"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 maggio 2009

Ammo Baba. Un mito iracheno

By Baghdadhope

Si è spento ieri a Dohuk, in Iraq, dopo una lunga malattia Ammo Baba. In Italia questo nome dice poco, se non nulla, ma non c'è iracheno che non lo conosca. Ammo Baba è stata la gloria del calcio iracheno, colui che, dapprima come giocatore, e poi come allenatore, ha rappresentato il volto dello sport più amato del paese, e lo ha fatto a dispetto del suo essere nato cristiano in un paese a stragrande maggioranza islamica.

Emmanuel Baba Dawud era il suo nome, da tutti, e presto, sostituito dal più familiare Ammo Baba, lo "Zio Papà." Ammo Baba era nato nel 1934 nella base della Royal Air Force di Hinaidi dove la sua famiglia viveva e lavorava per gli inglesi che all'epoca governavano in Iraq. All'età di due anni la famiglia si trasferì nella nuova base aerea britannica di Habbaniya e lì Ammo Baba imparò a giocare a calcio. A 17 anni era già famoso per essersi messo in luce in un torneo scolastico internazionale al Cairo, e fu suo il primo gol mai segnato dalla nazionale irachena in ambito internazionale nel corso della partita contro il Marocco dei Secondi Giochi Panarabi disputati a Beirut nel 1957. Costretto ad abbandonare il calcio giocato nel 1966 a causa di un brutto incidente durante un incontro della nazionale contro quella dello Yemen del Sud Ammo Baba divenne allenatore prima della nazionale militare che vinse il torneo internazionale negli anni 1972 - 1977 - 1979 (nel 72 e nel 79 l'Italia si classificò seconda) e poi, dal 1979, della squadra nazionale. Nazionale che a parte molte vittorie in giochi asiatici ed arabi vantò, fino a quando fu guidata da Ammo Baba nel 1997, la qualificazione ai giochi olimpici di Mosca nel 1980, (quando a causa del boicottaggio anti sovietico sostituì la ritiratasi squadra della Malaysia) di Los Angeles nel 1984 e di Seul nel 1988, e quella ai mondiali di Mexico 1986.
Il suo rimanere nell’ambiente del calcio iracheno anche quando questo era governato in modo violento ed assolutistico da Uday Hussein, che non risparmiava ai giocatori punizioni che erano vere e proprie torture, fece di Ammo Baba uno dei simboli del regime, ma ciò non impedì la sua nomina a Presidente del Comitato Olimpico Iracheno a regime caduto. La sua popolarità era tale da permettergli di cancellare il marchio ormai infamante nell’Iraq del post Saddam, ed era stata anche ciò che gli aveva permesso di sopravvivere ad Uday. Come riporta infatti Fulvio Scaglione nel suo “Bye Bye Baghdad” Ammo Baba era colui che pur allenando la nazionale irachena veniva all’ultimo momento sostituito da un allenatore gradito ad Uday che, ricordava lo stesso Ammo Baba:
“Mi odiava, soprattutto perché non poteva farmi niente di male, visto che io ero così popolare da poter parlare direttamente con suo padre.”
Quando gli americani, occupando Baghdad nel 2003, posizionarono i loro tanks all’interno dello stadio, Ammo Baba, come riporta Simon Freeman, disse loro: “
State facendo di tutto per rendere impossibile la rinascita del nostro calcio. L’unica cosa che desidero è che ve ne andiate da questo stadio.”
Perché era solo questo ciò che interessava ad Ammo Baba: il calcio iracheno, e fu proprio perché continuasse ad esistere, a riunire sotto la stessa bandiera giocatori di tutte le etnie e religioni che fondò a Baghdad una scuola di calcio, che continuò a seguire i suoi ragazzi che avevano imparato a giocare scalzi per le polverose strade irachene sperando di farne dei futuri campioni, che non seguì la famiglia trasferitasi in America. Ammo Baba non poteva rinunciare ad essere il grande campione che era stato nella sua Baghdad. Per questo aveva sopportato le guerre, le violenze, persino di essere picchiato e derubato nella sua casa di Zayoona nel gennaio del 2006. Aveva resistito nonostante la salute sempre più malferma ed il diabete che gli aveva divorato alcune parti del corpo e la vista. Alla fine però aveva dovuto arrendersi e trasferirsi ad Amman. Ma la sua fama non lo aveva abbandonato. Proprio nella capitale giordana, infatti, aveva ricevuto una delegazione della Union Arab de Football Association incaricata di porgergli gli auguri di guarigione dell’intero mondo calcistico arabo, ed anche l’impegno finanziario personale del presidente dell’associazione, il principe saudita Sultan Ben Fahad Bin Abdulaziz, per il pagamento delle cure mediche e della UAFA per un vitalizio.
Ammo Baba rimarrà nella storia dell’Iraq, ed a nessuno importerà ricordare che proprio lui, il “campione,” pur avendo ripudiato la propria religione a favore di un dichiarato ateismo, apparteneva alla ormai perseguitata minoranza cristiana del paese. Ammo Baba a quel paese aveva regalato la gioia della competizione e della vittoria, quella gioia che lui stesso accusava gli americani di non tenere nella giusta considerazione nel processo di ricostruzione di un paese perché: “E’ sorprendente, gli americani promettono un sacco di cose, in molti casi anche belle, ma si dimenticano sempre di promettere un po’ di gioia, senza la quale né la pace né la rinascita del paese è possibile.”
L’Iraq è ancora lontano dalla pace, gli americani non promettono ormai più niente, ed anche Ammo Baba è morto.
Chi ridarà agli iracheni la gioia perduta?

Le fonti per questo articolo:

Foto da Asian Football Confederation
Simon Freeman “Baghdad FC: Iraq’s Football Story – A Hidden History of Sport and Tyranny” John Murray General Publishing Division, 2005
Fulvio Scaglione “Bye Bye Baghdad” Fratelli Frilli Editori, 2003
Wikipedia
Christiansofiraq
Union Arab de Football Association (sito in fase di sviluppo. Link temporanenamente non attivo)

22 maggio 2009

Un nuovo allarme per la comunità cristiana di Baghdad

By Baghdadhope

La scorsa domenica in ogni chiesa di Baghdad un allarmante appello è stato letto ai fedeli.

Questo è ciò che Mons. Shleimun Warduni, vicario del patriarca caldeo, ha dichiarato a Baghdadhope.
"Circa da un paio di settimane alcune persone stanno contattando le famiglie cristiane a Baghdad convincendole ad iscriversi in un registro in modo che, questo è ciò che dicono, verrà dato loro del denaro proveniente dal papa. Non è vero".
E' questo è il motivo dell'appello fatto nelle chiese?
"Sì, abbiamo messo in guardia la comunità a non iscriversi in nessun registro, di diffidare di queste persone perché ciò che dicono è falso".
Chi sono queste persone? E perché agiscono così?
"Non sappiamo ancora chi siano. Si presentano come membri di un'organizzazione che può aiutare le famiglie cristiane ad ottenere del denaro donato dal Vaticano. Non sappiamo ancora perché stano mentendo in questo modo. Sappiamo solo che può essere potenzialmente pericoloso e che è per questo che abbiamo consigliato alla nostra gente di essere attenta."
Vuole spiegare come potete essere sicuri che queste persone stiano mentendo?
"Sì. Se il caso fosse vero si dovrebbe seguire un preciso iter burocratico. La prima a sapere del denaro dovrebbe essere la Nunziatura Apostolica quindi, per la chiesa caldea per esempio, il Patriarcato, e poi la Caritas che dovrebbe prendersi cura della sua distribuzione alle persone bisognose."
Cosa faranno i capi cristiani per fermare questo potenziale pericolo?
"Cercheremo di sapere chi sono queste persone ed il loro scopo. E continueremo a mettere in guardia i membri della nostra comunità. Hanno già sofferto così tanto e non meritano di essere truffati o, peggio ancora, messi in pericolo".

A new alarm for the Christian community of Baghdad

By Baghdadhope


On last Sunday in every church of Baghdad an alarming appeal was read to the faithful.
This is what Msgr. Shleimun Warduni, the Chaldean vicar patriarch, declared to Baghdadhope.
"Since a couple of weeks ago some people are contacting the Christian families in Baghdad convincing them to enrol in a register so that, this is what this people say, they will be given money coming from the Pope. It is not true."
Is this the reason of the appeal made in every church?
"Yes, we warned the community not to enrol in any register, to distrust these people because what they say is false."
Who are these people? And why are they acting in this way?
"We still don't know who they are. They introduce themselves as members of an organization that can help the Christian families to get money by the Vatican. We still don't know why are they lying in this way. We only know that it can be potentially dangerous and that's why we advised our people to be careful."
Do you want to explain how you can be sure that these people are liying?
"Yes. If the case were true it should follow a precise bureaucratic procedure. The first to know about the money should be the Apostolic Nunciature then, for the Chaldean church for example, the Patriarchate, and then the Caritas that should take care of its distribution to the people in need."
What will the Christian leaders will do to stop this potential danger?
"We will try to know who are these people and what's their aim. And we will go on in warning the members of our community. They already suffered so much, and they don't deserve to be cheated or, worse, endangered."

Sako: «Restiamo in Iraq perché Dio ci vuole qui»

Fonte: Tracce.it

di Luca Pezzi 22/05/2009

Ancora sangue sulla Chiesa irachena, ma i cristiani continuano a testimoniare la loro fede. Al centro di un recente Sinodo, la loro situazione e le sfide del futuro. Ne parliamo con l'arcivescovo caldeo di Kirkuk Monsignor Louis Sako.
Suzana
era cattolica. Il marito lavora in un ristorante vicino all’arcivescovado di Kirkuk. Era sposata da un anno. Qualche settimana fa, un commando ha fatto irruzione nella sua casa uccidendo lei e Muna, la suocera. Stessa città e stessa scena, sette minuti più tardi. Altro quartiere, altra casa... e altro morto: Basil Shaba Yousif, vendeva liquori.
Monsignor Louis Sako, arcivescovo dei Caldei di Kirkuk dal 2003, ha celebrato i funerali di questi cristiani. Con lui, Tracce.it è tornato ad aggiornare la situazione irachena a pochi giorni dalla conclusione del Sinodo della Chiesa caldea (28 aprile-5 maggio ad Ainkawa, vicino ad Erbil, capitale del Kurdistan; ndr).
Come sono andati i lavori del Sinodo?
Bene. C’erano il patriarca Emmanuel III Delly e sedici vescovi. Abbiamo studiato in profondità la situazione dei cristiani in Iraq, le loro sfide e speranze, e la situazione della Chiesa caldea dopo la caduta del regime. È stato un evento storico. I temi affrontati possono essere considerati la “magna charta” degli anni a venire, come chiesto dal Papa durante la visita ad limina.
Quali temi?
L’emigrazione dei cristiani, le sfide che abbiamo davanti e le soluzioni. Lo stato dei cristiani nella Costituzione federale e in quella del Kurdistan. Le sette evangeliche e il proselitismo. L’organizzazione della Curia patriarcale, la situazione del Seminario maggiore e della Facoltà di teologia. La vita dei preti, i salari, la loro formazione teologica e spirituale. La scelta dei membri del Sinodo permanente e quella dei nuovi vescovi di Erbil, Mosul e del Canada. Abbiamo formato comitati per dare seguito alla decisioni sinodali.
Qualche settimana fa un commando ha fatto irruzione in due case cristiane freddando alcune persone. Come mai?
Gli attacchi hanno preso di mira i cristiani per creare in città un’atmosfera di paura e confusione. Adesso la situazione è tranquilla, anche se in verità la sicurezza è precaria un po' dappertutto.
C’è concorrenza fra il Governo centrale e i gruppi che controllano Kirkuk dal 2003.Si tratta di episodi isolati?
Sì, abbiamo relazioni buone con tutti e continuiamo il nostro ruolo di ponte e di dialogo. Come ha reagito la sua comunità?Il Governo della città, il capo della polizia, quello dell'esercito, i membri del Consiglio municipale, i capi religiosi musulmani e quelli delle tribù, erano tutti presenti ai funerali. Tante le lettere di condanna dei partiti politici. La popolazione ha reagito positivamente. I cristiani all'inizio hanno avuto paura: hanno pensato che il loro destino potesse diventare come quello dei loro confratelli di Mosul. Li ho rassicurati, li ho incoraggiati a rimanere. E anche il Sindaco ha appoggiato la presenza cristiana.
Non è una zona a rischio?
La città sì, ma la popolazione è aperta, educata e non vuole violenza. Chi usa la violenza perde: i partiti politici lo sanno bene.
Come vivono i cristiani nella sua diocesi?
Fanno la spesa tranquillamente, vanno a scuola e a lavorare come prima. Anche di notte la vita è normale. La domenica la chiesa si riempie e il primo maggio la gente ha fatto festa per le ordinazioni dei nuovi sacerdoti che domenica scorsa hanno celebrato la prima messa. Qualche settimana fa ha rinnovato la sua preoccupazione per il progetto sponsorizzato da politici, intellettuali e religiosi di un ghetto cristiano nella piana di Ninive. Perché questa preoccupazione?
Il progetto di istituire una zona autonoma, "safe Haven", preoccupa molto noi vescovi. È una trappola! I cristiani nella piana di Ninive sono 80mila; gli arabi sono la maggioranza. Chiudersi lì, dunque, vorrebbe dire suicidarsi. Si tratta di un piano voluto da alcuni partiti e religiosi che vivono fuori dal Paese, ma è un’utopia. Il ministro assiro-kurdo, Sargis Agajan, è il principale promotore del progetto sostenuto dai kurdi, ma vi sono anche certi partiti e religiosi assiri.
Il vostro dissenso può essere collegato alla ripresa delle violenze?
Penso che gli attacchi contro i cristiani a Dora, quartiere cristiano di Bagdad, oltre a quanto è successo a Mosul, siano legati con la piana di Ninive e con soldi dati a chiese e villaggi cristiani in favore di questo progetto.
Non sarete costretti a fuggire?
Per ora non penso, ma nessuno conosce il futuro. Tutto è precario in questo Paese.
Allora, perché rimanere?
Sono convinto che Dio ci voglia in Iraq. Come luce e sale della Terra... Abbiamo sempre portato il messaggio evangelico con fedeltà ai nostri concittadini musulmani, nei luoghi di lavoro e a scuola. La nostra condotta ha aiutato gli altri a pensare. Siamo Chiesa, e la Chiesa è sempre mandata, missionaria. Chiesa non vuol dire esclusivamente il clero, ma tutti i fedeli. Siamo chiamati, oggi più che mai, a rimanere e a vivere i valori cristiani, dialogando e collaborando per un mondo migliore. Siamo lì a dire che la violenza non ha futuro: il bene, la pace, il perdono, il dialogo posso assicurare la stabilità e la convivenza.
Ma perché rischiare la vita?
La vita di un vero cristiano è fatta per essere data. La vita è per gli altri e non per me in una maniera egoistica: una vita egoista non ha valore. Credere, vivere, dare la vita includono un rischio. Penso che la vita sia un’avventura. Quando sta con Dio ed è per gli altri, è sempre riuscita.

Terra Santa. Nelle menti di tutti. Mons. Francis A.Chullikat, nunzio apostolico in Giordania e Iraq

Fonte: SIR

intervista a cura di Daniele Rocchi

Come Paolo VI (1964) e Giovanni Paolo II (2000), anche Benedetto XVI ha scelto di cominciare il suo viaggio in Terra Santa dalla Giordania. Dall' 8 all'11 maggio, giorno in cui si è trasferito in Israele, Benedetto XVI ha visitato, da pellegrino, il memoriale di Mosé sul monte Nebo, il sito del battesimo di Gesù a Betania oltre il Giordano, incontrando le massime autorità politiche del regno ascemita, reali in testa, e religiose, con i capi musulmani. Importante, dal punto di vista del dialogo con l'Islam, la visita alla moschea al-Hussein Bin-Talal di Amman. A fare da sfondo è stata la dimensione pastorale ed ecclesiale: Benedetto XVI è venuto "come pastore della Chiesa universale e in questa veste il popolo cristiano e cattolico lo ha accolto con gioia e speranza".
Con il nunzio apostolico in Giordania e Iraq, mons. Francis A.Chullikat, il SIR ripercorre quei giorni di pellegrinaggio papale.
Eccellenza, può tracciare un bilancio di questo viaggio del Papa in Giordania?
"È stato un incontro molto significativo qui in Giordania: prima di tutto perché è stata la sua prima sosta e questo è stato molto apprezzato dalle autorità governative e dalla Chiesa. Anche il principe ne ha fatto menzione nel suo discorso alla moschea. Ciò ha dato un messaggio veramente bello a tutto il Paese. C'è poi un altro aspetto che vorrei sottolineare ed è il modo con cui la Chiesa locale ha accolto, con gioia, il Pontefice. I cristiani di qui hanno visto in lui il pastore che viene a visitare i suoi fedeli. L'immagine del Papa come pastore universale credo sia uno dei ricordi che rimarranno indelebili nelle menti di tutti".
C'è un momento della tappa giordana che più di altri incarna questo sentimento?
"Questo è apparso assolutamente evidente nella messa nello stadio di Amman, si vedeva una famiglia riunita intorno al Padre, al pastore, venuto per abbracciarla. È stata una grande dimostrazione di fede che ha avuto un impatto molto positivo sulla Chiesa locale di cui vedremo frutti anche in futuro".
Nei suoi discorsi "giordani" il Papa ha messo in evidenza l'urgenza della pace, dell'unità, della conoscenza reciproca e del dialogo. Temi che, soprattutto in Medio Oriente, hanno una chiara valenza politica...
"Già prima della sua partenza Benedetto XVI aveva chiaramente detto che sarebbe venuto in pellegrinaggio, per pregare per la pace e per l'unità sia livello ecclesiale sia sociale. Pace e unità sono i valori di cui hanno bisogno tutti gli abitanti della Terra Santa. Questo messaggio è arrivato e vale la pena sottolinearne la sua valenza spirituale piuttosto che politica. Il Santo Padre, quale pastore della Chiesa universale, offre un messaggio spirituale di pace e di unità e non dà soluzioni politiche. Sulla pace e sull'unità, ha ricordato, si può costruire e ri-costruire, ma è andato anche oltre, parlando della speranza e della volontà necessarie a questa opera di riedificazione. Le perplessità di natura politica che hanno accompagnato la preparazione di questo viaggio sono state fugate dalla sua testimonianza di pellegrino".
Messaggio di pace da mettere in pratica, ma come?
"La Giordania svolge un ruolo importante nella ricerca della soluzione del conflitto israelo-palestinese. Il re è molto impegnato in questo ambito e sta cercando di avere appoggi sia a livello regionale sia internazionale. I messaggi del Pontefice su questo tema sono stati recepiti positivamente nel regno ascemita. Le autorità locali vogliono cercare, forti anche delle parole del Papa, una soluzione a questo conflitto che si trascina ormai da troppo tempo. Da Benedetto XVI è arrivato un appoggio per trovare una soluzione che prevede la creazione di due Stati".
Quale contributo potrà dare questo viaggio al dialogo interreligioso in Giordania, paese che nella prima udienza dopo la Terra Santa il Papa ha definito esempio di coabitazione tra cristiani e musulmani?
"In Giordania il dialogo interreligioso ha ricevuto, dalla visita del Papa, uno stimolo in più. Il principe Ghazi Bin Muhammed Bin Talal, cugino del re di Giordania e suo consigliere in materia di religione, uno dei promotori di «A Common word», la lettera dei 138 saggi musulmani, ha apprezzato la visita alla moschea di Benedetto XVI, un gesto di rispetto verso i fedeli musulmani. Da questo incontro ci attendiamo molti frutti positivi anche perché la popolazione musulmana è rimasta contenta. Un gesto che, mi è stato riferito da molti esponenti musulmani, ha fatto ulteriormente migliorare l'atteggiamento dei musulmani nei riguardi dei cristiani".
Ci sono state, infine, reazioni nel vicino Iraq per questo viaggio del Papa in Giordania? In Iraq avevano anche sperato in una visita lampo del Pontefice...
"In Giordania vivono centinaia di migliaia di rifugiati iracheni, tra i quali anche molti cristiani. Il messaggio del Papa ha valicato i confini giordani ed è arrivato anche nei Paesi limitrofi, Iraq in primis. Il patriarca caldeo di Baghdad, card. Emmanuel III Delly, accompagnato dal suo vicario mons. Shlemon Warduni, e da altri religiosi e sacerdoti, ha ricevuto l'abbraccio del Papa per tutto l'Iraq. I cristiani iracheni sono stati ricordati sia nella messa che nei discorsi. La loro è stata una presenza reale. Quello che il Papa non ha potuto compiere con una visita diretta lo ha fatto attraverso gli iracheni presenti ad Amman".

Confermato il rilascio dell'insegnante cristiano rapito a sud di Kirkuk

By Baghdadhope

Secondo quanto riportato da Ankawa.com, Namir Nadhim Gourguis, l'insegnante cristiano rapito in 14 maggio da una scuola del villaggio di Ruwaidha, a sud di Kirkuk, è stato rilasciato oggi ed è in buone condizioni di salute.
Negli ultimi giorni c'erano state notizie controverse circa il rilascio dell'uomo che era stato prima annunciato e poi smentito.
Secondo Ankawa.com il rilascio è stato dovuto alla collaborazione di diverse parti: le forze di sicurezza, i capi tribali e l'Arcidiocesi di Kirkuk il cui vescovo, Mons. Luis Sako, sin dall'inizio aveva dichiarato la sua disponibilità a fare il possibile per assicurarlo in breve tempo.
Lo stesso Mons. Sako ha dichiarato ad Asianews, secondo cui nessun riscatto è stato pagato, che l'intera comunità cristiana di Kirkuk gioisce per il rilascio dell'uomo.

Confirmed the release of the Christian teacher abducted south of Kirkuk

By Baghdadhope

According to what reported by Ankawa.com, Namir Nadhim Gourguis, the Christian teacher abducted on May 14 from a school in the village of Ruwaidha, south of Kirkuk, has been released today and his health conditions are good.
The piece of news about the release of the man had been controversial in last days as it had been annouced and than denied.
According to Ankawa.com the release of the teacher has been due to the collaboration of different parts: the security forces, the tribal leaders and the Archdiocese of Kirkuk the bishop of which, Msgr. Luis Sako since the beginning had declared his willingness to do everything possible to assure it.
Msgr. Sako himself declared to Asianews, according to which any ramson has been paid, that the whole Christian community of Kirkuk "rejoices" for the realese of the man.

21 maggio 2009

The Pope in the Holy Land: Warduni (Vicar of Baghdad) "He always prays for Iraq"

Source: SIR

“The Pope spoke words of affection and care for Iraq. With us Iraqis, he was very kind and showed that he is well aware of and follows closely the situation in our country”. On the day Benedict XVI recalled, in his Wednesday audience, his recent journey to the Holy Land, when he prayed so much for the Middle Eastern Christians, without neglecting those that live in distress, such as those of Iraq, mgr. Shlemon Warduni, patriarchal vicar of Baghdad, speaks of the meeting between the Pontiff and the Iraqi delegation in Amman.
“First of all, Benedict XVI wanted to express his satisfaction for the work done by Jordan in receiving the Iraqi refugees and asked all the political and religious leaders to do all they can for Iraqi to find peace and the Christians’ rights to be respected and protected”. “The situation in Iraq – he added – can be said to have improved, but it is far from normal. The tunnel is still long. Over these days, a Christian teacher has been abducted south of Kirkuk, and a child, also a Christian, aged just 5, has been abducted in a district of Mosul”. “We will not forget the words the Holy Father said to card. Delly, who led our delegation: ‘I – the Pope said – always pray for Iraqis’. In embracing all of us, he wanted to embrace all of Iraq and its population”.

Papa in Terra Santa: Warduni (Vicario Baghdad) "Prega sempre per l'Iraq"

Fonte: SIR

“Il Papa ha avuto parole di affetto e di attenzione per l’Iraq. Con noi iracheni è stato molto gentile e ha dimostrato di conoscere bene e di seguire da vicino la situazione del nostro Paese”.
Nel giorno in cui Benedetto XVI ha ricordato, nell’udienza del mercoledì, il suo recente viaggio in Terra Santa nel quale ha pregato tanto per i cristiani mediorientali, senza dimenticare quelli che vivono in difficoltà come in Iraq, mons. Shlemon Warduni vicario patriarcale di Baghdad, parla al Sir dell’incontro del Pontefice con la delegazione irachena ad Amman.
“Benedetto XVI ha voluto esprimere innanzitutto soddisfazione per l’impegno profuso dalla Giordania nel campo dell’accoglienza dei rifugiati iracheni ed ha chiesto a tutti i leader politici e religiosi di fare il possibile perché l’Iraq trovi la pace e i diritti dei cristiani vengano rispettati e garantiti”. “La situazione in Iraq – ha aggiunto - può dirsi migliorata ma lungi dall’essere normale. Il tunnel è ancora lungo. Sono di questi giorni il rapimento di un insegnante cristiano, a sud di Kirkuk, e l’omicidio di un bambino, anch’esso cristiano, di soli 5 anni in un distretto di Mosul”. “Non dimenticheremo le parole che il Santo Padre ha detto al card. Delly che guidava la nostra delegazione: ‘io – ha detto il Papa – prego sempre per gli iracheni’. Abbracciando tutti noi ha voluto abbracciare tutto l’Iraq con il suo popolo”.

18 maggio 2009

Chiesa Assira dell’Est ed Antica Chiesa dell’Est: verso una riunificazione?

By Baghdadhope

Alla vigilia del sinodo della Chiesa Antica dell’Est (Baghdad – 27 aprile/2 maggio 2009) il suo patriarca, Mar Addai II, aveva annunciato che uno dei punti in discussione sarebbe stato la possibile adozione del calendario gregoriano per il Natale (ma non per Pasqua) al posto di quello giuliano, ed aveva invitato i fedeli ad esprimere la propria opinione a proposito. A questa anticipazione aveva fatto eco quella del Metropolita della Chiesa Antica dell’Est per l’Australia e la Nuova Zelanda, Mar Yako Daniel, che aveva dichiarato che sarebbe stata discussa anche la possibile riunificazione della chiesa con quella Assira dell’Est. Diverse controversie avevano portato nel 1968 alla divisione dell’originale Chiesa dell’Est in due. Da una parte la Chiesa Antica dell’Est ora guidata da Mar Addai II che ha sede patriarcale a Baghdad e dall’altra la Chiesa Assira dell’Est guidata ora da Mar Dinkha IV con sede patriarcale a Chicago. Le anticipazioni fatte dai due prelati si sono rivelate vere. I fedeli dell’Antica Chiesa dell’Est avranno tre mesi di tempo per dichiarare ciò che pensano della proposta di celebrare il Natale secondo il calendario gregoriano. Per quanto riguarda poi il processo di riunificazione è stato reso noto che il 5 di maggio l’Antica Chiesa dell’Est ha risposto favorevolmente alla proposta fatta dalla Chiesa Assira dell’Est di convocare un incontro allo scopo di riunificare le due chiese mettendo fine a decenni di separazione e che risale al 15 novembre 2005. Proposta alla quale Mar Addai II aveva risposto il 22 gennaio 2006 affermando che la questione sarebbe stata discussa quando si sarebbe riunito il sinodo. Ora che il sinodo è finito quella risposta è arrivata. Mar Addai II ha a questo proposito suggerito che la riunione potrebbe tenersi in Iraq dopo la Pasqua del 2010, secondo il calendario giuliano. E se in quella data dovesse iniziare davvero il cammino verso la riunificazione? Una sola chiesa riunita converrebbe, in effetti, ad entrambe le parti. La piccola Chiesa Antica dell’Est sarebbe avvantaggiata dall’unione con una chiesa con molti più fedeli e più strutturata all’estero come quella Assira che, a sua volta, potrebbe irrobustire attraverso essa i legami con le sue origini irachene assottigliati dalla diaspora e da un patriarcato ormai da troppo tempo lontano. Ma, ammettendo che il lungo processo dovesse concludersi con i due attuali patriarchi in carica: saranno capaci di dividersi il potere? E come? Nella storia comune delle due chiese ci sono stati altri periodi di doppio patriarcato. Sarà questa la soluzione? Un patriarcato in Occidente ed uno ad Oriente fino alla morte di Mar Dinkha o di Mar Addai? E che ne sarà dei vescovi delle due chiese che ora hanno giurisdizione sugli stessi territori come ad esempio i due metropoliti dell’Australia e della Nuova Zelanda, Mar Yako Daniel e Mar Meelis Zaia? E se mentre si discute uno dei due patriarchi dovesse mancare i vescovi della sua chiesa accetteranno di buon grado l’alutorità dell’altro o si sentiranno svantaggiati? La comune fede e liturgia potrebbero non bastare a risolvere questi problemi pratici E che le chiese si occupino anche di questi e non solo delle anime dei fedeli è dimostrato da un altro dei punti del documento sinodale, quello in cui dopo l’accenno alla multietnicità ed alla multireligiosità della Mesopotamia si citano i “cristiani (Assiri) come uno dei popoli che la compongono, e si chiede che i loro diritti siano assicurati nelle costituzioni irachena e curda. Una proposta che ricorda quella avanzata dal sinodo caldeo tenutosi ad Ankawa nello stesso periodo che, invece, ha chiesto che la componente caldea venga inclusa come separata da quelle assira e sira nella nuova costituzione del Kurdistan. La quasi contemporaneità dei due sinodi non permette di verificare se una delle due proposte sia consequenziale rispetto all’altra. Ciò che è certo è che la chiesa - le chiese in questo caso - con tali dichiarazioni stanno sempre più partecipando alla vita politica preservando quel ruolo di guida che “naturalmente” avevano quando la pluralità partitica in Iraq era ancora un sogno. E che a fronte di un possibile avvicinamento delle due chiese dell’est il solco tra esse e quella cattolica caldea va approfondendosi.
E questo nonostante tutti e due i recenti sinodi abbiano auspicato l’unità con le chiese sorelle.

Assyrian Church of the East and Ancient Church of the East: towards a re-unification?

By Baghdadhope

On the eve of the Synod of the Ancient Church of the East (Baghdad – April 27 / May 2, 2009) its patriarch, Mar Addai II, announced that one of the points under discussion would be the possible adoption of the Gregorian calendar for Christmas (but not for Easter) instead of the Julian one, and urged the faithful to express their opinion about the proposal. This anticipation was echoed by that of the Metropolitan of the Ancient Church of the East in Australia and New Zealand, Mar Yako Daniel, who declared that it would be discussed also the possible reunification of the church with the Assyrian one.
Several
disputes led in 1968 to the division of the original Church of the East in two. On the one hand the Ancient Church of the East, now led by Mar Addai II, that has its patriarchal see in Baghdad and on the other the Assyrian Church of the East led now by Mar Dinkha IV whose patriarchal see is in Chicago. The anticipations made by the two prelates were true.
The faithful of the Ancient Church of the East will have
three months to declare what they think of the proposal to celebrate Christmas according to the Gregorian calendar.
As for the process of re-unification it has been
announced that on May 5 the Ancient Church of the East responded favorably to the proposal made by the Assyrian Church of the East to convene a meeting with the aim of reuniting the two churches putting an end to decades of separation. A proposal that dates back to November 15, 2005, and to which Mar Addai II had replied on January 22, 2006, stating that the issue would be discussed during the Synod. Now that the synod is over the answer has arrived. Mar Addai II in this regard suggested that the meeting could take place in Iraq after Easter 2010, according to the Julian calendar.
And what if on that date really the journey towards the re-unification would begin? One united church would, in effect, be useful for both parts. The small Ancient Church of the East would benefit from the union with a church with more faithful and more structured abroad as the Assyrian one is. The latter, in turn, could strengthen through the union the links with its Iraqi origins thined by the diaspora and by a patriarchy since too much time away.
But, if the process should be completed with the current two patriarchs in office: will they be able to share the power? And how? In the history of the two churches there have been other periods of double patriarchy. Will this be the solution? A patriarchy in the West and one in the East until the death of Mar Mar Dinkha or Mar Addai? And what will happen to the bishops of both churches that now have jurisdiction on the same areas such as, for example, the two metropolitans of Australia and New Zealand, Mar Yako Daniel and Mar Meelis Zaia?
And, if while discussing one of the patriarchs should die will the bishops of his church accept willingly the authority of the outlived patriarch or will they feel disadvantaged? The common faith and liturgy may not be enough to solve these practical problems And that churches deal with them and not only with the souls of the faithful is clear by another of the points of the synodal document, the one in which after the reference to the multi-ethnicity and multi-religiosity of Mesopotamia the "Christians (Assyrians) are cited as one of the people composing it, and whose rights should be ensured in the constitutions of Iraq and Kurdistan.
A proposal that recalls that made by the Chaldean synod held in Ankawa in the same period that, instead, requested for the
Chaldean component to be included as separate from the Assyrian and Siriac ones in the new constitution of Kurdistan. The almost contemporaneousness of the two synods does not permit to verify if one of the two proposals is consequential to the other. What is certain is that the church - the churches in this case – by these statements are increasingly participating in political life preserving the leadership role that they "naturally" had when the party plurality in Iraq was still a dream. And that in the face of a possible rapprochement of the two churches of the East the gap between them and the Catholic Chaldean is deepening.
And this despite both the synods called for unity with the sister churches.

17 maggio 2009

Smentito il rilascio dell'insegnante cristiano rapito giovedì

By Baghdadhope

Fonte:
Ankawa.com

Notizie controverse arrivano dall'Iraq circa il rilascio dell'insegnante cristiano rapito giovedì a sud di Kirkuk. Secondo una fonte che il sito Ankawa.com definisce come "affidabile" l'insegnante, Namir Nadhim Gourguis, è ancora nelle mani dei suoi rapitori e non sarebbe stato rilasciato come riferito ieri dal sito
khabaar.com.

Denied the release of the Christian teacher abducted on Thursday

By Baghdadhope

Source: Ankawa.com

Controversial news from Iraq about the release of the Christian teacher abducted on Thursday south of Kirkuk. According to a source the web site Ankawa.com reports as "reliable" the teacher, Namir Nadhim Gourguis, is still in the hands of his abductors and he was not released as reported yesterday by the web site khabaar.com.

16 maggio 2009

Rilascio dell'insegnante cristiano rapito due giorni fa

By Baghdadhope

Secondo quanto riportato dal sito khabaar.com una fonte del governatorato di Kirkuk ha rivelato che Namir Nadhim Gourguis, l'insegnante cristiano rapito lo scorso giovedì è stato rilasciato.
Secondo questa fonte l'insegnante è stato ritrovato in un campo nei pressi di un villaggio ed i rapitori sono scomparsi prima dell'arrivo delle forze di sicurezza.

Release of the Christian teacher abducted two days ago

By Baghdadhope

According to what reported by the web site khabaar.com a source of the Governorate of Kirkuk revealed the release of Namir Nadhim Gourguis, the Christian teacher abducted on last Thursday.
According to the source the teacher was found in a field near a village and the abductors disappeared before the arrival of the security forces.

14 maggio 2009

Un esodo di cristiani dall'Iraq

Fonte: Associated Press

Di Paul Schemm

Tradotto ed adattato da Baghdadhope
Baghdad (AP) — L'Associated Press ha appreso come l'Iraq abbia perso, nella maggior parte dei casi dall'inizio della guerra, più della metà dei cristiani che una volta lo chiamavano casa, e che pochi tra coloro che sono fuggiti pensano di ritornarci. Papa Benededetto XVI ha richiamato l'attenzione sulla loro situazione nel corso di una visita in Medio Oriente questa settimana invitando la comunità internazionale a garantire la sopravvivenza "dell'antica comunità cristiana di quella nobile terra."
Il numero di arabi cristiani è drasticamente diminuito in tutto il Medio Oriente negli ultimi anni, mentre un numero sempre crescente di essi cerca di trasferirsi in Occidente affermando di sentirsi sempre più sgraditi in Medio Oriente e di volere una vita migliore all'estero.
Ma l'esodo è stato particolarmente grave in Iraq - dove la violenza settaria a partire dall'invasione a guida USA del 2003 ha spesso preso di mira i cristiani.
L'AP ha scoperto che centinaia di migliaia di cristiani sono fuggiti. Una situazione che avrà implicazioni pratiche per il futuro dell'Iraq.
Storicamente i cristiani costituivano una grande parte della classe media del paese, ed occupavano posti di lavoro chiave come medici, ingegneri, intellettuali e funzionari pubblici.
L'ultimo censimento ufficiale iracheno nel 1987 contava 1,4 milioni di cristiani nel paese. Ora, secondo la relazione del Dipartimento di Stato americano del 2008 sulla Libertà Religiosa Internazionale, il numero sarebbe sceso tra 550.000 e 800.000.
L'esodo maggiore c'è stato a partire dall'invasione del 2003 suggeriscono varie statistiche ed il Dipartimento di Stato che sostiene che circa 1.2 milioni di cristiani rimanevano nel 2003. I cristiani cominciarono a lasciare l'Iraq dopo la Guerra del Golfo del 1991, nel periodo delle sanzioni economiche e della repressione sotto Saddam Hussein che spingeva le politiche islamiste.
Ma il rivolo si trasformò in un fiume in piena dopo il rovesciamento di Saddam nel 2003 e l'aumento della violenza, ha spiegato un importante parlamentare iracheno cristiano, Younadem Kana.
"Mi auguro di partire per qualsiasi altro posto nel mondo", ha detto Sheeran Surkon, una ventisettenne irachena fuggita in Siria nel 2004 dopo aver ricevuto minacce di morte, dopo la scomparsa del padre e dopo che il suo salone di bellezza era stato fatto esplodere. Ora Sheeran aspetta di essere reinsediata in un altro paese e dice di non poter tollerare la violenza e il nuovo conservatorismo musulmano in Iraq. "Come potrei io, donna, vivere lì?"
Daoud Daoud, 70 anni, un ex funzionario civile della città settentrionale di Mosul, ora passa il tempo aspettando con decine di altri al centro per il reinsediamento di Damasco sperando di raggiungere i suoi figli in Svezia. "L'Iraq che conoscevamo è finito. Non c'è futuro per noi lì."
Più di 2 milioni di rifugiati di tutte le religioni sono fuggiti dall'Iraq dopo l'invasione del 2003. La recente diminuzione della violenza ha spinto alcuni rifugiati musulmani - pochi -a tornare.
Ma sono ancora meno i cristiani che pensano di ritornare secondo l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati. "Semplicemente non si sentono abbastanza sicuri. Non possono contare sulla sicurezza dello Stato o di qualsiasi altra forza che li protegga" ha dichiarato il rappresentante dell'UNHCR a Damasco, Philippe Leclerc.
In una relazione dello scorso anno il capo dell'unità per l'Iraq dell'UNHCR ha sottolineato come le probabilità che i cristiani si registrino come rifugiati allo scopo di emigrare verso un paese terzo sia maggiore rispetto agli appartenenti alle altre religioni. "La stragrande maggioranza degli iracheni vorrebbe tornare in Iraq quando le condizioni lo permetteranno con l'importante eccezione delle minoranze religiose, in particolare i cristiani," secondo la relazione.
I segni del forte esodo sono evidenti all'interno della chiesa di San Giuseppe nel quartiere borghese di Karradah a Baghdad. Pochi giorni fa solo 100 cristiani, in maggioranza donne e bambini, hanno assistito alla messa nella chiesa che potrebbe facilmente contenerne 1000.
L'incenso profumava l'aria mentre i parrocchiani cantavano inni in arabo ed in siriaco antico - simile all'aramaico parlato da Gesù
"Quando sono arrivato qui nella mia parrocchia a Karrada c'erano 2.000 famiglie", ha detto Mons. Luis al-Shabi, 70 anni, che ha iniziato il suoi sacerdozio nella chiesa di San Giuseppe 40 anni fa. "Ma ora ce ne sono solo 1000 - la metà".
La situazione è peggiore nel quartiere meridionale di Dora a Baghdad - da dove 30.000 cristiani che vi abitavano prima della guerra sono fuggiti. Nel tranquillo quartiere c'è ora una sola chiesa ed una manciata di cristiani.
Quando un gruppo di famiglie cristiane recentemente ha tentato di tornare a Dora due donne sono stati uccise, ha detto in un'intervista dopo l'incontro con il Papa nella vicina Giordania il cardinale iracheno Emmanuel III Delly.
Alcuni cristiani citano la violenza come causa della loro fuga. Iracheni di tutte le religioni ed etnie sono stati uccisi, ma i cristiani avevano la sfortuna di vivere in alcuni dei peggiori campi di battaglia, tra cui Dora e la città settentrionale di Mosul, entrambe roccaforti di al-Qaeda.
Alla fine dello scorso anno i cristiani di Mosul sono stati vittime di vere e proprie esecuzioni così come di una serie di attentati. Nel marzo dello scorso anno il corpo dell'arcivescovo caldeo di Mosul è stato trovato in una fossa un mese dopo essere stato rapito da uomini armati dopo aver celebrato una messa.*
Per ora gli attacchi contro i cristiani a Mosul sembrano essere diminuiti. Ma un prete che ha rifiutato di dare il suo nome per paura ha detto all'AP che "nonostante l'attuale calma in città i cristiani temono ancora le persecuzioni".
La violenza isolata continua. Domenica scorsa in un villaggio fuori Mosul il corpo di un bambino cristiano di 5 anni rapito una settimana prima è stato trovato dalla polizia, parzialmente sbranato dai cani.
La perdita del poco potere che la comunità aveva sotto Saddam ha anche svolto un ruolo nell'esodo cristiano.
Banditi dall'esercito, dai servizi di sicurezza o dalle posizioni politiche di alto livello sotto Saddam, i cristiani in Iraq erano spesso medici, ingegneri, proprietari terrieri, e soprattutto dipendenti pubblici che affollavano i ministeri in qualità di tecnocrati che facevano funzionare il paese.
Ma i ministeri sono ora controllati da potenti figure delle comunità musulmane sunnita e sciita che preferiscono distribuire posti di lavoro ai familiari ed ai conoscenti in base a diverse e recenti indagini anti-corruzione del governo iracheno.
"Non si tratta da parte del governo di una politica di discriminazione, quanto piuttosto di monopolizzazione del potere e dell'abuso dello stesso per gli interessi propri e della propria setta", ha dichiarato il parlamentare cristiano Kana.
Kana ed altri affermano anche che molti cristiani partono perché pensano che l'agenzia dell'ONU per i rifugiati delle Nazioni Unite potrebbe favorirli per il reinsediamento - una cosa che l'ONU non fa.
"Le persone più vulnerabili hanno la priorità, e tra di loro ci sono gli iracheni cristiani... ma il fatto di essere cristiani non significa che saranno favoriti", ha dichiarato Leclerc, il funzionario delle Nazioni Unite, aggiungendo che, tuttavia, paesi come la Germania hanno dichiarato di voler accettare per il reinsediamento più cristiani perché particolarmente presi di mira.
Kana critica spramente questa politica: "forse stanno cercando di salvare qualcuno ma stanno distruggendo la comunità... una popolazione storica ed originaria di questo paese."
Questo argomento non è importante per un rifugiato come George Khoshaba Zorbal, di un'importante famiglia cristiana di Baghdad che in passato pubblicava il periodico della chiesa.
Ora vive di elemosine in un affollato appartmamento di Damasco con altri 8 membri della famiglia e dice "Non tornerò mai più. Ho paura che la situazione non migliorerà nenache tra 10 anni."

Associated Press writers Zeina Karam and Albert Aji in Damascus, Sameer Yacoub in Baghdad, and an AP employee in Mosul contributed to this report.

* Il corpo di Mons. Faraj Paulus Raho, rapito il 29 febbraio, fu ritrovato il 13 marzo. Nota di Baghdadhope

In Iraq, an exodus of Christians


By Paul Schemm

Baghdad (AP) — Iraq has lost more than half the Christians who once called it home, mostly since the war began, and few who fled have plans to return, The Associated Press has learned.
Pope Benedict XVI called attention to their plight during a Mideast visit this week, urging the international community to ensure the survival of "the ancient Christian community of that noble land."
The number of Arab Christians has plummeted across the Mideast in recent years as increasing numbers seek to move to the West, saying they feel increasingly unwelcome in the Middle East and want a better life abroad.
But the exodus has been particularly stark in Iraq — where sectarian violence since the U.S.-led 2003 invasion has often targeted Christians.
The AP found that hundreds of thousands of Christians have fled.
The situation holds practical implications for Iraq's future. Christians historically made up a large portion of the country's middle class, including key jobs as doctors, engineers, intellectuals and civil servants.
The last official Iraqi census in 1987 found 1.4 million Christians in the country. Now, according to the 2008 U.S. State Department report on International Religious Freedom, that number has dropped to between 550,000 and 800,000.
Some estimate the number is even lower: only 400,000, according to the German Catholic relief organization Kirche in Not. The number is echoed privately by many Iraqi Christians.
The vast majority of the exodus has happened since the 2003 invasion, the State Department and other statistics suggest. The State Department says as many as 1.2 million Christians remained into 2003.
Christians first began leaving Iraq after the 1991 Gulf War, during the economic sanctions and repression under Saddam Hussein, who pushed more Islamist policies. But the trickle turned to a flood after Saddam was toppled in 2003 and the violence escalated, said a prominent Iraqi Christian lawmaker, Younadem Kana.
"I hope to leave for any other place in the world," said Sheeran Surkon, a 27-year-old Iraqi woman who fled to Syria in 2004 after she received death threats, her father disappeared and her beauty salon was blown up. She now awaits resettlement to another country, saying she can't tolerate the violence and new Muslim conservatism in Iraq.
"How can I live there as a woman?" she asked.
Daoud Daoud, 70, a former civil servant in the northern city of Mosul, now spends his time waiting with dozens of others at a Damascus resettlement center, hoping to follow his children to Sweden.
"Iraq as we once knew it is over. For us there is no future there," he said.
More than 2 million refugees of all religions have fled Iraq since the 2003 invasion. The recent ebb in violence has lured some Muslim refugees to return in small numbers.
But few Christians contemplate going back, according to the U.N. High Commissioner on Refugees.
"They simply do not feel safe enough. They cannot sufficiently count on state security or any other force to protect them," said the UNHCR's acting representative in Damascus, Philippe Leclerc.
In a report last year, the head of the UNHCR Iraq support unit noted that Christians are more likely than other fleeing Iraqis to register as refugees in an effort to emigrate to a third country.
"The vast majority of Iraqis still want to return to Iraq when the conditions permit — the notable exception being religious minorities, particularly Christians," the report said.
Signs of the exodus are stark inside the cavernous St. Joseph's church in the middle-class Baghdad neighborhood of Karradah. On a recent day, just 100 Christians, mostly women and children, celebrated Mass in an echoing space that could easily hold 1,000.
Incense filled the air as the parishioners sang hymns in Arabic and ancient Syriac — similar to the Aramaic once spoken by Jesus.
"When I came here to my parish in Karrada, we had 2,000 families," said Msgr. Luis al-Shabi, 70, who started at St. Joseph's 40 years ago. "But now we only have 1,000 — half."
The situation is worse in the Baghdad neighborhood of Dora to the south — where 30,000 prewar Christians fled during the six years of war. The now-quiet neighborhood has only a single church and a handful of Christians.
More troubling, when a group of Christian families recently tried to return to homes in Dora, two Christian women were killed, Iraq's Cardinal Emmanuel III Delly said in an interview after meeting with the pope in nearby Jordan.
Some Christians cite the violence as their reason to flee. Iraqis of all religions and ethnicities have been killed, but Christians had the misfortune to live in some of the worst battlefields, including Dora and the northern city of Mosul, both al-Qaida strongholds.
Execution-style killings late last year targeted Christians in Mosul, as did a string of bombings. In March of last year, the body of Mosul's Chaldean Archbishop was found in a shallow grave a month after he was kidnapped at gunpoint as he left a Mass. *
For now, attacks against Christians in Mosul seem to have ebbed. But one priest, who refused to give his name out of fear, told the AP that "despite the current calm in the city, Christians are still afraid of persecution."
Scattered violence continues. On Sunday in a village outside Mosul, the body of a 5-year-old Christian child kidnapped a week earlier was found by police, partially chewed by dogs.
The loss of the small power the community had under Saddam has also played a role in the Christian exodus.
Barred from the army, security services or high-level political positions under Saddam, Christians in Iraq often became doctors, engineers, land owners, and above all civil servants, filling the ministries as technocrats who kept the country running.
But ministries are now controlled by powerful figures in the Sunni and Shiite Muslim communities who prefer to distribute jobs to family and close associates, according to several recent Iraqi government anti-corruption probes.
"It's not a policy of the government of discrimination, but of monopolizing and abusing power for their own pocket and for their own sect," said Christian lawmaker Kana.
Kana and others also say many Christians leave because they think the U.N. refugee agency will fast-track them for resettlement — something the U.N. denies.
"Those most vulnerable are the priority, and among them are Iraq's Christians ... but being a Christian does not mean they will be fast-tracked," said Leclerc, the U.N. official. He added, however, that countries like Germany have said they would like to take more Christians for resettlement because they are particularly targeted.
Kana is highly critical of that policy.
"Maybe they are trying to save some people, but they are destroying the community here — a historic and native people of this country," he said.
Such arguments make little difference to refugees like George Khoshaba Zorbal, a member of a prominent Christian family in Baghdad who once edited the church's magazine. He now lives on handouts in a crowded Damascus apartment with eight other family members.
"I will never go back. I'm afraid the situation there would not improve even after 10 years," he said.

Associated Press writers Zeina Karam and Albert Aji in Damascus, Sameer Yacoub in Baghdad, and an AP employee in Mosul contributed to this report.

* Msgr. Faraj Paukys Raho was kidnapped on February 29 and found dead on March 13. Note by Baghdadhope

Kirkuk, banda armata sequestra un insegnante cristiano

Fonte: Asianews

Questa mattina alle dieci ora locale, un gruppo armato ha fatto irruzione in una scuola elementare a Kirkuk e ha prelevato un giovane insegnante cristiano. Namir Nadhim Gourguis ha 32 anni, non è sposato e “appartiene a una famiglia semplice e povera” come riferiscono fonti di AsiaNews in Iraq.
La banda, composta da quattro persone, è entrata nella scuola elementare nel villaggio di Ruwaidha – nel sottodistretto di Al Rashad, a circa 30 km da Kirkuk – sequestrando il giovane insegnante. I rapitori hanno già fatto pervenire una richiesta di riscatto: “Una cifra molto elevata – sottolinea una fonte locale – che la famiglia non è in grado di pagare”.
Per salvare la vita al giovane è intervenuto anche mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, che ha contattato gli sceicchi e gli imam della zona per ottenere la liberazione dell’ostaggio. Il prelato auspica che “i tentativi di mediazione possano portare al suo rilascio”.
Nelle ultime settimane la comunità cristiana a Kirkuk è finita di nuovo nel mirino delle bande armate e della criminalità organizzata, che opera sequestri a scopo di estorsione. Nei giorni scorsi un giovane è stato assassinato davanti alla sua abitazione; altre tre persone – due donne e un uomo – sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. I malviventi, inoltre, vedono nei cristiani un facile obiettivo da colpire: essi, infatti, a differenza di arabi e curdi, non sono protetti dalla comunità, dai parenti e dalle forze dell’ordine.

An armed band kidnap a Christian teacher in Kirkuk

Source: Asianews

This morning at 10 am local time, an armed group broke into a primary school in Kirkuk, dragging away a young Christian teacher. Namir Nadhim Gourguis is 32 years old, is unmarried and from “a family of very humble and poor origins” refer AsiaNews sources in Iraq.
The gang of four people, broke into the primary school in Ruwaidha village –Al Rashad district, 30 km from Kirkuk – and abducted the teacher. They have already demanded a ransom: “a very high sum – underlines the local source – that the family is unable to pay”.
In an effort to save this young man’s life, the Chaldean Archbishop of Kirkuk, Louis Sako, has intervened appealing to the sheiks and imams in the area to help gain his release. The prelate hopes that “these attempts at mediation will lead to he being set free”.
Kirkuk’s Christian community has been the target of these armed criminal gangs who carry out kidnappings for extortion. Only days ago a young man was assassinated on the doorstep of his home; another three people–two women and a man – were shot to death. The criminals see he Christians as an easy target: in fact unlike the Arabs or Kurds they are not protected by the community, relatives or police.

13 maggio 2009


LUOGHI DI PAOLO DELL’ISLAM

Ermis Segatti
, Progetto culturale, Arcidiocesi di Torino

Giuseppe Ghiberti
, Facoltà Teologica, Torino

Giorgio Vigna
, Custodia di Terra Santa, Torino

Bernardo Cervellera
, Asia News

In collaborazione con il Polo Universitario del carcere Lorusso e
Cutugno, il Centro Cultura Culturale Piergiorgio Frassati, l’Associazione
Presidi del Libro Piemonte, e, con il patrocinio della Città di Torino

In occasione della mostra
‘‘Sulla Via di Damasco. L’inizio di una vita nuova’’
Antichi Chiostri in via Garibaldi, 1-17;
dal 19 maggio esposta nel carcere di Torino.

12 maggio 2009

Tony Blair ha contribuito a distruggere una delle più antiche chiese del mondo

Fonte: Telegraph

Di Ed West

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Se George Bush e Tony Blair fossero dei "crociati", come insistono a dire i musulmani, allora sarebbero i peggiori della storia. Peggio di quanto sarebbero stati se inefficaci. Quale altro crociato può vantare come risultato la quasi totale distruzione della popolazione cristiana di un paese?
Ora che gli americani si accingono a lasciare l'Iraq l'antica comunità cristiana del paese che si convertì nel secondo secolo quando i nostri avi ancora adoravano le pietre e che ancora parla aramaico pagherà un alto prezzo. Ben fatto, Tony, hai contribuito a distruggere una delle più antiche comunità cristiane del mondo e con essa la lingua di Gesù. Segna il punto su una parete del tuo centro ecumenico.
Gli iracheni cristiani hanno già passato l'inferno. Le stime variano ma le più favorevoli parlano di 1.2 milioni di cristiani nel 1991, 800.000 nel 2003 e meno di 400.000 oggi. Con questi ritmi gli assiri si estingueranno prima del rinoceronte nero. In effetti è un peccato che non abbiano corna, pelliccia o pinne perchè avrebbero senza dubbio avuto più attenzione da parte dei media britannici.
La stampa cristiana ha riportato i massacri - uccisioni, rapimenti, attacchi alle chiese - con crescente orrore ma sfortunatamente il grande pubblico non ha mostrato lo stesso interesse. Mi chiedo se un massacro di musulmani compiuto da cristiani sarebbe stato ugualmente ignorato dai mezzi di informazione.
E' triste dirlo ma la cerimonia durante la quale Papa Benedetto XVI si è rivolto a 50.000 cristiani in Giordania, e tra essi molti rifugiati iracheni, potrebbe non ripetersi per 20 anni.
La Giordania e la Siria trattano bene la propria popolazione cristiana ma dove questa non è perseguitata la generale stagnazione economica del Medio Oriente la sta spingendo verso occidente.
Occidente che ne avrà certamente un vantaggio - i cristiani mediorentali sono i nuovi ugonotti, abili ed istruiti - mentre una tale situazione sarà catastrofica per gli arabi liberali e per la possibilità di costruire degli stati vitali e secolari in quella parte del mondo.
I cristiani rimasti in Iraq e gli esuli si dividono tra coloro che sperano in un ritorno all'Iraq multi-religioso dell'epoca pre-Saddam, e coloro che ad esso hanno rinunciato e che invece chiedono un'area di auto-governo nella Piana di Ninive. I primi sono per la maggior parte cattolici caldei, urbanizzati e di lingua araba che si considerano semplicemente cristiani arabi, gli altri sono in maggioranza assiri ortodossi del nord che parlano aramaico e che si identificano come etnicamente assiri, discendenti dagli antichi dominatori di Ninive.
La storia europea suggerisce che questo secondo gruppo sia più realista sebbene lo scenario desiderato si basi sul sostegno americano che però non ci sarà. Gli stati Uniti sono interessati a tenere insieme l'Iraq per timore che si scateni una guerra civile e nelo stesso tempo non vogliono indispettire i loro alleati curdi che vogliono inglobare la Piana di Ninive in quello che è, di fatto, il loro stato.
Ho sempre pensato che avessimo il dovere "morale" di rimuovere Saddam Hussein, una vergogna dell'umanità, ma così come è stato fatto è un disastro.
Abbiamo sostituito la leadership baffuta e fascista con degli islamofascisti barbuti. Una regressione, da qualsiasi parte la si guardi.
E la più grossa tragedia è che, dopo mezzo secolo dalla distruzione dell'antica comunità ebraica del paese alla popolazione cristiana sta per succedere la stessa cosa.

Tony Blair has helped destroy one of the oldest Churches on earth

Source: Telegraph

By: Ed West

If George Bush and Tony Blair were "crusaders", as Muslims insist, then they were the worst in history. Worst, that is, as in the most ineffective. What other Crusade has resulted in the Christian population of a country being almost totally destroyed?
Now that the Americans are leaving Iraq, the ancient Christian community, who converted in the second century while our ancestors were still worshipping rocks, and who still speak Aramaic, will pay the ultimate price. Nice one, Tony, you've helped to destroy one of the oldest Christian communities on earth and with it the language of Christ. Stick that on the wall of your inter-faith centre.
Iraqi Christians already endured hell. The figures vary, but the best estimates put the Christian population at 1.2 million in 1991, 800,000 in 2003 and less than 400,000 today. At this rate the Assyrians will be extinct before the black rhino; in fact it's a shame they don't have horns or fur or flippers, as their plight would undoubtedly have received more attention in the British media.
The Christian press in Britain has reported the ongoing pogrom - murders, kidnappings, church bombings - with growing horror, but unfortunately the public at large has not shown the same interest. I wonder whether a Christian massacre of Muslims would result in the same media black-out.
It's sad but
the ceremony yesterday, at which Pope Benedict addressed 50,000 Christians in Jordan, including many Iraqi refugees, may not be possible in 20 years. Jordan and Syria both treat their Christian populations well, but where they aren't being persecuted the general economic stagnation of the Middle East is driving Christians west. It's certainly the West's gain - Middle Eastern Christians are the new Huguenots, disproportionately skilled and educated - but it's also catastrophic for the remaining liberal Arabs, and for their chances of ever building viable, secular states in that part of the world.
Iraq's remaining Christians and the exiles are divided between those who hope for a return to pre-Saddam, multi-faith Iraq, and those who've given up, and who instead want their own self-run area in the Nineveh Plains. The former are predominantly Chaldean Catholics, urban and Arab speakers who see themselves simply as Christian Arabs; the latter tend to be Assyrian Orthodox from the north, Aramaic-speakers who identify themselves as ethnic Assyrians, descendents of the ancient rulers of Nineveh.
European history suggests the latter group are the more realistic, although the scenario relies on American support, and that's just not going to happen. The US is committed to holding together Iraq, for fear of unleashing a regional war, and also doesn't want to upset its Kurdish allies, who hope to gobble up the Nineveh Plains into their de facto state.
I always thought we had the moral "right" to remove Saddam, a stain on humanity, but the execution of that removal was a disaster. We replaced the country's mustachioed fascist leadership with bearded Islamofacists, which is by most standards a regression.
And the biggest tragedy is that, half a century after that country's ancient Jewish community was destroyed, its Christian population is going the same way.

Iraq: un centro per "sfamare la voglia di incontro" dei giovani di Baghdad

Fonte: SIR

Un centro interreligioso, interrituale per “sfamare la voglia di aggregazione e di incontro” dei giovani iracheni. E’ quanto intendono realizzare la Fondazione Giovanni Paolo II e l’arcivescovado latino di Baghdad, che oggi hanno presentato l’iniziativa, a Fiesole, in un incontro organizzato dalla Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc). “In Iraq assistiamo ad una emergenza giovani – ha dichiarato l’arcivescovo di Baghdad dei latini, mons. Jean B. Sleimancui cerchiamo di far fronte anche attraverso l’educazione, l’istruzione e la formazione. Il centro che intendiamo realizzare vuole soddisfare la voglia di incontro dei giovani. Non si può restare indifferenti alla malinconia che mostrano e che li spinge a cercare il loro futuro altrove”.
Il centro dovrebbe sorgere in alcuni locali annessi alla cattedrale dei latini di Baghdad, e secondo Angiolo Rossi, direttore della Fondazione Giovanni Paolo II, dovrebbe ospitare anche un media center oltre che strutture idonee ad ospitare attività teatrali, musicali, di danza e artistiche. Alla sua realizzazione contribuirà anche la Fisc, che, spiega il suo presidente, don Giorgio Zucchelli, “si attiverà attraverso le sue 186 testate”. “E’ tempo di ricostruire – conclude mons. Sleiman – forse la violenza non verrà mai sradicata del tutto, anche se la situazione è molto migliorata, e bisogna cominciare dai giovani”.

11 maggio 2009

Bambino cristiano ucciso a Sheykan. Torna la paura nella comunità

By Baghdadhope

Fonte: Ankawa.com

L'atmosfera gioiosa che la visita di Papa Benedetto XVI in Medio Oriente ha diffuso tra i cristiani di quelle terre, e quindi anche tra quelli iracheni, è stata rattristata dalla terribile notizia del ritrovamento del cadavere di Tony Edwar Shawel, un bambino di 5 anni rapito all'inizio di maggio nel distretto settentrionale di Sheykhan e per la liberazione del quale era stato chiesto un riscatto di 50.000 $.
Secondo Ankawa.com che ha riportato la notizia la polizia avrebbe fermato per controlli alcuni vicini di casa della famiglia Shawel.
Nel distretto di Sheykhan, non lontano da Mosul, abitano molti cristiani e yazidi e proprio il giorno prima del rapimento del piccolo Tony una delegazione di vescovi caldei guidata dal Patriarca Cardinale Mar Emmanuel III Delly aveva incontrato la guida degli yazidi, il principe Tahseen Sayid Beg.

A special Sunday in Amman

Source: Ankawa.com

Cardinal Mar Emmanuel III Delly and Fr. Raymond Moussalli











Proudly showing the Iraqi flag



An Iraqi and a Jordan flag in the hands of a little Iraqi girl













Un giorno di "prime volte"

Fonte: The Jordan Times

Di Amy Hybels

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

In piedi sulla sua sedia il quindicenne Peter Mikho sventolava orgogliosamente la bandiera irachena non appena intravisto Papa Benedetto XVI compiere il giro dell'Amman International Stadium nella papamobile. La sua sorellina, Cecil Mikho, con una mano sventolava la bandiera Giordana e con l'altra stringeva quella bianca e gialla del Vaticano.
Cecil e Peter sono tra i 40 bambini iracheni vestiti di bianco del Vicariato caldeo cattolico di Amman che hanno ricevuto la comunione durante la storica messa celebrata da Papa Benedetto XVI domenica mattina.
Per Cecilia era anche il giorno della sua Prima Comunione, un evento importante nella vita di una giovane cattolica.
Al mattino, infatti, Cecil si è aggiunta alle centinaia di bambini che hanno ricevuto per la prima volta il sacramento dell?Eucarestia.
Cecil, 11 anni, si è trasferita con la madre ed il fratello in Giordania subito dopo l'inizio della guerra in Iraq nel 2003. Suo padre lavora ancora in Iraq, una preoccupazione per la giovane che dice che se avesse la possibilità chiederebbe al Papa di "rendere l'Iraq migliore e più sicuro" così che la sua famiglia possa ritornare a Baghdad.
Valentina Manuel, 13 anni, sollevava la sua bandiera irachena posando per una foto prima che la papamobile arrivasse alla stadio. Sette anni fa si è trasferita in Giordania con la madre e tre fratelli mentre anche suo padre, come quello di Cecil, lavora in Iraq. Mentre è al telefono proprio con lui Valentina spiega di non averlo visto dal 2007. La separazione è dura da sopportare per la famiglia e lei spiega che se potesse chiederebbe al Papa se visiterebbe l'Iraq se ne avesse la possibilità.
Il sacerdote della famiglia, Padre Raymond Moussalli, vicario patriarcale caldeo in Giordania, dice che 5000 iracheni cattolici caldei che vivono in Giordania rappresentano una sfida. "Molte madri vengono in chiesa a chiedere aiuto per riunire le famiglie, noi cerchiamo di aiutarle dando denaro, pagando gli affitti, offrendo programmi educativi per i bambini ma non è sufficiente. Dobbiamo trovare un modo per riunficare le famiglie."
Samir Stipho, professore universitario a Baghdad, sa cosa significa tenere unita una famiglia. La sua fuggì dalla violenza in Iraq nel 2006 e dopo un anno trascorso in Giordania si trasferì a Phoenix, in Arizona. Questa settimana Stipho è tornato in Giordania perchè suo figlio, il dodicenne Faysal, potesse unirsi agli altri bambini della chiesa irachena e ricevere la prima comunione durante la messa del Santo Padre. Il professore ha ammesso che la vista dei bambini che sventolavano le bandiere irachene nello stadio è stata commovente: "Mi ha spezzato il cuore. Ho iniziato a piangere quando ho visto sventolare le bandiere. Nessuno può dimenticare il proprio paese.
Ed i bambini non vogliono che il Papa si dimentichi di loro. A molti di loro è stato concesso di farsi avanti durante la messa per salutare il Papa prima che lasciasse lo stadio e sebbene Cecil Mikho non sia riuscita a chiedergli nulla è riuscita a toccargli la mano, un momento che ha descritto come "eccezionale" in un giorno per lei pieno di "prime volte" qui in Giordania.

A day of firsts


By Amy Hybels

Fifteen-year-old Peter Mikho stood on his chair, proudly waving the Iraqi flag as soon as he spotted Pope Benedict XVI circling Amman International Stadium in the Popemobile.
His younger sister, Cecil Mikho, stood nearby, waving the Jordanian flag in one hand while clutching the bright yellow and white flag of the Vatican in the other.
Cecil and Peter were among the 40 Iraqi children dressed in white from the Chaldean Catholic Vicariate in Amman who received communion during the Pope Benedict’s historic Mass on Sunday morning.
The Mass also marked Cecil’s First Communion, an important event in the life of a young Catholic. On Sunday morning, she joined hundreds of children in the stadium in receiving the sacrament of the Eucharist for the first time.
The 11-year-old moved with her mother and brother to Jordan shortly after the start of the war in Iraq in 2003.
Her father still works in Iraq, a concern for the fifth grader who said if given the chance, she would ask the Pope to “make Iraq better and safer” so her family could return to their home in Baghdad.
Valentina Manuel, 13, hoisted her Iraqi flag high in the air, posing for pictures before the Popemobile entered the stadium. Manuel moved to Jordan seven years ago with her mother and three siblings. Her father also works in Iraq.
While the two talk by phone, Manuel said she hasn’t seen her father since 2007.
The separation is hard on her family.
Manuel said if she could ask the Pope one question she would ask him, “Would you visit Iraq if you were given the chance?”
The family’s priest, Father Raymond Moussalli is the Chaldean patriarchal vicar in Jordan. He says the 5,000 Iraqi Chaldean Catholics living right here in Jordan face a unique set of challenges.
“A lot of mothers come to the church asking for help in reunifying families,” Moussalli explained.
We try to support them by providing money or rent or by offering educational programmes for their children, but it’s not enough. We need to find a way to reunify the families.”
Baghdad University professor, Samir Stipho, knows all about the challenges of keeping the family together.
He and his family left the violence in Iraq in 2006. After spending a year in Jordan he resettled his family in Phoenix, Arizona.
This week Stipho flew back to Jordan so that his 12-year-old son Faysal could join the kids from the Iraqi church in receiving his First Communion during the Pope’s outdoor Mass.
Stipho admits the sight of the children waving the Iraqi flags in the stadium Sunday morning was overwhelming.
“It broke my heart,” he said. “The tears started when I saw the flags waving. Nobody can forget his country.”
And the children don’t want the Pope to forget them. Many were allowed to come forward following the Mass for a chance to greet the Pope before he exited the stadium.
While Cecil Mikho didn’t get to ask the Pope any questions, she said she was able to touch his hand, a moment she described as “amazing” on what has turned into a day of firsts for her here in Jordan.

Le testimonianze del patriarca caldeo Delly e del patriarca latino di Gerusalemme Twal


Gli appelli lanciati da Benedetto XVI a sostegno dei tanti rifugiati presenti in Giordania sono stati accolti con gioia e gratitudine dai profughi cristiani iracheni.
Sean Patrick Lovett al seguito del Papa ha raccolto il commento del patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly:
"Sono molto grato al nostro Santo Padre che mi ha detto: “Noi preghiamo per voi sempre, specialmente per l’Iraq, affinché la pace e la tranquillità siano sempre in questo Paese”. Io, a nome di tutti gli iracheni, ed a nome di tutti i cristiani dell’Iraq, ringrazio di cuore il Santo Padre per tutto ciò che sta facendo per l’Oriente. A lui rivolgo a Dio le mie umili preghiere e così tutti i nostri fedeli. In particolar modo, questa visita contribuirà molto per la pace in questi Paesi che da tanti anni sono torturati da tanti drammi.Durante questo pellegrinaggio in Terra Santa il Papa sta incoraggiando la minoranza cristiana a perseverare nella testimonianza di fede e di amore."
Ascoltiamo in proposito il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, sempre al microfono di Sean Patrick Lovett:
"Chiediamo sempre la vostra preghiera, la vostra solidarietà. La mia impressione è quella di tutto il popolo di Giordania e, oso dire, dei musulmani e dei cristiani: un’impressione molto, molto positiva. Stando accanto al Santo Padre, lui ha manifestato la sua gioia nel vedere questa comunità cristiana, una minoranza, anche se non abbiamo l’impressione di esserlo. Tutti cantano, tutti sono felici, tutti si sentono a casa, con rispetto ed amore per la nostra identità di arabi, giordani, cristiani. Andiamo avanti e con l’appoggio del Santo Padre, con la preghiera della Chiesa universale, tutto andrà bene. Speriamo che anche nella seconda parte di questo pellegrinaggio le cose andranno bene come qui in Giordania, speriamo bene. Siamo preparati al massimo, con tutta la nostra fragilità: però non perdiamo mai la speranza e la presenza del Santo Padre certamente sarà per noi tutti una benedizione."

"Cristiani, non dimenticate la dignità"

Fonte: Il Tempo

di Giuseppe De Carli

Li hanno messi il più lontano possibile dall'altare papale. Difficile vederli da quella distanza. Due-tremila in una sorta di «ghetto televisivo», mai inquadrato dalle telecamere. Hanno resistito sin quasi al termine della messa
nell'International Stadium di Amman, poi sono esplosi in una gioia incontenibile e, al passaggio della «papa mobile», sono sbucate centinaia di bandierine irachene. «Lei non ci credeva - mi dice raggiante padre Khalil Jaar, parroco della cattedrale cattolica - ma siamo andati a prenderli uno per uno, li abbiamo incoraggiati, abbiamo affittato diversi pullman ed ora sono qui per affermare che sono orgogliosi di essere cristiani e che sono disposti a tutto pur di manifestare a testa alta la loro fede».
La folla si scalda al sole avaro di Amman: «Be-ne-det-to; Be-ne-det-to; ben-ve-nu-to; ben-ve-nu-to», scandisce e sillaba in italiano in un grande abbraccio al vescovo venuto da Roma. Sul prato sintetico duemila bambini della prima comunione. «Vede quella col velo - mi interrompe durante la diretta Rai, padre Khalil - quella è irachena. Ce l'abbiamo portata noi, abbiamo comperato il vestito bianco … "Non preoccupatevi", abbiamo spiegato ai genitori: quei bambini che sono come gli angeli di Dio, sono protetti da Gesù e da Maria Vergine, hanno in tasca la foto del nostro santo protettore Giovanni Battista, nessuno li fermerà. A nessuno verrà torto un capello».
Parla a ruota libera il parroco di una Chiesa che non vuole morire in un Paese, come la Giordania, che può essere considerato modello di convivenza e di dialogo interconfessionale. Parroco di «tremila famiglie cristiane», si definisce. Dalla guerra in Iraq gli sono arrivati, come una tegola sulla testa, dai cinquanta ai sessantamila profughi iracheni, cattolici di rito caldeo. Qui nessuno ne parla. Non si vedono in giro, in una città che è uguale e pulita in ogni suo quartiere, né accampati, né ghettizzati. Non si vedono i palestinesi, il «popolo invisibile» sparso per le contrade del Medio Oriente; non si vedono gli iracheni venuti qui come rifugiati in quasi un milione.
«Hanno paura - rivela padre Khalil Jaar - sono senza lavoro ma fieri e dignitosi. Si fanno aiutare dai parenti che stanno in Europa o nelle Americhe o dalle famiglie ricche che sono riuscite a rimanere in Iraq».
Questo prete «borderline», di confine, si fa aiutare da settantacinque volontari laici: «Sono i miei coadiutori, senza essere ordinati». Sono loro che distribuiscono aiuti, avviano pratiche di riconoscimento, spediscono i bambini a frequentare gratuitamente le scuole cattoliche. Una piccola grande storia nello scenario storico della visita di un Papa in Giordania.
Benedetto XVI misura le parole. Incoraggia a perseverare nella fede, a «non dimenticare mai la grande dignità che deriva dalla eredità cristiana; a non venire mai meno al senso di amorevole solidarietà verso tutti i fratelli della Chiesa».
Non usa mai Benedetto XVI la parola «iracheni» o «palestinesi» mentre si prega per loro durante la messa. È il mistero di una liturgia che unisce ciò che la politica divide, che affratella laddove sembra ci siano solo odio, esclusione, inimicizia. La messa raccoglie circa trentamila fedeli. La Chiesa cattolica batte un colpo in un Paese arabo. È presente, si sente viva, è un fermento positivo della società. Canti e preghiere in arabo, bizantino, latino, invocazioni in aramaico, la lingua di Gesù. Da far venire la pelle d'oca. «Be-ne-det-to; Be-ne-det-to; ben-ve-nu-to; ben-ve-nu-to», si canta fino allo sfinimento.
Il Papa osserva questo piccolo, prezioso gregge disperso. Una reliquia di santità e di gioia. Sulla «papa mobile» anche il patriarca di Gerusalemme dei Latini, sua Beatitudine Fouad Twal. Ci hanno detto che, osservando quel popolo in festa attorno al Papa, è scoppiato in lacrime. La notizia è da verificare, ma fa piacere pensare che sia andata proprio così.