su "leggi tutto" per l'intervista di Petrus a Padre Philip Najim
Le migliaia di profughi che cercano rifugio nei vicini paesi Arabi, dalla Siria al Libano alla Giordania o in Europa, fuggono da un Paese che non riconoscono più, ma che è il loro Paese. Vorrebbero davvero che il futuro dello Stato fosse in mano agli irakeni, me senza divisioni, e naturalmente senza violenza. “Purtroppo - prosegue padre Najim - c’è fondamentalismo, ci sono terroristi, ci sono integralisti che vogliono creare queste divisioni nel popolo irakeno, affinchè l‘Irak non possa raggiungere la sua meta di pace, di sviluppo, di democrazia, e che possa tornare ad essere una presenza valida nella comunità internazionale. Sono ormai anni che è stata allontanata dal panorama internazionale, dagli anni dell’embargo”. E attualmente c’è di più: un vero e proprio martirio per la testimonianza di fede. “La nostra comunità cristiana soffre ogni giorno, paga con il martirio perché ha questa fede cristiana; in molti lasciano le case che hanno costruito con tanti sacrifici, lasciano la terra con l’amarezza nel cuore perché la amano profondamente, avrebbero voluto continuare la loro vita lì. E ci sono state tante vittime, distruzioni, rapimenti di sacerdoti, sono state bombardate molte chiese e anche l’arcivescovado di Mousul. E poi l’assassinio di padre Ragheed che aveva 34 anni, ha studiato a Roma dove è stato ordinato sacerdote, proprio a Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove si riunisce la Chiesa Caldea di Roma”. Una comunità piccola, quella italiana e romana, che però è legatissima alle tradizioni. Una Chiesa cattolica orientale, legata a Roma e alle radici medio-orientali, bibliche. Prosegue il rappresentate del patriarcato caldeo. “Si vuole creare una paura nel cuore dei cristiani, degli irakeni, e si vogliono cacciare i cristiani perché considerano che il Paese debba essere totalmente musulmano. Ma neanche questo si realizza. Ci sono forze oscure che vogliono creare divisioni tra sunniti e sciiti. Non credo che questa sia una caratteristica del popolo irakeno, che è sempre stato un popolo pacifico, tollerante ed era conosciuto per la sua ospitalità verso gli stranieri, la sua generosità. Oggi emergono aspetti che consideriamo estranei alla nostra società, non fanno parte del nostro carattere e della nostra educazione irakena. Per questo chiedo alla comunità internazionale, chiedo ai nostri fratelli irakeni che vivono in Europa, in America, in Canada, che alzino la voce contro la sofferenza che ogni giorno sopportano i cristiani e per creare una pace vera e autentica in Irak”. L’impegno dei leaders religiosi è sempre grande, cristiani e musulmani, uomini di vera fede, lavorano insieme per la gente. “La Chiesa intera accompagna con affetto e ammirazione tutti i suoi figli e le sue figlie e li sostiene in quest’ora di autentico martirio per il nome di Cristo”, ha detto il Papa al patriarca caldeo Emmanuel III Delly la scorsa settimana in occasione dell’incontro con la ROACO, la Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali, in Vaticano. “Il nostro patriarca - dice Padre Najim - ha avuto sempre la sua sede a Bagdad e sempre ripete “Verserò la mia ultima goccia di sangue rimanendo a Bagdad con la mia gente, vicino alla mia gente”. Non ha mai cessato di continuare il dialogo con gli altri capi religiosi, sciiti, sunniti, curdi di tutte le etnie. Questo dimostra che ancora esiste una forte collaborazione tra i leaders religiosi, una solidarietà tra di loro perché si considerano parte di un solo popolo, uniti dalla stessa terra irakena, la loro patria, e vogliono lavorare per questa patria”. Negli ultimi tempi si è proposta la creazione di una enclave cristiana nel nord del paese. Ma la proposta non piace a molti, come spiega il Visitatore Apostolico. “Il patriarcato e i vescovi caldei e gli altri cristiani che esistono in Irak, non hanno mai voluto un “ghetto” in un angolo dell’Irak. L’Irak è per tutti gli irakeni e in ogni parte dell’Irak si trovino i cristiani, devono essere garantiti i loro diritti, con una costituzione democratica che riconosca i diritti di tutti gli irakeni a vivere nel Paese. Il problema è che al momento non vediamo una vera responsabilità dello Stato verso i suoi cittadini, manca tutto dall’acqua all’elettricità alla sicurezza”. Ormai sono migliaia i cristiani cha hanno lasciato l’Irak. La comunità, che contava su un milione e mezzo di persone, si è praticamente dimezzata. Padre Najim, da Roma, lancia un appello: “Che la comunità internazionale con una coscienza vera ed autentica faccia qualcosa per quello che succede ogni giorno in Irak, per tutti ma specialmente per i cristiani che soffrono un vero martirio”.

Closing of the academic year of the Babel College in Ankawa: interview to Mgr. Jacques Isaac

By Baghdadhope

“It’s a sign of hope that give us the courage to continue”. By these words Mgr. Jacques Isaac, Rector of Babel College, the only Christian Theological university in Iraq commented yesterday on the degree ceremony that took place at the Chaldean Cultural Centre in Ankawa.
The ceremony was attended by relatives and friends of the new 12 graduated, by Mgr. Isaac who directed it, by Mgr. Faraji P. Rahho, Chaldean Bishop of Mosul, by Mgr. Mikha P: Maqdassy, Chaldean Bishop of Al Qosh, by General Luigi Orsini representing the Italian Ministry of Foreign Affair in Erbil and by a representative of Mr. Sarkis Aghajan Mamendu, Finance Minister of Kurdish Regional Government on the territory of which Ankawa is.
The group of new graduated - 2 lay men, 1 nun and 8 seminarists – has been dedicated to the “Church Martyrs” how Mgr. Isaac reported clearly referring to the savage murder of Father Ragheed Aziz Kanni and the three subdiacons killed in Mosul last 3 of June, and to those of two teachers and one seminarist directly linked to Babel College in the last two years.
In his speech Mgr. Isaac recalled all the difficulties the faculty had to face in the last year, especially the forced transfer from its former seat in the area of Dora in Baghdad to Ankawa for the complete lack of securiy that was blocking all its activities. He also praised the efforts made by all the components of the faculty – teachers, clerks and students – not to loose the academic year and read a congratulation message sent by the Patriarch of Babylon of Chaldeans, Mar Emmanuel III Delly.
Proud and happy for the successful ending of this difficult academic year and trusting in “God’s projects that exist even if maybe we did not understand them” and in “the Providence that let us move the faculty and continue our work, and that maybe in the future will let us go back to Baghdad to open again the old seat without closing the new one in Ankawa” Mgr. Isaac answered to some questions by Baghdadhope.

By the mid of April Babel College in Dora was occupied by American soldiers without any permission by the Church that owns it. What about the request made by the Church to have the building back?
“Babel College is still occupied by Americans who transformed it into a military base and the requests made to have it back had no answer. On the other hand we fear that if the American soldiers leave the building – and the Chaldean Seminary nearby – it wil be occupied by Al Qaeda elements, the same who already took possession of the Chaldean Nunnery of the Sacred Heart in Dora.”
So Dora area is still dangerous…
“Yes. 1400 Christian families left Baghdad to go abroad, to the north or to other areas of the city. They are destroyed families who run away without nothing, with a destroyed past and an uncertain future. Just today a priest from Baghdad called us to seek for help for some of them. The Church makes what it can but it is not sufficient to repay for what they are suffering. Churches in Dora are closed, in Mar Yacoub Church, for example, the two guards, two brothers, have been killed, but also in other areas of the city the situation is bad. For 23 Chaldean Churches we have only 12 priests but the faithfuls, even if they are only few, try to attend the celebrations, searching from the priests and the prayers the comfort that it is so difficult to find in Baghdad.”
A lot of Christians fled to the north of the country, is it really safe?
“There are many problems in the north not controlled by the Kurdish Government. Mgr. Rahho, the Chaldean Bishop of Mosul, told today that half of the Christian population of the city already fled. Also little villages are not safe. According to the priests from Qaraqosh almost every day some people is kidnapped. Qaraqosh is a little village and who lives there and wants to study or work must go to Mosul, a very, very dangerous journey.”
What about Ankawa where Babel College has been moved?
“We are ok here, even if the thought of what our community is suffering prevent us from living serenely our life. But we must continue and Babel College represents the future for Iraqis of Christian faith. We already began the building of a new wing of the college. On the first floor that is already finished there wil be the library and some offices, on the second one, that will be finished in a couple of months, there will be four classrooms and a computer and internet center. We must not stop and surrender, even in these hard times. We must, we want, have trust. The Faculty Council has already chosen the sudy programmes for next academic year and in a few weeks the Students Guide will be published. Also the magazines I direct, , Nağm Al-Mashriq (Eastern Star) e Beit Nahrein (Mesopotamia) continue to be published and distributed in the churches and to the faithfuls.”
You talked about the library in the new Babel College wing, did you moved there all the books that were in Baghdad seat?
“No. Unfortunately those books are still in Dora and it is impossible to take them back by now. In April I went there to take some important documents and it was very difficult considering that it is controlled by American troops. For the library in Ankawa we are buying new books; just two days ago a priest came back from Beirut where he purchased some and another one sent us some from Rome. Also for the library, as for everything else, we need trust, patience and faith, even if - and it is something I was not used to tell before – Iraqi Christian community is living a dark period of its history, a period that I should define, as our Pariarch already did, of “persecution.”

28 giugno 2007

Gli attacchi ai luoghi di culto sono contrari alla volontà di Dio: Monsignor Shleimun Warduni

In una dichiarazione pubblicata dal sito del Patriarcato Caldeo di Babilonia, il vescovo ausiliario di Baghdad Monsignor Shleimun Warduni ha espresso rincrescimento per i recenti attacchi ai luogo di culto islamici a Baghdad e Bassora che “privano l’intera popolazione irachena della propria eredità storica e della testimonianza della civiltà e che sono contrari alla volontà di Dio.” Monsignor Warduni ha anche affrontato il problema dell’infanzia violata e delle violenze che hanno costretto alla fuga dalle proprie case 1350 famiglie cristiane.

Chiusura dell'anno accademico del Babel College ad Ankawa: intervista a Monsignor Jacques Isaac

Di Baghdadhope

E’ un segno di speranza che ci dà il coraggio di continuare.” Con queste parole Monsignor Jacques Isaac, Rettore del Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana in Iraq, ha commentato la cerimonia di laurea svoltasi oggi presso il Centro Culturale Caldeo di Ankawa. Al momento di festa hanno partecipato, oltre ai parenti ed amici dei 12 nuovi dottori ed a Monsignor Isaac che l’ha diretta, Monsignor Faraji P. Rahho, vescovo caldeo di Mosul, Monsignor Mikha P. Maqdassi, vescovo di Al Qosh, il generale Luigi Orsini, rappresentante ad Erbil del Ministero degli Affari Esteri italiano, ed un rappresentante di Sarkis Aghajan Mamendu, Ministro delle Finanze del Governo Regionale Curdo nel cui territorio si trova Ankawa. Il gruppo di neo laureati - 2 laici, 1 suora e 8 seminaristi caldei – è stato dedicato ai “Martiri della Chiesa” ha sottolineato Monsignor Isaac con chiaro riferimento non solo al barbaro assassinio di Padre Ragheed Aziz Kanni e di tre suddiaconi a Mosul lo scorso 3 giugno, ma anche a quelli di due docenti ed un seminarista direttamente legati al Babel College nel corso degli ultimi due anni. Nel discorso tenuto ai presenti Monsignor Isaac ha ricordato le difficoltà che la facoltà ha dovuto affrontare nell’ultimo anno, compreso il
forzato trasferimento della sua sede dal quartiere di Dora a Baghdad ad Ankawa per l’assoluta mancanza di sicurezza che di fatto ne bloccava le attività, ha lodato lo sforzo che tutte le sue componenti - corpo docente, amministrativo e studentesco – hanno compiuto per non perdere l’anno accademico e garantire la continuità degli studi, ed ha letto il messaggio di congratulazioni inviato dal Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Emmanuel III Delly. Orgoglioso e felice di aver terminato con successo un altro difficile anno accademico, e fiducioso nei “piani del Signore che magari non abbiamo capito ma ci sono, e nella Divina Provvidenza che ci ha permesso di trasferire la facoltà e continuare il nostro lavoro, e che magari un domani ci permetterà di tornare a Baghdad per far rinascere la vecchia sede senza però abbandonare quella nuova di Ankawa” Monsignor Isaac ha risposto ad alcune domande di Baghdadhope.

Alla metà di aprile l’edificio del Babel College a Dora è stato occupato dai soldati americani senza il permesso della Chiesa Caldea che ne è proprietaria. A che punto è la domanda di restituzione avanzata dalla chiesa?

"Il Babel College è tuttora in mano degli americani che lo hanno trasformato in una base militare, e le richieste di restituzione sono cadute nel vuoto. D’altra parte il timore è che se le truppe americane lasciano l’edificio – ed anche il vecchio seminario caldeo ad esso vicino – esso sarà occupato da elementi di Al Qaeda, gli stessi che hanno già preso possesso del convento delle suore caldee del Sacro Cuore, sempre a Dora."

La zona di Dora continua quindi ad essere estremanente pericolosa…

"Si. 1400 famiglie cristiane hanno lasciato Dora per trasferirsi chi all’estero, chi nel nord e chi in altre zone di Baghdad. Sono famiglie distrutte, fuggite dai tentativi di farle convertire, di pagare la tassa di protezione, fuggite senza niente, con un passato distrutto ed un futuro incerto. Proprio oggi un sacerdote di Baghdad ha telefonato alla ricerca di aiuto per alcune di esse. La Chiesa fa quello che può, ma non è mai abbastanza per ciò che stanno soffrendo. Le chiese a Dora sono chiuse, a Mar Yacoub, ad esempio, erano rimasti due fratelli di guardia che sono stati uccisi, ma anche in altre zone della città la situazione è grave, per un totale di 23 chiese caldee ci sono solo 12 sacerdoti eppure i fedeli, per quanto pochi, cercano ancora di frequentarle, di avere dai sacerdoti e dalla preghiera quel conforto che è così difficile da trovare a Baghdad."

Moltissimi cristiani sono fuggiti al nord, ma è davvero sicuro?

"Ci sono diversi problemi nel nord non controllato dal governo curdo. Monsignor Rahho, il vescovo di Mosul, oggi ha riferito che ormai metà della popolazione di fede cristiana della città è fuggita, ed anche i piccoli centri non sono sicuri, secondo i sacerdoti di Qaraqosh, ad esempio, quasi ogni giorno qualche persona del villaggio viene rapita. Qaraqosh è un piccolo centro e chi vuole studiare o lavorare deve per forza spostarsi verso Mosul, un viaggio molto, molto pericoloso."

Ad Ankawa, invece, dove il Babel College è stato trasferito?

"Qui si sta meglio, anche se il pensiero di ciò che la comunità sta soffrendo ci impedisce di vivere serenamente la nostra vita. In ogni caso dobbiamo andare avanti, ed il Babel College è uno dei progetti che rappresentano il futuro per gli iracheni di fede cristiana. E’ già iniziata la costruzione di un nuovo edificio che servirà ad ampliare quello esistente. Il primo piano, già terminato, ospiterà la biblioteca ed alcuni uffici mentre al secondo, che sarà finito in un paio di mesi, ci saranno quattro aule ed una sala computer per il collegamento internet. Non dobbiamo fermarci o arrenderci, malgrado le difficoltà. Dobbiamo, vogliamo, avere fiducia. Il consiglio di facoltà ha già stabilito i programmi per il prossimo anno accademico e tra poche settimane sarà stampata la guida per gli studenti. Anche le riviste che dirigo, Nağm Al-Mashriq (Stella d’Oriente) e Beit Nahrein (Mesopotamia) continuano ad essere stampate e distribuite nelle chiese ed ai fedeli."

Ha parlato della biblioteca nel nuovo edificio del Babel College, vi sono stati trasferiti i libri che prima erano a Baghdad?

"No, purtroppo quei libri sono ancora a Dora e per ora è impossibile recuperarli. Ad aprile sono stato nel vecchio edificio per prendere dei documenti importanti e anche solo per quelli è stato difficile, visto il controllo delle truppe americane. Per la biblioteca di Ankawa stiamo acquistando nuovi libri, e proprio due giorni fa è tornato da Beirut un sacerdote incaricato del loro acquisto mentre un altro ha provveduto ad inviarcene molti da Roma. Anche per la biblioteca ci vuole fiducia, pazienza e fede. Come per tutto anche se, ed è una cosa che prima non dicevo, non c’è dubbio che la comunità cristiana irachena stia vivendo un periodo davvero buio, un periodo che definirei, come ha già fatto il nostro Patriarca, di “persecuzione.”

I Vescovi statunitensi chiedono solidarietà con le minoranze religiose in Iraq

Fonte: ZENIT

In una dichiarazione intitolata “Appello alla Solidarietà con le Minoranze Religiose in Iraq”, il Presidente del Comitato per la Politica Internazionale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti (USCCB) ha dichiarato che “si deve fermare il mortale ciclo di violenza se si vogliono raggiungere pace e giustizia per tutti gli Iracheni”.“In modo speciale, siamo profondamente preoccupati per i cristiani e le altre minoranze religiose in Iraq, particolarmente vulnerabili”, ha affermato il Vescovo Thomas G. Wenski. “Chiediamo l’immediata sospensione della deliberata violenza contro i nostri fratelli e le nostre sorelle cristiani e le altre minoranze religiose in Iraq”.La situazione dei cristiani è particolarmente disperata, ha osservato il Vescovo Wenski. Si stima che la popolazione cristiana, intorno a 1,2 milioni di persone prima della guerra, sia scesa drammaticamente di alcune centinaia di migliaia di unità, perché i cristiani sono stati costretti a rifugiarsi in Paesi vicini o in altre zone dell’Iraq come sfollati interni. “Come espressione di solidarietà con i nostri fratelli Vescovi in Iraq, esortiamo le autorità statunitensi e irachene e i leader religiosi dell’Iraq a fare tutto il possibile per aiutare a porre fine alla violenza e alla presa di mira dei cristiani e delle altre minoranze religiose”, ha concluso il Vescovo Wenski.

Iraqi Christians Hit Hard, U.S. Bishops Say

Source: ZENIT

U.S. bishops are calling for an immediate halt to what they called deliberate violence against Christians and other religious minorities in Iraq. In a statement released Monday, Bishop Thomas Wenski, chairman of the U.S. bishops' Committee on International Policy, said: "The deadly cycle of violence must stop if peace with justice for all Iraqis is to be achieved."The bishops' statement cited a recent attack on the shrine in Samarra and the slayings earlier this month of a Catholic priest and three subdeacons after Sunday Mass."These incidences of violence make the possibilities of a secure, stable and democratic Iraq ever more difficult to achieve," the statement said. It continued: "In a special way, we are deeply concerned for Christians and other religious minorities in Iraq who are especially vulnerable. We call for an immediate halt to the deliberate violence against our Christian sisters and brothers and other religious minorities in Iraq. The situation of Christians is particularly dire. The estimated prewar Christian population of 1.2 million has dropped dramatically to an estimated several hundred thousand." The bishops' statement listed crimes against Christians in Iraq, such as demanding removal of crosses from churches, requiring non-Muslims to pay special religious taxes, mandating that Christian women wear veils, and calling for Christians to abandon their faith and become Muslims. "Many Christians no longer feel safe gathering in churches and Christian institutions, resulting in the closing of parishes, seminaries and convents," the statement said. It continued: "These targeted actions against Christians and other religious minorities are not simply signs of general societal violence, but are also attacks on Christianity and religious freedom by the most extreme elements within Iraqi society."As an expression of solidarity with our brother bishops in Iraq, we urge U.S. and Iraqi authorities and religious leaders within Iraq to do everything possible to help end the violence and the targeting of Christians and other religious minorities."

Francia: il pensiero all'Iraq

Fonte: Sir Europa del 28 giugno 2007

Di Daniele Rocchi

"Le notizie che ci arrivano dall'Iraq rivelano l'aumento della violenza armata con il suo corredo di omicidi, sofferenze, drammi umani"
. Si apre così il messaggio che il card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e presidente della Conferenza episcopale di Francia ha inviato a Emmanuel III Delly, patriarca di Babilonia dei Caldei, per esprimere la "profonda solidarietà dei vescovi francesi" al patriarca e alla comunità cristiana in Iraq. "Tutta la popolazione è vittima di questa drammatica situazione - prosegue il card. Ricard -, ma la popolazione dei cristiani lo è in modo particolare". Rammentando che "in due anni la metà" di essi "ha dovuto lasciare il Paese per cercare rifugio in quelli vicini", il presidente dei vescovi francesi afferma che "in Iraq i cristiani sono nel proprio Paese e hanno il diritto di rimanervi", e definisce "certamente inaccettabile" la prospettiva di costituirvi "una sorta di ghetto". Oltre ad esprimere la solidarietà "dei cattolici di Francia verso i fratelli iracheni", il card. Ricard esorta "la comunità delle nazioni e i governi responsabili ad agire con determinazione per fermare la violenza e assicurare la pace civile in Iraq", e chiede ai "responsabili politici e religiosi di intraprendere azioni coraggiose".

Terrorismo e guerre. Generazione distrutta: i bambini dell' Iraq

Fonte: Sir n. 48 del 28 giugno 2007

di Daniele Rocchi

Le immagini degli oltre 20 bambini rinchiusi in un istituto di Baghdad, denutriti e malati, ritrovati dalle forze irachene e americane durante dei controlli sul territorio hanno riproposto la drammatica condizione dei minori, vittime innocenti di un conflitto che sta sconvolgendo l'Iraq. Una condizione che i bambini iracheni condividono con altri loro coetanei che vivono in zone di guerra come il Libano, l'Afghanistan, la Palestina. Impossibilitati ad andare a scuola, costretti a lavorare, sfruttati e abusati in ogni modo da adulti senza scrupoli, usati come kamikaze o pusher di droga, cadono sempre più nella trappola degli stupefacenti, della prostituzione, nei pericoli della strada. Senza dimenticare che spesso la violenza più infame si cela proprio dentro le mura domestiche dove si consuma la tragedia di famiglie spezzate e decimate dalla guerra, prive di ogni forma di sussistenza. Con l'aiuto dell'Irin, l'ufficio delle Nazioni Unite che coordina gli aiuti umanitari nella zone di crisi, abbiamo cercato di fare il punto della situazione in Iraq, Afghanistan, Libano e Palestina.

IRAQ:
Secondo l'Unicef l'11% circa dei ragazzi iracheni sotto i 14 anni lavora e un terzo delle famiglie nel Paese vive in povertà e questo secondo Claire Hajaj, del centro Unicef di supporto all'Iraq, con sede ad Amman, "costringe molti bambini a lavorare in strada". Come Iyad Abdel-Salim di 12 anni che ha lasciato la scuola 6 mesi fa, quando suo padre è stato ucciso. È l'unico ragazzo in famiglia, ha 3 sorelle più piccole cui badare. "Lavoro 12 ore in strada vendendo matite e cioccolata, mangio una volta al giorno per risparmiare. La vita qui è un inferno, è pericoloso lavorare in strada. Degli adulti hanno cercato di abusare di me, ma Dio mi ha protetto". Due operatori dell'Ong, Kca (Keeping children alive) che si occupa di recuperare i bambini sono stati uccisi per la loro attività. "Siamo indifesi - dice il presidente, Ali Mussawi- abbiamo dovuto sospendere i programmi di recupero per mancanza di sicurezza". Ma i pericoli non si annidano solo nelle strade ma anche nella case. Ala'a Al-Sahaddi, vicepresidente dell'Ipa, l'associazione degli psicologi iracheni, afferma che dal 2003 sono aumentati i casi di violenza domestica ai danni dei bambini. "La crisi economica, le difficoltà sociali - dice - stanno rendendo gli iracheni violenti e questo si riflette sui bambini spesso vittime di punizioni atroci, come restare senza cibo e acqua, bastonati. Gli adulti si rendono di ciò che hanno fatto solo quando i loro bambini vengono portati in ospedale per cure urgenti". Secondo uno studio dell'Ipa condotto a Baghdad, Anbar, Diyala e Babil su 2.500 famiglie intervistate l'87% ha notato traumi psicologici in almeno un membro della famiglia. Ad aggravare la situazione il fatto che in Iraq non c'è nessuna legge che punisce il reato di violenza domestica. Sono sempre più frequenti le notizie che vogliono i bambini, specialmente quelli con disabilità mentale, utilizzati come kamikaze da parte dei ribelli opposti alle truppe di coalizione. Nel marzo scorso 2 bambini furono usati da militanti di Al Qaeda in un attacco suicida in un mercato. Secondo una Ong locale, citata da Irin, "sono in aumento i casi di rapimento di bambini disabili da utilizzare in azioni di guerra".

26 giugno 2007

In Iraq i cristiani vogliono ricostruire il Paese a fianco dei “fratelli musulmani”


di Saad Hanna Sirop*

P. Saad Hanna Sirop, uno dei primi sacerdoti caldei rapiti a Baghdad ed ex responsabile del Babel College, torna a ribadire che la persecuzione in atto in Iraq non è un’esclusiva dei cristiani e colpisce anche sciiti e sunniti. L’intervento del sacerdote segue l’unanime bocciatura della Chiesa caldea al progetto della Piana di Niniveh. La necessità di evitare discorsi settari ed esclusivisti, e piuttosto studiare un’“azione universale per il bene del Paese, che è patrimonio di tutta l’umanità”.

I cristiani in Iraq sono prima di tutto "iracheni" e soffrono gli stessi mali dei concittadini musulmani: occorre non alimentare l’errata associazione cristiani-truppe internazionali; lottare “in modo concreto e non a parole” per un Iraq unito così che tutte le sue componenti possano convivere nel rispetto e nell’armonia: sono i punti centrali della riflessione di p. Saad Hanna Sirop. Il sacerdote interviene ancora una volta sul problema della persecuzione cristiana in Iraq, che i fautori della “Piana di Niniveh” stanno cercando di risolvere con una “pericolosa” auto-ghettizzazione nel nord del Paese. La proposta dell’enclave assira è stata bocciata all’unanimità dalla Chiesa caldea in patria. In una recente dichiarazione affidata alprocuratore caldeo presso la Santa Sede, p. Philip Najim, il Patriarca caldeo di Baghdad, Mar Emmanuel III Delly, ha detto: “Una divisione etnico-confessionale dell'Iraq non ha senso. I cristiani sono dappertutto, come lo sono i sunniti e gli sciiti. Perché dividere il nostro Paese?”. Anche mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare della capitale, ha preso le distanze dal progetto della Piana: "Il cristianesimo è come il sale, come la luce, sta dappertutto, non può chiudersi. È necessario rivendicare la libertà religiosa e il rispetto dei cristiani, ed è illogico rinchiuderli in una gabbia. Così facendo diventeremmo ancora di più una preda. Abbiamo tanti monumenti, tanti luoghi di culto storici, come possiamo abbandonarli per andare in un posto nuovo?”.

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo di Padre Saad Sirop
"Vorrei anzitutto dire che i cristiani dell’Iraq hanno sempre convissuto con i fratelli musulmani e ne hanno guadagnato il rispetto; la comunità islamica, nel corso del tempo, ha riconosciuto nel cristiano una persona onesta, pacifica e fedele ai suoi principi religiosi. Ma dopo l’intervento Usa del 2003 l’immagine del cristiano è cambiata molto a causa del discorso politico che l’ha accompagnata e degli annunci di tipo religioso, che in alcune occasioni l’hanno addirittura descritta come una Crociata contro i musulmani. Tutto questo ha influiti sulla situazione della convivenza tra musulmani e cristiani e ha causato una grande sfiducia nei confronti l’uno dell’altro.
Ritengo impreciso parlare di persecuzione sistematica da parte dei musulmani, perché loro stessi stanno soffrendo sotto minacce, uccisioni migrazione forzata. È necessario ribadirlo: forse i cristiani in modo maggiore, ma in Iraq tutti sono perseguitati! I cristiani non vogliono perdere la fratellanza e il rispetto costruito nella loro storia con i fratelli musulmani; con loro hanno sempre cercato di instaurare un dialogo vero autentico.
La situazione reale in Iraq è disperata per tutta la popolazione:
centinaia di famiglie cristiane e musulmane lasciano le loro case per sfuggire al terrorismo e alle milizie di questo o quel partito; decine di persone ogni giorno perdono la vita a causa della discriminazione religiosa e dell’odio etnico che si è creato dopo la guerra;
chiese e moschee sono colpite e distrutte ogni settimana e nessun politico iracheno alza la voce o interviene in modo concreto;
il governo di Baghdad è debole e diviso sui linee etnico-confessionali, perciò non può fare nulla per migliorare la situazione, che infatti peggiora progressivamente: c’è più violenza, più corruzione, più divisione, più morti e più distruzione;
la riconciliazione avviata dal governo ha causato separazione profonda e destabilizzazione di tutte le zone, gli attentati sono aumentati nel nord, come nel sud:
i discorsi politici sono di parte e le autorità fanno gli interessi della propria fazione senza uno sguardo globale al bene di tutti, a scapito del rispetto dei diritti umani.
L’Iraq è un bene per tutta l’umanità: è il Paese delle culture e delle civiltà antiche (Sumeri, Babilonesi, Assiri...). In Iraq è nata la scrittura, l’amore per la scienza, la religione spirituale, la legge, alcuni Libri della Bibbia. L’Iraq non è solo degli iracheni, ma è di tutti. Per questo sostengo che tutti siamo responsabile del restauro della vera immagine dell’Iraq. Non bastano le parole ed i discorsi di condanna, ci vuole un’azione internazionale."

* P. Saad Hanna Sirop, 35 anni, era stato sequestrato il 15 agosto 2006. Per 27 giorni ha subito prigionia, minacce e torture. Benedetto XVI aveva fatto un appello per la sua liberazione. Il giovane sacerdote, ordinato a Roma nel 2001, era responsabile della sezione teologica del Babel College, l'università di studi religiosi cristiani a Baghdad. A causa del suo rapimento e dell’accrescersi dell’insicurezza, il Babel College, è stato poi trasferito a Erbil, nel Kurdistan. P. Saad Sirop si trova ora a Roma per studi.

In Iraq Christians want to rebuild the nation together with their “Muslim brothers”

Source: Asia News

by Saad Hanna Sirop*

P. Saad Hanna Sirop, one of the first Chaldean priests to have been abducted in Baghdad and ex director of the Babel College, reiterates that the persecution underway in Iraq is not exclusive to Christians, but also targets Shiites and Sunnis. The priest’s observations come in the wake of the Chaldean Churches unanimous rejection of the Nineveh Plains project. There is a need to avoid sectarian and divisive declarations, and to promote “universal action for the common good of the country, which is the patrimony of all humanity”.

Iraq’s Christians are above all “Iraqis” suffering from the same evils as their fellow Muslim citizens: we must counter the predominant and incorrect association of Christian- International troops; fight “in a concrete way and not just in words” for a united Iraq so that all of its components may live in harmony and respect: these are the central themes of a reflection given by Fr. Saad Hanna Sirop. The priest intervenes once more on the question of the persecution of Christians in Iraq, an argument which the authors of the “Nineveh Plain project” are trying to resolve by means of a dangerous self ghettoization in the North of country. The proposed Assyrian enclave was unanimously rejected by the national Chaldean Church. In a recent declaration entrusted to the procurator general for the Chaldean Catholic Church to the Holy See msgr. Philip Najim, the Chaldean Patriarch of Baghdad, Mar Emmanuel III Delly, said: “A division of Iraq along confessional or ethnic lines makes no sense. Christians are everywhere, just as the Sunni and Shiite. Why divide our country?” Msgr Shlemon Warduni, auxilliary bishop of the capital agrees, distancing himself from the project: “Christianity is like salt, like light, it is everywhere, it cannot be closet in on itself. We must win back respect for religious freedom for Christians, so it is illogical to close ourselves into a cage. By doing so we will only become an easy target. We have many monuments, historic places of worship, how can we abandon then to move to a new place?”

Click on "leggi tutto" for the article by Fr. Saad Sirop

"Firstly I would like to point out that Christians in Iraq have long lived with their Muslim brothers and they have earned their respect; the Islamic community, in the course of time, has recognised that Christians are honest people, that they are faithful and practise their beliefs. However following the US intervention in 2003 the image of the Christian changed because of the religious nature of the political discourse that accompanied it, which even at times described the military action as a crusade against Muslims. All of this gravely influenced the coexistence between Muslims and Christians, provoking distrust between the two communities.
I believe that it is incorrect to speak of a systematic persecution carried out by Muslims, because they too are being threatened, killed and forced to migrate. It is necessary to repeat this: perhaps the Christians throughout Iraq are subjected to a greater degree of persecution! Christians do not want to loose the brotherhood and respect that was painstakingly built over the course of history with their Muslim brothers; they have always sought to build authentic dialogue with them.
The current situation in Iraq is desperate for the entire population:
hundreds of Christian and Muslim families leave their homes to escape terrorism and partisan militias; tens of people loose their lives each day because of religious hatred ethnic discrimination that was created in the wake of the war;
Mosques and Churches are targeted and destroyed each week and not one Iraqi politician raises his voice in objection or concretely intervenes;
The Baghdad government is weak and divided along ethnic-confessional lines, so it is incapable of resolving the situation, which instead is rapidly degenerating; there is more violence, more corruption, more division, more death and more destruction;
The reconciliation launched by the government has provoked deep divisions and has destabilised vast areas of the nation, attacks have increased in the North and South alike:
Political initiatives are partisan and the authorities look after party interests without looking at the global common good, to the detriment of human rights.
Iraq is part of human heritage: it is the cradle of ancient culture and civilizations (Sumerians, Babylonians, Assyrians ...). Iraq gave birth to writing, to love of the sciences, religion, spirituality, law and some of the Books of the Bible. Iraq does not only belong to Iraqis, but to everyone. That is why I maintain that we are all responsible for the restoration of the true image of Iraq. Words and lengthy speeches of condemnation are not enough, international action is needed."


* P. Saad Hanna Sirop, 35, was kidnapped August 15th 2006. For 27 days he was held hostage, tortured and beaten. Benedict XVI appealed for his release. The young priest, ordained in Rome in 2001, was head of the Theological faculty of Babel College, the Christian University of Religious studies in Baghdad. Because of his abduction and the rising wave of insecurity in Baghdad, Babel College was transferred to Erbil in Kurdistan. Fr. Saad Sirop is currently furthering his studies in Rome.

25 giugno 2007

Alla luce del sole. Il "no" dei vescovi caldei al "Piano assiro di Niniveh"

Fonte: SIR

di Daniele Rocchi

Le continue e violente persecuzioni contro i cristiani iracheni ad opera di fondamentalisti islamici, sunniti e sciiti - non ultimo il rapimento il 20 giugno di alcuni studenti universitari e docenti cristiani a Qaraqosh (nel nord) - stanno facendo nascere, in molti analisti, come anche all'interno della stessa minoranza cristiana in particolare assira (un termine che mira ad includere anche caldei e siriaci), l'idea che sia sempre più necessario istituire una "regione autonoma cristiana irachena". Questa dovrebbe nascere nella piana di Niniveh, * ai confini con il semiautonomo Kurdistan, e qui dovrebbero ritrovarsi i cristiani che fuggono da Baghdad, Bassora, Kirkuk, Mosul. A Niniveh, storicamente la capitale dell'antica Assiria, dovrebbe dunque riprendere quota il sogno nazionale assiro, quello cioè di una zona indipendente, una sorta di provincia autonoma cristiana. Un sogno fino ad oggi mai realizzato e peraltro avversato, con motivi consonanti, da una larga parte dell'episcopato caldeo.
UNA ZONA SICURA?
Tra i principali sostenitori del "piano assiro" ci sono nazionalisti cristiani iracheni sostenuti dalla diaspora cristiana negli Stati Uniti d'America, gli evangelici e anche il ministro delle Finanze del Kurdistan, Sarkis Aghajan, che nel corso dell'ultimo anno ha finanziato la ricostruzione di numerosi di villaggi e chiese al nord. Appoggio alla "Piana di Niniveh" anche dai vescovi cattolici degli Stati Uniti d'America che, nell'ottobre 2006, avevano scritto al segretario di Stato Condoleezza Rice per chiedere a Washington di considerare la possibilità di creare una nuova "regione amministrativa" intorno a Ninive, direttamente collegata al governo centrale di Baghdad che "potrebbe offrire maggiore sicurezza e maggiori opportunità di controllare le loro attività".
CONTRARI A OGNI DIVISIONE.
"Una divisione etnico-confessionale dell'Iraq non ha senso. I cristiani sono dappertutto in Iraq come lo sono i sunniti e gli sciiti. Perché dividere il nostro Paese?". A bocciare il "Piano di Niniveh" è il patriarca caldeo di Baghdad, MAR EMMANUEL III DELLY. "Siamo contrari ad ogni divisione confessionale dell'Iraq", ha affermato il patriarca che ha affidato la sua dichiarazione al procuratore caldeo presso la Santa Sede, padre PHILIP NAJIM. "Non possiamo negare delle difficoltà: ci sono cristiani in fuga nel Nord. Bisogna aiutarli e dare loro i mezzi necessari per vivere, in attesa che, un giorno, possano rientrare nelle loro case, riprendersi le loro terre e proprietà che hanno dovuto lasciare. È un diritto fondamentale che ogni Stato deve assicurare ai propri cittadini". Mar Delly ha poi aggiunto: "Se ci sono dei villaggi completamente cristiani desideriamo che siano governati da un'amministrazione cristiana. L'Iraq - ha ribadito - è sempre stato aperto ed è quindi inutile creare divisione. Avevamo cristiani ovunque in Iraq e abbiamo relazioni ed amicizie durature con tutti cui non vogliamo rinunciare. Gli iracheni sono sempre stati un popolo unito". Nessun dialogo, invece, con i terroristi perché "usano la religione per i loro scopi arrecando solo danno all'Islam che confessa l'immagine di Dio onnipotente. Chiediamo ai capi musulmani di protestare contro questo fondamentalismo e terrorismo che danneggiano l'immagine dell'Islam".
NON È UNA SOLUZIONE IDONEA.
"Non è una soluzione idonea". Anche mons. SHLEMON WARDUNI, vescovo ausiliare di Baghdad, boccia il progetto assiro della "Piana di Niniveh". "Il cristianesimo è come il sale, come la luce, sta dappertutto, non può chiudersi. È necessario rivendicare la libertà religiosa e il rispetto dei cristiani, ed è illogico rinchiuderli in una gabbia. Così facendo diventeremmo ancora di più una preda. Abbiamo tanti monumenti, tanti luoghi di culto storici, come possiamo abbandonarli per andare in un posto nuovo?", è la domanda di mons. Warduni. "Bisogna riflettere prima di fare dei passi. I cristiani sono una presenza significativa in Iraq da duemila anni. Siamo iracheni a pieno titolo e siamo sempre rimasti fedeli al nostro Paese". Da parte di mons. LOUIS SAKO, vescovo di Kirkuk, arriva l'invito a essere "obiettivi, realistici e prudenti". "Il progetto di Niniveh è strumentalizzato e rischia di essere indirizzato oggi ai cristiani dell'Iraq, domani a quelli d'Egitto o del Libano. Coloro che premono per la realizzazione di questa utopia sono in maggioranza fuori dall'Iraq e non conoscono la situazione interna". Il riferimento è anche all'arrivo di tanti rifugiati al Nord, "dove non vi è già più posto. Un villaggio che aveva 2mila abitanti ora ne conta 3mila. Non c'è lavoro, scuole, università, mancano i servizi. Dove e come si sistemerebbero le 30mila persone che dovrebbero arrivare da Bagdad, Bassora, Kirkuk e Mosul?". Per mons. Sako, "il ghetto per i cristiani" che si verrebbe a creare "comporterebbe scontri senza fine. Per questo non solo preti e vescovi ma anche leader di partiti in Iraq sono in maggioranza contrari a questo progetto. Creare cantoni chiusi per i cristiani o per le altre comunità sarebbe una catastrofe".

* Nella piana di Niniveh, ai confini con la provincia semiautonoma del Kurdistan e circondata per gran parte dagli arabi, ci sono circa venti villaggi cristiani, dove si parla il "sureth" un dialetto siriaco. La zona è sotto la giurisdizione di Mosul - da cui dista circa 35 km. - e che è il centro culturale, commerciale ed ecclesiastico. La Piana è circondata da villaggi arabi, shebac, yezidi e curdi. Vi abitano 120 mila cristiani.


24 giugno 2007

Il Cardinal Kasper auspica la ripresa del dialogo teologico con la Chiesa assira dell’Est

Fonte: ZENIT
Questo giovedì Papa Benedetto XVI ha ricevuto il Catholicos Patriarca Mar Dinkha IV, leader della Chiesa assira dell’Est. Il Patriarca ha incontrato anche il Cardinale Walter Kasper presso gli uffici del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. In questa occasione, il porporato tedesco ha risposto ad alcune domande.

Eminenza, si sente raramente parlare della Chiesa assira dell’Est. Può spiegare qualcosa sulla situazione passata e presente di questa Chiesa particolare?
"La Chiesa assira dell’Est è una delle più piccole Chiese orientali, almeno per numero di fedeli. Le sue radici storiche affondano nell’attività missionaria della Chiesa primitiva, quando si è mossa verso Est, in direzione della Mesopotamia e di Babilonia, fuori dall’Impero Romano. Attualmente, da un punto di vista geografico si può dire che l’Iraq è la patria d’origine della maggior parte dei fedeli assiri. Più di recente, a causa di successivi periodi di persecuzione e avversità, la gran parte dei fedeli assiri è emigrata in Occidente. Al giorno d’oggi, la Chiesa assira ha diocesi in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Il Patriarca stesso ha la sua residenza a Chicago. Come altre Chiese in e del Medio Oriente, la Chiesa assira dell’Est affronta molte sfide. C’è la drammatica situazione in Iraq, dove i cristiani che appartengono a varie Chiese vedono la propria esistenza seriamente minacciata. I fedeli assiri sono anche dispersi in varie parti del mondo, e questo non permette che i loro sacerdoti assicurino un servizio pastorale ovunque. Papa Benedetto XVI ha menzionato alcune di queste sfide nel suo discorso al Patriarca Mar Dinkha. Ha anche insistito sulla necessità e sulla possibilità di un’ulteriore cooperazione tra fedeli cattolici e assiri, dove vivono assieme."

Nel suo discorso al Patriarca Mar Dinkha IV, il Papa si è anche riferito ai risultati positivi del dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Est. Come si sono sviluppati questi rapporti tra le due Chiese?
"Nel 1994 un’importante Dichiarazione Cristologica è stata firmata da Papa Giovanni Paolo II e dal Patriarca Mar Dinkha IV. Questa Dichiarazione ha chiarito alcune controversie dottrinali tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Est, controversie che risalgono al Concilio di Efeso (431). In quel tempo, la Chiesa dell’Est non poteva accettare il concetto cattolico di incarnazione e quindi rifiutava anche il titolo della Vergine Maria di “Theotokos”, “Madre di Dio”.In quel periodo di sviluppo dottrinale, la terminologia siriaca e greca non articolava gli stessi concetti con gli stessi termini. Oggi, ad ogni modo, i cattolici e gli assiri riconoscono reciprocamente di condividere la stessa fede in Gesù Cristo “vero Dio e vero uomo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità”.La firma di questa Dichiarazione Cristologica ha portato alla creazione di una Commissione Congiunta per il Dialogo Teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Est. Questa Commissione si è incontrata ogni anno dal 1994 al 2004 e ha svolto un lavoro lodevole. In questo periodo la Commissione ha trattato principalmente questioni relative alla celebrazione dei sacramenti. Tra quelle più importanti del dialogo, desidero menzionare il riconoscimento da parte della Chiesa cattolica della validità dell’Anafora di Addai e Mari e la preparazione di un documento sulla vita sacramentale, documento pronto per l’approvazione ufficiale.A mio avviso, comunque, questi importanti risultati non hanno ancora ricevuto l’attenzione e la risposta che meritano. Non è una questione di firmare documenti, ma che ciò che viene approvato sia genuinamente accettato nella comunità."

Cos’è accaduto al dialogo dopo il 2004? A quali paure e ostacoli si riferisce Benedetto XVI nel suo discorso al Patriarca?
"Nel 2005 la Chiesa assira ha deciso inaspettatamente di sospendere il dialogo e non ha firmato il documento che era stato preparato sulla vita sacramentale. Durante un incontro nel novembre 2005, inoltre, il Sinodo della Chiesa assira ha deciso di sospendere uno dei suoi membri, un Vescovo, che era stato tra gli architetti del dialogo con la Chiesa cattolica e aveva dato un significativo contributo al suo progresso.La Chiesa cattolica non può intervenire negli affari interni di un’altra Chiesa, ma si rattrista profondamente per questo sfortunato sviluppo. Nessuno viene aiutato da ulteriori divisioni in una comunità che già affronta tante sfide, come ho detto prima.Queste ulteriori divisioni causano anche difficoltà al nostro dialogo ecumenico, visto che sono usate impropriamente da alcuni media assiri per gettare dubbi sulla Chiesa cattolica e le sue vere intenzioni nei confronti della Chiesa assira; tali polemiche dovrebbero essere eliminate.Speriamo e preghiamo che sia possibile superare questi problemi. La serenità dovrebbe ritornare e alla fine permettere alla Commissione Congiunta per il Dialogo Teologico di riprendere le sue attività.E’ questo il senso dell’appello di Papa Benedetto XVI al Patriarca Mar Dinkha IV e a tutti coloro che sono interessati, perché possiamo trovare insieme la soluzione migliore."

Eminenza, cosa si aspetta dalla visita del Patriarca Mar Dinkha IV per il futuro delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira?
"Subito dopo l’elezione di Papa Benedetto XVI, il Catholicos Mar Dinkha IV ha espresso il desiderio di venire e salutare il nuovo Papa. Questo può essere un segno di speranza per il futuro delle nostre relazioni. Oltre a questo, ho tre aspettative. In primo luogo, che da parte dei fedeli cattolici e assiri si faccia più attenzione alle difficoltà incontrate dai loro fratelli e dalle loro sorelle in Medio Oriente e in particolare in Iraq; queste difficoltà toccano direttamente la vita dei cristiani e delle loro famiglie, e chiedono l’attenzione e la buona volontà di chiunque.In secondo luogo, che i risultati del nostro dialogo possano essere spiegati e ricevuti meglio, per permettere ai fedeli cattolici e assiri di comprendersi e aiutarsi meglio.Infine, che tra fedeli cattolici e assiri possano essere sviluppate forme più efficaci di testimonianza comune e attività pastorali congiunte, soprattutto in Occidente, dove i cristiani di ogni denominazione affrontano le stesse sfide pastorali.Cosa possiamo fare insieme così che le giovani generazioni siano felici di appartenere alla Chiesa e di dare testimonianza della loro fede in Cristo? Sono queste le domande che vorrei vedere al centro dei nostri incontri futuri, anche con la Chiesa assira dell’Est."

Eminenza, lei ha incontrato il Patriarca e i Vescovi che l’hanno accompagnato. Ci sono stati altri impegni o progetti?
"Durante il nostro incontro, ho insistito sulla necessità di promuovere un rapporto serio e onesto. Ho anche espresso la speranza che attraverso decisioni giuste e prudenti sia possibile evitare ulteriori divisioni nella Chiesa assira.E’ emerso chiaramente che un contatto più frequente tra il Patriarca e il Sinodo della Chiesa assira e il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani sarebbe utile.Abbiamo quindi deciso di preparare una terza fase del nostro dialogo teologico congiunto. In questo modo, spero, potrà essere dato un nuovo impulso ai rapporti tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira dell’Est."

Cardinal Kasper On the Assyrian Church Interview With President of Council for Christian Unity

Source: ZENIT

There are signs of new hope that relations with the Assyrian Church of the East are advancing, says Cardinal Walter Kasper, president of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity. Cardinal Kasper met Thursday with Catholicos Patriarch Mar Dinkha IV, head of the Assyrian Church of the East. The patriarch had met earlier with Benedict XVI.On that occasion, the cardinal granted this interview with ZENIT, in which he summarizes the situation of relations between the Vatican and the Assyrian Church of the East.
We seldom hear of the Assyrian Church of the East. Could you say some words on the past and present situation of this particular Church?
"The Assyrian Church of the East is one of the smaller Wastern Churches, at least in the number of the faithful. Its historical roots are in the missionary activity of the early Church, when it moved eastward, in the direction of Mesopotamia and former Babylonia, outside the Roman Empire.In present day geography, we can say that Iraq is the original homeland of most Assyrian faithful. More recently, due to successive periods of persecution and hardship, a large majority of Assyrian faithful migrated to the West. Nowadays the Assyrian Church has dioceses in Europe, the United States, Canada and Australia. The patriarch himself has his residence in Chicago.Like other Churches in and from the Middle East, the Assyrian Church of the East faces many challenges. There is the dramatic situation in Iraq, where Christians belonging to various Churches have their very existence seriously threatened. Assyrian faithful are also scattered in different parts of the world, and this does not allow for pastoral service to be assured everywhere by their own priests.Benedict XVI has mentioned some of these challenges in his address to Patriarch Mar Dinkha IV. He also insisted on the need for and the possibility of further cooperation between Catholic and Assyrian faithful, wherever they live together."

In his address to Patriarch Mar Dinkha IV, Benedict XVI also referred to the positive results of the dialogue between the Catholic Church and the Assyrian Church of the East. How did the relations between the Assyrian Church of the East and the Catholic Church develop?
"In 1994, an important Common Christological Declaration was signed by Pope John Paul II and Patriarch Mar Dinkha IV. This declaration clarified some doctrinal controversies between the Catholic Church and the Assyrian Church of the East, controversies which go back to the Council of Ephesus (431). At that time, the Church of the East could not accept the Catholic concept of incarnation, and therefore also rejected the title which calls the Virgin Mary "Theotokos," "Mother of God."Indeed, in this early period of doctrinal development, Syriac and Greek terminology did not articulate the same concepts with the same terminology. Nowadays, however, Catholics and Assyrians mutually recognise that they share the same faith in Jesus Christ "true God and true man, perfect in his divinity and perfect in his humanity."The signing of this Christological Declaration resulted in the creation of a Joint Commission for Theological Dialogue between the Catholic Church and the Assyrian Church of the East. This commission has met every year between 1994 and 2004 and has done remarkable work.In this period the commission mainly dealt with issues related to the celebration of the sacraments. Among the most prominent results of this dialogue, I wish to mention the recognition by the Catholic Church of the validity of the Anaphora of Addai and Mari, and the preparation of a comprehensive document on sacramental life, a document which is ready for official endorsement.In my opinion, however, these important results have not yet received the attention and response they deserve. It is not a matter of signing documents; it is a question that what is endorsed is genuinely accepted in the community."

What happened to the dialogue after 2004? What fears and obstacles does Benedict XVI refer to in his address to the patriarch?
"In 2005, the Assyrian Church unexpectedly decided to suspend the dialogue and not to sign the document which had been prepared on sacramental life. During a meeting in November 2005, moreover, the Synod of the Assyrian Church decided to suspend one of its members, a bishop, who had been among the architects of the dialogue with the Catholic Church and had contributed significantly to its successful progress.The Catholic Church cannot intervene in the internal affairs of another Church, but deeply regrets this unfortunate development. Nobody is helped by further divisions in a community which already faces so many challenges, as I mentioned before.These further divisions also cause difficulties for our ecumenical dialogue, since they are improperly used by some Assyrian media to cast doubt on the Catholic Church and its true intentions toward the Assyrian Church; such polemics should be brought to an end. We hope and pray that it will be possible to overcome these problems. Serenity should return and eventually allow the Joint Commission for Theological Dialogue to resume its activities.This is the sense of the appeal Benedict XVI addressed to Patriarch Mar Dinkha IV and to all concerned, so that together we may find the best solution.

What do you expect from the visit of Patriarch Mar Dinkha IV for the future of relations between the Catholic Church and the Assyrian Church?
"Immediately after the election of Benedict XVI, Catholicos Mar Dinkha IV expressed the wish to come and greet the new Pope. This may be a hopeful sign for the future of our relations.Beyond this, I have three expectations. First, that more attention may be given by Catholic and Assyrian faithful worldwide to the difficulties met by their brothers and sisters in the Middle East and particularly in Iraq; these difficulties directly touch the lives of individual Christians and their families, and call for the attention and good will of everyone.Second, that the results of our dialogue may be further explained and received, so as to allow Catholic and Assyrian faithful to better understand and help one another. Finally, that more effective forms of common witness and joint pastoral activities may be developed between Catholic and Assyrian faithful, particularly in the West, where Christians of all denominations are facing the same pastoral challenges.What can we do together so that the young generations will be glad to belong to the Church and to give witness to their faith in Christ? These are the kind of questions I would like to see at the center of our future meetings, also with the Assyrian Church of the East.

You also had a working meeting with the patriarch and the bishops who accompanied him. Have any further commitments or projects been made?
"During our meeting, I insisted on the necessity of nurturing a serious and honest relationship. I also expressed the hope that through just and prudent decisions it would be possible to avert further division in the Assyrian Church. It became clear that more frequent contact between the patriarch and Synod of the Assyrian Church and the Pontifical Council for Promoting Christian Unity would be helpful.We therefore decided to prepare a third phase of our joint theological dialogue. In this way, I hope, a fresh impetus could be given to relations between the Catholic Church and the Assyrian Church of the East."

Il portavoce vaticano denuncia il martirio dei cristiani in Iraq:"Sono “vulnerabili per eccellenza”

Fonte: ZENIT

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Il portavoce della Santa Sede ha denunciato il martirio dei cristiani in Iraq e assicurato la vicinanza di Benedetto XVI. Padre Federico Lombardi, S.I. lo spiega nell’ultimo editoriale di “Octava Dies” – settimanale prodotto dal “Centro Televisivo Vaticano” (del quale è Direttore). “La Chiesa intera accompagna con affetto e ammirazione tutti i suoi figli e le sue figlie e li sostiene in quest’ora di autentico martirio per il nome di Cristo”, ha detto il Papa il 21 giugno. "Con queste parole intense e fortissime Benedetto XVI ha risposto al grido di aiuto che continua a salire dalle comunità cristiane del Medio Oriente devastato dalla guerra, in particolare dell’Iraq, dove gli assassini e i sequestri di sacerdoti e loro collaboratori sono diventati nelle ultime settimane la manifestazione terribile di una situazione di sofferenza che dura già da molto tempo", spiega il Direttore della Sala Stampa vaticana. "Il Papa parlava alla riunione delle Opere in aiuto alle Chiese orientali, ma il giorno stesso ha avuto accenti analoghi incontrando il Patriarca della Chiesa Assira, Mar Dinkha IV, riferendosi ai cristiani – anche non cattolici – che soffrono 'tragicamente, materialmente e spiritualmente' perché 'le famiglie e le comunità cristiane sentono sempre più la pressione dell’insicurezza, dell’aggressione e un senso di abbandono'". "Gli fa eco dall’Iraq il Vescovo di Kirkuk, Luis Sako, in una lettera in cui ribadisce che 'la vita dei cristiani in Iraq diventa sempre più difficile, perché il governo attuale non riesce a garantire la sicurezza e ad applicare la legge", aggiunge il portavoce vaticano. E continua s
piegando che i cristiani, che non hanno milizie proprie per difendersi, sono 'vulnerabili per eccellenza'. Non c’è da stupirsi che molti cristiani cerchino di migrare all’estero. Così la presenza storica di comunità cristiane antichissime rischia gradualmente di scomparire, riconosce. "Gli appelli del Papa, a cui si deve unire la solidarietà di tutti i cristiani, non solo cattolici, si fanno accorati: 'Busso al cuore di coloro che hanno specifiche responsabilità perché aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica o geografica". Padre Lombardi conclude, quindi, con una esortazione: “Non possiamo dimenticare il martirio di questi nostri fratelli, inermi in mezzo alla violenza”.


El portavoz vaticano denuncia el martirio de los cristianos en Irak: Son «vulnerables por excelencia»
El portavoz de la Santa Sede ha denunciado el martirio de los cristianos en Irak y ha asegurado la cercanía de Benedicto XVI. El padre Federico Lombardi S.I. lo ha explicado en el último editorial de «Octava Dies», semanario producido por el Centro Televisivo Vaticano del que es director, transmitido por canales de televisión de todo el mundo.«La Iglesia acompaña con afecto y admiración a todos sus hijos e hijas y les apoya en esta hora de auténtico martirio por el nombre de Cristo», dijo el Papa el 21 de junio. «Con estas fuertes intensas y fuertes palabras, Benedicto XVI ha respondido al grito de ayuda que siguen lanzando las comunidades cristianas de Oriente Medio, devastado por la guerra, en particular de Irak, donde los asesinatos y secuestros de sacerdotes y de sus colaboradores se han convertido en las últimas semanas en la manifestación terrible de una situación de sufrimiento que dura ya desde hace mucho tiempo», explica el director de la Oficina de Prensa del Vaticano.«El Papa pronunció estas palabras al dirigirse a la Reunión de las Obras de Ayuda a las Iglesias Orientales, pero en ese mismo día utilizó un tono parecido al encontrarse con el patriarca de la Iglesia Asiria, Mar Dinkha IV, con quien habló de los cristianos, incluidos los no católicos, que sufren “trágicamente, de manera material y espiritual” porque “las familias y las comunidades cristianas sienten cada vez más la presión de la inseguridad, de la agresión y la sensación de quedar abandonados”». Ha corroborado estas palabras, explica el editorial, el obispo iraquí de Kirkuk, monseñor Luis Sako, quien en una carta confirma que «la vida de los cristianos en Irak se hace cada vez más difícil, pues el gobierno actual no logra garantizar la seguridad ni aplicar la ley». Sako sigue explicando que los cristianos que no tienen milicias propias para defenderse son «vulnerables por excelencia». «No sorprende, por tanto --reconoce el padre Lombardi--, que muchos cristianos traten de emigrar al extranjero. De este modo la presencia de comunidades cristianas antiquísimas corre el riesgo de desparecer paulatinamente».El padre Lombardi concluye exhortando: «No podemos olvidar el martirio de estos hermanos nuestros, indefensos en medio de la violencia».
Permalink: http://www.zenit.org/article-24103?l=spanish


O porta-voz vaticano denuncia martírio dos cristãos no Iraque: São «vulneráveis por excelência»
O porta-voz da Santa Sé denunciou o martírio dos cristãos no Iraque e assegurou a proximidade de Bento XVI. O padre Federico Lombardi S.I. explicou no último editorial de «Octava Dies», semanário produzido pelo Centro Televisivo Vaticano do qual é diretor, transmitido por canais de televisão de todo o mundo.«A Igreja acompanha com afeto e admiração a todos seus filhos e filhas e lhes apóia nesta hora de autêntico martírio pelo nome de Cristo», disse o Papa em 21 de junho.«Com estas intensas e fortes palavras, Bento XVI respondeu ao grito de ajuda que continuam lançando as comunidades cristãs do Oriente Médio, devastado pela guerra, em particular do Iraque, onde os assassinatos e seqüestros de sacerdotes e de seus colaboradores se converteram nas últimas semanas na manifestação terrível de uma situação de sofrimento que dura há muito tempo», explica o diretor da Sala de Imprensa do Vaticano.«O Papa pronunciou estas palavras ao dirigir-se à Reunião das Obras de Ajuda às Igrejas Orientais, mas nesse mesmo dia utilizou um tom parecido ao encontrar-se com o patriarca da Igreja Assíria, Mar Dinkha IV, com quem falou dos cristãos, incluídos os não católicos, que sofrem “tragicamente, de maneira material e espiritual” porque “as famílias e as comunidades cristãs sentem cada vez mais a pressão da insegurança, da agressão e a sensação de ficar abandonados”».Corroborou estas palavras, explica o editorial, o bispo iraquiano de Kirkuk, Dom Luis Sako, que em uma carta confirma que «a vida dos cristãos no Iraque se faz cada vez mais difícil, pois o governo atual não consegue garantir a segurança nem aplicar a lei».Sako segue explicando que os cristãos, que não têm milícias próprias para defender-se, são «vulneráveis por excelência».«Não surpreende, portanto –reconhece o padre Lombardi–, que muitos cristãos tentem emigrar ao estrangeiro. Deste modo a presença de comunidades cristãs antiqüíssimas corre o risco de desaparecer paulatinamente».O padre Lombardi conclui exortando: «Não podemos nos esquecer do martírio destes irmãos nossos, indefesos em meio à violência».