"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

13 ottobre 2008

Appello del Papa per la fine delle violenze anticristiane, la testimonianza del visitatore apostolico dei caldei in Europa


Per la situazione dei cristiani iracheni si è levato ieri il preoccupato appello del Papa, fatto proprio anche dall'associazione "Pax Christi Italia", che in una nota sottolinea "il grido di dolore del popolo iracheno e la disperata situazione dei cristiani" in Iraq. Intanto, continuano le violenze che costringono migliaia di persone a fuggire. Né si vede un allentamento della tensione, nonostante il governo iracheno abbia costituito un comitato d’emergenza nella città settentrionale di Mosul per garantire la protezione della comunità cristiana locale, proprio in concomitanza, ieri, con l’uccisione di un altro cristiano.
Ma si può ormai parlare di vera e propria persecuzione? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a padre Philip Najim, visitatore apostolico per i fedeli caldei in Europa:
"Sì, il problema di questi attentati, oggi, ai cristiani dell’Iraq, sono delle forze oscure che vogliono spaccare questa unità nazionale. Noi abbiamo bisogno, adesso, dell’unità, abbiamo bisogno di essere insieme, poter raggiungere, attraverso un cammino, la meta di pace nell’Iraq."
Perché i cristiani, in Iraq, sono così scomodi?
"Ma veramente non è una questione soltanto dei cristiani dell’Iraq, perché hanno tentato di creare un conflitto attraverso anche le altre confessioni religiose che esistono in Iraq. E il motivo di tutto questo è che vogliono soltanto creare il caos, vogliono rallentare il processo di pace, vogliono spaccare l’unità del Paese; non c’erano, prima, queste divisioni, anche storicamente. Tutti siamo iracheni, tutti abbiamo vissuto in Iraq, tutti abbiamo costruito l’Iraq insieme, a prescindere dalla fede; ognuno è libero di avere la sua religione, ma alla fine rimane questa nazionalità irachena che ha contribuito a costruire lo Stato. Oggi ci sono queste forze che non vogliono questa stabilità, non vogliono la pace, non vogliono un Iraq prosperoso, e qui il popolo diventa la vittima e paga queste conseguenze; qui la politica è contro l’uomo, il popolo iracheno ha sofferto tantissimo e la comunità cristiana ha sofferto tantissimo. Qui la comunità internazionale deve intervenire e deve difendere la dignità dell’uomo, aiutare questo popolo iracheno affinché riacquisti la sua identità, riacquisti la sua dignità, perché ha diritto alla vita, alle sue risorse per poter vivere una vita migliore".
Sono tantissimi i cristiani ormai in fuga dalle violenze; in quale condizione stanno vivendo questi profughi?
"Veramente in una condizione molto difficile: migliaia e migliaia di cristiani adesso alloggiano presso i monasteri, presso i conventi, presso le chiese nel nord dell’Iraq, e i nostri vescovi, i nostri sacerdoti, i nostri monaci hanno spalancato le porte per accogliere questi cristiani e per soddisfare proprio le loro necessità: oggi veramente vivono una situazione drammatica e una situazione amara".
Qual è la ricchezza che invece i cristiani possono apportare, per il futuro dell’Iraq?
"I cristiani, con i loro confratelli musulmani, come ha detto e ha ripetuto varie volte il Santo Padre, hanno vissuto 14 secoli insieme, perciò continueranno ancora a dare il loro contributo - attraverso la loro capacità e la loro presenza - per un Iraq migliore, per un futuro migliore, per un Iraq di pace e per un Iraq prosperoso."