"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 giugno 2018

Quel che i richiedenti asilo imparano su vita, lavoro e amore in Svizzera

By Swiss Info
May Elmahdi

Cose che in Svizzera appaiono perfettamente normali possono sembrare molto strane a persone che vengono da paesi come la Siria, l'Afghanistan o l'Eritrea. Per far conoscere ai richiedenti asilo lo stile di vita svizzero, alcune organizzazioni offrono corsi speciali. I temi vanno dalla ricerca di un appartamento al comportamento da tenere sul posto di lavoro; la sessualità ha un posto di primo piano.
Di recente il canton Vallese ha deciso di obbligare i migranti a frequentare un corso di educazione sessuale. Il corso è parte dell'introduzione ai diritti fondamentali. Di questi diritti fa parte per esempio il diritto alla salute sessuale.
Damian Mottier, segretario generale nell'Ufficio vallesano per la sanità, la socialità e la cultura spiega che in Svizzera ogni cantone è tenuto per legge a gestire centri per la salute e la sessualità, che prevedono orari di ambulatorio per questioni legate all'educazione sessuale o alla prevenzione. Rendendo questi corsi obbligatori per i richiedenti asilo, il suo cantone permette a tutti di accedere a informazioni rilevanti, precisa Mottier. Il corso di educazione sessuale è diventato così "una parte irrinunciabile del processo di integrazione".
Lacune sul tema sessualità
Molti richiedenti asilo all'inizio non capiscono il senso di questi corsi. Lo scetticismo iniziale è però presto abbandonato. Una volta creatasi una base di fiducia, i migranti sono contenti di poter avere accesso in modo discreto e sicuro a informazioni sulle leggi e sugli usi e costumi svizzeri. Parte delle informazioni riguardano anche l'età del consenso, le mutilazioni genitali femminili, l'autonomia sessuale, l'accesso a metodi contraccettivi e il sostegno in caso di gravidanze involontarie.
Nel contempo Mottier ricorda che esistono molte differenze culturali e lacune rispetto al tema della sessualità. Alcuni partecipanti all'inizio pensano per esempio che la pillola contraccettiva causi un'infertilità permanente o che le mutilazioni genitali siano utili alle donne e che le rendano più fertili e più femminili. Altre sono convinte che le donne possono lasciare la loro casa solo se accompagnate da un uomo e che il loro posto è il focolare domestico. E che la scelta del sistema contraccettivo sia da delegare al marito.
Gli svizzeri sono riservati?
Oltre a uno scarso livello di istruzione ci sono anche pregiudizi difficili da estirpare finché i richiedenti asilo fanno lo sforzo di entrare in contatto con la popolazione indigena e con il loro ambiente. La rete "Kulturschule" (scuola di cultura) – un'organizzazione sostenuta dalle chiese libere – si è data l'obiettivo di trasmettere ai migranti questo sapere interculturale.

La "Kulturschule"
L'organizzazione vuole fornire strumenti culturali a persone coinvolte nel processo d'asilo – dal primo giorno fino all'ingresso nel mercato del lavoro. La rete con sede a Thun è nata dalla chiesa libera GPMC.* La chiesa, organizzata come associazione, opera su base volontaria secondo principi cristiani. I corsi non servono però a diffondere la dottrina cristiana, assicurano i fondatori.
Ogni "scuola di cultura" è organizzata in modo autonomo ed è indipendente anche dal punto di vista giuridico. Le singole scuole sono sostenute - sul piano dei contenuti e delle finanze -  da privati e istituzioni (p. es. fondazioni) che si impegnano per l'integrazione dei migranti in Svizzera.

Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di nuovi Cardinali. Saluto di Sua Beatitudine Louis Raphaël I Sako Patriarca di Babilonia dei Caldei

By Sala Stampa Santa Sede



Santo Padre,
A nome mio e dei miei fratelli nuovi Cardinali, ringrazio Vostra Santità per la fiducia riposta in noi e per averci chiamati a servire con un amore più grande la Chiesa e tutti gli uomini. Questa nomina di Cardinali da Paesi diversi esprime la vitalità e l’apertura della Chiesa Cattolica e concretizza la sua cattolicità – universalità - al servizio di tutti gli uomini. Alcuni Musulmani venuti per farmi gli auguri, hanno espresso la loro ammirazione per l’apertura della Chiesa e per il Vostro stare sempre vicino alla gente nelle loro preoccupazioni, paure e speranze.
Per quanto mi riguarda ho colto anche la Vostra speciale attenzione per le Chiese Orientali, e per il piccolo gregge che costituiscono i cristiani in Medio Oriente in Pakistan e in altri Paesi che attraversano un periodo difficile a causa delle guerre e del settarismo e dove ci sono ancora martiri. Preghiamo e speriamo che il Vostro sforzo per promuovere la pace cambi i cuori degli uomini e delle donne per il meglio, e contribuisca ad assicurare un ambiente dignitoso ad ogni persona umana.
Questa nomina nel giorno di Pentecoste non è avvenuta a caso, essa ci chiede l'impegno dell'annuncio e dell’approfondimento della fede che risponda alle esigenze della fase attuale e futura, ci spinge ad un servizio sempre più attento verso il popolo di Dio a noi affidato e ci chiede di avere orizzonti sempre più vasti. La nomina cardinalizia non è un premio, oppure un onore personale, come si pensa talvolta, ma è l'invio alla missione con l'abito rosso che vuol dire dare la vita fino alla fine, fino all’effusione del sangue, portando l’“Evangelii Gaudium” la gioia del vangelo a tutti.
La Vostra chiamata paterna per noi è un incoraggiamento nelle nostre sofferenze e ci dona la speranza che la tempesta attuale passerà e sarà possibile vivere insieme armoniosamente. Credo fermamente nella fecondità dell'amore spinto fino alla fine. Questo sangue dei martiri non è per niente, Santità, Vi assicuriamo il nostro sostegno e la nostra collaborazione ancora più intensa per promuovere la cultura del dialogo, del rispetto e della pace dappertutto e in particolare dove c’è più bisogno come nell'Iraq (Terra di Abramo) nella Siria, nella Palestina e nel Medio Oriente e in tutto il mondo. Siamo consapevoli dei rischi e delle sfide che dobbiamo affrontare, ma la nostra fede nel Signore ci dona il coraggio di continuare a sperare per un futuro migliore per tutti. Noi oggi, alla Vostra presenza vogliamo rinnovare la nostra fedeltà, l'amore alla Chiesa e alla nostra gente con la promessa che faremo il nostro meglio per essere testimoni gioiosi della nostra fede, del nostro amore, della gratuità, del perdono, e della costruzione della pace nel mondo d’oggi, che vive nell’ indifferenza, nel consumismo e nei conflitti di potere e di interessi. Grazie, Beatissimo Padre.

28 giugno 2018

EWTN's interview: Cardinal Louis Raphael Sako

By EWTN

Cardinal-Elect Louis Raphael Sako, the head of Iraq's Chaldean Catholic Church, sits down with EWTN News Nightly Vatican Correspondent Juliet Linley. He gives us an update on daily life for Christians in the country and adds the main thing that surprised him after learning he would be a Cardinal.


Patriarch Sako will be Chaldean Catholics' first voting cardinal

By Catholic News Agency
Hannah Brockhaus

Referencing being nominated a cardinal, sometimes called “princes of the Church,” Chaldean Patriarch Louis Raphael I Sako of Babylon said he thinks of himself only as a father, pastor, and servant.
“I say to the [Iraqi] people: I am a father, a pastor – not a prince,” the head of the Chaldean Catholic Church said to journalists June 27, one day ahead of the ordinary consistory which will create 14 new cardinals, including the patriarch.
“As the Father asks us: we are servants, we should serve… with the joy of the people,” he said, noting in an earlier interview with EWTN News Nightly that patriarchs, like cardinals, also wear a red cassock, which symbolizes a willingness to die for the faith.
It can also symbolize the martyrs of the Chaldean Church, he continued. “Even now we [still have] martyrs. And I do hope that the blood of the martyrs will be fertile, will bring us a future, will bring us a new situation [in Iraq].”
He said patriarchs of the Eastern Churches feel strongly that they are called to serve their people, to be close to them, and to help them in their need, not to seek “prestige or privileges.”
“This is the call of my nomination as a cardinal. It is not a prize or a personal reward. [It is] to be sent anew for my mission, a new vocation.”
Sako was born July 4, 1948 in Zakho, Iraq. He was ordained a priest of the Chaldean Archeparchy of Mosul in 1974.
In 2002 he was selected as Chaldean Archbishop of Kirkuk, and was confirmed and consecrated bishop in 2003.
While Archbishop of Kirkuk, he served, from 2010, as the last apostolic administrator of the Chaldrean Eparchy of Sulaimaniya, until the see was suppressed in 2013.
He was selected and confirmed as Chaldean Patriarch of Babylon and Archbishop of Baghdad in 2013.
In 2008 and 2010 he was awarded the Defensor Fidei and international Pax Christi awards.
He has been vocal about the importance of disestablishing Islam in Iraq, to create an equal ground for all Iraqi citizens, especially Christians and other minorities, and has preached the need for mutual respect and cooperation between Muslims and Christians in the country.
The patriarch has also expressed concern at the exodus of Christians from Iraq since 2003 US-led invasion of Iraq.
Speaking to journalists Wednesday, Patriarch Sako said he believes Pope Francis’ decision to make him a cardinal is a comment “on the universality of the Church – not dividing the [Eastern] Churches from other Churches.”
It shows the pope’s spiritual fatherhood and special care for the Middle East, he said. Being made cardinal shows Francis’ support for the Iraqi people “much more than money [would].”
Patriarch Sako will be the first Chaldean patriarch who may be able to vote in a papal conclave. His predecessor, Cardinal Emmanuel III Delly, was not elevated to cardinal until shortly after his 80th birthday.
He said that following his nomination, which was a “surprise” to him, there was “a feast, a big celebration, among Iraqis. Because for them this is really a sign of hope… a big support internationally.”
Sako also noted that he received calls and visits of congratulation upon the publication of the news, not only from Christians, but from many Muslims and many of the country’s leaders, including President Fuad Masum and Prime Minister Haider al-Abadi.
Though many believe the future of Christians in Iraq is bleak, the patriarch was confident things will improve, saying he is “convinced that the future will be much better than now” and that someday there will be complete freedom of conscience.
“Christians should also have patience and hope. We don't have to think that we are persecuted... We have to be patient,” he said. “I am sure our Church will grow, that Christianity will grow.”

Il patriarca di Baghdad diventa cardinale: «I musulmani mi aspettano per festeggiare»

By Famiglia Cristiana
Roberto Zichitella

Sono giorni di grandi emozioni per Louis Raphäel I Sako, Patriarca di Baghdad e dei Caldei. Il 28 giugno riceve la porpora nel Concistoro straordinario deciso da papa Francesco per la nomina di 14 nuovi cardinali e il 4 luglio Sua Beatitudine festeggerà i 70 anni. Il Patriarca infatti è nato a Zakho, in Iraq, il 4 luglio 1948. A Mossul ha compiuto gli studi primari, frequentando poi il locale Seminario di St. Jean, tenuto dai Padri Domenicani. Ordinato sacerdote il 1° giugno 1974, ha svolto il servizio pastorale presso la Cattedrale di Mossul fino al 1979. Inviato a Roma, ha frequentato il Pontificio Istituto Orientale, conseguendo il dottorato in Patrologia Orientale. Successivamente ha conseguito il dottorato in Storia presso la Sorbona di Parigi. Dal 1997 al 2002 ha ricoperto l’ufficio di Rettore del Seminario patriarcale di Baghdad. Rientrato a Mossul ha ripreso la guida della Parrocchia del Perpetuo Soccorso fino alla elezione ad Arcivescovo di Kirkuk il 27 settembre 2003. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 14 novembre successivo. È stato eletto Patriarca il 31 gennaio 2013.
Patriarca Sako, come si sente a poche ore dalla consegna della berretta cardinalizia da parte del Papa?
«La decisione di papa Francesco non è tanto un riconoscimento alla mia persona, ma si tratta di un gesto di incoraggiamento e un appoggio per tutti i cristiani dell’Iraq, che da anni vivono in una situazione molto critica. Il pensiero principale del Santo Padre è quello di aiutare l’Iraq e gli altri paesi in guerra della regione mediorientale dando loro speranza e fiducia nel futuro».
Quanto hanno sofferto i cristiani del Medio Oriente?
«Tanto. Prima della caduta del regime in Iraq i cristiani erano un milione e mezzo, oggi sono circa 500 mila, un piccolo gregge. Nel 2014, 120 mila cristiani sono stati cacciati dalle loro case da Mosul e dalla piana di Ninive. Sono rimasti circa tre anni nei campi. I danni sono stati enormi. A Mosul l’80 per cento della città è stata distrutta e io ho fatto fatica a riconoscere la chiesa dove sono stato parroco, tanto era distrutta».
Anche i musulmani hanno sofferto molto?
«Sì, ci sono milioni di musulmani che vivono nei campi profughi dopo il conflitto in Iraq e in Siria. Il prezzo della guerra, e noi viviamo una guerra che dura da 15 anni, lo paga sempre la povera gente, senza distinzioni».
Dopo la sconfitta militare dell’Isis ci sono segni di rinascita?
«Oggi Mosul e la piana di Ninive sono state liberate e la Chiesa ha potuto restaurare le case e le scuole con l’aiuto delle agenzie e della carità di tante persone. Ringrazio anche l’Italia, che ha protetto con i suoi militari la diga di Mosul. La sua distruzione avrebbe provocato una catastrofe».
Il Papa vi è stato di incoraggiamento?
«Sì, gli interventi di Papa Francesco sono stati importanti. Francesco è un profeta del nostro tempo, sa vedere i segni dei tempi e con le sue parole riesce a toccare i cuori di tutti, anche i musulmani lo rispettano e ne parlano bene».
In questo momento qual è la sua preoccupazione principale?
«La nostra preoccupazione come Chiesa è tenere questi cristiani sul posto e assicurare loro una vita libera e dignitosa. Le religioni devono svolgere un ruolo importante,ma soprattutto devono svolgerlo i veri credenti, se vogliono dare una testimonianza forte e significativa al loro Creatore, Dio di tutti gli uomini e fonte di ogni misericordia. Coloro invece che hanno una concezione tribale della società e invocano la vendetta devono tacere e convertirsi alla pace».
È possibile una convivenza pacifica nonostante la guerra e il terrorismo?
«Certo, serve il dialogo e il riconoscimento che non possiamo essere tutti uguali. L’ho sempre detto ai fondamentalisti, Dio ci ha creato diversi, non possiamo essere tutti la stessa cosa».
Dopo il Concistoro tornerà subito a Baghdad?
«Sì, mi aspettano tutti. Anche i musulmani sono molto contenti per questo gesto del Santo Padre».

Il patriarca Sako: resto un padre e un pastore

By Vatican News
Amedeo Lomonaco




Il patriarca Louis Raphaël Sako , incontrando i giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, ha detto che la nomina cardinalizia è stata una sorpresa: "Non ero stato avvertito, ho ricevuto la notizia dai media”. “I cristiani in Iraq – ha ricordato - hanno molto sofferto, tante chiese sono state attaccate”. Il Papa ha voluto dire “che è vicino ai cristiani, non dimentica”. E’ una nomina – ha aggiunto - che "non cambia le cose: sono vicino alla gente, resto un padre e un pastore”. “Come il Papa ci chiede, siamo servitori. Oggi lo spirito del mondo è entrato anche nella Chiesa, si deve recuperare lo spirito di Dio”. “E la nomina – ha sottolineato è un incoraggiamento".
Il futuro dei cristiani in Iraq
Il patriarca Sako ha poi rinnovato l’invito al dialogo: "la religione non deve mettere barriere e divisioni, ma anzi favorire la convivenza pacifica". E a questo sforzo voloto alla riconciliazione è legato anche il futuro dei cristiani in Iraq: “sarà molto meglio di com’è la situazione ora, che siamo in minoranza. Dobbiamo essere pazienti, l’ultima parola è del Vangelo. Siamo però sicuri che la Chiesa e i cristiani cresceranno”.
Due priorità per il Medio Oriente
Il patriarca Sako ha infine indicato, per il Medio Oriente, due punti cruciali: il primo è assicurare il diritto di cittadinanza in modo che vengano anche garantiti i diritti umani. Il secondo è politico: i capi di stato - ha concluso – devono pensare alla vita umana, non agli interessi materiali. “Fabbricare armi vuol dire rovinare il mondo”.

Cardinal Sako: Ricostruire l’unità dei cristiani e dell’Iraq. Presto un sacerdote a Mosul

By Asia News
Dario Salvi


Rafforzare l’unità dei cristiani, rilanciare il principio di cittadinanza quale elemento comune a tutti gli irakeni e sostenere l’opera di ricostruzione delle case e delle persone, devastate dalla guerra e dalle violenze jihadiste. Sono questi gli obiettivi tracciati dal patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, che oggi in Vaticano riceve la berretta cardinalizia da papa Francesco. E l’impegno di nominare a breve un sacerdote per la parrocchia di san Paolo a Mosul. Una personalità “forte e autorevole”, assicura il neo porporato, che “verrà scelta entro la fine dell’estate” e che sia segno e garanzia “di stabilità”.
AsiaNews ha incontrato il primate caldeo a poche ore dalla cerimonia. Ecco quanto ci ha raccontato:
Patriarca Sako, che valore ha la nomina cardinalizia per la Chiesa irakena?
Con questa scelta papa Francesco ha voluto mandare un segnale forte di sostegno alle Chiese orientali. La nomina va in questa direzione. Inoltre è un messaggio ai cristiani irakeni, ci vuole dire: ‘Anche se non posso venire vi sono vicino, vi incoraggio a rimanere e a sperare, ad avere pazienza, impegnatevi per cambiare la situazione’. Infine, è un appello alla classe politica irakena: tutti sanno l’importanza e l’influenza che esercita il Vaticano a livello internazionale. I musulmani hanno preso questa nomina come un invito ulteriore alla riconciliazione, al dialogo, all’impegno comune per la rinascita della nazione. Una scelta dall’alto valore simbolico, come lo è stata a suo tempo la nomina a cardinale del nunzio apostolico in Siria Mario Zenari. 
Quali saranno i suoi obiettivi per il prossimo futuro?
Prima di tutto l’unità dei cristiani, che ci tocca al cuore per la profonda frammentazione che ha caratterizzato a lungo la nostra Chiesa. E ancora, l’unità degli irakeni in quanto cittadini con eguali diritti ed eguali doveri, secondo il principio di cittadinanza. Infine, lavorare per un futuro migliore partendo dall’opera di ricostruzione materiale e culturale. In questo senso è importante una maggiore presenza a livello di rapporti con la Chiesa occidentale, lo scambio culturale, la nascita di istituti, scuole, dispensari e ospedali cristiani come avviene già nelle altri nazioni dell’area (Siria e Libano). Per troppo tempo ci siamo sentiti isolati, per questo è importante che oggi ci apriamo al mondo e dall’esterno vengano sempre più persone. Bisogna aiutare questa Chiesa caldea, che è fra le più antiche, a essere un segno visibile attraverso opere e progetti. 
Una rinascita che può partire proprio da Mosul, a lungo roccaforte dello Stato islamico (SI, ex Isis) e dove si sono consumate le peggiori atrocità jihadiste? 
Esatto! Per far rinascere Mosul è fondamentale ricostruire case e abitazioni, incentivare le persone a tornare. Poi è necessario ricostruire l’uomo, prima di tutto a livello psicologico e sociale con percorsi di integrazione e confronto. Da ultimo garantire il lavoro, agevolando la ripresa delle attività commerciali, industriali, le micro-imprese e l’artigianato locale. 
Come è la situazione in città?
Vi sono ancora molte distruzioni, ma fra gli stessi musulmani vi è un nuovo impulso a ripartire, a reagire di fronte ai disastri dell’Isis. Bisogna educare la gente ad aprirsi, garantire il rispetto delle leggi, favorire l’istruzione e scongiurare derive estremiste nell’approccio alla fede. 
In questo senso è fondamentale un ritorno dei cristiani, a livello di fedeli e di clero…
Certo, ecco perché a breve nominerò un prete per la parrocchia di san Paolo a Mosul, che tornerà a vivere lì in modo stabile. Sarà una personalità forte e autorevole, che sceglieremo entro la fine dell’estate. Oggi la situazione è cambiata ed è arrivato il momento per ricostruire la comunità, garantendole stabilità. Vogliamo mandare un messaggio forte, dire che siamo tornati, incoraggiando in questo modo anche le persone a rientrare, in primis gli studenti universitari. 
Anche il via libera alla causa di beatificazione di p. Ragheed Ganni arrivata nelle scorse settimane dal Vaticano può infondere fiducia e speranza?
La sua storia e il suo sacrificio, comune a quelli di molti altri sacerdoti, diaconi e vescovi fra cui mons. Rahho testimoniano che la Chiesa irakena è una storia continua di martiri. Questa beatificazione, che dovrebbe concludersi in tempi brevi, darà nuova forza alla comunità locale. È un monito per farci capire che questo sangue non è versato invano, ma è frutto di amore e porterà pace.  
Beatitudine, le recenti elezioni hanno determinato un clima di incertezza nel Paese, con accuse di brogli e ricorsi. Quali sono le prospettive?
La situazione è al momento complicata e tesa, sono in atto lotte per il potere e per il denaro, la corruzione resta uno dei mali endemici del Paese. Tuttavia, vi sono alcuni segnali chiari: alle ultime elezioni si è registrata la percentuale più alta di nuovi nuovi candidati che fanno il loro ingresso per la prima volta in Parlamento. E questo fa paura a quanti hanno tenuto sinora le redini del potere ed è anche per questo che si sono levate tutte queste voci di frodi, accuse di brogli, contestazioni. Ma sono sicuro che alla fine nascerà un governo forte, con una impronta civile e libera dal settarismo. Oggi vi è una mentalità diversa rispetto al passato, determinata forse anche da una crisi economica e morale generale. Ecco, a mio avviso la situazione attuale a livello mondiale è determinata proprio da questa crisi dei valori, in particolare fra i cristiani, che faticano a rivendicare la propria identità e appartenenza di fronte all’orgoglio mostrato dai musulmani. 
Patriarca Sako, come immagina il futuro prossimo per l’Iraq e la sua Chiesa?
Viviamo una fase di grandi sfide, di paure e di speranze. Dobbiamo continuare il linguaggio del dialogo con i musulmani, non in base a principi astratti a livello accademico ma secondo un rapporto attuale, concreto, che si vive giorno per giorno. Dobbiamo cercare di aiutarli a correggere le derive estremiste, favorendo il rispetto di tutti e la tutela delle realtà più deboli ed emarginate. Potrà essere un passaggio lento, ma io credo in questo piccolo miracolo e lo vedo anche dai rapporti che si sono creati non solo fra papa Francesco e grandi personalità dell’islam, come il grande imam di al-Azhar, ma pure a livello locale con un legame sempre più profondo che si è venuto a creare con le più alte autorità sunnite e sciite dell’Iraq. Difendendo con le parole e con gli esempi valori assoluti come i diritti umani, la libertà religiosa anche e soprattutto nei Paesi a maggioranza musulmana, e il principio di cittadinanza separato dalla religione.

Sako: “L’islam accetti il principio di cittadinanza e i diritti umani”

By La Stampa - Vatican Insider
Francesco Peloso


«La rivoluzione nel mondo musulmano arriverà dalle donne».

Il patriarca di Babilonia dei caldei (Baghdad), Louis Raphael Sako, nuovo cardinale nominato da Papa Francesco, chiude così, con uno sguardo di speranza rivolto al futuro, l’incontro con i giornalisti di tutto il mondo svoltosi nella Sala Stampa della Santa Sede. Sako ha spiegato l’importanza per il mondo islamico di accettare il principio di uguaglianza fra tutti i cittadini a prescindere dalla loro fede, ha messo in luce il grande contributo dato dai cristiani all’Iraq e in altre regioni del Medio Oriente alla tradizione musulmana, ha spiegato che circa un milione di cristiani su un milione e mezzo ha lasciato il paese dall’inizio del conflitto, ha ribadito di aver invitato più volte il Papa a visitare il paese anche se per ragioni di sicurezza questo viaggio resta molto difficile; tuttavia ha indicato in una visita-lampo di un giorno una possibilità-auspicio per una visita da parte di Francesco. «Non si può pensare solo al petrolio agli interessi di varie potenze – ha detto – ci sono anche gli iracheni che vogliono vivere in pace».

«Con la mia nomina - ha detto il patriarca - il Papa ha voluto dire che è presente e vicino ai cristiani di Mosul, che pensa a loro e che non sono dimenticati, e anche ai musulmani; molti musulmani del resto sono venuti in patriarcato per farmi gli auguri. Anche il presidente e il primo ministro iracheno. Quello del Pontefice è un appello rivolto anche ai politici per la riconciliazione e il dialogo: la guerra e le armi rovinano il Paese e la vita della gente, bisogna sostituire i conflitti con il dialogo». In tal senso, Sako ha sottolineato una volta di più la necessità di un’evoluzione dell’islam che «deve uscire dal Medioevo, non hanno un’esegesi (una lettura interpretativa del Corano e della tradizione, ndr), per cui c’è stato chi ha falsificato la religione originaria», mentre nella struttura sociale resistono ancora «rivalità tribali, ma oggi dobbiamo ragionare in un altro modo».
«Ci sono imam - ha aggiunto – che cominciano a parlare di “regime civile”, fra loro c’è al Sistani: questo è un passo avanti, ancora timido ma nella giusta direzione». Da questo punto di vista il fondamentalismo violento di cui è stato fautore l’Isis ha aiutato a rimettere in moto le cose, ha detto, proprio per la necessità di prenderne le distanze. Il capo della Chiesa caldea ha rilevato poi che le cose variano da paese a paese della regione, «per 35 anni l’Iraq è stato un paese quasi laico, con l’arrivo dell’Iran le cose sono un po’ cambiate» (l’influenza dell’Iran è cresciuta dopo la fine del regime di Saddam Husseinndr), nel mondo musulmano, ha precisato ancora, «Dio è dappertutto, in ogni atto della vita e momento della giornata ne parlano sempre, è un’abitudine. Penso però che ora ci sia l’opportunità di scegliere in favore del principio di cittadinanza, già hanno cominciato la Tunisia e l’Autorità palestinese». Anche con le donne la situazione è cambiata, ha detto il patriarca, prima a Baghdad c’erano donne vestite tutte di nero ora molte vanno in giro senza velo, e non sono cristiane, sono musulmane. «Dalle donne – ha aggiunto – potrà arrivare la rivoluzione nel mondo musulmano».
In relazione al prossimo incontro per la pace nel Mediterraneo promosso dal Papa con i capi di tutte le Chiese del Medio Oriente in programma a Bari il 7 luglio, Sako ha rivelato che fra i primi «noi vescovi caldei avevamo chiesto al Papa di fare qualcosa con questo obiettivo». L’incontro, secondo il neo cardinale, dovrà servire dunque a promuovere «il principio di cittadinanza e il rispetto dei diritti umani in questi Paesi, a cambiare in tale direzione le costituzioni», sotto questo aspetto Sako ha precisato che i cristiani «hanno dato molto ai musulmani». In secondo luogo, ha proseguito, «bisogna chiedere ai capi di Stato di pensare anche alla vita e non solo a fabbricare armi. Gli occidentali hanno imparato a vivere in pace dopo la Seconda Guerra mondiale, in Europa ci sono stati settant'anni di pace, è quello che dobbiamo imparare a fare anche noi».  
Il patriarca di Baghdad ha poi spiegato che su un milione e mezzo di cristiani presenti nel Paese prima del conflitto, almeno un milione ha lasciato il Paese, «spesso i media non aiutano dicendo che nel futuro dell’Iraq e del Medio Oriente non c’è posto per i cristiani, che scompariranno del tutto dalla regione, danno un messaggio sbagliato. Certo chi è partito difficilmente ritorna, se ha un lavoro manda i figli a scuola, se si è fatto una vita altrove», per questo va sostenuto chi resta. 
A Sako è stato poi chiesto di commentare la recente affermazione del Papa rivolta ai vescovi delle Chiese orientali di non comportarsi come «epuloni», di rinunciare alle ricchezze in favore dei poveri, anche considerato che uno dei primi provvedimenti da patriarca è stato quello di congelare i conti della Chiesa locale. «Sì – ha risposto - il problema esiste. Noi non cerchiamo la carità del regime», inoltre, ha spiegato, «la nostra era una Chiesa ricca». In 15 anni di conflitto, poi, sono affluite molte risorse in segno di solidarietà, insomma il flusso di denaro non è mancato causando più di un problema. Tutti i servizi liturgici offerti dalla Chiesa, ha detto ancora Sako, sono gratis, non si paga per le messe, i battesimi e così via. Per ovviare al problema infatti, ha spiegato il Patriarca, è stato assegnato un salario a ogni prete; d’altro canto, ha aggiunto, «noi consacrati non siamo sposati, non abbiamo una famiglia, non andiamo al lavoro per mantenerla, perché cerchiamo denaro?».

27 giugno 2018

Mar Louis Raphael I Sako: il terzo cardinale iracheno della storia

By Baghdadhope*

Con la nomina a Cardinale del Patriarca di Babilonia dei Caldei Mar Louis Raphael I Sako nel corso del Concistoro del 28 giugno 2018 salgono a tre i cardinali nati in Iraq.   

Ignatius Gabriel I Tappouni, nato Abdul-Ahad Dawood Tappouni
(Mosul 1879-Beirut 1968)
Patriarca della chiesa siro-cattolica con il titolo di Patriarca di Antiochia dal 1929 al 1968.
Nominato cardinale da Papa Pio XI nel 1935. 

Emmanuel III Delly, nato Emmanuel Karim Delly
(Telkeif 1927- San Diego (USA) 2014)
Patriarca della chiesa caldea dal 2003 al 2012 con il titolo di Patriarca di Babilonia dei Caldei.
Nominato cardinale da Papa Benedetto XVI nel 2007.
 
Louis Raphael I Sako, nato Louis Raphael Sako
(Zakho 1948)
Patriarca della chiesa caldea dal 2013 con il titolo di Patriarca di Babilonia dei Caldei.
Nominato cardinale da Papa Francesco nel 2018.


Why cardinals have ranks, and how Pope Francis changed them

By Catholic News Agency
Andrea Gagliarducci

Pope Francis made an unexpected change Tuesday in the structure of the College of Cardinals, adding some curial officials to the rank of “cardinal bishops,” the highest rank within the college.
The College of Cardinals is structured in three orders, or ranks: the order of “cardinal deacons,” the order of “cardinal priests,” and the order of “cardinal bishops.”
There are customarily six cardinal bishops from the Latin Church, who are given a particular ceremonial title as the “titular bishops” of Rome’s ancient suburbicarian sees. The dean of the College of Cardinals is also assigned as titular bishop of the Roman see of Ostia.
Eastern Catholic patriarchs who are cardinals are also cardinal bishops.
Though, in modern times, cardinal bishops do not actually govern the suburban dioceses in the vicinity of Rome, the custom of corresponding the rank of cardinal bishop to those dioceses is ancient.
The pope’s new appointments break with that custom, which is established in canon law, as he has appointed cardinal bishops who will not be ceremonially connected to those suburbicarian sees. In fact, those sees already have titular bishops, each of whom is a cardinal bishop over the age of 80, the age at which cardinals are no longer eligible to vote in the conclave that elects a pope.
Those elevated to the rank of cardinal bishop are Cardinal Pietro Parolin, Vatican Secretary of State; Cardinal Leonardo Sandri, Prefect of the Congregation for the Eastern Churches; Cardinal Marc Ouellet, prefect for the Congregation of Bishops; Cardinal Fernando Filoni, Prefect of the Congregation for the Evangelization of People.
Among these new cardinal bishops, Cardinal Filoni was until now a cardinal deacon, while the others were all cardinal priests.
The Pope’s June 26 rescript says that popes have “always looked with fraternal fondness to the College of Cardinals,” as they “offer a particular support to the mission of the Successor of Peter, bearing the valuable contribution of their experience and of their service to the particular Churches spread all over the world.”
The rescript then noted that “in the last decades” the College of Cardinals has expanded, thus increasing the number of cardinal priests and deacons, while the number of cardinal bishops has stayed untouched with time, and so the pope made the decision to expand that group.

The decision derogates from canons 350 and 352 of the Code of Canon Law, and will come into effect since the next June 28.
All three ranks within the College of Cardinals have ancient historical roots. Cardinal deacons were anciently entrusted with the administration of the six offices of the Lateran Palace (the See of the Bishop of Rome, the Pope) and of the the seven departments of Rome, including care for poor. After Pope Sixtus V, they became 14, two for departments, and were given a “deaconry” of administration, that is, a church in Rome for which they were responsible.
The cardinal priests were those entrusted with the care of the most ancient Churches in Rome, called “titles,” and are by tradition connected with a Roman parish. After ten full years as a cardinal deacon,”a cardinal can “opt” to become a cardinal priest.
There were originally seven cardinal bishops, the bishops of Rome’s suburbicarian sees.
The present cardinal bishops, in addition those named today, are Tarcisio Bertone (Frascati), José Saraiva Martins (Palestrina), Roger Etchegaray (Porto Santa Rufina), Giovanni Battista Re (Poggio Mirteto) and Francis Arinze (Velletri-Segni).
Cardinal Patriarchs of Eastern Catholic Churches, who are also cardinal bishops  are Patriarch Bechara-Boutros Rai, of Antioch of the Maronites; Patriarch Pierre Sfeir, emeritus of Antioch of Maronites; Patriarch Antonios Naguib, emeritus of Alexandria of the Coptics.
Cardinal-Elect Louis Raphael Sako, Patriarch of Babylon of the Chaldeans, will be added to the list after the June 28 consistory.

Meeting di Rimini: presentata a Roma l'edizione 2018 dedicata al tema del cambiamento


«Sarà una sorpresa anche per i visitatori più affezionati - annuncia la presidente della Fondazione Meeting, Emilia Guarnieri - per una manifestazione che, per restare fedele alla sua natura di evento aperto al dialogo e all'incontro, si evolve e muta di anno in anno». Alla presentazione erano presenti oltre all'ambasciatore Pietro Sebastiani e alla presidente Guarnieri, anche il ministro dell'Istruzione, università e ricerca, Marco Bussetti, il patriarca Louis Raphael Sako, che il prossimo 28 giugno sarà elevato a cardinale da Papa Francesco, e il presidente dell'Agenzia spaziale italiana, Roberto Battiston.
«La formazione è fondamentale per fornire ai giovani strumenti attraverso i quali gestire e governare le sfide che li attendono - ha affermato il ministro Bussetti -. Un'istruzione di qualità è determinante per favorire la crescita di persone protagoniste e libere che concorrano, attraverso il loro agire, a ‘muovere la storia' nella direzione giusta».
Il patriarca Sako ha parlato della difficile condizione dei cristiani in Medio Oriente. «Prima della caduta del regime i cristiani in Iraq erano un milione e mezzo - ha ricordato - oggi sono circa 500mila. Nel 2014 120mila cristiani sono stati cacciati dalle loro case da Mosul e dalla piana di Ninive. Sono rimasti circa tre anni nei campi. Oggi Mosul e la piana di Ninive sono state liberate e la Chiesa ha potuto restaurare le case e le scuole con l'aiuto delle agenzie e della carità di tante persone». Se, da un lato, si registrano progressi sul fronte della sicurezza, altrettanto non si può dire per quello che riguarda i segni che consentano di sperare in un futuro migliore. «La nostra preoccupazione come Chiesa è tenere questi cristiani sul posto e assicurare loro una vita libera e dignitosa - ha aggiunto il patriarca Sako -. Le religioni devono svolgere un ruolo importante, ma soprattutto devono svolgerlo i veri credenti, se vogliono dare una testimonianza forte e significativa al loro Creatore, Dio di tutti gli uomini e fonte di ogni misericordia. Coloro invece che invocano la vendetta devono tacere e convertirsi alla pace».

Acs e Carabinieri: concerto per i cristiani perseguitati. Testimonianze da Iraq e Pakistan

Photo Mons. Basel Yaldo
By Vatican News
Gabriella Ceraso

"L'Iraq, la mia patria, la Siria e altri paesi del Medio Oriente, hanno vissuto e vivono ancora episodi di guerre atroci che minacciano la vita di semplici cittadini che non sono gli attori, ma le vittime quotidiane".
E' forte la testimonianza che da Baghdad porta a Roma il cardinale designato Louis Raphael I Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei. La sua voce si alternerà questa sera ai brani di Verdi, Franck e Perosi fino al momento in cui la piazza d’Armi della legione Allievi Carabinieri si illuminerà di rosso in ricordo del sangue versato, ancora oggi, da tanti cristiani in tutto il mondo, così come erano stati illuminati Fontana di Trevi nel 2016 e il Colosseo lo scorso 24 febbraio.
I cristiani cercano dignità e libertà
Il patriarca ricorda l'opera dell'Arma dei Carabinieri impegnati in Iraq nella formazione delle forze di polizia locale e anche nella difesa della diga di Mosul e dunque nella difesa dell'acqua che è vita per la popolazione. Quindi traccia il quadro della realtà del Paese. Dalle parole del patriarca emerge la necessità di tutti i cristiani del Medio Oriente di un ambiente sicuro dove vivere in dignità e libertà come cittadini. Più volte rimarca che "non importa essere musulmani o cristiani, importante è essere cittadini: la mentalità settaria non è giusta. Occorre arrivare ad una dichiarazione ufficiale nel mondo musulmano per dire che tutti hanno gli stessi diritti: la religione va considerata fatto privato non deve toccare la sfera politica". (Ascolta l'intervista al patriarca Sako sui cristiani perseguitati)
La politica internazionale pensi al popolo 
Altra azione necessaria- obiettivo anche del Concerto offerto dalla Banda dei Carabinieri- è sollecitare un cambiamento di mentalità a livello internazionale. "Non seguire solo interessi economici o guadagni sicuri col traffico di armi, ma avere a cuore il bene dei popoli" è l'auspicio di Sua Beatitudine Lous Raphael I Sako. La guerra condotta dalle grandi potenze in territorio iracheno ha portato solo distruzione, dice, ora deve lasciar spazio al dialogo: nelle parole del patriarca il racconto di città rase al suolo, di chiese ridotte in macerie e di responsabilità anche occidentali. La pace, afferma, sarà raggiunta solo attraverso gli sforzi di tutti "contro l'ignoranza, l'oscurantismo e il fanatismo". 
Tanti segni di speranza 
Nella parole del patriarca anche i segni di speranza da cogliere nella realtà irachena attuale. Come vescovo confessa di essere tenuto a "cogliere i piccoli positivi cambiamenti in corso" e cita la voglia di un "regime civile" che coinvolge anche i giovani musulmani, la richiesta comune di una riforma constituzionale, l'attenuarsi dei toni di odio dei predicatori nelle moschee o, ancora, il fronte compatto dei musulmani contro l'estremismo dell'Isis. Poi, nelle sue parole, l'incoraggiamento a tutti i cristiani affinchè prendano parte alla vita civile e politica e si impegnino in prima linea a cambiare le cose.

26 giugno 2018

Testimonies of Three Iraqi Students from Qaraqosh


Iraqi Testimonies During my visit to Iraq last month, three students from the predominantly Christian town of Qaraqosh — Sally Salim, Rahma Jacob and Rashel Garo — shared their views on the challenges facing the Northern Iraqi city since it was liberated from ISIS in 2016 (see video below). 
The students, currently studying at the Catholic University in Erbil, also gave a rendition at the end of the Lord's Prayer in Aramaic, the language Jesus spoke.

Patrimonio liturgico


Sette riti o famiglie liturgiche orientali sono in uso oggi: il rito armeno, il bizantino, il copto, l’etiopico e tre riti siriaci: l’assiro-caldeo, il siro-antiocheno e il siro-maronita. Sono nati e si sono sviluppati attraverso le usanze liturgiche delle zone culturali dell’Impero romano d’oriente e dei paesi limitrofi nel Caucaso, nella Mesopotamia e nell’Etiopia. Una volta si designavano come alessandrino, antiocheno, o bizantino secondo il luogo della loro presunta provenienza. Il rito liturgico, linguaggio in cui una Chiesa particolare esprime la sua identità, assomiglia alla lingua parlata: sia il rito che la lingua provengono da rito e lingua più antichi, come le lingue romanze vengono dal latino volgare.
Il rito bizantino
Siamo abituati a credere che il rito bizantino sia la tradizione liturgica formatasi nella nuova città capitale di Costantinopoli, fondata da Costantino nel 324 nell’entroterra del porto di Bisanzio. Ma il rito bizantino è ibrido. La sua liturgia eucaristica e degli altri sacramenti è sintesi delle usanze liturgiche “cattedrali” di Costantinopoli.
Rinomato per la sontuosa solennità del suo cerimoniale e per la sintesi di simbolismo e di iconografia liturgica, il rito bizantino eredita gli splendori imperiali della Costantinopoli giustinianea (527-565) e la sintesi teologico-simbolica gradualmente attuata tra il ix e il XIV secolo nei monasteri ortodossi, a partire dalla vittoria sull’iconoclasmo. Quale rito orientale più diffuso, il rito bizantino è l’unico rito pluriculturale dell’Oriente cristiano. Si è esteso al mondo greco dell’antico Impero romano d’oriente compresa l’Italia meridionale, come pure ai Georgiani, ai Romeni, agli Ungheresi, ai popoli dei Balcani, a tutta la Rus’ di Kiev e a diversi popoli slavi, e agli Arabi.
Il rito armeno
La culla storica dell’Armenia cristiana è sulle coste del lago Van, a oriente della Cappadocia greca e a nord dell’Osrhoene e Adiabene siriache. Dal III al v secolo l’influsso cristiano nella formazione del patrimonio liturgico armeno raccolse a sud l’eredità siriaca della Mesopotamia e quella greca proveniente dalla Cappadocia. Benché questo cristianesimo armeno esistesse già prima dell’evangelizzazione attribuita a san Gregorio l’Illuminatore (ca. 231-325), tuttavia, dopo che Gregorio venne consacrato vescovo da Leonzio di Cesarea in Cappadocia intorno al 302, era predominante l’influsso greco cappadoce sulla formazione del rito armeno, soprattutto sulla liturgia eucaristica e sull’Ufficio divino, mentre prima c’era stato l’influsso cristiano siriaco sui riti d’iniziazione. In seguito, dal v al VII secolo, quando la tradizione cristiana armena locale era nella sua epoca d’oro, ci fu anche l’efficace influsso di Gerusalemme. Quindi seguì un periodo di forte bizantinizzazione, dal ix al XIII secolo, quando l’influsso politico ed ecclesiale costantinopolitano era particolarmente attivo. Per questo il rito armeno conserva una chiara impronta bizantina, fino al punto che potrebbe sembrare imparentato a quello bizantino.
Il rito armeno, ancora celebrato in Grabar, lingua armena classica, è noto per il carattere “cattedrale” del suo Ufficio divino, nonché per lo splendore dei suoi paramenti e la bellezza del suo canto liturgico.
Il rito assiro-caldeo
La relazione tra le tre famiglie liturgiche siriache — assiro-caldea, siro-antiochena, siro-maronita — è complessa. Tre centri liturgici principali hanno avuto maggior influsso sul formarsi di questi riti: Antiochia, Gerusalemme ed Edessa. Di questi, solo Edessa era centro di lingua e cultura siriaca; le altre due erano città greche, benché avessero una minoranza di lingua siriaca.
Il rito della Mesopotamia, che costituisce l’attuale rito assiro-caldeo, è siriaco e le sue origini si possono probabilmente rintracciare in Edessa. Usato oggi dai membri della Chiesa d’Oriente, che si dicono Assiri, dai Caldei e dai cattolici malabaresi, il rito corrisponde agli antichi usi della Chiesa mesopotamica dell’Impero persiano, che aveva il suo centro ecclesiastico nel catholicosato di Seleucia-Ctesifonte sul fiume Tigri, una cinquantina di chilometri a sud di Baghdad, nell’attuale Iraq.
Si sa molto poco sulla prima formazione del rito assiro-caldeo, sebbene esso contenga ancora composizioni attribuite a padri siriaci antichi, come Efrem († 373) e il suo contemporaneo Giacomo, vescovo di Nisibi, il catholicos Simeon bar Sabba’ê († ca. 341-344), Marutha di Maipherkat († ca. 420), e Narsai († 502).
La disposizione liturgica della chiesa, con il bema al centro della navata per la liturgia della Parola, l’antichissima anafora degli apostoli Addai e Mari, e i riti liturgici come il canto «Laku Mara» (A Te, Signore) e la sua colletta, conservano fino a oggi carattere di rara antichità. La liturgia assiro-caldea delle ore, come quella armena, è rimasta ampiamente “cattedrale”. Sebbene l’Ufficio di oggi rechi tracce d’influsso monastico, le tre ore del mattutino “cattedrale”, dei vespri e della vigilia festiva “cattedrale” hanno mantenuto integra la loro purezza originaria.
L’evento storico più significativo nella formazione di questo rito fu indubbiamente la riforma promossa dal catholicos Isho’yahb III nel 650-651 e attuata nel monastero superiore o convento di Mar Gabriele a Mossul.
II rito siro-antiocheno
Il rito siro-antiocheno o siro-occidentale costituisce la tradizione degli ortodossi siriaci nel patriarcato di Antiochia e in India, così come dei cattolici siriaci e malankaresi. È una sintesi dell’elemento siriaco originario, soprattutto degli inni e delle altre parti corali, con materiale tradotto da testi liturgici greci di provenienza antiochena e agiopolita. Questa sintesi venne attuata da comunità monastiche di lingua siriaca, non calcedonesi, nel Tur ‘Abdin, nell’entroterra della Siria, della Palestina e di parti della Mesopotamia, oltre che in città greche del litorale mediterraneo.

Iraq: Nomina dell’Amministratore Apostolico “sede vacante” dell’Arcieparchia di Baghdad degli Armeni

By Zenit

Il Santo Padre ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante dell’Arcieparchia di Baghdad degli Armeni (Iraq) il Rev.do Nersès (Joseph) Zabbara, del clero di Aleppo degli Armeni.
Rev.do Nersès (Joseph) Zabbara
Il Rev.do Nersès (Joseph) Zabbara è nato ad Aleppo (Siria) il 6 giugno 1969. È entrato nel Seminario di Aleppo nel 1990 e in quello di Roma nel 1992. Dopo l’anno integrativo presso il Pontificio Istituto Orientale, ha proseguito il percorso di filosofia e di teologia presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, ottenendo il baccellierato in entrambe le discipline. Il 31 ottobre 1999, è stato ordinato sacerdote per l’Arcieparchia di Aleppo. Ha ricoperto differenti ministeri pastorali: Vice-parroco della Parrocchia di Santa Barbara di Aleppo (1999-2002), Direttore di scuola (2002-2004), Parroco della Parrocchia della Santa Croce (2004-2016), insegnante nell’Istituto di Teologia Cristiana di Aleppo. Nel 2016, è stato nominato Amministratore Eparchiale dell’Arcieparchia di Baghdad. Oltre all’armeno e all’arabo, parla italiano, francese e inglese.

L'Arcieparchia armena di Baghdad è stata precedentemente retta dal 2007 al 2017 dall'Arcivescovo Emmanuel Dabbaghian.
Nota di Baghdadhope

Patriarca Sako: Il futuro dei cristiani irakeni è in Iraq

By Asia News
Fady Noun

È il fiore più bello del clero delle Chiese orientali, la “colomba” di Mosul, colui che papa Francesco eleverà in via officiale al rango di cardinale il 29 giugno, insieme ad altri 14 vescovi. Per il patriarca Sako, il capo della Chiesa caldea di Iraq (70 anni), il titolo sarà onorifico; ma questa carica, che egli condivide con il patriarca maronita Béchara Raï, lo associa al collegio elettore che potrebbe eleggere il prossimo papa.
Conoscere bene il patriarca Sako significa misurare la modestia di un uomo dalla voce sommessa e dalle maniere affabili, che è contrario alle tradizioni e comodità del clero del suo tempo, e ha voluto farsi ordinare il Primo Maggio, festa dei lavoratori, per affermare una volta per tutte che, come sacerdote, è il fratello degli operai e un lavoratore lui stesso.
Eletto nel 2013, il patriarca Sako è anche il capo della Chiesa orientale, che più di tutte ha sofferto gli attacchi dell’Is (Stato islamico). Questo è l’uomo che ha patito più di tutti vedendo il suo gregge disperso; l’uomo che ha pianto vedendo il suo Iraq, la gioia dei suoi occhi, separato in tre: un Iraq curdo, un secondo sciita e un terzo sunnita. “Non avrei mai immaginato che degli eventi così terribili potessero toccare così il nostro popolo” ha confidato un giorno al giornale La Croix, comparando la catastrofe che si è abbattuta sulla sua Chiesa e il popolo irakeno, il 6 agosto 2014, quando 100mila persone sono scappate di notte verso il Kurdistan, a quello che hanno sperimentato i “primi apostoli” al tempo dei romani.
Resta l’amaro, senza illusioni, per il cinismo di un occidente che egli giudica complice, perché è obnubilato dai propri interessi economici al punto di accettare senza fare nulla che un popolo intero venga cacciato dalla propria terra.
Certo, oggi lo Stato islamico è scomparso dal territorio e la città simbolo di Mosul si è arresa, a caro prezzo, alla sua popolazione, ma il patriarca Sako continua a tremare, perché la disgregazione del suo Paese non è ancora completamente finita, e perché i suoi fedeli - potrebbe ben alzare la voce! -, rifiutano ancora di tornare in Iraq, giudicando, spesso giustamente, che il virus del fanatismo continui a minarlo, anche se gli anticorpi bellici sembrano aver avuto ragione.
“Più peso”
Come vede il patriarca Sako la sua nuova missione di cardinale? “Mi darà più peso e possibilità di portare i problemi di giustizia sociale, di uguaglianza e di cittadinanza ” ha dichiarato all’agenzia del Vaticano, dopo aver appreso la notizia. Per lui, tutto è in questo “peso” che il titolo di cardinale comporta, e che egli spera di poter giocare in Vaticano. Egli spera anche che dopo gli anni di separazione questa nuova funzione aiuti ad accelerare la riunificazione dell’Iraq e il ritorno dei fedeli della sua Chiesa. Ma se egli crede al dialogo, non è certo quello “dei salotti”, ma a un vero dialogo che incoraggi i cristiani in Iraq a rimanere nel loro Paese, o a ritornare. Altrimenti “al di sotto di un certo numero, la loro presenza non avrà alcun effetto”.
Coefficiente d’apertura
Alla presenza dei cristiani d’Iraq il patriarca Sako attribuisce un importante coefficiente d’apertura. Si tratta di “aiutare l’islam ad aprirsi, aiutarlo a sviluppare una nuova lettura dei testi sacri, una lettura realistica che li collochi nel loro contesto storico e culturale”. Per questo conta su dei “risvegli qui e là”, e rende particolare omaggio a studiosi come Hani Fahs, di cui si dispiace di non aver seguito la scuola. Apprezza allo stesso modo i contributi di Al-Azhar per un aggiornamento dell’islam, così come la persona e il pensiero dell’Ayatollah Ali Sistani. “Noi dobbiamo rimanere vicini a tutti questi sforzi, per difenderli, per fermare i pregiudizi e l’islamofobia”, avverte.
I due fronti
All’indomani delle elezioni legislative di maggio 2018 che hanno ricomposto il panorama della politica irakena, la Chiesa caldea dovrà lottare su due fronti: nazionale ed ecclesiale. Sul piano nazionale, dovrà stare attenta e lontana dalla politica. Il patriarca Sako sostiene una riforma costituzionale che privilegia la cittadinanza e rinforza la libertà di religione. Egli è cosciente della differenza tra la fede vissuta e quella identitaria. Quest’ultima può condurre al fanatismo e al fondamentalismo. “L'esperienza irakena ci ha insegnato molto – spiega – Certo, la Chiesa deve rimanere sensibile alle principali questioni politiche, ma deve stare attenta a non essere politicizzata. Guardate l’Islam. La sua politicizzazione è stata la sua fine. La politicizzazione di una religione finisce per snaturarla. Credo in una Chiesa al servizio degli altri, come quella di papa Francesco, una Chiesa povera, semplice, una Chiesa delle periferie”.
Ostile all'immagine dei cristiani orientali come “gruppo minoritario”, il patriarca Sako ci rimanda a una lettera sotto forma di rapporto pubblicato nel 2015 in cui aveva preso una posizione ferma contro le milizie “assire” attive in Iraq e in Siria. Non bisogna “pensare che la soluzione dipenda dalla creazione di fazioni di eserciti isolati che stanno combattendo per i nostri diritti”, dice come avvertimento.
Richiamando a trarre delle “lezioni dalla storia”, sostiene, al contrario, l’ingaggio di forze regolari come l’esercito irakeno ufficiale o i peshmerga curdi. “Dobbiamo renderci conto che il nostro destino è legato a quello di tutti gli irakeni e questo è l'unico modo per assicurare il nostro futuro insieme”, scrive in questo documento, invitando i cristiani a “stare nella stessa barca del resto del Paese per arrivare sani e salvi”.
“La nostra ambizione è costruire (...) una società civile democratica, in grado di gestire la diversità, rispettare la legge, proteggere i diritti e la dignità di ogni cittadino, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica, religiosa o dal peso della propria comunità nella popolazione totale”, conclude il testo.
Il piano ecclesiale
Sul piano ecclesiale, pur essendo consapevole che il fascino dell'occidente è irresistibile per molti, il capo della Chiesa caldea combatte perché la grande marea umana che è fuggita da Mosul, Qaraqosh e la Piana di Ninive in una notte di terrore inenarrabile, ritorni nei territori abbandonati e non emigri.
Egli cerca anche di convincere alcuni membri del suo clero che sono fuggiti dall'insicurezza, in una sorta di insubordinazione troppo umana (e molto poco cristiana), di tornare in patria al servizio dei fedeli. La “preoccupazione per tutte le Chiese” che ossessionava san Paolo è onnipresente nella sua vita. Deplora il fatto che il suo clero “non preghi abbastanza”, invoca una riforma liturgica che metta la fede alla portata dei fedeli del XXI secolo e teme il contatto del relativismo e della “dissoluzione” con il suo gregge arrivato in occidente. Constata il fatto che i suoi fedeli sono affascinati dal comfort materiale e dai diritti civili che trovano lì, al punto da dimenticarsi del relativismo morale trionfante e del suo effetto distruttivo su quella che è la perla dei suoi occhi: la famiglia, e ancora di più, il significato e i valori della famiglia. “Perdere loro vuol dire perdere tutto”, avverte.
Segni dei tempi
Il discorso del patriarca Sako invita infine a una lettura dei segni dei tempi. “La voce del sacerdote - dice - deve avere un respiro profetico affinché la liturgia sia carica di anima e speranza”.
“Ho imparato molto da papa Francesco in termini di semplicità e vicinanza”, dice il patriarca Sako, “egli non ha di certo solo amici in una Chiesa che è ancora molto clericale e formalista. È a questo prezzo che possiamo rimanere in Iraq e che la nostra presenza avrà un senso. Dobbiamo anche aiutarci l'un l'altro a rimanere. Ho l’intima convinzione nel Signore che, prima o poi, la libertà religiosa verrà e diventerà legge. Nel frattempo, dobbiamo pazientare, rimanere e agire”, conclude.

25 giugno 2018

Giornata riflessione e preghiera Medio Oriente: card. Parolin, “Papa Francesco ci tiene molto. L’iniziativa parte da lui”

By AgenSIR

“Papa Francesco ci tiene molto. L’iniziativa parte da lui. Ha cercato di coinvolgere tutti i capi delle Chiese cristiane e di coinvolgerli in un’opera comune a favore della pace, sottolineando il contributo che le Chiese cristiane a livello ecumenico possono portare alla soluzione dei tanti problemi del Medio Oriente, soprattutto nei conflitti e nella ricerca della pace”.

Così il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha presentato al Sir la Giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente che si terrà il 7 luglio a Bari, finestra sull’Oriente, città che custodisce le reliquie di san Nicola. La Giornata, che vedrà la presenza dei capi delle Chiese cristiane della regione mediorientale, vuole lanciare innanzitutto – ha sottolineato Parolin – “un messaggio di vicinanza e di incoraggiamento. I cristiani del Medio Oriente molto spesso hanno bisogno di sentire davvero vicini i loro fratelli e le loro sorelle del mondo intero. A volte, non si possono dare soluzioni immediate, però è importante che sappiano che la loro situazione sta a cuore alle Chiese. Poi certamente, sottolineeranno il contributo che le comunità cristiane possono portare alla soluzione dei problemi in rispetto dei diritti di ogni persona e di ogni gruppo”.

Libertà religiosa: card. Sandri, “i cristiani di Siria, Iraq, Libano, Egitto, Turchia non sono persone di seconda categoria”

By AgenSIR

“I cristiani di Siria, Iraq, Libano, Egitto, Turchia, amano il loro Paese, vi sono legati, e lo vogliono servire perché in esso non si sentono ospiti o stranieri: ma vogliono viverci a pieno titolo, non come persone di seconda categoria, che vedono preclusi alcuni posti di lavoro o ruoli di responsabilità all’interno delle amministrazioni”.
È quanto ha dichiarato il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, al Simposio “Defending International Religious Freedoom: Partnership and action” organizzato a Roma, dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede con la Comunità di Sant’Egidio e Aiuto alla Chiesa che soffre. Per il prefetto “vanno bandite tutte quelle forme subdole di affermazioni di dominio o sottomissione, come alcuni progetti di legge approvati o in discussione in alcuni Paesi del Medio Oriente, circa la rettifica o la corretta registrazione della propria appartenenza religiosa. Solo in questo modo – ha sottolineato – si libereranno autenticamente tutte le componenti della società, cristiane e non, che finalmente potranno non sentirsi costrette a legarsi più o meno palesemente al potente di turno per vedere garantita la propria sopravvivenza, atteggiamento che forse troppo frettolosamente noi ci permettiamo di giudicare sulle nostre comode scrivanie in Occidente”.

22 giugno 2018

What about Mosul’s Jewish and Christian sites?

By Rudaw
Chris Johannes

Through the three-year military campaign to retake Iraq's second-largest city of Mosul from ISIS, many old Islamic, Jewish, and Christian historical sites were damaged. As the city becomes stabilized, people returning are just unearthing the scale of the damage and cultural loss.
Notably, Al-Nuri Mosque and its Al-Hadba Minaret were destroyed in late June of 2017 as ISIS was surrounded and detonated the 12th century Islamic structures. ISIS denied they were responsible for its destruction and the US-led coalition said they did not target any religious sites, even though many were used by the extremists.

In 2014 ISIS blew up the Mosque of Nabi Younis, or the Prophet Jonah, where he is believed to have been entombed. ISIS said the mosque, which had previously been used as an Assyrian church, had become a place of apostasy and not of prayer.

The United Arab Emirates, Iraq, and UNESCO announced a $50 million partnership at the Iraqi reconstruction conference in February to rebuild "the cultural heritage of Mosul," as part of the 'Revive the Spirit of Mosul' programme.

"Education, culture and heritage will also be key elements for successful reconstruction. UNESCO's initiative to coordinate international efforts for the reconstruction of the Old City of Mosul deserves our full support," UN Secretary-General Antonio Guterres said at the time.

Mosul and its surrounding areas are historically some of the most diverse in the Middle East — at different times home to Babylonians, Assyrians, Jews, Arabs, Kurds, and other groups who have followed Abrahamic religions and other faiths like the Yezidis.

The conflict monitor Mosul Eye tweeted photos on Monday of engravings from the west or right bank of Mosul: "Anyone can read and translate the Hebrew inscription, please? One of the Jew's houses in old Mosul, unfortunately, it was destroyed by an airstrike, and this is what's left of it."
Yona Sabar, originally from Zakho in the Kurdistan Region of Iraq, is professor a emeritus at the University of California Los Angeles (UCLA) where he specializes in Hebrew and Aramaic in the department of Near Eastern Languages & Cultures. He told Rudaw English the inscriptions mostly come from Deuteronomy.
"The Lord shall command the blessing upon you in your barns, and in all that you set your hand unto... with long life, peace and success... May God bless you and open His good treasure for you ..." translated Sabar.
He revealed that one of the inscriptions reads: "May the name of Hakham (Rabbi) Yihya son of Meir Daddo, who donated this inscription in honor of his late father, be remembered for his good deeds."
A book written in Hebrew by Ezra Laniado in Haifa in 1981 details that Daddo was the mukhtar, or local representative, of Mosul's Jewish community during World War I.
The book explains that Daddo's son, Yihya, was very altruistic, including donating money to build the southern section of Sasson Synanogue in Mosul, which is where Sabar believes the inscriptions originated before being turned into a house.
Between 1948 and 1951, more than 121,000 Jews left Iraq for the Holy Land in the so-called Operation Ezra and Nehemiah as Israel airlifted tens of thousands of Jews following Iraqi government's intensified persecution of Jews, after the establishment of the State of Israel.
Mosul Eye later tweeted more Hebrew inscriptions from Mosul's war-torn Old City, although the destruction has not just been limited to Jewish and Muslim holy sites.


Through the ISIS conflict, the extremists often used places of worship, schools, hospitals, and community centers as command centers, because the coalition and the Iraqi military made concerted efforts to not target such sites, in line with the fundamental rules of war.
Many sites believed to be historical places of worship for Iraq's dwindling Christian population had suffered from a lack of upkeep and were also converted to dwellings or built over in Mosul's densely populated right bank. Some of the Christian sites destroyed in the conflict were the Mother of Aid in central Mosul, Church of Virgin Mary, and Saint George's Monastery.
Photo Ali al-Baroodi in Mosul Eye

On Tuesday, Mosul Eye shared a photo taken by Ali al-Baroodi of a Catholic Church tower in West Mosul.
"[The] Dominican Order Latin Church's Tower is about to collapse, it requires an immediate action or we will lose it forever. Save the Heritage of Mosul,"
tweeted the conflict monitor.
Baroodi is a teacher by trade and works at the University of Mosul. He photographs the city's destruction and its rebuilding. Baroodi told Rudaw English there has been little done to preserve lesser known religious sites across Mosul.
"Not the Jewish ones, not the Islamic ones, not anything. There is only a survey of the damaged heritage sites in Mosul, so there is not any kind of preservation,"
Baroodi said. "UNESCO is supposed to work on Al-Hadba Minaret and the Church of the Clock, but nothing happens on the ground yet.
"The tower is in danger to fall if there is not any kind of preservation soon."