"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 luglio 2011

Kirkuk: donne cristiane e musulmane unite contro la violenza

By Asia News
di Joseph Mahmoud

L’Unione libera delle donne (cristiane) di Bethnahrain (Mesopotamia) a Kirkuk, nord dell’Iraq, ha tenuto oggi, nella grande aula della cattedrale caldea, una conferenza incentrata sulla “violenza contro le donne”.
All’evento hanno partecipato più di 100 donne cristiane e musulmane, insieme a personalità del governo e della società civile. In previsione dell’evento, l’Unione aveva promosso un’inchiesta su mille donne nella città di Kirkuk per capire l’incidenza di fenomeni di violenza subiti in passato. La grande maggioranza delle interpellate (l’88% del totale) hanno affermato di aver subito una forma – più o meno grave – di violenza ed emerge inoltre che la tenenza è di una continua crescita.
All’evento organizzato dal movimento femminile ha preso parte anche l’arcivescovo di Kirkuk, mons. Louis Sako, il quale ha illustrato il punto di vista cristiano nei riguardi della donna.
“Il cristianesimo – ha sottolineato il prelato – non crede mai che le donne siano inferiori agli uomini o siano un elemento di importanza secondaria”. "Nella gerarchia, secondo il concetto teologico di creazione, ha pari importanza in quanto a valore umano e capacità”.
Mons. Sako ha ricordato la Bibbia, dove è scritto che Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza” (Gen 1-27). Uomini e donne furono creati ad immagine di Dio, continua l’arcivescovo di Kirkuk, e lo stesso concetto è ripreso nel Nuovo Testamento, dove “la nuova creazione continua di gloria in gloria” (1 Corinzi 11-11). Pur potendo creare esseri superiori o inferiori, nella visione cristiana Dio ha creato il genere umano – maschio e femmina – e lo ha dotato di “pari valore e pari dignità in tutto. Sono partner complementari nella creazione e nella salvezza operata da Cristo… Uno ha bisogno dell’altro, si completano e si influenzano a vicenda”. Nel Vangelo non si fa alcuna differenza fra uomo e donna, ha poi spiegato mons. Sako, perché entrambi derivano “dall’essenza di Dio Padre”. In Dio non c'è distinzione di sesso, né a favore delle donne, tantomeno a beneficio dell’uomo. Pertanto la presunta inferiorità delle donne “non viene da Dio Creatore” e anche Cristo con Maria Maddalena, con la Samaritana e con l’adultera ha tenuto un sentimento di compassione, arrivando a esclamare “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra” (Giovanni 8: 3-6). Gesù Cristo ha trattato le donne come “un essere umano capace di amare, capire, lavorare e pensare, collaborare e condividere e comunicare. Il suo rapporto – esclama l’arcivescovo – è un esempio per tutti noi”.
Nel suo intervento, il prelato ha ricordato infine papa Giovanni Paolo II che – nell’Esortazione Apostolica “Una nuova speranza per il Libano” del 1997 – afferma chiaramente che le donne meritano un’attenzione particolare per assicurare loro il rispetto dei diritti in vari settori della vita sociale e nazionale e che la Chiesa, nella dottrina antropologica ed educativa, sottolinea la parità di diritti tra uomini e donne, poiché “tale parità viene in quanto ogni essere umano è creato a immagine di Dio” (76-77). Dunque alla luce della visione cristiana, le donne devono godere di pari diritti nella vita politica, sociale, economica e nell’istruzione: devono, ribadisce il prelato, avere “uguale dignità senza discriminazioni” e punta il dito contro “un errato sistema patriarcale e l’ottusità di usi e costumi nella società”, che sono all’origine dei fenomeni di violenza contro le donne, perché le classifica come “esseri inferiori” e ne radicalizza la discriminazione e le vessazioni.
A conclusione del convegno sono stati elencati alcuni punti fondamentali per valorizzare l’opera della donna. Tra questi la formazione della personalità della donna, sia dall’interno per le convinzioni personali e nella fiducia in se stessa. Va inoltre respinto ogni tipo di discriminazione e lottare per la giustizia, la pace e l’unità della creazione. Questo richiede un apprendimento continuo grazie alla lettura, allo studio e all’analisi, con convinzione e non per cieca obbedienza. Infine la presenza attiva della donna, che deve avere un ruolo decisionale e a livello di fede, tanto nelle chiese quanto nelle moschee, favorire il rispetto del piano divino e condannare ogni tipo di violenza.

Christian and Muslim women of Kirkuk unite against violence

By Asia News
by Joseph Mahmoud

The Free Union of Women (Christian) of Bethnahrain (Mesopotamia) in Kirkuk, northern Iraq, today held a conference focusing on "violence against women" in the great hall of the Chaldean cathedral.
The event was attended by more than 100 Christian and Muslim women, along with personalities from the government and civil society. Ahead of the event, the Union carried out a survey on a thousand women in the city of Kirkuk to understand the incidence of phenomena of violence suffered in the past.
The vast majority of respondents (88% of the total) said they had suffered some form - more or less serious - of violence and the tendency of continuous growth clearly emerged. The event organized by the women's movement was also attended by the archbishop of Kirkuk, Msgr. Louis Sako, who presented the Christian point of view regarding women.
"Christianity - said the prelate - never believes that women are inferior to men or have an element of secondary importance." "In the hierarchy, according to the theological concept of creation, women have an equal importance in terms of human value and capability." Archbishop Sako mentioned the Bible, where it is written that God created man in His own image and likeness "(Gen 1 - 27). Men and women were created in the image of God, continued the archbishop of Kirkuk, and the same concept is echoed in the New Testament, where "the new creation of glory to glory continues " (1 Corinthians 11-11). Although able to create higher or lower beings, in the Christian vision, God created humankind - male and female - and they have "equal value and equal dignity in all. They are complementary partners in creation and salvation brought by Christ ... One needs the other, they complement and influence each other"
In the Gospel no difference is made between men and women, explained Msgr. Sako, because both are derived "from the essence of God the Father." In God there is no distinction of sex, nor in favour of women, nor for the benefit of man. Therefore, the alleged inferiority of women "is not from God the Creator" and also Christ with Mary Magdalene, the Samaritan woman and the adulteress had a sense of compassion, to the point of exclaiming, "Who among you is without sin cast the first stone" (John 8: 3-6). Jesus Christ treated women as "a human being capable of love, understanding, working and thinking, of collaborating, sharing and communicating. His relationship - says the archbishop - is an example for us all. "
In his intervention, the prelate recalled Pope John Paul II, who - in the Apostolic Exhortation "A New Hope for Lebanon" in 1997 - clearly states that women deserve special attention to ensure their rights in various sectors of social and national life and that the Church, in its anthropological doctrine and education, stresses the equality of rights between men and women, because "such equality is because every human being is created in the image of God" (76-77). Thus in light of the Christian vision, women should enjoy equal rights in political, social, economic and educational spheres: they must, reaffirms the prelate, have "equal dignity without discrimination" and he points the finger at "a patriarchal system and erroneous obtuseness of customs and traditions in society", giving rise to the phenomena of violence against women, because it classifies them as" inferior "and intensifies discrimination and harassment.
At the conclusion of the conference some key points to enhance the work of women were listed. These include the formation of the personality of the woman, both from within and to enhance self- belief and self-confidence. All kind of discrimination must be rejected and the campaign for justice, peace and unity of creation embraced. This requires continuous learning through reading, study and analysis, with conviction and not blind obedience. Finally, the active presence of women, who must have a decision making role at the level of faith, both in the churches and mosques, to promote respect for the divine plan and condemn all violence.

28 luglio 2011

Joy in the Midst of Terror

By Christianity Today, July 28, 2011

Nicknamed the "Vicar of Baghdad," the Reverend Canon Andrew White oversees one of the most dangerous parishes on earth. During Easter weekend of 2010, he secretly baptized 13 adults, most of whom were dead within a week. Despite frequent kidnappings and killings in his church, White gives thanks for St. George's, the only Anglican congregation in Iraq.
First Things online editor Joe Carter recently spoke with White, author of
Faith Under Fire: What the Middle East Conflict Has Taught Me about God (Monarch), about the persecution of Iraqi Christians, the struggle of ministering in a war zone, and the lessons learned from suffering from multiple sclerosis.
You have concerns that most pastors can't begin to fathom. How does working under such extraordinary conditions affect ordinary ministry?
So many of our brothers and sisters here in Baghdad have been killed, kidnapped, or tortured even in the last few months. Members of my staff have also been killed. Just this morning, I was trying to sort out post-hospital care for our former chief of security, who recently had a leg blown off.
We cope because the Lord is always with us. When you are where the Lord wants you to be, he always enables you to cope. Look at Daniel. He had not planned to come into exile in Babylon under Nebuchadnezzar. God still provided him with all that he required. He had not intended to be an interpreter of dreams, but God gave him the knowledge to do all that he needed and enabled him to serve with joy.
In the same way, I had no intention of coming to Iraq. But God brought me here 13 years ago, and now there is nowhere in the world I would rather be. Even in the midst of terror and persecution, we have the joy of the Lord.
Your book describes a climate of persecution reminiscent of the first-century church. Yet you say that St. George's is the happiest and most loving church you've ever served.
I wrote about the persecution of our people, a persecution that is far worse than anything we read about in the Bible. A few months ago, 58 people were gunned down and killed during worship at the Syrian Catholic church just down the road from ours. What followed were several weeks of Christians being killed, including our own staff and church members. Despite these atrocities, we are such a happy church. When you have lost everything, you realize that Yesua (as we call Jesus) is all that you have left.
How has suffering from multiple sclerosis affected your work?
When God wants you to do something, he will provide you with all you need to do it. As he provided for Daniel, so he has provided everything for me. Having multiple sclerosis played a part in getting me to Baghdad. And it also has much to do with the fact that I have never feared for my own life.
In Iraq, churches provide food, health care, and education to members. How does that change the dynamic within the congregation and the broader community?
Our people have four main material needs: health care, food, education, and living accommodations. We have a clinic, a pharmacy, and a laboratory. If they need surgery, we pay for care at a private Christian hospital.
Everyone is given a bag of groceries after services on Sunday. We have almost finished building a large Christian school on our compound. And when people cannot afford their rent, we help them pay it. We have no reserves, but we manage to always provide these needs each month. We can do this only with the help of the Almighty and his people.
We provide for our neighbors because that is the work of our Lord. Everyone who receives help sees the love of the church, and thus the love of God. Many non-Christians come to our church, but they know that our Lord loves them.
As pastor, much of my work revolves around peacemaking and reconciliation. Yet it is mostly the provision of people's basic needs that draws them to us and changes them from people of war to people of peace.

26 luglio 2011

Parlamento Italiano. Scheda: Tutela rappresentanze cristiane nel mondo

By AgenParl

L'attenzione del Parlamento per il tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane si è concretizzata nell'approvazione a larghissima maggioranza (12 gennaio 2011) di una risoluzione concernente iniziative volte a far cessare le persecuzioni nei confronti dei cristiani nel mondo. La risoluzione n. 6-00052 - presentata dall'on. Mazzocchi ed altri (seduta del 12 gennaio 2011) richiama preliminarmente il messaggio del pontefice Benedetto XVI del 1° gennaio 2011, "Libertà religiosa via per la pace", nel quale si denuncia la grave mancanza di libertà religiosa che affligge numerosi esseri umani tra i quali cristiani in molti paesi; il messaggio, inoltre, evidenzia che il termine «cristianofobia» è quello che descrive più compiutamente questo fenomeno di portata universale e come tale è stato adottato dall'ONU sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007.
La risoluzione impegna il Governo a far valere con ogni forma di legittima pressione diplomatica ed economica il diritto alla libertà religiosa, in particolare dei cristiani e di altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa per legge o per prassi sia direttamente dalle autorità di governo sia attraverso un tacito assenso e l'impunità dei violenti; a far valere nelle relazioni diplomatiche ed economiche, bilaterali o multilaterali, la necessità di un effettivo impegno degli Stati per tolleranza e libertà religiosa, fino al diritto sancito alla «libertà di cambiare religione o credo»; a tener conto del rispetto dei diritti umani nei paesi con cui ci sono scambi economici, in coerenza e in applicazione degli articoli 8 e 19 della nostra Costituzione; a richiedere in ambito internazionale di concerto con i partner dell'Unione europea la rimozione delle limitazioni dei diritti umani, ed in particolare della libertà religiosa, in quei paesi dove vige la sharia; a proseguire nell'impegno perché la risoluzione sulla libertà religiosa sia effettivamente implementata negli Stati dell'ONU e ad istituire un «Osservatorio sulla condizione dei cristiani nel mondo» per monitorare e valutare l'applicazione di tali impegni.
La centralità del tema delle persecuzioni anticristiane è stata più di recente confermata in occasione della missione compiuta alla fine di marzo 2011 da una delegazione di parlamentari italiani a Baghdad, scenario, nell'ottobre 2010, di un gravissimo attentato anticristiano; dall'incontro con i vertici del parlamento nazionale iracheno sono derivate iniziative miranti a rafforzare la collaborazione tra le istituzioni dei due paesi nella tutela delle minoranze cristiane.

Il tema delle persecuzione delle minoranze cristiane è all'attenzione del Parlamento sin dalle prime fasi della legislatura. Nella seduta del 23 ottobre 2008 la Camera ha svolto l'interpellanza urgente 2-00151 dell'on. Di Virgilio ed altri in tema di iniziative in relazione ai ripetuti episodi di violenza e persecuzione nei confronti dei cristiani nel mondo. Nella seduta del il 10 novembre 2008 l'Assemblea ha adottato la mozione n. 1-00058, d’iniziativa dell’on. Evangelisti ed altri, riguardante le sistematiche persecuzioni anticristiane nello Stato indiano dell’Orissa, che impegna il Governo a “porre in essere azioni adeguate volte a contrastare la persecuzione delle comunità cristiane e di qualsiasi altra rappresentanza religiosa in India, in Iraq e in ogni altro Paese nel quale si verifichino atti di intolleranza”; nella medesima seduta sono state approvate le mozioni 1-00037 dell'on. Volontè ed altri e 1-00052 dell'on. Bertolini ed altri, nonché la risoluzione 6-00010 degli onn. Cota e Gibelli, che impegnano il Governo ad intraprendere, in sede sia bilaterale sia multilaterale, iniziative volte alla protezione delle comunità cristiane del distretto indiano di Kandhamal, fatte oggetto di gravi e ingiustificate violenze. Il 20 novembre 2008 l'Assemblea ha discusso l'interpellanza urgente 2-00197 a prima firma dell'on. Renato Farina incentrata sulla violenza subita di cristiani in Iraq.
In Assemblea è stata svolta altresì l’interrogazione a risposta immediata n. 3-00393, a firma dell’on. Piffari (discussa il 18 febbraio 2009), riguardante l’adozione di concreti provvedimenti per garantire un concreto ed un adeguato contrasto delle persecuzioni religiose nei confronti delle minoranze cristiane nel mondo, nonché l’interrogazione a risposta immediata n. 3-00834, dell’onorevole Vietti, (seduta del 13 gennaio 2010) incentrata sulle violenze nei confronti di comunità cristiane di Iraq, Pakistan, India, Nigeria, Vietnam, Filippine, Malaysia ed Egitto. Dal dibattito è emerso l’auspicio di un ulteriore rafforzamento dell’azione già condotta dal governo italiano presso i partner internazionali, in ambito europeo come in ambito Onu. Le ripetute violenze subìte dalla comunità cristiana della città di Mossul, in Iraq, sono invece state al centro dell’interpellanza n. 2-00630 dell’onorevole Castagnetti discussa dall’Assemblea della Camera il 4 maggio 2010. Nella seduta del 27 gennaio 2011 l'Assemblea ha svolto l'interpellanza urgente n. 2-00938 a prima firma dell'onorevole Renato Farina in merito ai casi di Sakineh Mohammadi Ashtiani e Asia Bibi e nei confronti del Governo del Pakistan in relazione alla legge sulla blasfemia. Un'ulteriore interpellanza urgente dell' on. Renato Farina ed altri (2-01048) in tema di iniziative per la salvaguardia della vita di Asia Bibi, è stata svolta dall'Assemblea nella seduta del 14 aprile 2011.
Quanto alle attività della Commissione Affari esteri sul tema, si rammenta la discussione dell'interrogazione
5-00281 d'iniziativa dell'on. Migliori sulla tutela delle comunità cristiane e della Chiesa cattolica in Turchia, dell'interrogazione n. 5-02352 dell'on. Leoluca Orlando sulla tutela della comunità cristiana residente nella provincia del Nord Kivu della Repubblica democratica del Congo (seduta del 20 gennaio 2010) e, il 25 novembre 2010, dell'interrogazione degli onn. Polledri e Pini n. 5-03573 vertente anche su soprusi e violenze ai danni delle minoranze cristiane del Pakistan, non sempre raggiunte dagli interventi umanitari e di soccorso successivi all’alluvione che all’inizio di agosto 2010 ha colpito il paese. Nella seduta del 22 giugno 2011 la Commissione ha svolto l'interrogazione 5-04890 d'iniziativa dell'on. Farina sul rapimento di una studentessa pakistana di religione cristiana.
Anche in diverse audizioni svolte nell'ambito della indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti umani sono emerse in evidenza problematiche connesse al tema delle persecuzioni delle minoranze cristiane; si tratta, in particolare, delle sedute del 16 giugno 2009, del 19 novembre 2009, del 26 maggio 2010, del 28 ottobre 2010 e del 19 gennaio 2011 .

25 luglio 2011

Homily for July 24, 2011: 17th Sunday in Ordinary Time

By The Deacon's Bench July 23, 2011
by Deacon Greg Kandra

The gospel we just heard has some surprising comparisons to the Kingdom of God – a kingdom that isn’t measured in acres, or miles, or limited by any kind of geography we might imagine. It is a kingdom, in fact, whose size could be small enough to hold in your hand, or bury in a field.
What matters isn’t its size. What matters is its worth.
The gospel assures us: it is a rare treasure, as precious as a pearl.
It can be hard to imagine God’s kingdom being like that.
But every now and then, someone comes into your life and makes it so abundantly clear.

This past week, I met such a person: a small, sturdy nun named Sister Maria Hanna. She is with the Dominican Sisters of St. Catherine of Siena. She’s a vibrant, elderly woman with a firm handshake and a radiant smile and one simple mission: to protect that pearl of great price, and to share it with others.
What she is doing isn’t that surprising.
What’s surprising is where she is doing it.
She is doing it in the village of Kerakush, in northern Iraq.
Sister Maria is here in the United States for a few weeks trying to raise awareness about the plight of Christians in Iraq. Her travels have taken her to Congress, the State Department and the White House. Last week, she came to New York and the offices of the papal nuncio, where I had the privilege of meeting her and several of her sisters.
Hers is a story you won’t hear on the Nightly News, or read in the New York Times. But it is one more people need to hear. It is a story of a great love, a love for that “pearl of great price,” and how these courageous sisters express that love.
To begin with, they survive.
As one of the sisters told me, “We don’t think of ourselves as victims. We consider ourselves survivors.”
They survive in a village where 80% of the people are Muslim. They care the sick and the suffering, no matter what their religion.
They have lived for years with the nightmare of war, and the terror of persecution, and yet their first concern is for others.
Before the fighting began, in 2003, the sisters went door-to-door collecting food, which they stored and then gave away to anyone who came to their convent looking for help. After the war began, they offered refuge in village churches, no questions asked. People came from all over the country, knowing the northern villages were safer.
Christians and Muslims slept together as bombs pounded nearby Mosul. As one of the sisters explained: “Christian and Muslim families would share the same space. Everyone would pray together.”
Prayer sustains them. Faith sustains them. They are working to pass it on, teaching and catechizing young Catholics in a place where being Christian can sometimes seem to be a death sentence.
Christians in Iraq trace their roots all the way back to the apostle who evangelized the region, St. Thomas — the famous doubter who only believed after he saw Christ’s wounds. To this day, it seems, the Iraqi Christians dwell within those wounds.
Many are fleeing to safer places, like Jordan. But others, like these sisters, hold fast.
They are not victims. They are survivors.
One of the sisters told me that every mass in her village is packed with people. Even after the devastating attack on Our Lady of Salvation Cathedral in Baghdad last year, the people feel closer to God, closer to one another, closer to that “pearl of great price.”
In the first reading, we heard how Solomon asked the Lord for only one thing, an understanding heart. A heart that can discern right from wrong, and that can also share in people’s joys and sorrows.
The sisters also pray to God for such a heart. They pray for compassion. For the kind of love that Christ offered to the world from the cross.
I asked Sister Maria: how is their morale?
“They have hard times,” she said. “Some days are better than others.”
One of the sisters told me how difficult it can be to walk with people on their journey; the sisters share in the people’s pain and in the psychological trauma of war, and many of them know that trauma first hand themselves. The sisters all know family and friends who have been casualties of the war. Fear is a constant companion. As the nuncio explained: just traveling to the Baghdad airport for this visit meant that Sister Maria had to take her life in her hands.
But she and so many others are willing to do that for one simple reason. They need to share the love of Jesus. They believe so deeply in the work, in the mission, in the kingdom – that “pearl of great price.”
To spend a few minutes with these sisters, to hear their stories, to see what they are doing in a hellish corner of the world is to be humbled.
And it is to be challenged to look at our own lives, and our own sense of faith, very differently.

This Sunday, and every Sunday, hundreds of Catholics crowd into small churches in dusty and dangerous corners of Iraq for the privilege, the opportunity, to hear God’s word and to receive Christ in the Eucharist. They do it at great risk, because they know they have among them that treasure, that pearl.
And the Dominican Sisters of St. Catherine are there, by their sides, no matter what.
They deliver their babies and nurse their wounds and calm their fears and feed their hungry – and they do this not only for the Christians, but also for the Muslims and non-believers.
They do it with the understanding heart of Solomon, and the loving heart of Christ. I think they have something to teach us all.
Pray for them. Remember them. Ask God to keep them close to His heart.
If you want to know what the gospel is all about – what that “pearl of great price” really means – look no further.
They are living it, every day.

Religion. Ragheed's story

By Wanted in Rome Juky 25, 2011
by Andy Devane
A mosaic image of former Irish College resident Ragheed Ganni adorns the building’s chapel. Photo by Wanted in Rome

On a warm evening in early June, a procession filed quietly into the Basilica di S. Bartolomeo on Rome’s Tiber Island. Comprising Iraqi, Italian, Irish and other nationalities, the group had walked from the Pontifical Irish College in the city’s S. Giovanni district. With them they carried a relic of Fr Ragheed Aziz Ganni, a Chaldean Catholic priest who was killed in 2007 in his home city of Mosul in northern Iraq.
In 2000 the basilica on the island was desig­nated by Pope John Paul II as the place to preserve the memory of witnesses of the Christian faith from the 20th century and the new millennium, and he entrusted this to the community of S. Egidio, a lay order formed in 1968 and based in Trastevere.
Amid incense and Chaldean chants, the serene sight of Ganni’s elderly parents moving solemnly down the aisle with their son’s priestly stole was in stark contrast to the violent events of four years earlier.
On 3 June 2007, after celebrating mass in his parish, Ganni was murdered with three sub­deacons outside the Church of the Holy Spirit in the centre of Mosul. The deacons, one of whom was his cousin, had taken to travelling everywhere with the 35-year-old priest in an attempt to protect him from frequent death threats and intimidation by armed gangs.
Seven months after Ganni’s death, the man he had served as secretary, Archbishop Paulos Faraj Rahho, was also murdered. It was Rahho’s successor, the incumbent archbishop of Mosul Emil Shimoun Nona, who presided over the ceremony in Rome, some 2,700 km from the scene of Ganni’s death.
The following day in the Irish College’s newly-reordered Chapel of All the Saints of Ireland, the archbishop recalled Ganni as a uomo coraggioso. The chapel contains the work of Marko Rupnik SJ, the Rome-based Slovenian Jesuit artist whose dynamic mosaics adorn many important churches, including Pope Benedict’s Redemptoris Mater chapel. Next to Ireland’s St Brigid in the apse of the Irish College chapel is a mosaic image of Ganni, the palm of martyrdom in his hand.
Chaldean Catholics constitute the largest Christian community in Iraq and have been in communion with the Holy See since the 16th century, after parting from the Church of the East.
In 1996 the young engineering graduate Ganni arrived in Rome as a seminarian and began studying ecumenical theology at the Angelicum University. Over the next seven years his home was the Pontifical Irish College. This mutually happy association soon extended beyond the college gates and back to Ireland itself. Unable to return to his native city on the banks of the river Tigris, Ganni spent his summers working on an island of pilgrimage on a remote lake in the northwest county of Donegal.
Because of this he became known to a great many Irish people, not least the country’s first citizen.
Speaking at a conference titled Religious Freedom East & West in Rome’s Irish College on the fourth anniversary of Ganni’s death, Irish president Mary McAleese recalled: “I met him first many years ago in the unlikely environs of Lough Derg, where I was not really expecting to meet up with a Catholic priest from Iraq. He enjoyed being the source of such a surprise. We wrote to each other and met up again here in the Irish College before he returned home to Iraq.” Incidentally, it was in the Irish College that news of his death was to reach the president.
Ordained in 2001, Ganni continued his studies in Rome before his return to Mosul two years later.
The situation he found was bleak – relentless attacks, bombings and kidnappings of priests – but he refused to let it deter him from ministering to his people. The Irish College’s director of formation Fr Billy Swan remembers Ganni’s last visit to Rome in November 2006: “He never spoke of how the situation affected him in terms of himself: it was about ‘we’ and ‘us’ – the Christian community in Iraq.”
Throughout Ganni’s time in Rome he volun­teered regularly with the S. Egidio community, deliv­ering meals to the homeless in the area around Colle Oppio, where he met many of his displaced countrymen.
Amid increasing persecution of Christians internationally, particularly in north Africa and the Middle East, Christians con­tinue to flee Ganni’s home city each day, sometimes in their hundreds. Prior to 2003 there were thought to be between 800,000 and 1.4 million Christians in Iraq; the archbishop of Mosul estimates their current number could be as low as 300,000, describing the situation an “unending Via Crucis.”
As the uncertain after effects of the so-called Spring Revolution continue to sweep across the Arab world, many commentators have expressed concerns that sectarian violence could escalate.
The United States Commission on International Religious Freedom (USCIRF), an independent bipartisan federal body, recently published its annual report which lists “countries of particular concern” over their system­atic and serious violation of religious freedom. They are Burma, China, Egypt, Eritrea, Iran, Iraq, Nigeria, North Korea, Pakistan, Saudi Arabia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan and Vietnam. Egypt was a new addition, with the commission citing violence toward religious minorities such as Coptic Christians.
Among its recommendations to the Iraqi government, the USCIRF said it should make available greater security to religious minorities, take prompt action in investigating reports of human rights abuses resulting from sectar­ian or religiously-motivated violence, and issue new national identification cards that do not list religious or ethnic identity.

Ragheed Aziz Ganni is buried in the town of Karamles, a Chaldean strong­hold near Mosul. Those in Rome who wish to reflect on his life can do so in the Chapel of the Martyrs of Asia, Oceania and the Middle East in the Basilica di S. Bartolomeo or visit the Pontifical Irish College and remember a man whose hope and courage inspired so many and whose legacy stretches from Iraq to Italy to Ireland, and beyond.

Dall’Iraq alla Palestina, riprende vita il Cammino di Abramo

By Avvenire
di Chiara Zappa

Abramo è riconosciuto come il comune patriarca da tre miliardi e mezzo di fedeli al mondo: ebrei, cristiani e musulmani. È lui, l’«Amico di Dio» - al khalil come è definito dalla tradizione islamica -, a unire in una sola eredità spirituale le tre grandi religioni monoteiste. Le diverse civiltà, quindi, oggi possono ritrovare punti di incontro e di dialogo proprio camminando sui passi del padre Abramo. Letteralmente.
È stata questa l’intuizione di William Ury, esperto di diplomazia all’università di Harvard, che qualche anno fa ha immaginato una «Iniziativa di negoziato globale» basata proprio sul progetto di ridare vita al cammino battuto da Abramo quattromila anni fa nelle sue peregrinazioni lungo il Medio Oriente, e di portare la gente comune a ripercorrerlo. Insieme.
Oggi il «Masar al Ibrahim al Khalil» (in arabo «sentiero di Abramo l’amico») è una realtà. Si snoda lungo una rotta di 1.200 chilometri che parte da Ürfa, nel sud-est della Turchia (un tempo Mesopotamia del nord), terra natale di Abramo secondo una delle tradizioni, e arriva fino a Hebron/Al-Khalil, dove il patriarca è sepolto. In mezzo una lunga via che attraversa Siria, Giordania, Israele e territori palestinesi e che, una volta completa, richiederà circa tre mesi di cammino per essere percorsa.
Per ora, già oltre quattromila pellegrini dal 2007 hanno marciato su uno dei tratti di strada ripristinati nei diversi Paesi: in tutto circa 450 chilometri. «Il progetto più ambizioso, che richiederà decenni per essere completato, intende tuttavia includere alla fine anche Iraq, Egitto e Arabia Saudita, per un percorso di quasi 5.000 chilometri, ossia circa un anno di cammino», spiega Joshua N. Weiss, direttore generale della Abraham Path Initiative (Api). Un itinerario che ricorda quello sognato dal beato Giovanni Paolo II per uno dei suoi viaggi mai realizzati.
«Ciò che ci interessa non è l’accuratezza storica della rotta, di cui non esistono prove scientifiche, né la maggior rilevanza di una tradizione religiosa rispetto ad un’altra», chiariscono i membri dell’Api, diventata oggi una Ong globale sostenuta anche dall’Onu. «Noi ci siamo ispirati alle diverse citazioni che nell’Antico Testamento e nel Corano forniscono alcune indicazioni sul viaggio di Abramo e della sua famiglia, così come alle tradizioni locali legate al sentiero, per ricreare un percorso di grande importanza simbolica e di forte impatto culturale, archeologico ed estetico». Obiettivo: portare viaggiatori di tutto il mondo in Medio Oriente, permettendo loro di scoprire questa regione da un punto di vista totalmente inedito, e di incontrare personalmente i popoli che la abitano, camminando fianco a fianco in un percorso di conoscenza e comprensione reciproca.
Il «Masar», concepito secondo i dettami del turismo sostenibile, si è già dimostrato un importante catalizzatore del cambiamento, sociale ed economico. In Palestina, per esempio, il sentiero attraversa i checkpoint e segue il cammino di Abramo nella regione del nord, colpita duramente dal conflitto con Israele. I pellegrini contribuiscono all’economia della zona alloggiando nei villaggi e comperando i prodotti locali, mentre le comunità li coinvolgono in iniziative culturali locali, a cominciare dalle serate a base di musica e danze tradizionali. In Israele, un segmento di via lunga 70 chilometri include siti legati in vario modo al padre Abramo tra cui Be’er Sheva - dove il patriarca visse per 26 anni - e Tel Arad, insediamenti beduini e il villaggio falahin (cioè di agricoltori arabi) di Drijat: ciò significa che comunità di ebrei (tra cui un gruppo di immigrati etiopi), beduini, arabi hanno lavorato insieme per permettere al sentiero di tornare in vita.
Se in Turchia, dove tratti del cammino sono stati ripristinati tra Harran, Suayb e Ürfa, la sfida è motivare sempre più viaggiatori ad avventurarsi in una zona lontana dalle rotte turistiche tradizionali, in Giordania la scommessa è già stata vinta. Il segmento più lungo di sentiero si trova proprio nel regno hashemita, dove ottanta chilometri di quello che qui si chiama «Al Ayoun Trail» sono già stati mappati, mentre un tratto più breve della via, negli altipiani del nord, è stato approvato dalle comunità locali. Proprio la buona collaborazione con gli abitanti ha permesso di sviluppare un sistema di accoglienza particolarmente efficace: le famiglie di tre villaggi che costeggiano il sentiero - circa novemila persone - sono oggi coinvolte nell’ospitalità e nella ristorazione, con un ritorno economico che agevola anche la valorizzazione del patrimonio naturale.
Tra le persone a cui il sentiero ha cambiato la vita c’è Um-Ahmad, madre di sette figli con un marito gravemente malato: le drammatiche condizioni di vita della famiglia, nella regione poverissima di Ajloun, avevano convinto la donna a dare in sposa la figlia quindicenne. Un giorno, però, qualcuno le ha chiesto di preparare del pane tradizionale taboon per una raccolta fondi destinata alla ristrutturazione del cammino di Abramo. È stato allora che Um ha compreso di avere un’occasione: contattate le Ong coinvolte nel progetto, ha cominciato a cucinare per i viaggiatori. Oggi vende prodotti di ceramica e olive del suo giardino, guadagna abbastanza per sostenere la famiglia e, insieme ai suoi figli, incontra quotidianamente tanta gente di diversi Paesi, culture e religioni. I forestieri le hanno permesso di allargare i suoi orizzonti e - anche se forse lei non lo sa - Um ha fatto lo stesso per loro. Nel nome del comune padre Abramo.

Andranno alla Gmg partendo da Kirkuk, 10 giovani francesi e 20 iracheni

By Asia News
di Joseph Mahmoud

Stanno trascorrendo una giornata con le famiglie cristiane di Kirkuk i dieci giovani cattolici francesi che da ieri sono nella città del nord dell’Iraq. L’incontro con le famiglie permetterà loro di approfondire la conoscenza della difficile realtà nella quale vivono i cristiani e della quale hanno avuto una prima rappresentazione dai 20 loro coetanei del luogo con i quali parteciperanno alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid, il mese prossimo.
I dieci francesi, cinque ragazze e cinque ragazzi, sono venuti a Kirkuk per testimoniare vicinanza e solidarietà alle famiglie cristiane. Hanno portato 30 chili di medicine, che distribuiranno nei luoghi ove si recheranno. Dopo Kirkuk, infatti, andranno a Soulaymaniya, Erbil, Piana di Nineve (karakosh) Alkosh , Dohok e Amadiyia.
Per tutti è un momento di forte comunione ecclesiale. Ieri, i giovani francesi hanno partecipato alla messa celebrata dal vescovo, mons. Louis Sako e hanno cantano insieme alla corale.
Dopo la messa i giovani ospiti hanno incontrato i giovani cristiani in una grande sala, durante una cena preparata da loro.
I giovani francesi hanno dato un impulso alla comunità cristiana locale durante la messa quando alcuni hanno dato la loro testimonianza, ma anche hanno scoperta la bellezza della liturgia orientale e il coraggio dei cristiani e il loro impegno per vivere lo fede e il loro amore per loro terra nonostante mille difficoltà.

A group of ten French Catholics to accompany 20 Iraqis from Kirkuk to WYD

By Asia News
by Joseph Mahmoud


The ten young French Catholics who arrived yesterday in the northern Iraqi city of Kirkuk are spending Monday with Christian families. Meeting their hosts will allow them to learn more about the hardships Christians endure, especially the 20 young local Catholics with whom they will participate in World Youth Day in Madrid, next month.

The French group, five women and five men, came to Kirkuk to bear witness and show solidarity to the Christian families. They brought 30 kilograms of medical drugs, which they will give out in the places they will visit. In fact, they are scheduled to travel to Soulaymaniya, Erbil, Karakosh (Nineveh Plains), Alkosh, Dohok and Amadiyia.
It was a moment of great ecclesial communion for everyone. The young French men and women took part in the Mass celebrated by Mgr Louis Sako. They also sang with the church choir.
After the service, the young visitors met local Christians of the same age in a large hall for a meal prepared especially for them.
During Mass, the young French guests gave a boost to the local Christian community when some of them spoke about their own faith experience. Others described instead how they discovered the beauty of the eastern service and the courage shown by local Christians against the backdrop of the difficulties they have to face.

22 luglio 2011

Irak: «Quand je sors du couvent, je ne sais pas si je vais rentrer»

By Aide a l’Eglise en Détresse

Le père Amir Jaje, 42 ans, est le nouveau supérieur des Dominicains de Bagdad, et le vicaire provincial du monde arabe. Il perpétue la présence des Dominicains initiée en Irak il y a 260 ans.
Entré au petit séminaire de Bagdad à l’âge de 17 ans, il est ordonné prêtre le 14 juillet 1995. Après des années d’étude en France, il est de retour à Bagdad le 22 octobre 2011, une semaine avant les attentats qui ensanglantent Notre-Dame du Perpétuel Secours. Le 31 octobre, il devait célébrer la messe dans la cathédrale. Fatigué, il est remplacé au dernier moment.

AED: Que s’est-il passé à Bagdad le 31 octobre 2010 ? Quelle a été votre réaction ?
Au moment de la prise d’otage, j’étais au nord du pays. Ils m’ont appelé depuis l’église pour me dire que des terroristes étaient à l’intérieur. Quand j’ai appris que 58 personnes étaient mortes, j’étais effondré. Je me suis dit qu’il n’y avait plus d’espérance en Irak, que nous devions partir. Je n’en pouvais plus.
Une fois sur place, je suis entré dans l’église, jonchée de cadavres. C’était horrible. J’étais très ami avec les deux prêtres qui sont morts. Wasim, le plus jeune, était mon cousin, il avait 27 ans. Nous avons passé les jours suivants à aider les blessés, à rendre visite aux familles dans les hôpitaux. Il fallait être présent. Quand j’ai vu les besoins, j’ai compris que je n’avais pas le droit de désespérer, que les gens avaient besoin de mon espérance pour être soutenus dans la leur. C’est ce qui m’a sauvé de l’enfermement et du désespoir.
Vous auriez dû mourir ce jour là…

Je me suis dit que si je n’étais pas mort, si je ne faisais pas partie de ces martyrs, c’est que Dieu voulait faire de ma vie quelque chose, qu’il avait besoin de moi et que je n’avais pas le droit de tomber dans la désespérance. J’avais l’impression d’être à bord d’un avion qui chute mais qui remonte à la dernière minute, parce qu’il a une mission.
Ma mission est d’être aux côtés des chrétiens qui ne peuvent pas quitter Bagdad. Aujourd’hui, ceux qui restent sont ceux qui n’ont pas les moyens de partir. Notre présence est leur seul bien, ils nous le disent.
A quoi ressemble votre quotidien ?

On nous demande d’enseigner et de prêcher des retraites. Les besoins sont immenses. On comptait plus de trente prêtres chaldéens il y a 6 ou 7 ans. Aujourd’hui, ils sont seulement 8.Tous les jours quand je sors du couvent, je ne sais pas si je vais rentrer ou non. Mais je sors quand même et je fais mon devoir. Il ne faut pas que la peur nous immobilise. Malgré la peur, il faut vivre, il faut croire en l’avenir.
«Le sang des martyrs est semence de chrétiens», disait Tertullien. Ce que vivent les chrétiens d’Irak aujourd’hui peut-il présager d’une fécondité à venir?

Cette phrase est une réalité que nous vivons aujourd’hui. Les terroristes veulent nous faire fuir. Mais je pense que les gens sont de plus en plus solides dans leur foi. Ils font une rencontre personnelle avec Dieu. J’ai prêché Vendredi Saint dernier à la cathédrale Notre Dame du Perpétuel Secours. J’ai parlé de la souffrance : « Où est Dieu quand je souffre ?». Je pensais qu’il y aurait peu de monde. J’ai été surpris de voir l’église bondée. Ce sont des témoignages très forts pour nous, les prêtres. Aucune force ne peut supprimer la Parole de Dieu, la semence, de cette terre. C’est une terre évangélique. L’épreuve est négative, c’est évident, mais elle est purificatrice. L’or qui passe par le feu devient plus pur. L’épreuve purifie la matière. Ils peuvent tuer des gens, mais ils ne peuvent pas enlever notre trésor qu’est la foi.
Comment se passent les relations interreligieuses ?

Nous parlons trop de dialogue, mais je pense qu’il faut commencer par la cohabitation. Le dialogue vient dans un second temps. Si on respecte l’autre, on peut, demain, parler de dialogue. Avec l’islam, il faut chercher la cohabitation. Le dialogue est abstrait, la cohabitation est le vécu. J’ai autant d’amis musulmans que chrétiens ! Nous sommes frères et sœurs, nous avons été créés par le même Dieu. Il faut avoir cette base d’humanité. La guerre nous a fait perdre beaucoup de valeurs humaines. Il faut reconstruire l’Irak par ces valeurs.

Pourquoi les chrétiens sont-ils pris pour cible ?

Des petites minorités veulent supprimer les chrétiens. Et d’autres groupes profitent de cette violence pour s’enrichir. Al-Qaïda veut éradiquer tout ce qui n’est pas l’islam. Pas seulement les chrétiens, mais aussi les sabbéens, les yézidis… Comme toutes les petites minorités en Irak, les chrétiens sont victimes des conflits entre les grands groupes. Les chrétiens sont une monnaie d’échange entre les sunnites et les chiites ou entre les sunnites et les kurdes au nord de l’Irak. Les kurdes considèrent les chrétiens comme une ceinture de sécurité pour eux. Traditionnellement, les terrains où ils se trouvent sont pour les sunnites (entre le Kurdistan et Mossoul : la vallée de Ninive). Aujourd’hui les kurdes veulent s’y installer en disant qu’ils protègent les chrétiens, gagnant ainsi du territoire sur les sunnites. S’il y a un jour un conflit ouvert entre eux, ce sont les chrétiens qui paieront le prix fort. Rassembler les chrétiens dans une zone particulière est une très mauvaise idée. On risquerait un jour d’être totalement effacé. Je suis pour que les chrétiens soient partout, non pas dans un endroit précis. Sinon c’est une perte de richesse pour le pays.

Quand vous priez, que dites vous ?

Je demande que nous puissions vivre en paix. Quand je prie, je demande que la force du Seigneur accompagne tous ces gens qui vivent des difficultés, qui vivent leur foi dans l’épreuve. Que soit soutenu leur courage pour qu’ils restent enracinés dans la foi. Et que Dieu me donne ce courage et cette force de croire toujours en l’avenir.

Comunione e missione. Monsignor Giorgio Lingua

By Città Nuova
di Aurelio Molé

È nunzio apostolico in Iraq e Giordania dal 10 novembre 2010, mons. Giorgio Lingua, originario di Fossano in provincia di Cuneo. In Iraq per ogni suo spostamento dalla nunziatura deve avvertire le autorità di Bagdad 24 ore prima, per una visita fuori città, 72 ore prima. In questi giorni afosi di luglio, dove il traffico di Roma ha solo in parte allentato la sua morsa, mons. Lingua si sposta in scooter per poter essere presente a tutti gli appuntamenti fissati. Deve provare un senso di libertà prima di ricominciare a muoversi, in Iraq, con le scorte armate.
In una visita ad una parrocchia ha contato, cecchini compresi, fino a 100 uomini armati per proteggerlo. Mons. Lingua si apprezza, non solo per la sua spiritualità, ma per la cordialità, gentilezza, semplicità e spontaneità. Le stesse doti che anche la gente d’Iraq gli riconosce. La sua vita blindata si divide tra Bagdad, circa 4 settimane, e Amman, in Giordania, 1 settimana. Lo abbiamo incontrato in Vaticano in una serata molto calda per noi, 35 gradi, fresca per lui, abituato anche a temperature che possono superare i 50 gradi.

Un primo bilancio di questi primi otto mesi in Iraq?
«A vedere Bagdad ti si stringe il cuore perché è una città sofferente, piena di cemento e di filo spinato. Il cuore soffre e sperimenti un senso di impotenza. Tante volte mi sono tornate in mente le parole di Chiara Lubich nello scritto Risurrezione di Roma, perché non sai da dove cominciare.
L’unica risposta è trovare un’unione con Dio, compiere bene ogni attimo la Sua volontà, senza pensare di poter risolvere nulla. Quando incontro le persone, posso ascoltarli, condividere e stare con loro. Tanti sacerdoti e vescovi sanno che possono fare poco, ma sanno che possono stare con la gente. Questa è la nostra testimonianza: rapporti personali, piccoli incontri, piccole cose. La spontaneità e la semplicità sono molto apprezzate».
Quali sono le difficoltà quotidiane nella vita di Bagdad?
«Mentre in Giordania l’acqua è razionata ed arriva due volte a settimana, a Bagdad c’è una buona fornitura costante anche se per bere si usa quella in bottiglia. La corrente elettrica, invece, arriva due ore al giorno, senza sapere quando, e si interrompe continuamente. Ci sono i generatori, ma non tutti possono permetterseli per il costo e perché consumano moltissimo gasolio.
I check point in città creano confusione, code, ingorghi continui nel traffico. Vedi pulmini pieni di gente, coi finestrini aperti e temperature percepite fino a 55 gradi. È una vita dura. C’è rassegnazione. Un giorno sono andato a portare le condoglianze alle guardie che si occupano della nostra sicurezza per la morte, in un attentato, di alcuni loro colleghi e mi ha sorpreso la naturalezza con cui hanno reagito, sono coscienti che ogni giorno sono di fronte alla possibile morte».
Il governo mantiene le promesse?
«Mi sembra che ci sia la volontà, ma non sempre la possibilità perché i problemi sono grandi. Dopo otto anni, solo per fare un esempio, dopo che sono stati investiti milioni di euro per fornire di energia elettrica una città come Bagdad che conta sei milioni di abitanti, siamo ancora in condizioni di estrema precarietà. La gente sa che sono stati investiti tanti soldi, ma non si sa dove sono andati a finire. Si aprono indagini, ma senza risultati, allora la gente comincia a scendere nelle strade a protestare, come in molte altre parti del mondo arabo».
Nelle ultime cinque settimane sono ripresi gli attentati contro i soldati americani: 17 i morti. Leon Panetta, il nuovo ministro Usa della Difesa, ha accusato l’ Iran di armare i terroristi…
«Secondo gli accordi i soldati americani dovrebbero ritirarsi completamente dall’Iraq entro il 31 dicembre di quest’anno. Già ora si limitano ad offrire protezione ai confini e ai pozzi di petrolio, non più sul territorio. La notizia dell’intenzione degli americani di rimanere più a lungo ha suscitato le proteste di molti, in particolare del movimento sadrista che ha organizzato una grande manifestazione non violenta, ma minacciosa nel centro di Bagdad. Può darsi che i recenti attentati abbiamo avuto questo scopo, ma è sempre difficile dire da chi siano stati organizzati e commessi. I maggiori attentati con numerosi morti, però, sono attualmente concentrati sulle forze dell’ordine irachene. Pare ci sia chi ha interesse a volere un Iraq debole, ma è difficile dire con precisione chi voglia destabilizzare il Paese. Al Qaeda non basta a giustificare tutti gli attentanti».
I cristiani sono ancora oggetto di attentati?
«A Bagdad, l’ultima serie di attentati contro cristiani ha avuto luogo il 31 dicembre scorso, quando una decina di bombe sono state scagliate contro case private di cristiani. Altri attentati sono avvenuti, invece, a Mossul, dove un medico cristiano è stato colpito da cinque colpi alla testa, e a Kirkuk, dove un giovane è stato decapitato perché non è riuscito a pagare il riscatto. Per i cristiani è molto forte la tentazione di lasciare l’Iraq e quando lo fanno spesso è in maniera definitiva perché vendono tutte le loro proprietà. Anche i cristiani che sono andati recentemente in Siria lo hanno fatto e pertanto, ora che vorrebbero rientrare, diventa tutto più difficile. I cristiani emigrano in Giordania, Siria e Turchia in attesa di avere lo status di rifugiati dalle nazioni Unite».
Si può parlare di persecuzione contro i cristiani?
«La persecuzione c’è stata, soprattutto tra il 2005 e il 2007. Un quartiere di Bagdad che contava circa 100 mila cristiani, oggi ne conta soltanto due o tre mila. Il tragico attentato del 31 ottobre 2010 contro la cattedrale siro-cattolica Nostra Signora del perpetuo soccorso ha tutti gli elementi di una persecuzione vera e propria. I terroristi, infatti, durante l’irruzione in chiesa hanno invitato i cristiani a convertirsi ed hanno recitato preghiere musulmane. Tuttavia, mi sembra sinceramente eccessivo parlare di persecuzione sistematica. A volte possono esserci motivazioni economiche, di stampo mafioso, più che religiose: costringere un cristiano ad andar via per poter comprare la sua casa ad un prezzo inferiore o a chiudere un’attività commerciale perché fa troppa concorrenza. Con quello che hanno vissuto, però, i cristiani sono molto sensibili e basta poco per incuter loro paura. Con la guerra civile scoppiata alla caduta del regime di Saddam Hussein, c’è stata una maggiore chiusura all’interno di ogni gruppo religioso, prima, almeno nelle grandi città, si viveva più amalgamati, ora sono cresciuti i sospetti e non ci si fida più dei vicini».
Come sostenere i cristiani?
«Alcuni cristiani, per esempio, hanno lasciato Bagdad per villaggi più sicuri e tranquilli nel Nord del Paese, ma si trovano senza lavoro e pertanto non riescono a mantenere la famiglia. Il governo italiano si è detto disponibile ad aiutare alcuni progetti di sviluppo: la costruzione di un’università, di un ospedale, di appartamenti e alcuni fondi sono già stati stanziati, altri sono stati promessi. Questa è una cosa concreta per far rimanere i cristiani in Iraq perché se non c’è lavoro sono costretti a partire. Ho riscontrato tanta sensibilità e desiderio di aiutare i cristiani iracheni nella comunità internazionale ed europea, nelle Chiese, ma senza sapere concretamente come fare, dal momento che investire in Iraq è molto rischioso perché non c’è sicurezza. E se non c’è il controllo del territorio nessuno azzarda investimenti. Garantendo una maggiore sicurezza l’Iraq può ripartire perché è un Paese ricco, c’è molto petrolio e si sta estraendo molto greggio».
È diversa la situazione in Giordania?
«Quando vado ad Amman mi rilasso perché è un bella città, ed è molto sicura. È un Paese sostanzialmente povero che però ha accolto circa 500 mila rifugiati iracheni. Li accoglie come ospiti e quindi offre loro molti servizi perché l’ospite è sacro nel Medio Oriente, ma non fornisce loro uno statuto giuridico, per cui i giovani, terminati gli studi, non possono vedere riconosciuti i loro titoli e gli adulti non possono trovare un lavoro stabile. La Giordania è un Paese che può avere un grande sviluppo, soprattutto turistico. È ricca di siti archeologici ed è Terra Santa perché sede del luogo del battesimo di Gesù, della tomba di Mosè, culla del profeta Elia.»
La Casa Reale sostiene la minoranza cristiana?
«La Casa reale è ben disposta verso i cristiani, nonostante anche in Giordania si percepisca un crescente fondamentalismo musulmano. Promuove il dialogo interreligioso e potrei dire che tra il re Abdullah II ed il santo Padre si è stabilito un rapporto di amicizia, al punto che prima di partire per la Giordania, nell’incontro avuto con Benedetto XVI, il Papa mi ha detto: «Mi saluti il re, che è mio amico».

18 luglio 2011

Kirkuk, cristiani, musulmani e gruppi etnici insieme per un nuovo Iraq

By Asia News
di Joseph Mahmoud


“La chiusura è segno della morte. L’apertura è segno di crescita e integrazione. Ciascuno deve iniziare questo lavoro a partire da sé e con il desiderio di ricostruire”.
È questo l’invito di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, alle diverse realtà etniche e religiose dell’Iraq in occasione della conferenza sul tema “Insieme rinforziamo la convivenza a Kirkuk e in Iraq”.
L’evento si è tenuto oggi ed è stato organizzato dall’arcivescovado cattolico caldeo in collaborazione con l’Associazione per i popoli minacciati di Erbil (Kurdistan). All’incontro hanno partecipato circa 150 fra leader religiosi e politici delle comunità cristiane e musulmane di etnia curda, araba, turcomanna, caldea, assira yazida, mandea. Insieme a mons. Sako sono intervenuti tre rappresentanti delle comunità cristiana e musulmana di etnia kurda, araba e turkmena: Umer Ibrahim, Abdul Karim Khalifa e Adil Salih. Essi hanno analizzato il tema della convivenza sul piano socio- culturale, educativo – psicologico e religioso.
Riportiamo di seguito i passi più significativi del discorso dell’arcivescovo di Kirkuk, che ha incentrato il suo intervento sul pluralismo religioso e la coesistenza pacifica fra le varie comunità del Paese.
“L’Iraq
– afferma mons. Sako - è formato da vari gruppi, che costituiscono un mosaico di culture e civiltà, religioni, sette e linguaggi con più facce e colori. Tutti però portano con sé un patrimonio, che ci lega in profondità. Il nostro Paese ha ora bisogno di un modello culturale e sociale che promuova l’unità attraverso il pluralismo, la tolleranza e la convivenza armoniosa fra le varie religioni ed etnie. La chiusura è segno della morte. L’apertura è segno di crescita e integrazione. Ciascuno deve iniziare questo lavoro a partire da sé e con il desiderio di ricostruire l’Iraq”.
Secondo l’arcivescovo “le religioni devono agire in modo positivo”, “smantellando il clima di odio e incoraggiare una partecipazione responsabile della popolazione” per raggiungere una maggiore giustizia e armonia fra gli uomini. Per fare ciò il prelato sottolinea l’importanza di una politica che favorisca l’unità e non gli interressi dei singoli gruppi, causa di divisioni e conflitti.
Mons. Sako spiega che occorre un dialogo fra le religioni per “conoscersi e imparare a vivere insieme”, "ma questo incontro non può avvenire senza la tutela della libertà religiosa”. Secondo l’arcivescovo gli odii del moderno Iraq sono stati generati da una eccessiva politicizzazione della religione. Il prelato indica alcune proposte pratiche per favorire l’unità e la separazione fra religione e politica.

1) Ciascun iracheno deve essere disponibile a incontrare l’altro, con il desiderio di conoscerlo, eliminando la tendenza a esaltare le differenze a discapito del confronto.
2) La necessità di spingere i politici a creare una costituzione che garantisca diritti e doveri uguali per tutti i cittadini.
3) Plasmare un sistema educativo che spinga all’unità nazionale, eliminando nei programmi scolastici, nei libri e nelle istituzioni religiose, espressioni che invitano all’odio e all’emarginazione di un gruppo religioso rispetto a un altro.

Kirkuk: Christians, Muslims and ethnic groups together for a new Iraq

By Asia News

“Closure is a sign of death; openness is a sign of growth and integration. Everyone must start from himself with a desire to rebuilt,”
said Mgr Louis Sako, archbishop of Kirkuk, in an address for Iraq’s many ethnic and religious groups. He spoke at a conference organised by the Catholic Chaldean Archbishopric in cooperation with the Association for Threatened Peoples in Erbil (Kurdistan).

The meeting brought together about 150 religious and political leaders representing Christian and Muslim groups of different ethnic background: Kurdish, Arab, Turkmen, Assyrian, Yazidi and Mandean.

Along with Mgr Sako, three Muslim representatives of ethnic Kurdish, Arab and Turkmen background—Umer Ibrahim, Abdul Karim Khalifa and Adil Salih—also spoke at the event.

Participants looked at the issue of coexistence from a socio-cultural, educational-psychological and religious point of view.

Here are the highlights of the archbishop’s address, in which he focused on religious pluralism and peaceful coexistence among the country’s various communities.

“Iraq is made up of various groups, which constitute a mosaic of cultures, civilisations, religions, sects and languages with many faces and colours.”
Mgr Sako.

“Each carries a heritage that profoundly links us all. Our country needs a cultural and social model that promotes unity through pluralism, tolerance and harmonious coexistence among various religious and ethnic groups,” he explained. “Closure is a sign of death; openness is a sign of growth and integration.”

“Everyone must start from himself with a desire to rebuilt,” he explained. “Religions must act in a positive manner.” They must “end the climate of hatred and encourage responsible participation in the population” to reach more justice and harmony among men.

For this reason, politics must favour unity and not the interests of single groups, which cause divisions and conflict, the prelate said.

For him, religious groups must engage in dialogue so that “they can know each other and learn to live together”. This, however, cannot occur without the protection of religious freedom.

Hatred in modern Iraq is the outcome of the excessive politicisation of religion, the archbishop explained. In his view, some practical steps can be taken in favour of unity whilst separating religion from politics.


1) Each Iraqi should be willing to meet the Other, show a desire to know him, and downplay a tendency to highlight differences at the expense of exchanges.

2) Political leaders should write a constitution that guarantees equal rights and duties for all citizens.

3) The education system should stress national unity, eliminating from school programmes, books and religious institutions, expressions that favour hatred and the marginalisation of one religious group as opposed to others.

Film Exposes Genocide of Assyrian Christians

By CBN, (Christian Broadcasting Network) July 15, 2011
by Paul Strand



A short film that documents the near-genocide of Iraq's ancient Assyrian Christian civilization had a high-profile showing on Capitol Hill.
Congressmen and the media mixed with Assyrians anxious to plead their cause at the showing of the film, "Defying Deletion: The Fight Over Iraq's Nineveh Plains," Thursday.
The documentary highlights how other Iraqis have systematically targeted the Assyrian Christians who've called Iraq their homeland for thousands of years. More than 600,000 have fled the country, more than half of the entire population.
"There are a lot of shootings. There are a lot of bombings. Churches have been bombed. I would say over 60 churches have been bombed," Andre Anton, the film's 26-year-old director, told CBN News.
Anton said extremists often go after Assyrian priests.
"They want to instill fear into the rest of the population and so what better way to do it than actually kidnap and kill someone who's meaningful and powerful?" he said.
Anton talked more about his eye-opening film on the CBN News Channel's Midday News, July 14.
The film points out that while Iraqis are out to grab the homes, lands, and resources of the Assyrians among them, the main reason for the persecution is the Assyrians' Christianity.
"That's why they're getting attacked from these extremists who are saying, 'Okay, these are Christians, like the Americans. Let's show them what we think of them,'" Anton explained.
This is very personal for Anton, whose family is in America only because of the 33 attempted genocides against his people over the last 1,400 years.
"I'm one of the hundreds of thousands of Assyrians that have been born here because of the constant persecution," he said.
Anton and his fellow Assyrians hope that America will use its influence to push for an actual Assyrian homeland in Iraq or at least more protections for these beleaguered Christians.

Saving Christians in Iraq

By Deseret News July, 15, 2011

When Saddam Hussein's regime toppled in 2003 there were about 1 million Christians in Iraq.
Now there are about 300,000.
But this exodus of Christian refugees isn't a matter of a foreign religion being forced out of an Islamic country. It is a cleansing of interlopers and Western influence.
"Christianity is not just something Western, but originally it was something Eastern," said Herman Teule, chair of the Institute of Eastern Christian Studies at the Netherlands' Radboud University Nijmegen. "So Christianity is at home in Iraq. Christianity is older than Islam. You cannot understand Islam unless you understand the early development of Christianity in that region."
And knowing the history of Christianity in Iraq opens a window into how missionary-minded churches grow and die. It explains why Iraq Christians are fleeing their country to places like San Diego, but also why keeping Christians in the Middle East may be important for the future of the world.
Teule spoke on June 7 at BYU's David M. Kennedy Center for International Studies on "Christians in Contemporary Iraq: Current Plight and Future Prospect," which meant he had to first explain what happened in the past.

The other branch of Christianity

Many Western Christians have a vague understanding of Christian history. That history follows the missionary efforts of the Apostle Paul and the spread of Jesus' teachings through the Roman Empire, eventual acceptance by Rome, and then progress north throughout Europe and from there out to the rest of the world.
But this understanding of history isn't entirely true.
Christianity also spread in other directions. East for example. East into Mesopotamia including what is modern-day Iraq. This growth was at the very beginning of Christianity — during the first quarter of the second century — the 100s.
And it flourished.
It developed its own liturgy. It developed schools, universities and monasteries. It sent out missionaries. It built churches and religious centers. And all this while most of Europe was yet to be converted and Islam was yet to be founded by the Prophet Muhammad.
It became larger than its Roman Christian cousin. But its glory wouldn't last long — only about 1,000 years.
The eastern branch of Christianity is usually called the Church of the East or, more precisely today, the Assyrian Catholic Church of the East ("Catholic" meaning "universal").

A Christianity of martyrs

At the start, the Christians got along well enough with the Arsacid dynasty of the Parthian Empire. But governments don't last forever and with the rise of the Persian Sassanides in the 3rd century, Christians came under hard times.
They didn't get along as well with the new official state religion Zoroastrianism.
"They didn't fit in," Teule said. "They became a Christianity of martyrs."
One of the problems they had is a problem Christians face today in Iraq. The majority suspected that the minority Christians had more loyalty to their religion than to their own country. The Persian Empire worried they would align themselves with Christians in enemy countries. To counteract this, the Church of the East showed its independence by having its own Catholicos or Patriarch.
Around the 6th century, some Christians came from the West and established their own group now called the Syrian or Syriac Orthodox Church (Also called "Jacobites" after Jacob Baradaeus, Bishop of Edessa from that time). The theological differences between the Syriac Orthodox Church and the Assyrian Catholic Church of the East were slight — but enough to cause tension.
Then the world changed.

Enter Islam

The Persians were defeated in 635 by the Muslims at the Battle of Qaddasiyyah. A new government was in town.
Zoroastrianism was out. Islam was in.
Teule said in many ways, this was a golden age for the Church of the East. By 781, the new capital, Baghdad, the center of the church. Christians proudly identified themselves as Arabs. They had prominent government positions. They sent out missionaries and had established Christian communities as far flung as Tibet, China and Afghanistan. They translated the writings of Greek philosophers into Arabic and engaged in deep discussions with Muslims.
Everything wasn't rosy, of course, but when the Mongols came and destroyed Baghdad in 1258, things got bad. The Church of the East found itself in the mountains of modern day Kurdistan. It had lost its power, its schools and developed a tribal form of governance.
At first the Mongols were sympathetic with the Christians (they hoped for an alliance with the Western Christians). But this changed, and when it did the results were disastrous for the Christians.
In the late 1300s the central Asian warlord Timur destroyed hundreds of Christian churches. "It was a dark night for Christians," Teule said, "and for Muslims as well."
But the Christians survived.
The Church of the East divided in the end of the 1500s when three bishops broke off and then aligned themselves with the Roman Catholic Church. This new split is now called the Chaldean Catholic Church — and is today the largest group of Christians in Iraq. A similar split happened around that time to the Syriac Orthodox Church, creating the Syriac Catholic Church.
These four churches, The Assyrian Catholic Church of the East, Syriac Orthodox Church, Chaldean Catholic Church and Syriac Catholic Church are now the main Christian traditions in Iraq. They survived 2,000 years of history in Iraq — but some experts do not think they will survive new challenges.

Theology of extinction

In 2008, historian Philip Jenkins wrote "The Lost History of Christianity: The Thousand-Year Golden Age of the Church in the Middle East, Africa, and Asia — and How It Died." Jenkins argued that the Iraqi churches need to face the inevitable and develop a "theology of extinction;" a way of coping doctrinally that the churches are dying. The consolation prize is that at least Christianity itself will go on, even if their ancient branch of Christianity doesn't.
And churches have died (Ever heard of the huge center of Christianity in North Africa? Gone.). Jenkins told Christianity Today how it happens. "What kills a church is persecution. What kills a church is armed force, usually in the interest of another religion or an antireligious ideology, and sometimes that may mean the destruction or removal of a particular ethnic community that practices Christianity," he said. "Iraq is a classic example of a church that is killed over time. The church will probably cease to exist within my lifetime."
Teule, however, doesn't like this scenario — and its implications. The Roman Catholic Church doesn't either and Pope Benedict XVI called a meeting of the Synod of Middle East Bishops to, among other things, try to find ways to maintain a Christian presence in the Middle East.
"These Christians don't think about extinction, but are trying to survive and have a future in Iraq," Teule said.

A Christian homeland

One of the strongest voices in Iraq for Christians, according to Teule, is Sarkis Aghajan. Aghajan fought with the Kurds against Saddam and even had a place in the Kurdish government after the new Iraq Constitution was adopted. He hopes for a semi-independent homeland for the Christians in Northern Iraq and has worked to establish Christian cities and towns where Christians can flee violence.
And there has been violence.
Two-thirds of Iraq's Christians have fled the country. Many have fled their homes and found new homes in the relative peace of Kurdistan in Northern Iraq. But many of these refugees are not suited for life in the mountains. "You can have safety, but if there is no work what good is that?" Teule said. "But if they can adapt there is a possibility of building a future there."
Part of the difficulty in building a future, and something that Aghajan is working against, is the reluctance of the different churches to have all Iraqi Christians think of themselves as one ethnic identity. In the 19th Century, one identity began to rise up as archeologists unearthed the ruins of the huge pre-Islamic Assyrian civilizations. Christians began to think of themselves as the heirs to these glory days and identified themselves as ethnic Assyrians and less as Arabs. But the churches resist this because it is a more secular identity and lessens their direct control.

Fleeing Iraq

But the biggest danger is that the remaining 300,000 or so Christians in Iraq will also flee the country like those who have moved to Jordan and surrounding countries as well as those who went to Europe, Australia and the United States.
Bob Montgomery, the executive director of the International Rescue Committee in San Diego, is on the receiving end of many of those refugees who have fled Iraq. They come to San Diego where there is a large community of the Chaldean Catholic Church. The flow of refugees picked up following several attacks on Christians in December last year. The process to be resettled in a new country can take years.
"When refugees get to the United States they are coming to an economy that is not great and it presents new challenges," Montgomery said. "But they don't have the luxury to wait until the economy gets better. They are in dire straits now."
But even though Teule recognizes the cultural and economic pressures that are pushing individual Christians to flee the home of their ancestors, he worries the exodus has broader implications for the fate of the Middle East.
"I think it would be a disaster if Iraq is emptied of its Christian population," Teule said in an interview with the Deseret News. "It would mean the division of the world into two blocks. An Islamic Middle East and a so-called Christian West." Teule said this would create a true clash of civilizations and go against a history where Muslims and Christians have had long periods of peaceful co-existence. "It would make Islam an almost monolithic thing — something it has never been before. It has always been open to other ideas and open to the Christian minorities. It has always been the reality in Iraq that there was interaction between Christians and Muslims. It would be a pity if that would disappear."

Note by Baghdadhope:

Listen to Professor Herman Teule's lecture at Kennedy Center by clicking here

15 luglio 2011

Iraq: il 2010 un anno terribile per i cristiani

By Asia News
di Naman Tarcha


Il 2010 è stato l’anno peggiore per la comunità cristiana in Iraq. Lo denuncia l’organizzazione per i diritti umani in Iraq Hammurabi. Molti cristiani sono stati costretti a lasciare il Paese nel timore di uccisioni e violenze di ogni tipo. Il bilancio delle vittime tra i cristiani negli ultimi sette anni, secondo Hammurabi, supera la 822 persone. 629 di loro sono stati assassinati per il fatto di far parte della minoranza cristiana. Altri 126 sono rimasti coinvolti in attentati di vario genere; altri ancora sono rimasti vittime di operazioni militari compiute dalle forze americane e irachene. Il 13% delle vittime sono donne. Fra le vittime cristiane del 2010 si contano 33 bambini, 25 anziani e 14 religiosi. Nell’anno 2010 Hammurabi registra 92 casi di cristiani uccisi e 47 feriti; 68 a Baghdad, 23 a Mosul e uno a Erbil.

Il direttore dell'Organizzazione umanitaria Hammurabi, che trae il suo nome dal Codice di Hammurabi, una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell'umanità, William Warda, ha affermato che attraverso il monitoraggio costante e la documentazione raccolta risulta che tutte le Chiese cristiane in Iraq - caldei, assiri, siriaci, armeni -, hanno subito forti perdite nel numero dei loro fedeli, in tutto il Paese. Il calo appare particolarmente forte a Baghdad e Mosul, dove i cristiani sono concentrati in numero maggiore. Warda ha aggiunto che in solo anno ci sono stati più di 90 cristiani assassinati e 280 feriti; e due chiese sono state bersaglio di attentati a Baghdad. Secondo l’Unicef fra il 2008 e il 2010 i bambini uccisi in Iraq sono stati più di 900, e 3200 i feriti. I bambini rappresentano l’8.1% delle vittime di attentati in Iraq, dove si moltiplicano gli attacchi contro le scuole e il personale dell’istruzione.

A dispetto della violenza che ancora miete vittime, nella comunità cristiana irachena non mancano i segnali di una forte vitalità. Il 4 luglio il capo della comunità caldea, il patriarca Emmanuel Delly III, ha reso visita alla massima autorità religiosa sciita irachena, Ali al Sistani, e ha sottolineato che si è trattato di “una visita fraterna, per ribadire l'unità dell’Iraq e degli iracheni musulmani e cristiani”.
La settimana scorsa a Kirkuk, a nord di Baghdad, è stata inaugurata la prima chiesa costruita dopo l'invasione dell'Iraq del 2003, su un terreno donato dal governo iracheno con il contributo del Presidente Jalal Talabani, e finanziata dalle offerte dei cristiani iracheni
(IRAQ, "Tre fontane": una nuova chiesa a Kirkuk, segno di speranza).

In questo quadro ci sono voci, finora impossibili da verificare, sull’ipotesi di una visita di Benedetto XVI nella storica di città di Ur dei Caldei, nel sud dell’Iraq. Un viaggio analogo programmato da Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000 non si è potuto realizzare per ragioni di sicurezza. Benedetto XVI ha più volte invitato i cristiani del Medio Oriente e dell’Iraq in particolare a non abbandonare la loro patria.

2010 a terrible year for Iraq’s Christians

By Asia News
by Naman Tarcha


The year 2010 was the worst year to date for the Christian community in Iraq, it has been revealed by the organization for human rights in Iraq, Hammurabi. Many Christians were forced to leave the country in fear of killings and violence of all kinds. The death toll among Christians over the past seven years, according to Hammurabi exceeds 822 people. 629 of them were murdered for being part of the Christian minority. Others were involved in 126 attacks of various kinds and many others have been victims of military operations undertaken by U.S. and Iraqi forces. 13% of victims are women. Among the Christian victims of 2010 there are 33 children, 25 elderly and 14 religious. In 2010 Hammurabi recorded 92 cases of Christians killed and 47 wounded, 68 in Baghdad, 23 in Mosul and one in Erbil.

The director of Hammurabi, named after the Code of Hammurabi, one of the oldest known collections of laws in human history, William Warda, said that constant monitoring and documentation show that all the Christian Churches in Iraq - Chaldeans, Assyrians, Syrians, Armenians - have suffered heavy losses in the number of their faithful, all over the country. The decline is particularly strong in Baghdad and Mosul, where Christians are concentrated in greater numbers. Warda said that in one year there were more than 90 Christians killed and 280 wounded, and two churches have been the target of attacks in Baghdad. According to UNICEF, between 2008 and 2010 more than 900 children have been killed in Iraq, and 3200 injured. Children represent the 8 .1% of the victims of attacks in Iraq, where there are an increasing number of attacks against schools and educators.

Although violence is still taking its toll on the Iraqi Christian community there are also strong signs of vitality. On 4 July the head of the Chaldean community, Patriarch Emmanuel Delly III, visited the highest Shiite religious authority of Iraq, Ali al-Sistani, and stressed that it was "a fraternal visit to reaffirm the unity of Iraq and of Iraqis, Muslims and Christians."
Last week in Kirkuk, north of Baghdad, the first church built after the 2003 invasion of Iraq was inaugurated, on land donated by the Iraqi government with the support of President Jalal Talabani, and funded by donations from Iraqi Christians (IRAQ, New ‘Three Fountains Church’ near Kirkuk, a sign of hope).

There are also rumours, almost impossible to verify, of a possible visit by Benedict XVI to the historic city of Ur of the Chaldeens, in southern Iraq. A similar trip planned by John Paul II for the Jubilee of 2000 was called off for security reasons. Benedict XVI has repeatedly urged the Christians of the Middle East and Iraq in particular not to leave their homelands.