"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 aprile 2009

Triste apertura del sinodo caldeo per l'improvvisa morte della madre di Mons. Isaac

By Baghdadhope


La profonda tristezza caratterizza la giornata di apertura del sinodo dei vescovi caldei ad Ankawa. Si apprende dal sito del patriarcato caldeo della scomparsa della madre di Mons. Jacques Isaac, vicario patriarcale ad Ankawa per il sinodo. La signora Helali Yousef, di 87 anni, è improvvisamente mancata ai suoi cari. La cerimonia funebre si terrà domani mattina ad Alqosh, sua citta natale.

Baghdadhope esprime sentite condoglianze a Mons. Isaac ed alla sua famiglia in questa dolorosa occasione.

Sad opening of the Chaldean synod for the sudden death of Msgr. Isaac's mother in Baghdad

By Baghdadhope

Deep sadness characterizes the opening of the synod of the Chaldean bishops in Ankawa.
Chaldean Patriarchate website published the news of the disappearance of the mother of Mgr. Jacques Isaac, Chaldean patriarchal vicar in Ankawa for the synod.
Mrs. Helali Yousef, 87 years, died suddenly in Baghdad. The funeral ceremony will be held tomorrow morning in Alqosh, her hometown.

Baghdadhope offers its deepest condolences to Msgr. Isaac and to his family in this painful occasion.

27 aprile 2009

Iraq: domani ad Ankawa il sinodo dei vescovi caldei. A Kirkuk uccisi tre cristiani

Fonte: SIR

Si apre domani, presso la sede del seminario di Ankawa, nel nord Iraq, il sinodo della chiesa caldea. “Al centro dei lavori saranno la situazione della chiesa e del popolo iracheno. I lavori, cui sono attesi circa 15 vescovi, dovrebbero durare fino alla fine del mese” spiega al Sir il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni. Il Sinodo giunge in un momento segnato da una nuova ondata di violenza, anche contro i cristiani. Nei giorni scorsi a Baghdad in alcuni attentati sono morte circa 60 persone mentre, notizia più recente, è l’uccisione domenica a Kirkuk, rivela Warduni, di “due donne caldee e di un siro ortodosso, con diversi feriti”. Omicidi bollati dal vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, come “vigliacchi crimini terroristici”. “Gli interessi in gioco in Iraq sono moltissimi – aggiunge Warduni - tanti sono anche gli stranieri che entrano nel Paese, e tutto ciò rende la situazione complicata. Le potenze internazionali non riescono a mettersi d’accordo per dare una soluzione ai problemi dell’Iraq che resta un Paese martoriato. Nel Sinodo pregheremo che Dio abbia misericordia di questo popolo straziato e gli dia pace. Tuttavia – conclude – non mancano le buone notizie. Venerdì nel seminario di Ankawa ordineremo tre sacerdoti”.

Iraqi Christians urged not to flee after killings

Source: Reuters

By
Mustafa Mahmoud

Christians in Kirkuk were urged to stand firm by the city's Chaldean archbishop Monday after three members of the religious minority were gunned down in their homes.
Louis Sako told mourners at a cathedral in the ethnically mixed city that the attacks Sunday killing three Christians and wounding two others were outrageous.
"The main objective of these crimes is to create chaos and promote strife and divisions among the people of Kirkuk. I call on Christians not to be jarred by these crimes and to stay in Kirkuk. We are sons of this city," he said.
According to U.S. military officials, gunmen entered a home in southern Kirkuk, killing two women. Gunmen attacked three men in a home in the same area the same night. One was killed.
The attacks echoed violence last year that triggered the flight of thousands of Christian families from the northern city of Mosul, like Kirkuk a volatile mix of Arabs, Kurds and Christians. Most of the families returned home.
Kirkuk also has a sizeable Turkmen population.
In Mosul, the level of violence against Christians was relatively small in comparison to other attacks of a sectarian or religious nature in Iraq's recent past, but it prompted widespread concern inside Iraq and in the West.
Iraq's Christians are believed to number around 750,000, a small minority in a country of around 28 million.
Tensions are running high in Kirkuk which minority Kurds hope to include in their largely autonomous northern region, an idea rejected by the city's other residents.
The impasse over control of Kirkuk, which sits on vast oil reserves, has dragged on since the 2003 U.S.-led invasion to oust Saddam Hussein, who brought Arabs en masse to the city in a bid to dilute Kurdish influence.
Last week, the United Nations submitted to Iraqi officials a highly anticipated report on the future of Kirkuk, which it hopes will prompt renewed political negotiations on who will control the city and the surrounding province.
Abdul Rahman Mustafa, governor of Kirkuk province, echoed Sako's call for Christians not to be intimidated.
"We will not stand with our hands behind our backs. We will pursue the wicked people who are trying to stir sectarian strife in Kirkuk. I'm asking Christian families not to fall for this ploy," said Mustafa, a Sunni Muslim Kurd.
(Writing by Missy Ryan; editing by Robert Woodward)

Due cristiani uccisi in Iraq

Source: Maktoob.com
AFP 26 April 2009

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Ignoti assalitori hanno ucciso domenica due cristiani, compresa una donna, dopo aver fatto irruzione nelle loro case nella città petrolifera di Kirkuk nel nord Iraq, secondo quanto riferito dalla polizia. Hanno ucciso Yussef Shaba, impiegato nella compagnia irachena Northern Oil Co, e ferito i suoi due figli, Bassel e Samer, ha dichiarato il colonnello della polizia Adnan Abdullah.
Altri assalitori sono penetrati nella casa di Mouna Latif Daoud uccidendola e ferendo sua figlia prima di pugnalarle entrambe."Questi due attacchi terroristici si sono verificati a pochi minuti l'uno dall'altro" ha riferito Abdullah.
Il vescovo caldeo di Kirkuk Louis Sako ha condannato "questi vigliacchi crimini terroristici" contro "i cristiani che hanno costruito questo paese" ed ha chiesto che i colpevoli siano assicurati alla giustizia.
Nel mese di aprile ad un cristiano era stata tagliata la gola a Kirkuk. Il vice presidente Adel Abdul Mahdi ha chiesto alla minoranza cristiana irachena di non fuggire dal paese ed alla comunità internazionale di proteggerla dagli estremisti.
Secondo alcuni leaders cristiani 250.000 degli 800.000 cristiani che vivevano in Iraq prima dell'invasione a guida USA del 2003 che ha rovesciato Saddam Hussein hanno lasciato il paese.

La cerimonia funebre per le vittime si terrà oggi nella chiesa caldea del Sacro Cuore a Kirkuk.

Two Christians gunned down in Iraq

Source: Maktoob.com

AFP April 26, 2009

Gunmen killed two Christians, including a woman, after breaking into their homes in the northern Iraqi oil city of Kirkuk on Sunday, police said.
They shot dead Yussef Shaba, an employee of Iraq's Northern Oil Co, and wounded his two sons, Bassel and Samer, said police Colonel Adnan Abdullah.
Other gunmen also burst into the home of Mouna Latif Daoud, killed her and wounded her daughter before stabbing both women.
"These two terrorist attacks took place within minutes of each other," Abdullah said.
Chaldean Bishop Louis Sako of Kirkuk condemned "these cowardly terrorist crimes" against against "the Christians, who built up this country," and called for the perpetrators to be brought to justice.
Earlier this month, a Christian had his throat slit in Kirkuk.
Vice President Adel Abdul Mahdi has urged Iraq's Christian minority not to flee the violence-plagued country and urged the international community to help protect it from extremists.
According to Christian leaders, 250,000 of the 800,000 Christians who lived in Iraq before the U.S.-led invasion of 2003 that ousted president Saddam Hussein have now left the country.

The funeral ceremony for the victims will be held today, Aprile 27, in the Sacred Hearth Chaldean church of Kirkuk .

25 aprile 2009

Chiesa antica dell'Est. Un nuovo calendario? Per adesso due nuovi vescovi!


By Baghdadhope

Nel 1964 il Patriarca della Chiesa dell’Est, Mar Eshai Shimun XXIII, decise che la sua chiesa avrebbe abbandonato il calendario giuliano per adottare quello gregoriano. Una decisione spiegata dallo stesso patriarca in un’intervista rilasciata al
Baghdad Observer il 30 aprile 1970 in occasione del suo primo ritorno in patria dopo l’esilio forzato cui era stato costretto nel 1933 e che lo aveva portato nel 1940 a stabilire la sede patriarcale negli Stati Uniti.
Precisando che “nessuno conosce la data esatta della nascita di Cristo” Mar Shimun spiegò che la decisione era la risposta agli appelli di molti sacerdoti, vescovi e fedeli che avevano chiesto di abbandonare il calendario giuliano per il Natale e la Pasqua vista la difficoltà di celebrare quelle festività in paesi in cui vigeva l’uso del calendario gregoriano.
Nel 1968 uno scisma all’interno della Chiesa dell’Est la divise in due rami. La chiesa guidata da Mar Eshai Shimun XXIII che nel 1976 fu rinominata dal suo successore Mar Dinkha IV “Chiesa Assira dell’Est” e quella guidata da Mar Thoma Darmo, Metropolita di Trichur (India) della Chiesa dell’Est che, in disaccordo con il Patriarca Mar Eshai Simun XXIII, si trasferì a Baghdad dove nominò tre vescovi che a loro volta lo elessero patriarca della Antica Chiesa dell’Est. Carica che però Mar Thoma Darmo poté esercitare per un solo anno vista la sua morte l’anno successivo. Ad egli successe l’attuale patriarca Mar Addai II.
I motivi dello scisma furono molti ed il peso di ognuno di essi fu diversamente valutato e citato dalle diverse parti in causa. Principalmente - e senza voler approfondire le motivazioni politiche o tribali - le critiche su cui il movimento scismatico si concentrò furono tre.
Da 35 anni, da quando cioè Mar Eshai Simun XXIII, era stato esiliato prima a Cipro e successivamente negli Stati Uniti, la Chiesa dell’Est in Iraq era rimasta senza la sua massima guida spirituale e politica. Una parte dei fedeli e del clero desiderava invece che il Patriarca risiedesse a Baghdad e ne facesse la sua sede.
Nella Chiesa dell’Est fin dal secolo XV era in vigore la pratica (non istituzionalizzata né stabilita dai canoni ecclesiastici) del Natar Kursi (successore designato) secondo la quale la carica patriarcale passava al nipote del patriarca in carica. Pratica che venne abolita dall’attuale patriarca della Chiesa Assira dell’Est, Mar Dhinka IV, al momento della sua nomina nel 1976 quindi successivamente al movimento scismatico del 1968 che la contestava.
L’ultima contestazione riguardava proprio l’adozione del calendario gregoriano avvenuta nel 1964.
Dal 1968 sono ormai passati 41 anni ma questa storia che appare ormai lontana proprio negli scorsi giorni ha ritrovato la sua attualità.
Lo scorso
12 aprile, infatti, Mar Addai II ha anticipato ai fedeli che il prossimo sinodo dell’Antica Chiesa dell’Est che si terrà a fine aprile a Baghdad avrà in discussione come quinto punto dell’agenda proprio la possibile adozione del calendario gregoriano per il Natale (ma non per Pasqua) e li ha invitati ad esprimere la propria opinione in merito.
A questo annuncio si aggiunge quello fatto dal Metropolita dell’Australia e della Nuova Zelanda, Mons. Yako Daniel, che ha spiegato come nel sinodo che si aprirà il prossimo 27 aprile una delle questioni in
discussione sarà addirittura la possibile riunione delle due chiese divise nel 1968.
Come sarà possibile questa riunione è difficile dirlo. Fino ad ora essa non è rimasta che un’idea. Un’idea che ha compiuto in questi anni alcuni passi di avvicinamento, come quando nel sinodo della Chiesa Assira dell’Est del 1999 il patriarca ed i vescovi decisero di riconoscere la gerarchia della Chiesa dell’Est e di istituire un comitato congiunto con il fine di “realizzare la piena comunione tra le due parti.” Ma anche di allontanamento, se sono vere le voci riportate da diversi
siti e forum di discussione assiri secondo i quali all’inizio di marzo il vescovo della Chiesa Assira dell’Est della California, Mar Awa Royel, ha ordinato ai sacerdoti, ai diaconi ed ai sub-diaconi della sua diocesi di interrompere qualsiasi rapporto, ecclesiastico ma anche sociale, con i membri della Chiesa Antica dell’Est. Ordine che, viene riferito da più fonti, risalirebbe al sinodo della chiesa assira tenutosi lo scorso ottobre 2008.
Quali che siano le vere intenzioni delle due chiese è ancora presto per dirlo.
Certo un’unione è da molti fedeli auspicabile. Ma come potrebbero convivere in un’ipotetica nuova chiesa unita due patriarchi? Non si deve dimenticare come i colloqui ed i passi di avvicinamento tra la Chiesa Assira dell’Est e quella Caldea si siano arenati proprio quando si è giunti al nodo del riconoscimento dell’autorità papale, da secoli accettata dalla chiesa caldea ma rifiutata da quella assira. Nel caso delle due chiese dell’est il problema di un’autorità superiore ad entrambe non si porrebbe, ma quale tra le due riconoscerebbe la superiorità dell’altra rinunciando a tutto ciò che da essa la distingue?
La proposta di Mar Addai, quindi, parrebbe legata più che ad un desiderio di unione a considerazioni di ordine pratico. Davvero minoranza nell’eppur esiguo numero di cristiani in Iraq i suoi fedeli potrebbero beneficiare dall’unirsi nelle celebrazioni più importanti ai cattolici, almeno in quelle zone dove essi rappresentano la maggioranza.
Un desiderio che potrebbe essere condiviso dai fedeli che vivono in paesi a maggioranza cattolica. Per adesso non resta che attendere e prendere comunque nota del fatto che la Chiesa Antica dell’Est sembra voler dare una svolta al suo corso non solo con questa proposta ma anche con la
nomina, a tre giorni dall’inizio del sinodo, di due nuovi vescovi: Mar Zaia Khoshaba e Mar Aphram Dawid, ordinati nella chiesa della Vergine Maria a Baghdad alla presenza non solo di Mar Addai ma anche di un folto pubblico di religiosi e politici tra cui per la chiesa caldea Mons. Shleimun Warduni e Mons. Andraous Abouna, per la chiesa assira dell’est Mons. Gewargis Sliwa, per quella siro cattolica Mons. Matti S. Matoka, Fawzi Hariri ministro dell’industria, Pascale Isho Warda ex ministro per i rifugiati e gli sfollati e Abdallah Al Naufali a capo dell’ufficio governativo per i non musulmani.

Ancient Church of the East. A new calendar? By now two new bishops!"

By Baghdadhope
In 1964 the Patriarch of the Church of the East, Mar Eshai Shimun XXIII, decided that his church would abandon the Julian calendar for adopting the Gregorian one. A decision explained by the same patriarch in an interview with Baghdad Observer on April 30, 1970, on the occasion of his first visit to Iraq after the exile he had been forced to in 1933 and that had led him to establish the patriarchal seat in the United States in 1940.
Stating that "no one knows the exact date of the birth of Christ" Mar Shimun explained that the decision was a response to the calls of many priests, bishops and faithful who had asked to abandon the Julian calendar for Christmas and Easter in consideration of the difficulty represented by different dates of the holy celebrations in those countries where the Gregorian calendar was in use.
In 1968 a schism within the Eastern Church split it into two branches. The church led by Mar Eshai Shimun XXIII that in 1976 was renamed by his successor Mar Dinkha IV as the "Assyrian Church of the East" and the church led by Mar Thoma Darmo, Metropolitan of the Church of the East in Trichur (India) who, in disagreement with the Patriarch Mar Eshai Shimun XXIII, moved to Baghdad where appointed three bishops, who in turn elected him as the Patriarch of the Ancient Church of the East. Role that Mar Thoma Darmo could exercise only for a short time as he died on the following year. He was succeeded by the current Patriarch Mar Addai II.
The reasons of the schism were many and the weight of each of them was differently assessed and quoted by different parts. Mainly - and without deepen the political or tribal reasons - the criticism the schismatic movement focused on were three. For 35 years, since when Mar Eshai Shimun XXIII was first exiled to Cyprus and then to the United States,the Church of the East in Iraq was left without its greatest political and spiritual leader. Part of the faithful and clergy asked for a patriarch living in Baghdad and having his seat there.
Since fifteenth century in the Church of the East was in force the practice (not institutionalized or established by the ecclesiastical canons) of Natar Kursi (designated successor) according to which the patriarchal office passed directly to his grandson. Practice that was abolished by the Patriarch of the Assyrian Church of the East, Mar Dhinka IV, at the time of his appointment in 1976, then after the birth of the schismatic movement that in 1968 objected to it.
The latest objection concerned the adoption of the Gregorian calendar occurred in 1964.
41 years have elapsed since 1968 but this apparent remote story showed its up-to-dateness in recent days.
On April 12, in fact, Mar Addai II anticipated to the faithful that the next Synod of the Ancient Church of the East to be held in late April in Baghdad will discuss as the fifth point of its agenda the possible adoption of the Gregorian calendar for Christmas (but not for Easter) and invited them to express their views on the matter.
To this announcement was added that made by the Metropolitan of Australia and New Zealand, Msgr. Yako Daniel, who explained how in the synod that will begin on April 27 one of the issues under discussion will even be the possible reunion of the two churches split in 1968.
How will this reunion be put in practice is difficult to say. So far it is only an idea.
An idea that in recent years made some approaching steps, as when during the Synod of the Assyrian Church of the East in 1999 the patriarch and the bishops decided to recognize the hierarchy of the Church of the East and to establish a joint committee with the goal to "achieve full communion between the two parties."
But made some steps of division too if the rumours reported by several Assyrian sites and discussion forums are true. According to these rumours in early March the bishop of the Assyrian Church of the East in California, Mar Awa Royel, ordered the priests, deacons and sub-deacons of his diocese to stop any relationship, priestly but also social, with members of the Ancient Church of the East. Order which is reported by several sources would date back to the synod of the Assyrian Church held on last October 2008.
It is still early to say what the real intentions of the two churches are. Of course a union is expected by many faithful. But how could two patriarchs cohabit in a hypothetical new united church? We must not forget how the talks and the steps of approaching between the Assyrian Church of the East and the Chaldean one stranded at the moment of the recognition of papal authority accepted centuries ago by the Chaldean church but rejected by the Assyrian one.
In the case of the two churches of the East the problem of an authority superior to both doesn’t exist, but which of the two would recognize the superiority of the other giving up everything that distinguishes itself from it?
The proposal made by Mar Addai, therefore, appears linked more to practical considerations than to a desire for union. A minority in the Christian minority in Iraq the faithful may benefit by celebrating together with the Catholics, at least in those areas where the latter represent the majority.
A desire that could be shared by the faithful living in the Catholic majority countries.
By now we can only wait and take note however that the Ancient Church of the East seems to want to give a turn to its course not only with this proposal but also by the appointment, three days bifore the beginning of the synod, of two new bishops: Mar Zaia Khoshaba and Mar Aphram Dawid, ordained in the church of the Virgin Mary in Baghdad in the presence not only of Mar Addai but also of a large audience of religious and political personalities among whom for the Chaldean church Msgr. Shleimun Warduni and Msgr. Andraous Abouna, for the Assyrian Church of the East Msgr. Gewargis Sliwa, for the Syriac Catholic church Msgr. Matti S. Matoka, Fawzi Hariri, Minister of industry, Pascale Isho Warda former minister of displacement and migration, and Abdallah Al Naufali head of the government department for non-Muslims.

Iraq: Genocidio armeno commemorato a Bassora

By Baghdadhope

Fonte: Coptreal
Foto: Radio Sawa

Anche la piccola comunità armena di Bassora (Iraq) ha ricordato ieri, 24 aprile, l’inizio della seconda campagna di genocidio iniziata dal governo ottomano con gli arresti, proprio nella notte tra il 23 ed il 24 aprile 1915 dell’elite armena di Costantinopoli.
Nella chiesa armena apostolica della Vergine Maria il sacerdote, Padre Torkom Torkomian ha ricordato con i fedeli le vittime innocenti di quel periodo buio.
Intervistato da Radio Sawa, Padre Torkomian ha anche parlato della comunità armena della città: 120 famiglie per un totale di circa 600 persone. Una sola chiesa rimasta, quella della Vergine Maria, una delle più antiche dell’Iraq risalente al 1736, dopo che le altre due sono state chiuse, ed una comunità fortemente toccata dagli ultimi avvenimenti che si sono risolti nella fuga dalla città.
Una fuga che il sacerdote si augura possa trasformarsi in ritorno visto che, sono le sue parole, la situazione ora è “leggermente migliorata.”

Iraq: Armenian genocide commemorated in Basra

By Baghdadhope

Source: Coptreal

Even the small Armenian community of Basra (Iraq) commemorated yesterday, April 24, the beginning of the second campaign of genocide initiated by the Ottoman government with the arrests, in the night between 23 and 24 April 1915, of the elite members of the Armenian community of Constantinople.
In the Armenian Apostolic Church of the Virgin Mary, the priest, Father Torkom Torkomian, reminded the faithful the innocent victims of that dark period.
Interviewed by Radio Sawa, Fr. Torkomian spoke also of the Armenian community of Basra: 120 families for a total of about 600 people. Only one church, the one of the Virgin Mary, one of the oldest in Iraq dating back to 1736, after the two others churches were closed, and a community heavily affected by recent events that had as a result the flight from the city. A flight that the priest hopes can be reversed by the coming back of the Armenian people as, these are his words, the situation is now "slightly improved."

24 aprile 2009

Mons. Felix Shabi, da Karamles a Mosul, da San Diego a Phoenix

By Baghdadhope

Foto by Kaldaya.net

Dopo 7 anni di servizio presso la la Cattedrale Caldea di Saint Peter a San Diego (California) Padre Felix Shabi, dal 7 dicembre 2007 Mons. Felix Shabi vista la sua nomina a Corepiscopo, è ora parte della famiglia caldea in Arizona dove è stato ufficialmente presentato ai fedeli dal vescovo dell’Eparchia di San Pietro Apostolo, Mons. Sarhad Y. Jammo, il 19 aprile scorso nella chiesa dedicata a Mar Auraha.
Un giovane sacerdote dal buon inglese contribuirà quindi a guidare spiritualmente le circa 700 famiglie in Arizona, tra vecchie e nuove arrivate dall’Iraq.
Grandiosa era stata la cerimonia di addio a Mons. Shabi tenutasi il 16 aprile nella cattedrale caldea di Saint Peter a San Diego a cui avevano partecipato centinaia di fedeli e molti sacerdoti. C’era, ovviamente Mons. Jammo, Mons. Bawai Soro, Padre Michael J. Bazzi e Padre Polis P. Khammi, pastori della stessa cattedrale, Padre Andrew Younan, rettore del seminario dedicato a Mar Abba il Grande, Padre Sabri A. Kejbo della chiesa caldea di St. Michael a San Diego ed a sottolineare il clima di fratellanza tra le chiese anche il parroco della chiesa siro cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Aiuto, Padre Emad Hanna al-Shaikh.


Mons. Felix Shabi è nato a Karamles, non lontano da Mosul, nel 1975 e nel 1992 è entrato nel seminario caldeo dedicato a San Pietro a Baghdad dove è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1988. Da quell’anno al 1999 ha prestato il suo servizio sacerdotale nella chiesa di St. Joseph a Mosul per poi essere inviato a Roma per motivi di studio. Per due anni ha frequentato il Pontificio Istituto Orientale dove ha ottenuto un master in legge canonica delle chiese orientali. Nel novembre 2002 è arrivato negli Stati Uniti dove è stato nominato vicario parrocchiale della cattedrale di San Pietro a San Diego. Dal 2004 ha servito nei centri parrocchiali di Santa Barbara a Las Vegas e di St. Joseph a nord di San Diego. Dal febbraio 2006 al luglio 2007 è tornato a Roma per completare gli studi per il dottorato. Da Roma ancora una volta Padre Shabi è tornato a San Diego dove il 7 dicembre 2007 è stato nominato corepiscopo. A lui sarà ora affidata la missione parrocchiale della Sacra Famiglia dei Caldei e degli Assiri ad ovest di Phoenix e le attività dei centri giovanili che fanno capo ad essa ed alla chiesa di Mar Ibraham.

Clicca qui per vedere le foto di Kaldaya.net della cerimonia in Arizona e qui per quelle della messa di addio a San Diego

Msgr. Felix Shabi. From Karamles to Mosul, from San Diego to Phoenix

By Baghdadhope

Photo by Kaldaya.net

After 7 years of service at the Chaldean Cathedral of Saint Peter in San Diego (California) Father Felix Shabi, Msgr. Felix Shabi since December 7, 2007, when he was appointment as Chorepiscop, is now part of the Chaldean family in Arizona where he was officially presented to the faithful by the bishop of the Chaldean Eparchy of St. Peter the Apostle, Msgr. Sarhad Y. Jammo, on April 19 in the church of Mar Auraha.
A young priest fluent in English will therefore help to guide spiritually the families in Arizona, about 700 among old and new comers from Iraq. Great was the ceremony of farewell to Msgr. Shabi held on April 16 in the Chaldean Cathedral of Saint Peter in San Diego to which hundreds of faithful and many priests were present.
There was, of corse, Msgr. Jammo, Msgr. Bawai Soro, Father Michael J. Bazzi and Father P. Polis Khammi, pastors of the Cathedral, Father Andrew Younan, rector of the seminary dedicated to the Mar Abba the Great, Father Sabri A. Kejbo of the Chaldean church of St. Michael in San Diego and to emphasize the atmosphere of brotherhood among the churches the pastor of the Syriac Catholic Church of Our Lady of Perpetual Help in San Diego, Father Hanna Emad al-Shaikh.


Msgr. Felix Shabi was born in Karamles, not far from Mosul, in 1975 and in 1992 he joined the Chaldean seminary dedicated to Saint Peter in Baghdad where he was ordained priest on June 29, 1988. Since 1988 to 1999 he performed his priestly service in the church of St. Joseph in Mosul and then he was sent to Rome to study. For two years he attended the Pontifical Oriental Institute where he obtained a master's degree in canon law of the Eastern churches. In November 2002 he arrived in the United States where he was appointed parochial vicar of the cathedral of Saint Peter in San Diego. Since 2004 he served in the parochial centres of Saint Barbara in Las Vegas and St. Joseph north of San Diego. Since February 2006 to July 2007 he returned to Rome to complete his studies for his doctorate. From Rome once again Father Shabi went back to San Diego where on December 7, 2007 he was appointed chorepiscop. He is now entrusted with the parochial mission of the Holy Family of Chaldeans and Assyrians west of Phoenix and the activities of the youth centers in it and in Mar Ibraham church.

Click here for the photos of the ceremony in Arizona and here for the farewell mass in San Diego by Kaldaya.net

22 aprile 2009

Prime comunioni in anticipo a Baghdad

By Baghdadhope

Che il clima in Iraq stia migliorando per i cristiani è stato chiaro durante le festività pasquali che, sia nel caso delle chiese cattoliche che di quelle ortodosse, si sono svolte, seppure tra eccezionali misure di sicurezza, con regolarità e con un forte afflusso di fedeli nelle chiese, da Erbil a Baghdad, da Kirkuk a Bassora.
Segni della normalità che moltissimi iracheni, cristiani ma anche ovviamente musulmani, cercano e si sforzano di ottenere. Normalità che per i cristiani passa anche dalle prime comunioni dei bambini che quest'anno in alcune chiese sono state anticipate.

Baghdadhope ne ha parlato con Padre Douglas Al Bazi, parroco della chiesa caldea di Mar Eliya a Baghdad.
"E' stata una cerimonia davvero bella. 43 tra bambini e bambine hanno fatto la prima comunione e c'erano centinaia di persone nella chiesa con le quali abbiamo festeggiato."
Tutti i media riportano un miglioramento delle condizioni di sicurezza rispetto agli scorsi anni. Può confermarlo?
"Si. La situazione è davvero migliorata. Non si può dire sia normale ma non dobbiamo dimenticare che abbiamo visto l'inferno e che anche vedere i bambini sorridere ci riempie di felicità..."
In genere le prime comunioni si svolgevano più avanti nell'anno. Come mai quest'anno avete fissato la data ad aprile?
"E' vero. In genere si aspettava la fine della scuola ma abbiamo pensato che proprio in quel periodo molte famiglie andranno nel nord dell'Iraq e che fosse più pratico ad aprile."
Come mai le famiglie lasceranno Baghdad per il nord alla fine della scuola?
"Per il caldo. A Baghdad l'erogazione della corrente elettrica è ancora limitata, tutto ancora dipende dai generatori ed il carburante per farli funzionare è caro e difficile da trovare. Ecco perchè chi potrà andrà al nord."

Le parole di Padre Al Bazi ci ricordano come la normalizzazione dell'Iraq, fatta anche di corrente elettrica che manca a più di 6 anni dall'inizio della guerra, sia ancora lontana.
E se non ne fossimo convinti basta sapere che lo scorso 19 marzo un bambino cristiano, Elia Yacoub Yunis, è stato rapito ad Erbil, che solo grazie all'intervento della polizia che ha bloccato l'auto dei rapitori sulla strada per Kirkuk egli ha potuto far ritorno dai suoi genitori e che, come ha riferito il sito PUKmedia, persone vicine alla famiglia si sono dette convinte che sia stato un rapimento a scopo estorsivo visto che il padre di Elia gestisce una società di servizi per la telefonia mobile.

First communions before usual time in Baghdad

By Baghdadhope

That the climate in Iraq is improving for Christians was clear during the last Easter celebrations that in Catholic and Orthodox churches took place, albeit with exceptional security measures, with regularity and with a great precence of faithful in the churches, from Erbil to Baghdad, from Basra to Kirkuk. Signs of normalcy that so many Iraqis, Christians but also Muslims of course, seek and strive to achieve. Normalcy that for the Christians is represented also by the first communion rites of the children that this year in some churches have been anticipated.

Baghdadhope spoke with Father Douglas Al Bazi, parish priest of the Chaldean church of Mar Eliya in Baghdad.
"It was a really beautiful ceremony. 43 among boys and girls received their first communion and there were hundreds of people in the church with whom we celebrated."
All the media reported an improvement of security conditions compared to previous years. Can you confirm the news?
"Yes, the situation is really improved. We cannot say that it is normal but we must not forget that we have seen the hell, and even to see the children smile fills us with happiness ..."
In general, the first communions were held later in the year. Why this year you have set the date in April?
"It is true. Usually the celebration was at the end of the school year but we thought that in that time many families will go to northern Iraq and that it was more practical in April."
Why will the families leave Baghdad for the north by the end of the school?
"For the heat. In Baghdad the provision of electricity is still limited, everything still depends on generators and the fuel to run them is expensive and difficult to find. That's why people will go to the north."

The words of Father Al Bazi make us remember how the normalization of Iraq, made also by the power supply still missing more than 6 years since the beginning of the war, is still far.
And to be convinced of this it is sufficent to know that on last March 19 a Christian child, Elia Yacoub Yunis, was kidnapped in Erbil, that only by the intervention of the police who blocked the car of the kidnappers on the road to Kirkuk he could return to his parents and that, as the site PUKmedia reports, people close to his family think that it was a kidnapping for extorsion as the father of Elia runs a service company for mobile phones.

20 aprile 2009

Piana di Ninive: un ghetto per i cristiani iracheni é un’illusione

Fonte: Asianews

By Louis Sako

In questi ultimi tempi alcuni politici, intellettuali e religiosi, dal di fuori dell'Iraq, chiedono l’istituzione nella piana di Ninive di una zona autonoma - un "Safe Haven" - per i cristiani[1]. Proprio adesso che non si parla più d'una regione autonoma anche per il sud dell’Iraq, appare con ancor più chiarezza che questa interferenza creerà problemi gravi. La mia preoccupazione è d'un pastore e non d'un politico!
Queste persone che sostengono il progetto della piana di Ninive vivono in tranquilla sicurezza mentre noi cristiani dell'Iraq siamo spesso esposti ad attentati terroristici e alla morte. Forse essi hanno il nobile intento di aiutarci, ma di fatto ciò avviene senza consultarci quanto al nostro destino e al nostro futuro. Essi perciò pretendono di decidere a nostro nome senza averne ricevuto il mandato.
L'avvenire dei cristiani iracheni deve essere studiato prima di tutto dai cristiani che vivono in Iraq: caldei, assiri, siri e armeni, attraverso la mediazione di competenti e disinteressati leader politici, chiamati a prendere una posizione chiara sul futuro dei cristiani.
I cristiani della diaspora possono aiutarci mantenendo viva la consapevolezza dell’opinione pubblica mondiale sulle nostre condizioni di vita, ma non devono sostituirsi a noi. Abbiamo bisogno di essere aiutati proprio a che ci venga riconosciuto il diritto ad essere protagonisti della nostra vita. Chi si trasforma in nostro tutore, alla fine fa il gioco di chi vorrebbe ancora mantenerci in uno stato di minorità.
Nel contesto iracheno d'oggi, chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico molto pericoloso: sarà certamente strumentalizzato e si rivolterà contro di noi. Dobbiamo essere obiettivi, realistici e prudenti. Un ghetto per i cristiani porterebbe inevitabilmente con sé scontri settari, religiosi e politici senza fine; la nostra stessa libertà ne verrebbe diminuita.
Noi cristiani siamo una componente fondamentale della storia e della cultura irachena. Siamo una presenza significativa nella vita sociale e religiosa del Paese e ci sentiamo iracheni a tutti gli effetti. Abbiamo resistito a minacce e a persecuzioni e abbiamo comunque trovato il modo per continuare a vivere e testimoniare il Vangelo nella nostra terra, senza mai cessare di dimostrarci cittadini leali, anche a prezzo del sangue dei nostri padri, fratelli e figli.
Oggi, sulla stessa scia, vorremmo continuare la nostra presenza e testimonianza in tutta quella che è la nostra terra: l’Iraq, appunto, nella sua interezza. Reclamare la creazione di un ghetto è soprattutto contro il messaggio cristiano, che ci vuole sale e lievito in mezzo a tutta la pasta dell’umanità.
Ciò che invece costituisce un bene per la comunità cristiana di questo Paese è incoraggiare l’unità della Nazione, la democrazia, la convivenza pacifica, la cultura pluralistica, la promozione del riconoscimento dell'altro come persona umana nel rispetto concreto della sua dignità, la collaborazione con tutti per la costruzione di una società migliore, basata sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali sanciti dalla Costituzione nazionale e dal diritto internazionale.
*Arcivescovo di Kirkuk

[1]. Il progetto di un “ghetto assiro” nella piana di Ninive è sostenuto fortemente dalla diaspora cristiana negli Usa, che esercita molta influenza sul Patriarcato di Baghdad, dagli evangelici e dal ministro delle Finanze del Kurdistan, Sarkis Aghajan, che negli ultimi anni ha elargito ingenti somme di denaro per la ricostruzione di numerosi di villaggi e chiese al nord. Il Vaticano non si è mai pronunciato in modo esplicito sulla questione, sebbene la Segreteria di stato sia molto contraria. Lo scorso gennaio, Benedetto XVI, nella visita ad limina con i vescovi caldei, ha sottolineato che il compito dei cristiani in Iraq è di costruire rapporti di comprensione “fra cristiani e musulmani” e di offrire una “testimonianza disinteressata di carità… senza distinzione d’origine o di religione”.

Nineveh Plain: a ghetto for Iraqi Christians is an illusion

Source: Asianews

By Louis Sako*

Some political, intellectual and religious leaders from outside of Iraq have recently called for an autonomous zone, a “safe heaven”, for Christians. 1 Now that the idea of an autonomous region in southern Iraq is no longer being discussed this interference will create serious problems. I express here my concerns as a pastor, not a politician.
Those who back the plan for Nineveh Plain live in relative security whilst we Iraqi Christians are exposed to terrorist attacks and death. Perhaps their noble intent is to help us but in fact they are acting without consulting us to determine our fate and future. Thus they pretend to decide on our behalf without any mandate.
The future of Iraqi Christians must be examined first and foremost by Christians who live in Iraq—Chaldeans, Assyrians, Syriacs and Armenians—through the mediation of competent and disinterested political leaders called to take a clear position on the future of Christians.
Diaspora Christians can help us by maintaining awareness about our fate in world public opinion, but they should not take our place. We need to be helped so our right to determine our destiny can be recognised. Anyone who acts as our guardian in the end helps those who want to keep in a minority state.
In today’s Iraqi context the demand for a Christian enclave is a dangerous political game. It will be exploited by others and will be used against us. We must be objective, realistic and prudent. A Christian ghetto can inevitably lead to endless sectarian, religious and political clashes. Our freedom will be reduced.
We Christians are a fundamental component of the history and culture of Iraq. We are a significant presence in the social and religious life of the country and we feel Iraqi. We have resisted threats and persecution and have found ways to continue to live and bear witness to the Gospel in our land without ceasing being loyal citizens even at the cost of the lives of our fathers, brothers and sons.
Today we want to continue to be present and bear witness in all of our land, in the whole of Iraq. Demanding the creation of a ghetto is especially against the Christian message which sees us as the salt and yeast in the dough of humanity.
A good thing for the Christian community of this country is to encourage national unity, democracy, peaceful coexistence, a pluralistic culture, mutual recognition as humans with dignity, as well as cooperation with everyone to build a better society based on the respect for human rights and fundamental freedoms as guaranteed by the nation’s constitution and international law.
*Archbishop of Kirkuk

1. The plan to set up an “Assyrian ghetto” in the Nineveh Plains is strongly backed by the Christian Diaspora in the United States, which is exercising great influence on the Patriarchate of Baghdad, by Evangelical Christians, and by Kurdistan’s Finance Minister Sarkis Aghajan, who in the last few years has provided large funds for the reconstruction of many villages and churches in the north. The Vatican has never taken an explicit position on the issue but its Secretariat of State has been against the idea. Last January Benedict XVI, during the ad limina visit by Chaldean bishops, insisted that Christians must build ties of understanding “between Christians and Muslims’ and offer a “disinterested witness of charity [. . .] without distinction of origin and religion.”

Iraq: Sako (Kirkuk) "No alla ghettizzazione dei cristiani nella piana di Ninive"

Fonte: SIR

"L'avvenire dei cristiani iracheni deve essere studiato prima di tutto dai cristiani che vivono in Iraq: caldei, assiri, siri e armeni, attraverso la mediazione di competenti e disinteressati leaders politici, che devono prendere una posizione chiara sul futuro dei cristiani”. Così il vescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, risponde attraverso il Sir, ad “alcuni politici, intellettuali e anche religiosi che, dal di fuori dell'Iraq, chiedono l’istituzione di una zona autonoma, un safe haven, per i cristiani nella piana di Ninive”. “Una interferenza che creerà problemi gravi. Queste persone - dice il vescovo - che vivono in sicurezza mentre noi cristiani dell'Iraq siamo spesso esposti ad attentati terroristici e alla morte, forse con il nobile intento di aiutarci, di fatto – non solo senza consultarci quanto al nostro destino e al nostro futuro – pretendono di decidere a nostro nome senza averne ricevuto il mandato”.Per Sako “chiedere un’enclave per i cristiani è un gioco politico molto pericoloso: un ghetto porterebbe scontri settari, religiosi e politici; la nostra stessa libertà ne verrà diminuita. Reclamare la creazione di un ghetto è contro il messaggio cristiano, che ci vuole sale e lievito in mezzo alla pasta dell’umanità. Noi cristiani siamo una presenza significativa nella vita sociale e religiosa del Paese e siamo iracheni a tutti gli effetti”.

18 aprile 2009

La lunga e complicata storia dei passaporti iracheni.

By Baghdadhope

Fonti:

Prima dell’ultima guerra all’Iraq nel paese esistevano tre diversi tipi di passaporti caratterizzati ognuno da una lettera dell’alfabeto. C’era la serie M, la prima ad essere stata dichiarata non valida nel periodo post-bellico, la serie N la cui validità è cessata alla fine del 2007 e la rarissima serie H.
Ad esse si aggiunsero, subito dopo la caduta del regime la serie S e dall’aprile del 2006 la serie G che sostituì la serie S non più accettata come valida perchè non ritenuta sicura.
Ora di nuovo tutto sta cambiando perchè, è notizia recentissima, inizierà presto la distribuzione dei nuovi passaporti, quelli della serie A.
Ma cos’ha di diverso un passaporto della serie A? E’ il primo documento iracheno che affianca all’arabo ed all’inglese anche il curdo che per l’articolo 4 punto 1 della costituzione è insieme all’arabo la lingua ufficiale del paese. I nuovi passaporti verranno stampati al ritmo di 600 al minuto da 12 macchine che il governo iracheno ha acquistato in Germania per 10 milioni di dollari.
In ogni caso i passaporti della serie A non sostituiranno automaticamente e subito quelli della serie G che rimarrano validi fino alla naturale data di scadenza.
Un iracheno potrebbe quindi a breve possedere il suo quarto passaporto nel giro di una decina d’anni – serie M, N o H, S, G ed A, senza contare i passaporti della serie D (diplomatici) o E (di servizio).

E’ proprio vero che non è per niente facile essere iracheni, in tutti i sensi!

The long and complicated story of the Iraqi passports.

By Baghdadhope

Sources:

Before the war on Iraq there were three different kinds of passports in the country each of them characterized by a letter of the alphabet. There was the M series, the first to be declared invalid in the post-war period, the N series the validity of which ended by the end of 2007 and the rare H series.
After the fall of the regime to them it was added the S series and, since April 2006, the G series that replaced the S series no longer accepted as valid because considered unsecure.
Now everything is changing again because according to the latest news the distribution of the new passports of A series will soon begin.
But how different a passport of A series will be? It will be the first Iraqi document written not only in Arabic and English but in Kurdish too as for Article 4 paragraph 1 of the Iraqi constitution Kurdish is toghether with Arabic the official language of the country.
The new passports will be printed at a rate of 600 per minute by 12 machines the Iraqi government bought from Germany for 10 million dollars. In any case the passports of A series will not automatically and immediately replace those of the G series that will remain valid until their natural expiry date.
So an Iraqi could soon have his fourth passport in about a decade - Series M, N or H, S, G and A, without counting the D series passports (diplomatic) or the E series ones (service).

Really it is not easy to be Iraqis!

16 aprile 2009

L'Iraq chiede ai cristiani di rimanere e si impegna a proteggerli


Tradotto ed adattato da Baghdadhope

PARIGI (AFP) Il Vice presidente iracheno, Adel Abdul Mahdi, ha chiesto mercoledì alla minoranza irachena cristiana di non abbandonare il paese e l'aiuto della comunità internazionale nel proteggerla dagli estremisti.
Secondo i leaders cristiani 250.000 degli 800.000 cristiani che vivevano in Iraq sei anni fa, prima dell'invasione che scacciò il dittatore Saddam Hussein, hanno abbandonato il paese nell'ambito di un più vasto esodo di rifugiati.
"La posizione degli iracheni cristiani è vulnerabile e l'Iraq non deve essere lasciato solo ad affrontarla. E' un dovere collettivo." ha dichiarato Abdul Mahdi, membro della più numerosa comunità musulmana sciita irachena, nel corso di un seminario in Francia.
"I cristiani sono una parte integrante dell'Iraq. Si deve aiutare l'Iraq ed i cristiani a rimanervi" ha detto ai delegati durante la conferenza presso il French Institute of International Relations a Parigi.
Tutte le comunità religiose ed etniche irachene sono state coinvolte dalla violenza settaria che ha distrutto il paese, ed in alcune zone i cristiani sono stati presi mira da criminali o da estremisti islamici. Una delle comunità più numerose viveva nella città settentrionale di Mosul, che divenne un focolaio di violenza dopo che le truppe statunitensi ed irachene ebbero la meglio nel conflitto più a sud, dentro ed attorno a Baghdad. Rinforzi di polizia vi furono inviati lo scorso anno per proteggere le famiglie cristiane che vi erano rimaste dopo aver ricevuto minaccie e dopo che alcune case ed alcune chiese erano state attaccate, ma non ci sono ancora segni di un ritorno di chi ne fuggì.

Iraq urges Christians to stay, vows protection



PARIS (AFP) Iraq's Vice President Adel Abdul Mahdi urged Iraq's Christian minority not to flee the country on Wednesday and called on the international community to help protect it from extremists.
According to Christian leaders, 250,000 of the 800,000 Christians who lived in Iraq six years ago, before the invasion that ousted dictator Saddam Hussein, have now left the country, part of a larger refugee exodus.
"The position of Iraqi Christians is vulnerable and Iraq must not be left alone to face this. It's a collective task," Abdul Mahdi, himself a member of Iraq's larger Shiite Muslim community, told a seminar in France.
"Christians are an integral part of Iraq. We need to help Iraq and help Christians remain in Iraq," he told delegates at a conference at the French Institute of International Relations in Paris.
All of Iraq's religious and ethnic communities have been caught up in the insurgent and sectarian violence wracking the country, and in some areas Christians have been targeted by criminals or by Islamic extremists.
One of the largest Christian communities was in the northern city of Mosul, which has become a hotbed of insurgent violence since US and Iraqi forces won the upper hand in the conflict further south in and around Baghdad.
Police reinforcements were sent to the city last year to protect the remaining Christian families after they received threats and homes and churches were vandalised, but there is no sign yet of refugees returning.

14 aprile 2009

Easter in Iraq - Pasqua in Iraq


By Baghdadhope

Clicking on the links below you will be redirected to the original articles by Ankawa.com to see the photos of the Easter ceremonies


Cliccando su ogni link sarai ridiretto agli articoli di Ankawa.com per vedere le altre foto delle cerimonie pasquali










Pasqua quasi tranquilla a Baghdad, Mosul e Bassora

Fonte: Asia News

Dopo anni di terrore e paura, in Iraq si è tornati a festeggiare con discreta tranquillità i riti della Pasqua e della Settimana santa. In generale, le parrocchie erano piene di fedeli, fiduciosi della nuova situazione di sicurezza nel Paese.
A Baghdad, però, nella Settimana santa, il 9 aprile, si compiva anche l’anniversario della caduta di Saddam Hussein. Proprio quel giorno vi sono state diverse esplosioni e morti nella città. Ciò non ha impedito ai cristiani di partecipare ai riti pasquali. Anzi, lo stesso patriarca caldeo Emmanuel Delly ha invitato i cattolici a vincere la paura e a fidarsi della polizia che ha vigilato le celebrazioni all’esterno delle chiese.
Anche a Mosul sembra esservi una situazione più distesa. Negli ultimi anni in questa città cristiani, sacerdoti e vescovi sono stati presi di mira dal terrorismo e dalla malvivenza, subendo uccisioni, rapimenti, espropri, spingendo la maggioranza di essi all’emigrazione. Eppure, secondo la testimonianza di un sacerdote, in occasione della Festa di Pasqua, almeno l’80% dei cristiani sono ritornati in città, fiduciosi delle promesse del governo irakeno e dell’esercito americano.
Anche a Bassora, dopo anni, si è tornati a celebrare la veglia pasquale alla sera del Sabato santo. Negli anni passati, per la guerra o gli assalti contro i cristiani, i riti erano stati molto semplificati o celebrati nel primo pomeriggio. In occasione della festa, vi sono stati anche alcuni incontri fra cattolici, ortodossi e protestanti.
Prima di Pasqua, il presidente Jalal Talabani ha diffuso una lettera di augurio a tutti i cristiani, chiedendo loro di essere fedeli alle indicazioni annunciate da Gesù Cristo, per seminare anche nella società irakena i principi di tolleranza, fraternità, pace e giustizia, necessari a costruire un Iraq democratico e rispettoso dei diritti di tutti. Egli ha anche ringraziato l’impegno bimillenario dei cristiani locali per il loro contributo alla costruzione della civiltà irakena.

Almost calm Easter celebrations in Baghdad, Mosul and BasraAfter

Source: Asia News

After years of terror and fear, Easter and Holy Week were celebrated again in Iraq in relative calm. In general, parish churches were full of people, confident that the security situation would hold.
In Baghdad the anniversary of the fall of Saddam Hussein was marked on 9 April. Several explosions were recorded across the city with several deaths. However, this did not prevent Christians from taking part in Easter services. Chaldean Patriarch Emmanuel Delly actually invited Catholics to overcome their fears and trust the police which ensured security outside churches.
In Mosul the situation appeared more relaxed as well. In the last few years priests, bishops and ordinary Christians had been targeted by terrorist groups and criminal gangs, killed, kidnapped and dispossessed of their property, pushing most to flee. This time, according to a priest, at least 80 per cent of the Christian community was back in town for Easter celebrations, confident that promises by the Iraqi government and the US army would hold.
In Basra Easter Eve was celebrated again on Holy Saturday after many years. In the recent past because of the war and anti-Christian attacks services had been cut down to a minimum or celebrated in the early afternoon. This time meetings between Catholics, Orthodox and Protestants were also held.
Before Easter Iraq President Jalal Talabani released a letter of best wishes to the Christian community, calling on the faithful to follow Jesus Christ and sow in Iraqi society the principles of tolerance, brotherhood, peace and justice, which are needed to build a democratic Iraq in which everyone’s rights are respected. He also thanked Iraqi Christians for their contribution to the development of Iraqi civilisation over the past two thousand years.

13 aprile 2009

La Pasqua tra i cristiani nell'Iraq ferito dal sanguinoso conflitto


In Iraq la minoranza cristiana festeggia la Pasqua tra le violenze e gli attentati che continuano ad insanguinare il Paese. E’ una lunga Via Crucis: la mancanza di sicurezza e la povertà spingono molti ad un esodo forzato. Ascoltiamo mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intervistato da Claudia Di Lorenzi:
"Soffriamo ogni giorno, e ogni giorno ci basta! Le sofferenze che abbiamo in questi ultimi anni a causa della nostra fede, le presentiamo al Signore come riparazione per le nostre mancanze verso di Lui. E per questo io chiedo anche a tutti i miei confratelli cristiani nel mondo di pregare per noi e di chiedere al Signore di dare la pace a tutto il mondo, e specialmente ai Paesi orientali."
Il mistero della Croce che a Pasqua trova compimento nella resurrezione di Cristo può aiutare i cristiani iracheni a cogliere il volto di Dio dietro le proprie sofferenze?
"E’ la croce del Signore che ci dà la forza per sopportare tutto ciò che accade a noi e a tutto il mondo. Noi dobbiamo essere riconoscenti per tutte le grazie che ci ha dato e continua a darci."
Il messaggio di pace della Pasqua invita le Chiese cristiane a superare le divisioni nel percorso verso l’unità…
"La Pasqua ci invita ad amarci l’un l’altro, ad essere uniti: siamo figli della Chiesa, siamo figli di Dio, figli di una sola famiglia: della famiglia del Signore. Ci invita ad essere sempre uniti, nella preghiera, nelle nostre suppliche affinché il Padre sia sempre con noi."

12 aprile 2009

Iraq/ Cristiani celebrano la Pasqua fra misure sicurezza speciali


di Apcom

Baghdad, 12 apr. (Ap) - L'esercito iracheno ha rafforzato la sorveglianza delle chiese a Mosul, dove venerdì scorso un furgone-bomba ha ucciso due poliziotti iracheni e ne ha feriti altri 62, incluso un soldato statunitense e 27 civili. Per la Pasqua oggi molti cristiani iracheni sono però rimasti a casa e hanno celebrato la festività in privato.
Altri, come George Matti, un uomo di 65 anni che vive nel quartiere orientale di al Zuhor, si sono spinti fino a una delle chiese caldeo-assire della città per assistere alla messa, prima di tornare in fretta a casa da moglie e figli. "Chiediamo a Gesù di aiutare il nostro amato Iraq e di aiutare tutti i cristiani dentro e fuori dell'Iraq a tornare alle loro case", ha detto Matti, che ha chiesto alle autorità di mantenere la promessa di aumentare la sicurezza di questa città settentrionale, 360 chilometri a nord di Baghdad. Anche in altre zone del paese i fedeli si sono riuniti per celebrare la resurrezione di Cristo: in circa 200 hanno assistito alla messa nella chiesa di Baghdad della Vergine Maria, nel distretto di Karradah, un tempo una zona a maggioranza cristiana ma oggi dominata dagli sciti. Il cardinale caldeo Emmanuel II Delly ha anche dato un sermone tramesso sulla televisione di Stato: "Dio ci protegga e liberi il nostro paese da lotte e dispute, che sia liberato dall'odio e dalle ostilità". Nella città meridionale di Bassora, circa 500 cristiani hanno assistito alla messa pasquale nella chiesa della Vergine Maria, la maggiore partecipazione dal 2003. E anche 100 soldati americani hanno cantato inni e ascoltato una banda militare in una messa alla base militare di Camp Liberty.
I cristiani hanno una presenza storica nel Paese dei due fiumi: la comunità conta per meno 3% dei 26 milioni di abitanti dell'Iraq, e nella grande maggioranza è composta da caldeo-assiri e armeni, con una minoranza di cattolici. Il numero esatto non è noto, ma si stimano diverse centinaia di migliaia di cristiani: dall'invasione dell'Iraq ad opera degli Stati Uniti, i cristiani sono stati spesso oggetto di violenze da parte di gruppi estremisti islamici, e decine di migliaia hanno abbandonato il paese.

In Iraq, an Easter resurrection for Christian communities

Source: Christian Science Monitor

By Jane Arraf

Baghdad - In what was once one of Baghdad's most dangerous neighborhoods, Iraqi Christians openly celebrated Easter for the first time in three years on Sunday.
In addition to honoring the resurrection of the Christ, the service in Dora also marked the resurrection of their battered community.
Dora is one of several neighborhoods in the Iraqi capital where Christians are beginning to return after being driven out by violence and extremists. A small minority in Iraq, they are estimated to make up less than 3 percent of Iraq's population today. More than 300,000 of Iraq's 800,000 Christians are believed to have left since 2003.
The faithful ventured out Sunday to reaffirm their faith in Iraqi communities which trace their roots back to the earliest days of Christianity. The majority of Iraq's Christians are Chaldeans, Eastern Rite Catholics who believe they are descended from the Babylonians. In the south Baghdad neighborhood of Dora, at the Chaldean church of St. Peter and Paul, auxiliary Bishop Shlemon Warduni of the Patriarchate of Babylon celebrated mass in Arabic and Aramaic – the language of Jesus.
It was the first time mass had been said in the church since 2007, after it was damaged and looted in fighting which raged through Dora.
"Today is Easter but we also have another reason to celebrate – in this area that was damaged and families displaced," Bishop Warduni told the congregation, which last celebrated Easter together in 2006, while gunmen from the Iraqi Ministry of Interior stood watch on the roof. "I remember this church being full and the outside field full, and the hall full of good people," he said.
Workers have spent weeks patching up bullet holes and repairing the building. An adjacent monastery, which was looted after being occupied by US forces, is still vacant.
"In the past two years, we stayed home at Easter and watched the services on TV," says Luay Bedaweede, one of about 200 of the faithful who streamed into the newly renovated church Sunday. He said that, back then, communion wafers were brought to worshippers' homes.

Official support for Christians
In a sign of the Iraqi government's desire to reassure Christians that they are welcome, an Iraqi police general brought greetings from the Minister of Interior. He and a leader of the volunteer security force, the Sons of Iraq, sat in the front row of the Dora church.
"You are messengers of peace. Tell everyone that Christians want only peace," the Bishop Warduni told the security officials.
Young women in denim jeans and sequin-studded T-shirts knelt in prayer next to relatives with their hair partially covered with lace scarves. One of the congregants, Watha Shaba, who had been kidnapped three years ago, reverently unwound a cloth from the bishop's gold and silver scepter. Awide-eyed alter boy furiously rang a bell as incense filled the church.
"Christ is risen," the worshipers recited – the ancient words in an ancient language.

Ousted by Al Qaeda
During the sectarian violence that erupted in 2006, Dora became a stronghold of Al Qaeda in Iraq. In addtion to the Sunni-Shiite violence, fliers told Christians that they would be killed if they openly worshipped, and demanded that they convert to Islam.
When Shiite militias stepped in to fight the Sunni extremists, the neighborhood became too dangerous for almost anyone to stay. "We used to have 3,000 Christian families herenow there are maybe 500," says Gorgis Orawawa, who recently brought his family back from northern Iraq.
Today, the church was filled with families who have had relatives emigrate in the last six years.
"It's a big surprise to see so many people here," says Randa Sabbagh, a college student who returned to Dora with her parents six months ago. They had been living in another Baghdad neighborhood. One brother emigrated to Australia and another went to Syria.
Bishop Warduni blames much of the emigration on European countries and the United Nations, who he says have helped Christians leave Iraq rather than improving conditions for them within the country.
"Instead of searching for jobs for them and helping to bring peace, to bring reconciliation to the country, they accept the immigration. This is bad," he said in an interview earlier this week.
Attacks on Christians in Mosul in November led to another exodus north to Iraqi Kurdistan and beyond Iraq's borders. But a spate of attacks during the last week in Baghdad, which was believed to have become safer in recent months, has many worried.
"One week ago, we were thinking it is much better. But what happened... makes us a little apprehensive because if we have these car bombs it will be no different," the bishop said.
But he vowed that there would always be a Christian community in Iraq.
"This is our country, no one can push us out," said Bishop Warduni. "We were here before everything."


Related articles:

Iraqi Christians gather for Easter - Asiaone

Iraq's embattled Christians celebrate Easter - AP

For Christians in Iraq, a calmer Easter, but worries still - Miami Herald

10 aprile 2009

Easter among Chaldeans in Greece

By Baghdadhope

Like in Jordan and Egypt also in Greece the Chaldean Catholic community will celebrate Easter on 19 and not on 12 of April.
Baghdadhope asked why to the Chaldean Procurator to the Holy See and the Apostolic Visitator for Europe Msgr. Philip Najim before his leaving for Athens.
"Since 1994, when the church of Mater Misericordiae in Athens was canonically erected as a Chaldean parish at the Byzantine Greek Catholic exarchate the liturgical calendar of the majority church of the country, the Greek Orthodox one, has always been followed. The explanation is in the desire of brotherhood and ecumenism that the whole Christian community shares. In Greece, the Chaldean community is small - 2500/3000 faithful - and keeping different dates would not favoured its integration because it would isolate it from the joy but also from the deep spirituality that pervades the country for the main Christian celebrations."
How the Easter rites will be celebrated?
"To the Byzantine Greek Catholic exarchate refers, in addition to the Chaldean community, also a small community of Ukrainian and Romanian Catholic. The rites are then celebrated in the three different traditions. On Good Friday the celebration will see the three communities combined. Each of them will held a celebration according to its own liturgical tradition and then all the celebrants will gather around the Exarch of Greece for the faithful of Byzantine rite, Msgr. Dimitrios Salachas, for a procession with songs and prayers of the three traditions."
In recent days Baghdadhope wrote about the tradition of Gayasa, the representation of the dispute between the cherub who prevents the sons of Adam to entry into Paradise and the redeemed thief who, strong in the cross of Christ he brings, has the better and since then replaced in the Syriac tradition St. Peter as the guardian of Paradise.
Will this tradition be followed in Greece too?
"Certainly, during the Easter Mass the Gayasa will be performed after the Gospel and before the homily."
But in not all the churches the dispute is represented in the same time ...
"Yes. It 'true. Gayasa is a tradition and as such it does not have a defined liturgical time. It' s just typical of Easter and is a link with our culture and our past that does not disappear in diaspora. Something that makes us happy and proud."

Pasqua tra i caldei in Grecia

By Baghdadhope

Così come in Giordania ed Egitto anche in Grecia la comunità cattolica caldea celebrerà la Pasqua il 19 e non il 12 aprile. Baghdadhope ne ha chiesto la ragione al Procuratore caldeo presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico per l'Europa Mons. Philip Najim in procinto per partire per Atene.
"Da quando, nel 1994, la chiesa della Mater Misericordiae di Atene è stata canonicamente eretta come parrocchia caldea presso l'esarcato dei Bizantini greci cattolici si è sempre seguito il calendario della chiesa maggioritaria del paese, quella Greco Ortodossa. La spiegazione è nel desiderio di fratellanza ed ecumenismo che la comunità cristiana tutta condivide. In Grecia la comunità caldea è piccola - 2500/3000 fedeli - e mantenere delle date differenti non ne avrebbe favorito l'integrazione perchè l'avrebbe isolata dall'atmosfera di gioia ma anche profondamente spirituale che pervade il paese per le principali feste della cristianità."
Come si svolgeranno quindi i riti pasquali?
"All'esarcato dei Bizantini greci cattolici fa capo, oltre alla comunità caldea, anche una piccola comunità di ucraini e rumeni cattolici. I riti quindi verranno celebrati secondo le tre diverse tradizioni. Al Venerdì Santo la celebrazione vedrà le tre comunità riunite. Prima ognuna di esse celebrerà secondo la propria tradizione liturgica poi tutti i celebranti si riuniranno attorno all'Esarca di Grecia dei fedeli di rito bizantino, Mons. Dimitrios Salachas, ed inizierà una processione in cui si alterneranno canti e preghiere delle tre tradizioni."
Monsignore, nei giorni scorsi Baghdadhope ha riportato della tradizione della Gayasa, della rappresentazione cioè della disputa tra il cherubino che impedisce ai figli di Adamo l'entrata in Paradiso ed il ladrone redento che, forte della Croce di Cristo che porta con sè, ha la meglio e da allora nella tradizione siriaca ha sostituito San Pietro come guardiano dell'Eden. Rispetterete questa tradizione anche in Grecia?
"Certamente, durante la Santa Messa pasquale verrà rappresentata la Gayasa dopo il Vangelo e prima dell'omelia."
Ma non in tutte le chiese la sua rappresentazione ha gli stessi tempi...
"Si. E' vero. La Gayasa è una tradizione ed in quanto tale non ha un suo tempo liturgico definito. E' solo tipica della Pasqua ed è un legame con la nostra cultura ed il nostro passato che non si spezza neanche in diaspora. Una cosa che ci rende felici ed orgogliosi".

Cristiani in Medio Oriente: L'angelo e il ladrone. La celebrazione della Pasqua tra riti e tradizioni

Fonte: SIR

di Daniele Rocchi

Secondo una tradizione dei cristiani di lingua siriaca le anime dei defunti che arrivano alla porta del Paradiso non vi trovano san Pietro ma il Buon Ladrone. Quest'ultimo - secondo quanto riferisce il teologo benedettino greco padre Manuel Nin - redento dalla croce di Cristo, che ne è la chiave di ingresso, è stato il primo a entrarvi, dopo una disputa con il Cherubino che dopo l'espulsione di Adamo custodiva l'ingresso del Paradiso. L'apocrifo "Vangelo di Nicodemo", nella seconda parte intitolata "Discesa di Cristo negli inferi", parla di un uomo miserabile, con una croce sulle spalle, che l'angelo guardiano aveva messo alla destra della porta del paradiso. E in molti testi liturgici della Settimana Santa le Chiese orientali celebrano il Buon Ladrone come figura del cristiano, dell'essere umano, che trova nella croce di Cristo la salvezza. La stessa liturgia bizantina insiste sul rapporto tra il ladrone e la croce: è la croce a portare il ladrone alla fede, a farlo divenire teologo, a condurlo in paradiso. Le Chiese di tradizione siro-orientale conservano un "Dialogo tra il Cherubino e il Buon Ladrone", messo in scena la domenica di Pasqua oppure la mattina del lunedì, chiamato "dell'angelo" o, appunto, "del ladrone". È una vera celebrazione liturgica, molto popolare, rappresentata in chiesa da due diaconi, secondo un testo che risale probabilmente al V secolo ed è preceduto dal canto di alcuni Salmi da parte del coro. Di seguito un quadro di come le comunità cristiane mediorientali si stanno preparando alla Pasqua.
Iraq. Pasqua senza coprifuoco in Iraq dove sembrano sensibilmente migliorate le condizioni di sicurezza. "Per questo - dichiara il vescovo ausiliare di Baghdad, mons. Shlemon Warduni - ci sono chiese che hanno chiesto di poter celebrare la veglia pasquale, alle 19 e alle 22. Ci attendiamo chiese strapiene per il Triduo Pasquale che vivrà alcuni dei suoi momenti principali, il Giovedì Santo, dopo la messa, nella veglia con Gesù sofferente; il Venerdì Santo leggeremo il Passio, seguito da una lunga predica, con la processione e il bacio della croce. Sabato Santo la veglia con la rappresentazione del Dialogo tra l'angelo e il buon ladrone. La prima parte della Settimana è dedicata alle Confessioni".
Giordania. In Giordania i cristiani celebreranno tutti insieme la Pasqua il 19 aprile, e non il 12. "Un segno ecumenico di unità dato alla comunità cristiana e alla maggioranza musulmana - dice padre Raymond Moussalli, vicario patriarcale caldeo per la Giordania - la via dell'unità è importante qui dove la convivenza e il rispetto è un dato di fatto. La liturgia della Pasqua della Chiesa caldea differisce leggermente da quella delle Chiese cattoliche non di tradizione orientale. Al Giovedì Santo abbiamo la messa, la lavanda dei piedi ed una cerimonia che ricorda la cattura di Gesù. Al Venerdì Santo ancora una cerimonia ci ricorda la passione, la morte e la sepoltura di Nostro Signore. Il Sabato Santo è caratterizzato dai vespri, (Ramsha) dalla Mmessa che viene celebrata alle 22, e dalla rappresentazione (Gayasa) che precede la messa dell'incontro tra il ladrone redento e il cherubino che non vuole farlo entrare in Paradiso e che viene convinto dalla Croce che il ladrone redento porta con sé". Sarà, come da qualche anno a questa parte, una celebrazione particolare per le migliaia di cristiani iracheni rifugiati in Giordania. "Non vedono ancora la possibilità di ritornare a casa loro. Seppure la sicurezza stia migliorando continuano ad arrivare notizie di uccisioni di cristiani. Le ultime pochi giorni fa a Baghdad, Kirkuk e Mosul. Speriamo - conclude Moussalli - che il Papa nella sua prossima visita in Giordania, Israele e Palestina levi la sua voce per fermare questa emorragia di cristiani".
Siria. È la Liturgia delle Ore a dettare i tempi delle celebrazioni pasquali nelle Chiesa greco-melchita ed in quella siro-cattolica, dove, tuttavia, non mancano le tradizionali messe come quella in Coena Domini e riti come la lavanda dei piedi. "Nella cattedrale patriarcale a Damasco abbiamo uffici e messa vespertina fino al Triduo Pasquale - dichiarano dalla segreteria del patriarca greco melkita, Gregorio III Laham - quando gli uffici di preghiera vengono celebrati mattina, pomeriggio e sera, con una ampia partecipazione di fedeli (si calcola che i greco melkiti nell'eparchia di Damasco siano circa 200 mila, ndr.). Il Giovedì Santo a sera si recitano i 12 Vangeli della Passione, il venerdì mattina l'ufficiatura della sepoltura di Cristo, con la discesa dalla Croce cui segue una processione con l'epitaffios, l'immagine del Cristo morto. Sabato Santo mattina si recitano i vespri, con un'officiatura speciale della Chiesa melkita, che è la benedizione della luce, poi l'Eucarestia. Non celebriamo la sera del sabato la veglia pasquale ma l'ufficio della notte e la liturgia alle cinque del mattino della Domenica di Pasqua". La Settimana Santa per la comunità siro cattolica (circa 30 mila fedeli compresi anche i rifugiati iracheni), si è aperta con la processione della Domenica delle Palme, cui è seguita la sera la rappresentazione della parabola delle "vergini stolte e le vergini sagge", spiega l'arcivescovo siro cattolico, mons. Elias Tabe. "Proseguiremo poi con i riti del Triduo Pasquale fino alla Pasqua che da qualche anno celebriamo con i nostri fratelli rifugiati iracheni in Siria. Celebrare con loro è segno di speranza e di unità con l'auspicio che possano tornare alle loro case una volta che si sarà ristabilita, per loro e per tutto il popolo iracheno, giustizia, diritto e sicurezza".
Egitto. "Per una felice combinazione di date del calendario gregoriano e giuliano quest'anno celebriamo la Pasqua con i copti ortodossi il 19 aprile", dice il vescovo del Cairo dei caldei, mons. Giuseppe Sarraf, che tra i riti più seguiti illustra la discesa dalla Croce, il Venerdì Santo, in cui Cristo viene schiodato dalla Croce, lavato e deposto nella bara, e portato in processione. "Riti molto sentiti ai quali partecipano anche gli ortodossi che fanno anche digiuno dalla mezzanotte". "Emozionante anche la lettura del Passio il Venerdì Santo, gradualmente si spengono le luci della Chiesa con il solo Crocifisso illuminato. Quando Gesù rimette lo spirito tutto è buio e con tamburi ed altri strumenti si creano gli effetti della pioggia e del terremoto". Nel giorno di Pasqua i cristiani sono dispensati dal lavoro. Il giorno di pasquetta, invece, si ferma tutto l'Egitto, in quanto è festa nazionale che richiama alla festa della primavera dei faraoni.
Libano. "Non ci sono particolari riti tra i fedeli cattolici latini libanesi - spiega il loro vicario apostolico mons. Paul Dahdah - il dato che emerge è la grande partecipazione e voglia di pregare. Domenica delle Palme abbiamo celebrato due volte, in arabo e in francese per dare modo a tutti di partecipare. C'era una chiesa straripante di fedeli; dove si sente la fede si sente anche il bisogno psicologico di sfogarsi del clima abbastanza teso che si respira in Libano, e non solo, in questo periodo". La Settimana Santa e la Pasqua possono servire dunque anche a svelenire il clima politico: "Abbiamo angoscia e paura, in vista delle elezioni, i politici si insultano a vicenda creando un clima di tensione tra la popolazione. Il timore è che da questa violenza verbale, peraltro condannata anche da tutti i vescovi libanesi, possa scaturire quella fisica con gravi conseguenze sul piano sociale".
Gerusalemme. "Le celebrazioni pasquali a Gerusalemme hanno un sapore tutto particolare poiché si tengono nei luoghi dove sono avvenute duemila anni fa. Tutti i riti pasquali ruoteranno intorno al Santo Sepolcro dove vige lo Statu quo, ovvero quel regolamento antico che rende la Settimana Santa un po' diversa, vale a dire che le liturgie sono nei tempi previsti dal rito di san Pio V e non corrispondono a quelle della riforma conciliare". Nelle parole del custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, tutta la peculiarità della Pasqua vissuta a Gerusalemme. "Per fare un esempio - spiega il francescano - il Giovedì Santo, la Messa in coena Domini e quella crismale si celebrano insieme al mattino, la veglia pasquale si tiene il sabato mattina e non la notte". La Settimana Santa ha, poi, una liturgia "itinerante, passa dal Cenacolo al Sepolcro, dal Getsemani al Cenacolo e viceversa. Dovendo tenere le liturgie nei luoghi originali dobbiamo muoverci e così facendo anche la città di Gerusalemme segue il ritmo delle celebrazioni. Ogni spostamento è fatto in processione, con la scorta della polizia, cui partecipano i fedeli locali ed i pellegrini". La partecipazione dei cristiani locali, in gran parte palestinese abitante nei Territori, aggiunge Pizzaballa, "è stata resa possibile dal rilascio da parte di Israele di un permesso della durata di 4 settimane e non di due, come di solito accade per le grandi festività come Natale e Pasqua. In questo modo i fedeli delle nostre comunità locali possono partecipare sia alle celebrazioni pasquali che a quelle della visita del Papa in maggio. La Pasqua segna in qualche maniera anche l'apertura ufficiale della preparazione a questo atteso viaggio apostolico di Benedetto XVI".
Gaza. Grande partecipazione anche a Gaza per questa Pasqua, la prima dopo la guerra. "Preghiamo anche perché siamo in difficoltà - sottolinea il parroco latino della Striscia, padre Manuel Musallam, Domenica delle Palme c'erano tanti giovani e si sono confessati. In questa Settimana Santa benediremo delle croci da noi stessi fabbricate e le doneremo alle famiglie perché le portino a casa. Con noi sarà il patriarca emerito di Gerusalemme, Michel Sabbah, che guiderà il Triduo Pasquale. È una grande benedizione per la Chiesa in Gaza. Dalla domenica di Pasqua cominceremo a benedire le case e a pregare con le famiglie. Ma Pasqua è anche la festa della parrocchia: mangeremo tutti insieme e abbiamo invitato anche una delegazione di nostri fratelli musulmani".

8 aprile 2009

L’arrivo della statua di San Pio da Pietralcina a Baghdad anticipa i riti della Settimana Santa

By Baghdadhope

Anni fa Monsignor Shleimun Warduni, patriarca vicario caldeo, in cura presso l'Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, chiese a Padre Pio la grazia per la sua guarigione e soprattutto quella per la pace in Iraq, il suo paese, martoriato da decenni di dittatura, sanzioni e guerre.
In quell’occasione espresse il desiderio che una statua di Padre Pio potesse raggiungere l’Iraq per diffondere tra la popolazione cristiana del luogo la conoscenza del Santo, della sua opera e della sua missione.
La richiesta, come ha raccontato lo stesso Mons. Warduni a Baghdadhope, suscitò l’entusiasmo di tutti, e tra questi quello dell’Arcivescovo di Manfredonia, Vieste e San Giovanni Rotondo, Mons. Domenico Umberto D’ambrosio e del Guardiano del Convento dei Frati Minori Cappuccini di Santa Maria delle Grazie, Frate Carlo Maria Laborde, che subito si attivarono per soddisfarla.
Fu così che una bellissima statua di San Pio partì dall’Italia alla volta di Amman, prima tappa del viaggio verso Baghdad.
Ad Amman la statua rimase per due anni custodita presso la Nunziatura Apostolica. La pericolosa situazione in Iraq rendeva problematico il suo trasferimento. Con il migliorare delle condizioni di sicurezza però la situazione si sbloccò. Da Amman la statua venne trasferita ad Erbil, nella provincia settentrionale irachena del Kurdistan e da lì, finalmente, a Baghdad, dove è arrivata lo scorso 28 marzo.
“E’ stata una bellissima cerimonia” ha dichiarato Mons. Warduni, “alla fine di questo lungo viaggio la chiesa della Vergine Maria ospiterà la statua e noi siamo grati a tutti quelli che hanno reso possibile questo sogno.”
“La statua”
ha precisato Mons. Warduni, “ha per ora una sede provvisoria nel cortile ma quando i lavori di ristrutturazione della chiesa saranno terminati sarà trasferita nella sua sede definitiva.”
Monsignore, quanto è diffuso il culto di San Pio da Pietralcina in Iraq?
“Poco, per ora” ha risposto con ottimismo il vescovo.
Vuol dire che farete di tutto per diffondere le notizie sulla sua vita e le sue opere? E come?
“Qualche fedele ha già letto qualcosa sulla vita del Santo ma faremo di più. Faremo stampare un foglio da distribuire ai fedeli che contenga i punti principali della vita e delle opere di San Pio, quando la statua sarà posta nella sua collocazione definitiva le sarà affiancata una targa che ricordi le tappe più importanti della sua vita, e coltivo il sogno di poter stampare anche un libretto che più approfonditamente spieghi ai nostri fedeli la grandezza del Santo.”
La gioia per l’arrivo della statua di San Pio ha anticipato la Settimana Santa. Le notizie dei media parlano di un’atmosfera completamente diversa da quella degli anni passati, anche solo rispetto alla scorso anno. Lo può confermare?
“Certo, la Domenica delle Palme le chiese erano piene e le celebrazioni sono durate più a lungo grazie alla maggiore sicurezza. I fedeli hanno voglia di celebrare il Signore, hanno voglia di ritrovarsi a pregare. In qualche chiesa forse sarà possibile anche qualche celebrazione nel tardo pomeriggio, una cosa impensabile prima.”
Tutte le chiese di Baghdad saranno aperte per Pasqua?
“No, purtroppo non tutte. In alcuni quartieri la situazione è ancora difficile ma speriamo, con l’aiuto del Signore, di tornare alla normalità. Che tutto il paese torni alla normalità e che tutte le chiese possano riaprirsi ed accogliere i fedeli. Stiamo lavorando perchè questa speranza diventi realtà. Nel quartiere di Mekanic, nella parte sud di Baghdad, ad esempio, è finito il restauro della chiesa dei Santi Pietro e Paolo.”
La chiesa che gli americani si erano impegnati a
restaurare insieme a quella di San Giacomo, al Babel College ed al Seminario Maggiore?
“Proprio quella anche se, devo dire, il contributo americano al suo restauro è stato minimo.”
Un’altra bella notizia quindi, eppure in questi giorni le
uccisioni di alcuni cristiani a Kirkuk, Baghdad e Mosul hanno fatto pensare ad una recrudescenza della violenza nei confronti della minoranza cristiana..
“L’Iraq è un paese ferito dove le autobomba continuano ad uccidere. I germi del maligno non sono ancora morti. In occasione della Santa Pasqua rivolgeremo al Signore le nostre preghiere perchè ci porti la pace, perchè l’Iraq possa tornare ad essere un paese normale dove regni l’armonia tra tutti. E non dimenticheremo di pregare per i defunti ed i sopravvissuti al terremoto in Italia. Sono molti gli iracheni, e molti i cristiani, che con l’Italia hanno un rapporto speciale e che seguono le notizie di quel terribile evento sui media. Pregheremo per voi come sappiamo voi italiani fate per noi da molto tempo.”