"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

28 marzo 2019

Piangono per le “povere” spose dell’Isis e se ne fregano delle loro vittime cristiane e yazide

By Tempi
Fr. Benedict Kiely

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un articolo di padre Benedict Kiely, fondatore della charity per l’aiuto dei cristiani perseguitati del Medio Oriente Nasarean.org, apparso nel numero del 22 marzo del magazine cattolico londinese. Il testo originale in inglese è disponibile anche online in questa pagina.

Meno di un anno fa mi trovavo fra le rovine della città vecchia di Mosul, accanto alla moschea in cui il capo dell’Isis Abu Bakr Al-Baghdadi aveva proclamato il Califfato. C’era un grande buco nel tetto, e l’intera area intorno ad essa era stata bombardata e ridotta in macerie. A parte i cadaveri dei combattenti dell’Isis, che dovevano essere ancora rimossi dalla zona, il solo altro segno fisico della loro recente presenza, esclusi i loro graffiti sui muri, erano i mucchietti di peli sul pavimento di molti degli edifici; si erano rasati le barbe nel vano tentativo di non farsi identificare.
Il Califfato – lo “Stato islamico” che a un certo punto controllava una vasta porzione del territorio dell’Iraq e della Siria – è quasi sconfitto. Tuttavia, pur avendo perso la battaglia per la terra, l’ideologia estremista e le migliaia di uomini e donne che hanno giurato fedeltà al Califfo sono tutt’altro che sgominati. Gruppi che sposano la causa dell’Isis sono in crescita – specialmente in Africa e nelle Filippine – e i video delle “spose dell’Isis” catturate in Siria nelle ultime settimane mostrano quanto siano fanaticamente attaccate alla causa. Sono le donne le più accanite nella loro costante devozione all’Isis; gli uomini incredibilmente dichiarano di aver servito al massimo come cuochi o domestici.
Le spose dell’Isis – contrariamente alla narrazione ampiamente diffusa presso la stampa occidentale – non erano le vittime passive, sottomesse e indottrinate dai loro mariti. In realtà hanno dimostrato di essere tanto devote, e tanto crudeli, quanto i loro mariti. È questa l’esperienza raccontata dalle loro vittime, che sembrano essere state abbondantemente dimenticate nell’indignazione emotiva sollevata dai giornali e dai politici sui bambini figli dell’Isis.
Più di quattro anni fa, migliaia di donne e bambini yazidi sono stati sequestrati dall’Isis. Sono stati usati come schiavi del sesso e alcuni bambini sono stati perfino messi in vendita e pubblicizzati nel materiale informativo dell’Isis. Anche donne cristiane sono state fatte prigioniere e trattate allo stesso modo.
I media e i politici occidentali si sono compiaciuti quando l’ex schiava yazida dell’Isis Nadia Murad è stata giustamente premiata con il Nobel per la pace, eppure è stato fatto poco e niente per contribuire a liberare le donne rapite – o per aiutare quelle che sono scappate per salvarsi in Occidente.
Ho visitato per la prima volta l’Iraq poco dopo che l’Isis aveva occupato la Piana di Ninive e attaccato i villaggi yazidi intorno a Sinjar nel 2014. È stato veramente sconvolgente tornare laggiù per la sesta volta, appena due mesi fa, e scoprire che le famiglie yazide vivono ancora in edifici abbandonati a Erbil, esattamente dove stavano all’inizio del 2015.
Ho parlato con alcune donne yazide, tutte traumatizzate dalla perdita di parenti e amici per mano dell’Isis. Ho chiesto loro che cosa volessero. Tutte, senza eccezioni, vogliono lasciare l’Iraq. Quando domandavo dove volessero andare, la loro risposta era semplicissima: «Ovunque».

‘ISIS brides’ weren’t brainwashed. Just ask their victims

Fr. Benedict Kiely

Less than a year ago I stood in the ruined Old City of Mosul, standing next to the mosque where the Caliphate had been proclaimed by ISIS leader Abu Bakr Al-Baghdadi. There was a large hole in the roof, and the whole area around it had been bombed to rubble. Apart from the corpses of ISIS fighters which were still being removed from the area, the only other physical sign of their recent presence, apart from their graffiti on buildings, were piles of facial hair on the floor of many of the buildings; they had shaved off their beards in a vain attempt to avoid being identified.
The Caliphate – the “Islamic state” which at one point controlled large amounts of territory in Iraq and Syria – is almost defeated. However, while losing the battle for land, the extremist ideology and the thousands of men and women who swore allegiance to the Caliph are far from vanquished. Groups pledging allegiance to the ISIS cause are growing – notably in Africa and the Philippines – and videos of “ISIS brides” captured in Syria in recent weeks show how fanatically committed they are to the cause. Notably it is the women who are most vocal in their continued dedication to ISIS; the men absurdly claim to have been only cooks and domestic workers.
ISIS brides were not – contrary to the narrative widely reported in the Western press – the passive, controlled and brainwashed victims of their husbands. In fact, they have shown themselves to be just as devoted, and just as cruel, as their fighting husbands. Critically, this is the experience reported by their victims, who seem to have been largely forgotten in the emotional outrage over ISIS babies, stirred up by press and politicians.
Thousands of Yazidi women and children were captured by ISIS more than four years ago. They were used as sex slaves and some children were even advertised for sale in ISIS literature. Christian women were also held captive and treated the same way.
Western media and politicians congratulated themselves as Nadia Murad, the Yazidi former ISIS captive was rightfully awarded the Nobel Peace Prize, yet little or nothing was actually done to help free the women in captivity – or to help those who had escaped to safety in the West.
I first visited Iraq soon after ISIS swept across the Nineveh Plains and attacked the Yazidi villages around Sinjar in 2014. It was truly shocking to return for my sixth visit, just two months ago, and find Yazidi families still living in open abandoned buildings in Erbil, exactly as they had been in early 2015.
I spoke to some Yazidi women, all traumatised after losing relatives and friends to ISIS. I asked them what they wanted. All of them, without exception, wanted to leave Iraq. When asked where they wanted to go, their response was very simple: “Anywhere.”

27 marzo 2019

Assenso all’elezione dell’Arcivescovo Coadiutore di Mossul (Iraq) per la chiesa siro cattolica

Foto Patriarcato Siro Cattolico
Il Santo Padre Francesco ha concesso il Suo Assenso al Rev.do Corepiscopo Nizar Semaan, eletto canonicamente dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Antiochia dei Siri per l’ufficio di Arcivescovo Coadiutore di Mossul (Iraq).

Rev.do Corepiscopo Nizar Semaan
Il Rev.do Corepiscopo Nizar Semaan è nato a Qaraqosh (Iraq) il 1° gennaio 1965. Dopo gli studi primari e secondari è entrato nel Seminario patriarcale di Charfet (Libano) dove, dal 1986 al 1991, ha terminato la sua formazione con gli studi presso l’Université du Saint-Esprit a Kaslik (Libano).
È stato ordinato sacerdote il 1° novembre 1991 a Qaraqosh.
Dal 1991 al 1997 è stato Vicario Parrocchiale prima a Beyrouth e poi a Qaraqosh.
Dal 1997 al 2002 ha studiato presso il Pontificio Istituto Orientale (Roma), dove ha conseguito il Dottorato nella Sezione liturgica della Facoltà di Scienze Ecclesiastiche Orientali.
Dal 2005 è responsabile della Comunità siro-cattolica in Gran Bretagna.
Oltre al siriaco, parla l’arabo, il francese, l’italiano e l’inglese.

Mosul, card Sako: ‘Profondo dolore’ per la tragedia del battello, preghiere per le vittime


Condividere “il profondo dolore” per la “immensa perdita” che ha devastato Mosul e i suoi abitanti. “Siamo qui per assicurare il nostro amore, la vicinanza e la solidarietà” ai parenti delle vittime e a tutta la città. Sono le parole che il patriarca caldeo, il card Luis Raphael Sako, ha rivolto questa mattina ai presenti durante la funzione di preghiera per quanti hanno perso la vita il 21 marzo scorso, nell’affondamento del battello sul fiume Tigri. Una tragedia che ha causato quasi 100 morti e scatenato l’indignazione popolare. In risposta, il Parlamento ha votato su richiesta del premier la cacciata del governatore e dei suoi due vice. 
Alla funzione di preghiera che si è tenuta questa mattina nella parrocchia di san Paolo a Mosul, in una chiesa gremita di fiori e di candele accese, ha partecipato il nunzio apostolico in Iraq mons. Alberto Ortega Martin, che ha letto un messaggio personale di papa Francesco. Assieme al prelato erano presenti numerosi vescovi caldei, sacerdoti, personalità musulmani e i tre membri della unità di crisi approntata dal Primo Ministro Adel Abdul Mahdi.
I partecipanti si sono uniti in una preghiera comune per i morti e per chiedere pace, sicurezza e stabilità nella metropoli del nord, che si sta riprendendo a fatica dopo gli anni di dominio dello Stato islamico (SI, ex Isis). A conclusione della funzione, il porporato ha donato 20mila dollari a nome della Chiesa caldea al fondo governativo approntato a favore delle vittime e dei loro familiari.
La nave, adibita al trasporto persone, era gremita di famiglie e turisti che celebravano il Nowrūz (capodanno curdo) ed era diretta all’isola di Umm Rabaen, località turistica circa 4 km a nord del centro della città di Mosul. Secondo quanto emerso da alcuni filmati, il traghetto si sarebbe inclinato all’improvviso sulla destra imbarcando acqua, per poi capovolgersi ed essere trascinato a valle dalle acque impetuose del fiume.
Almeno 97 le vittime della tragedia, mentre decine di persone risultano ancora oggi disperse. L’incidente ha sollevato l’indignazione popolare e ha investito le massime cariche del Paese. Da qui la risposta immediata del governo con la cacciata dei vertici dell’amministrazione locale, nel tentativo di arginare l’ira popolare e bloccare l’ascesa di nuovi gruppi jihadisti.
Nel suo messaggio, inviato ad AsiaNews, il card Sako lancia un appello ai leader politici, sociali e religiosi della provincia di Ninive, perché mostrino “unità” per il “bene” di Mosul e del suo popolo. In questo momento di dolore, la speranza è che tutti “si adoperino per la pace, la stabilità e la sicurezza” e perché sia dato nuovo impulso “al processo di ricostruzione”, lontano da dispute e vendette e da una ‘politicizzazione’ dell’incidente”.
La creazione di una “task force da parte del governo è un segnale positivo”, prosegue il porporato, ma serve la collaborazione di tutti i cittadini. La speranza, conclude, è che tutti in Iraq e all’estero contribuiscano “al compito di ricostruzione di quanto è stato distrutto dall’Isis, in particolare per quanto riguarda i reperti storici” e “incoraggiando il ritorno degli sfollati”.

By Baghdadhope
Lunedì 25 marzo 2019

Baghdad. La speranza di convivenza in una piccola chiesa. Mosul. Solidarietà della chiesa caldea alle famiglie delle vittime del traghetto affondato

The Chaldean Church in Solidarity with Mosul Inhabitants for their Great Loss


Photo Chaldean Patriarchate
On Wednesday morning, March 27, 2019, a prayer service held by the Chaldean Church in Iraq at the Church of St. Paul in Mosul, with candles and flowers on the altar and around it for the sake of all victims’ souls of the “death” ferry accident on 21 March 2019.
His Eminence Cardinal Louis Raphael Sako led the prayers in the presence of His Excellency Archbishop Alberto Ortega Martin, the Vatican Ambassador in Iraq, who read a letter from His Holiness Pope Francis to all Iraqis.
Chaldean Bishops, Mar Michael Maqdassy, Mar Bashar Warda, Mar Basilios Yaldo, Mar Robert Saeed Jarjis also participated together with Fr. Noel Farman, Patriarch’s secretary, Fr. Ephrem Gilyana, the Head of Saint Peter Seminary, Monsignor Thabet Polous Habeeb and other priests.
Members of the “Task Force” committee, established by the Prime Minister and officials in Nineveh Province attended the prayers in addition to Christians of the area and officials, expressing their deep sorrow for this disastrous incident. They united in praying, may God turn out this tragedy to a blessing of life, peace and stability of this devastated City.
Before closing the service, His Eminence Cardinal Sako donated $20,000 to the “Task force committee” as a contribution of the Chaldean Church in Iraq to help the aggrieved families.

The following is His Eminence Cardinal Louis Raphael Sako’s message to Mosul inhabitants:
Message to Mosul Inhabitants

Cardinal Louis Raphael Sako
Patriarch of the Chaldean Church

Being here at this time, to pray with you is an expression of sharing our deep sorrow for the great loss of devastated Mosul. Around couple hundreds of innocent people, most of whom were women and children lost their lives in a sinking ferry last Thursday, March 21, 2019 in the Tigris River.
We came here to assure our love, closeness and solidarity with the anguished families and all people of Mosul.
On such “troubled” occasion, we call upon all political, social and religious leaders in the province of Nineveh to unite for the sake of Mosul and its’ people who have suffered so much from such a tragedy, which is like a “horrible earthquake”.
Even though, the ferry that carries the name of “Peace”, took so many people into death, let us hope that this heartbreaking accident can be turned into an opportunity for intensifying efforts of all the people of Mosul to turn it to a ferry of life and peace.
It may strengthen them to face the challenges; motivate them to fulfill the requirements of peace, security and stability; and to start the process of reconstruction, away from political disputes, revenge and politicization of the incident toward certain agendas that do not serve the city and its’ inhabitants, but rather to drive them to despair and pessimism.
The establishment of a “Task Force” by the Iraqi prime minister is a positive sign. Therefore, we must cooperate with them enthusiastically and involve everyone, to make this event a chance to create better humanitarian, social and economic conditions for this city. Due to the current “difficult” situation of Iraq, it seems hard for the State alone to carry out all these tasks.
Consequently, there is an urgent need to have a committee of honest and sincere people who can start fund-raisings both inside and outside Iraq to rebuild what was destroyed by ISIS, especially the right side of the city that is characterized by its’ historical features.
As a Church, we will join hands and support whatever is for the good of the city, its’ unity, security, stability in order to encourage the return of displaced families. We hope to see the “revival” of Mosul by the joined effort of all its’ inhabitants.
We are praying to have this dream come true. The presence of His Excellency the Vatican Nuncio, Archbishop Ortega with us today is an extra support for what we are hoping to achieve.
We pray for the healing of those “afflicted” by this tragedy. May God shower them with His compassion and mercy and inspire their families with patience and comfort.

26 marzo 2019

Iraq issues warning of ISIS attacks on churches in Baghdad

By Kurdistan 24
Karzan Sulaivany

The Iraqi Ministry of Interior has issued a warning to Baghdad’s security forces of a possible terrorist attack by the Islamic State in response to the recent mass shooting that resulted in the deaths of at least 49 people attending mosques in the city of Christchurch, New Zealand, a classified document shows.
“It is possible that [ISIS] will carry out an attack targeting churches, especially the Saidat al-Najat Church in Baghdad…as revenge for the attack carried out against the mosques in New Zealand,” read a document distributed among the capital’s various security bodies, issued by the Directorate General for the Protection of Facilities and Personalities of the Iraqi ministry of interior, a copy of which Kurdistan 24 received.
The document was dated March 19, the same day the Islamic State published a 44-minute-long recording, urging supporters to launch attacks in all the countries that took part in fighting its organization, invoking the Christchurch attack to incite retaliatory violence.
This was just days ahead of the terrorist group’s complete territorial collapse in Syria, as announced by the US-backed Syrian Democratic Forces (SDF), following the liberation of the last small patch of land in the now infamous village of Baghouz, near the Iraqi border and on the eastern bank of the Euphrates River.
The document called on the security forces to maintain vigilance and patch security gaps to thwart possible attempts on the places of worship, notably the Saidat al-Najat, or “Our Lady of Deliverance.”
The parishioners of this church have previously been subject to violence, namely in 2010 when gunmen of the Islamic State’s progenitor stormed the building and took hostage worshipers.
The Iraqi forces attempted a rescue operation but as they raided the building the suicide bombers among the terrorists promptly detonated and killed around 40 members of the church and close to 10 security forces officers.
In 2014, when the Islamic State proper rose to prominence in Iraq, tens of thousands of Christians were forced to flee their homes, with many seeking refuge in the Kurdistan Region. The extremist group killed Christian civilians, forced some to convert to Islam, and destroyed or desecrated churches in cities like Mosul, which it controlled for years.

Un ponte di amicizia tra Italia e Iraq. Intervista al Card. Sako


Un ponte di amicizia tra Italia e Iraq
Con la settima edizione del Premio San Zosimo I quest’ anno l’Associazione Reatium ha veramente superato i confini. Infatti la statuetta rappresentante il romano pontefice che fu Papa tra il 417 e 418 è stata consegnata nelle mani del cardinale Louis Raphael Sako Patriarca dei Caldei di Babilonia e arcieparca metropolita di Babilonia. L’effige quasi a ripercorre le strade delle prime evangelizzazioni dell’oriente sarà in Iraq dove il Cardinale, sono le sue parole, la custodirà come segno di pace e di amore. Due parole che l’illustre ospite ha più volte ripetuto sia al momento della consegna del premio che nell’omelia della messa solenne di domenica 17 marzo.
Arrivato in parrocchia venerdì 15 con il suo Vicario e vescovo ausiliario, ha presieduto la via Crucis dedicandola ai cristiani perseguitati in Oriente e commentata da gruppi parrocchiali. Ma il momento più toccante è stato sabato sera quando, dopo il benvenuto del Sindaco, il saluto dell’assessore alla cultura, l’intervento del presidente Stefano Cropanese con la lettura della motivazione del premio, l’opera scultorea di Carlo Cistaro è passata dalle mani di don Aurelio Pagani a quelle del Patriarca che l’ha accolta baciandola. Il battimani che ne è seguito, ripetutosi alle parole di ringraziamento di Sua Beatitudine è stato la
dimostrazione di come la comunità abbia apprezzato questa apertura di amore verso quei nostri fratelli che ancora sono perseguitati. Hanno resa vivace la cerimonia il coro “Voci bianche sul Ceresio”, quello polifonico “di Giorgio Quaglia” e la violinista Carpengo. I gruppi hanno chiuso la serata con simposio assieme ai due ospiti. Domenica 17 è stato sempre il
cardinale Sako al centro della concelebrazione Eucaristica, animata dal coro polifonico locale e dall’organista Matteo Marelli.
Ancora una volta ringraziando per l’accoglienza riservatagli ha salutato tutti dicendo che porterà nel cuore questi giorni come testimonianza di fede e di speranza.
Ni. Sa.

 
INTERVISTA AL CARDINAL SAKO
Michele Luppi

«Guardate ai martiri iracheni e non abbiate vergogna di essere cristiani»

“Fin dal suo primo arrivo tra di noi, dalle sue parole e, ancora più, dai suoi occhi, abbiamo capito come ci trovassimo di fronte ad
una persone che ha pianto tanto, ha tanto sofferto. Abbiamo toccato con mano cosa vuol dire essere una Chiesa perseguitata”.Così don Aurelio Pagani, parroco della Comunità dei Quattro Evangelisti di Lavena Ponte Tresa, descrive l’incontro con il patriarca della Chiesa caldea, card. Louis Raphael Sako, arrivato a Lavena Ponte Tresa alla fine della scorsa settimana per ritirare il premio San Zosimo I.
Approfittando di questa visita, la prima del cardinale
in Diocesi di Como, e grazie alla sua grande disponibilità, abbiamo raggiunto il patriarca sulle rive del Ceresio per farci raccontare, dalla viva voce di un testimone, travagli e speranze della Chiesa irachena.

Eminenza, partiamo dalla cronaca recente e dalle notizie che arrivano da Siria e Iraq. Possiamo dire che l’Isis è davvero
sconfitto?

“È stato sconfitto militarmente, ma la sua minaccia è ancora molto forte. Oggi realtà come l’Isis e Al-Qaeda non hanno potere
militare, ma come pensiero sono ancora molto diffusi e continueranno ad esserlo fino a quando non saranno estirpate le radici: da una parte il materialismo e certi atteggiamenti dell’Occidente (il riferimento è all’invasione dell’Iraq del 2003 ndr), a cui certe ideologie si oppongono, dall’altro la corruzione dei regimi in Medio Oriente e la povertà e mancanza di prospettive in cui molti giovani sono costretti a vivere”.

Durante la visita ad Abu Dhabi è stata firmata dal Santo Padre e dal grande Imam di Al Azhar, Sheikh Ahmed al Tayyeb,
una dichiarazione congiunta sulla Fratellanza universale in cui vi è stata una condanna unanime della violenza. Come è stata accolta da voi questa firma?

“Molto positivamente sia dai cristiani che dai musulmani, vittime essi stessi di un’ideologia che ha distrutto l’immagine della loro
religione. È stato ribadito con forza come il fondamentalismo non abbia futuro: solo il dialogo civile, responsabile, può risolvere i
problemi tra gli uomini. Ma ad Abu Dhabi non c’è stata solo la dichiarazione congiunta; mi piace ricordare la messa celebrata dal Papa e seguita da milioni di musulmani. Per loro questa è stata un’occasione per conoscere come i cristiani pregano, scoprirne la liturgia – gli inni, le preghiere, le letture – una sinfonia di cui non avevano idea”.

Crede che questo sia stato più importante della dichiarazione stessa?

“Sì, perché da parte dei musulmani ci sono spesso sospetti nei confronti dei cristiani e questa visita li ha spazzati via, dando loro
una vera conoscenza della nostra liturgia”.

Nella dichiarazione si afferma che nessuna religione debba considerarsi minoranza. Cosa significa per voi?

“Significa che i cristiani non devono essere discriminati in Medio Oriente. Siamo nella nostra terra da prima dell’arrivo dell’Islam
per questo non possiamo essere considerati cittadini di seconda classe. Dobbiamo avere gli stessi diritti e doveri di tutti. Per questo crediamo nella necessità di fondare uno stato sulla cittadinanza, non sulla religione. La religione è un fatto personale tra il credente e il suo Dio, non deve entrare nella gestione della società”.

In che cosa i cristiani sono discriminati?

“I nostri fratelli musulmani pensano che la loro religione sia la prima religione, vera e completa e le altre siano di seconda classe.

Questo non si può fare, questo è sbagliato. Ripeto sempre: se vogliamo un futuro migliore per tutti dobbiamo avere un regime civile che rispetta i valori religiosi di tutti ma che è basato sulla cittadinanza e uguaglianza di tutti i cittadini.”

Lei è stato tra i primi rappresentanti religiosi a tornare a Mosul dopo la caduta dell’Isis. Cosa ha provato?

“Sono tornato quattro volte dopo la liberazione, sia a Mosul che nei villaggi della Piana di Ninive. A Mosul ho trovato da parte dei
musulmani, soprattutto giovani, una forte reazione contro l’Isis. E’ stato proprio un gruppo di giovani musulmani a preparare una chiesa rovinata – tutte le chiese di Mosul sono state danneggiate dall’Isis, alcune anche del 5° secolo - perché potessi celebrare la messa di Natale (2017 ndr). Stanno nascendo tante attività tra giovani cristiani e musulmani. In città oggi ci sono cento famiglie già rientrate ed è stato eletto vescovo caldeo il padre domenicano Najib Mikhael Moussa che si muove tra la città e i villaggi della Piana di Ninive. Purtroppo l’attacco contro l’Isis in Siria ha portato alcuni membri del gruppo a tornare in Iraq e la gente ha paura, ma si cerca di tornare alla normalità”.

Come procede la ricostruzione dei villaggi cristiani della Piana di Ninive (a cui anche la nostra diocesi ha dato un
piccolo contributo la scorsa quaresima grazie ad ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ ndr)

“Sedicimila famiglie sono già rientrate nei villaggi e molte case e servizi (scuole, chiese ecc) sono state restaurate, grazie al
sostegno di tanti donatori. Per questo devo ringraziare di cuore tanti fratelli cardinali, vescovi e laici di ogni parte del mondo. Oggi però ci vuole un appoggio ancora più forte per aiutare i cristiani a continuare la loro vita, dando il loro contributo ad un Iraq migliore”.

Tanti cristiani continuano però ad emigrare…

“Tante famiglie sono spaccate tra chi vive in Iraq e chi è già andato all’estero. E questa è un’attrazione forte per chi resta qui.

Abbiamo sofferto molto come cristiani, ma siamo convinti che abbiamo una vocazione e anche una missione. Non possiamo dimenticarlo, non siamo in Iraq per azzardo, queste sofferenze hanno un senso e un valore.

C’è stata una storia di martirio che l’ha colpita particolarmente?

“Sono tante: dal 2003 ad oggi abbiamo avuto 1225 martiri cristiani. Penso al vescovo di Mosul Faraj Rahho, ucciso nel 2008. Ma
vorrei ricordare soprattutto le famiglie della Piana di Ninive costrette a fuggire dalle loro casa in una notte, senza poter portare nulla cosa sé, nemmeno i documenti. Potevano rinnegare la loro fede e restare. Hanno scelto di lasciare tutto”.

Quali sono oggi le sfide della Chiesa irachena?

“La più grande è tenere questi cristiani sul posto e incoraggiare gli altri a tornare. Ma c’è anche un’attività molto positiva per il
dialogo islamo-cristiano con sunniti e sciiti: c’è un’intesa perfetta fra noi, per preparare un terreno appropriato per una vera e pacifica convivenza”.

Come vede il futuro dell’Iraq?

“C’è una reazione quasi totale contro tuto ciò che abbiamo vissuto dal 2003 fino ad ora e c’è una volontà per il cambiamento.

Anche le autorità mussulmane parlano di un regime civile e condannano violenza e corruzione. Il momento è giusto ma tutti devono lavorare insieme”.

Guardando al Medio Oriente siete preoccupati per le tensioni ancora presenti?
“Siamo preoccupati per i grandi interessi che stanno dietro il commercio delle armi e del petrolio, questo è il guaio. L’Occidente deve intervenire per aiutare questi Paesi ad avere regimi democratici, aperti, non solo per perseguire i propri interessi economici”.
Crede che noi cittadini europei dovremmo fare di più..

“I cristiani non devono avere vergogna di dire che sono cristiani. La secolarizzazione non deve banalizzare i valori religiosi e
morali; questo è il più grande pericolo dell’Occidente, la perdita dei valori spirituali, per far posto solo all’economia. L’invito è a
guardare l’esempio dei cristiani del Medio Oriente che hanno pagato caro la loro fedeltà, fino a offrire il sangue dei loro martiri”.

25 marzo 2019

Baghdad. La speranza di convivenza in una piccola chiesa. Mosul. Solidarietà della chiesa caldea alle famiglie delle vittime del traghetto affondato

By Baghdadhope*

Foto Patriarcato Caldeo
A partire dalla guerra all'Iraq del 2003 molte chiese sono state distrutte a causa delle violenze imperversate nel paese dopo la caduta del regime, e culminate in quelle operate dall'ISIS a Mosul e nella vicina Piana di Ninive. Molte chiese sono state temporaneamente chiuse per motivi di sicurezza e molte per mancanza di fedeli, emigrati altrove nel paese o all'estero. E' questo il caso della chiesa della Vergine Maria Benedetta appartenente alla chiesa caldea. La chiesa, chiesetta sarebbe più giusto date le ridotte dimensioni, è  sita nell'ormai centrale quartiere di Camp Gailani, costruito nel 1920 quando la chiusura da parte delle truppe britaniche del campo di Baquba, che due anni prima aveva accolto profughi di fede cristiana provenienti dalle regioni turche ed iraniana, aveva costretto centinaia di famiglie a dover trovare un'altra sistemazione.
La proprietà del terreno su cui sorse il campo era di una famiglia musulmana, la famiglia Shubarji, che ne affittò e ne vendette i lotti ai nuovi arrivati destinandone uno in uso alla costruzione di una chiesa come luogo dove pregare Dio. La chiesa caldea della
Vergine Maria Benedetta fu eretta nel 1921 proprio sul terreno concesso in comodato d'uso dalla famiglia Shurbaji, e fu seguita dalla costruzione di una scuola primaria gestita dalle suore caldee e che accoglieva anche bambini appartenenti a chiese non cattoliche.
Per quanto negli anni la presenza cristiana nell'area si consolidò tanto da arrivare alla costruzione di altre quattro chise di diverse confessioni essa iniziò gradualmente a diminuire e nel 1998, ad esempio, per quanto riguarda le famiglie caldee sembra ne vivessero a Camp Gailani solo 97. 
La situazione precipitò poi dal 2003, a tal punto che il Patriarcato Caldeo ha deciso, per mancanza di fedeli, di restituire il terreno ad un membro della famiglia Shubarji.
Interpellato a proposito da Baghdadhope il Patriarca Caldeo, Mar Louis Raphael I Sako, ha confermato come con 29 parrocchie da mantenere nella sola Baghdad il destino della piccola chiesa senza più fedeli sembrava segnato: costruita nel 1921 con materiali poveri e scadenti il suo restauro sarebbe troppo oneroso.
Una decisione pratica che si è però scontrata contro la volontà espressa dagli abitanti musulmani dell'area di preservare la piccola chiesa come segno di pacifica convivenza tra le diverse religioni. "Hanno inviato una lettera al Patriarcato" ha spiegato Mar Sako "e non solo hanno chiesto che la chiesa non venga distrutta ma si sono anche offerti di contribuire per il suo restauro." 
"Ora aspettiamo la decisione della famiglia Shubarji che ancora possiede il terreno su cui è la chiesa" ha continuato il Patriarca, "ma non possiamo non essere felici per il segnale datoci dagli abitanti musulmani di Camp Gailani. Chiederci di preservare la chiesa e magari aiutarci a restaurarla è un segno bellissimo che ci fa ben sperare per il futuro."
Un segno di convivenza e rispetto reciproco che si sposa con quelli compiuti dallo stesso patriarca caldeo che ha espresso pubblicamente il proprio dolore per il disastro del traghetto affondato a Mosul in una lettera aperta agli abitanti della città, ha disposto che in tutte le chiese caldee di Baghdad si pregasse per le vittime in occasione delle messe di ieri, domenica 24 marzo, e domani si recherà a Mosul
con i suoi vescovi ausiliari per una cerimonia di ricordo delle vittime cui seguirà la deposizione di fiori e candele nella chiesa dedicata a San Paolo, e per portare concreta solidarietà alle famiglie delle vittime cui la chiesa caldea donerà 20.000 dollari.  


22 marzo 2019

Il cordoglio del Santo Padre per le vittime del naufragio di un traghetto sul fiume Tigri a Mosul

By Sala Stampa Santa Sede

Pubblichiamo di seguito il telegramma di cordoglio per le vittime del naufragio, avvenuto ieri, di un traghetto sul fiume Tigri a Mosul, in Iraq, inviato a nome del Santo Padre Francesco alle Autorità ecclesiastiche e civili locali dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin:
Telegramma
His Holiness Pope Francis was deeply saddened to learn of all who lost their lives following the tragic sinking of a ferry in the Tigris River in Mosul. Expressing his prayerful solidarity with those who mourn, His Holiness commends the deceased to the mercy of the Almighty, and prays for the local authorities and emergency personnel. Upon the whole Iraqi nation Pope Francis invokes the divine blessings of healing, strength and consolation.

Cardinal Pietro Parolin
Secretary of State

Leggi: Asia News

Mosul, lutto nazionale per la tragedia del battello affondato. Quasi 100 morti

20 marzo 2019

Un mosaico della madonna dell’Iraq nella Basilica dell’Annunciazione

By Christian Media Center (Terrasanta.org) 



La Basilica dell’Annunciazione a Nazaret espone intorno al suo cortile diverse immagini della Vergine Maria. Esprimono così la devozione e l’affetto di vari popoli e culture alla Madre di Gesù. Il 13 marzo, un nuovo mosaico della Madonna dell’Iraq è stato benedetto da Mons. Alberto Ortega, nunzio apostolico per la Giordania e l’Iraq.
S.E.Mons. Alberto Ortega Martin, Nunzio Apostolico per la Giordania e Iraq
“É molto bello benedire questa madonna dell’Iraq così che sia presente qui in Terra Santa a Nazaret. Una madonna di un paese che è molto legato e che fa anche parte della Terra Santa, lì dove tutto è cominciato, l’Iraq. É una occasione per mettere sotto la protezione della madonna tutti i cristiani iracheni che hanno vissuto momenti difficili ma che, grazie a Dio, stanno superando una grande prova. Chiediamo per tutto l’Iraq per tutta la popolazione la pace in questo paese.”
La cerimonia è avvenuta alla conclusione della riunione dell’Assemblea degli Ordinari di Terra Santa che vi hanno partecipato. Oltre a loro, una presenza speciale e commovente è stata quella di un gruppo di pellegrini iracheni emigrati in Olanda.
Haytham Amrawi Guida turistica iracheno - Olanda “Oggi ho provato una grande gioia perché abbiamo partecipato a questa benedizione. É stato una coincidenza perché eravamo di passaggio. Non ci sono molte cose che diano senso alla nostra vita quanto la nostra grande Madre, la Vergine Maria.” “Regina della Pace” - é uno dei titoli con il quale è invocata la madonna da tanti pellegrini. Ora, con il nuovo mosaico, avranno una presenza in più per chiedere la sua intercessione.
Fr. Francesco Patton, ofm Custode di Terra Santa “Da qui da Nazaret, del luogo dove è avvenuta l’incarnazione del figlio di Dio, quello che noi chiediamo è che Maria stenda il suo manto materno, lei che è la madre del figlio di Dio, ma anche madre della Chiesa, che stenda il suo manto sui cristiani del Iraq.”

19 marzo 2019

For Chaldeans who fled Iraq, New Zealand attacks brought back memories

By Catholic News Service
Michael Otto

The St. Addai Chaldean Catholic community in suburban Auckland felt the impact of the Christchurch mosque killings with a special poignancy, because many members have experienced the sufferings inflicted by terrorism.
"There is a lady in my community -- they beheaded her son in front of her," Chaldean Father Douglas Al-Bazi told NZ Catholic. "Another man, they killed his parents in front of him."
Father Al-Bazi, who was kidnapped for nine days by Islamic militants in 2006 in Iraq, suffering serious injuries -- including being shot in the leg by an assailant wielding an AK-47 -- said that when he heard of the events in Christchurch, he was "really angry."
"There were thousands of questions in my head, and also for my people," he said.
He said he told his parishioners that "we fully understand as Iraqi people, especially Christian, we really understand" the pain, "because we are survivors of genocide, systematic genocide."
"I am still shocked, me and my people, how this could happen here in New Zealand," he added.
Father Al-Bazi said people at his church have said they are scared in the wake of the events in Christchurch, fearful of revenge attacks.
"I told them, no, this is not the time to be scared. It is the time to be united. So, show your happiness, show we are brave, and we have to tell the people how to be calm. Because already, we have had that experience. So, we have to guide people to tell them."
Parishioners placed a floral tribute with a message of support in Arabic outside a local mosque the day after the shootings.
Father Al-Bazi said most of his community came to New Zealand seeking a safe place, and the violence that happened in Christchurch is unacceptable.
"I don't know what we can do for those survivors, for those relatives, the only thing we can do is pray for them and say, 'This is not New Zealand.'"
At the end of Mass March 18, everyone at St. Addai Church sang the national anthem, "God Defend New Zealand" in Maori and in English.
Police were stationed outside the church and told Father Al-Bazi, "It is for your protection." The priest said he asked the officers to park a little down the road, so as not to alarm Massgoers.

18 marzo 2019

Iran’s furtive occupation of Iraq’s Christian communities

By The Jerusalem Post
Lela Gilbert

In November 2014, I visited the devastated survivors of Islamic State’s genocide who were sheltering in Erbil, Kurdistan (Iraq). I heard personal accounts of the horrifying night – just three months before – when ISIS surged into neighborhoods, forced their way into houses, confiscated cash and jewelry, stripped residents of passports, deeds, even bottled water and forced them out of town.
Those who resisted were shot; some women and girls were raped and kidnapped. Thousands of Christians walked for miles. Those who survived the ordeal found their way to Erbil.
That’s where I caught up with them. When I arrived, countless evacuees languished in abandoned buildings, tent cities and vacant, unheated rooms in churches and schools where they were barely surviving.
Some of them cherished hopes of starting over in distant lands, far removed from the fears of violence that haunted Iraq. Others yearned to return to their homes and churches in their ancestral Christian heartland.
But as summer turned to autumn and the night wind blew cold, it became increasingly clear that whatever hopes those heartsick escapees cherished, their dreams of returning to their ISIS-occupied homes anytime soon had crumbled into dust.
In November 2016, two years after my visit to Iraq, I video-interviewed Fr. Benham Benoka, a Syriac Catholic priest from the Christian town of Bartella. By then, Bartella had been liberated from ISIS, but Benham remained in Erbil.
“Bartella is liberated, but not free,” he told me.
Along with a handful of other displaced residents, he had recently managed to reenter Bartella, escorted by Iraqi soldiers. He explained that large portions of the town were beyond repair. ISIS had looted private residences, then demolished them with explosives. They had left building after building booby-trapped. Roadways were rife with IEDs.
“ISIS has excellent technology,” Benoka told me. “They mined everything. Even Bibles.” During his visit, he made his way to St. George Assyrian Church, his spiritual home and that of a sizeable portion of Bartella’s Christian community.
ISIS had all but destroyed St. George’s interior. Bibles and New Testaments from the 14th, 15th and 16th centuries were ripped up, burned or otherwise desecrated. Perhaps most disturbing was a noose, hanging ominously in the church’s courtyard, just inside the entryway. It bore mute witness to the demise of a Christian welcome center that had been transformed into an Islamist execution site.
I asked Benoka how he’d felt when he entered Bartella a few days before. He paused. “I felt insecure,” he finally replied. “I was so disappointed. I kept thinking, What can we do?” Clearly discouraged, he shook his head again and concluded, “And who will help us?”

Patriarca caldeo: i laici e soprattutto le donne siano coinvolti in ruoli di responsabilità anche nelle Chiese d’Oriente

By Fides
16 marzo 2019

Il "sacerdozio comune", condiviso da tutti i battezzati, anima la vocazione e la missione propria dei laici e in particolare delle donne nella Chiesa, nella diversità dei talenti e nella complementarietà dei ruoli affidati a ciascuno. Le Chiesa d’Oriente, e anche la Chiesa caldea, sono chiamate a aprirsi a questo dinamismo di grazia, se non vogliono tradire la propria stessa natura di strumenti di salvezza. Lo ricorda il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako, in un intervento diffuso dai media ufficiali del Patriarcato.
L’intento perseguito dal Patriarca è quello di avviare un confronto intorno alla condizione dei laici e delle donne nella Chiesa, anche per offrire spunti di riflessione comune e ispirare disposizioni concrete in occasione del prossimo Sinodo della Chiesa caldea.
Alla fede cristiana – ricorda il Patriarca caldeo - non può essere associato alcun argomento pseudo-dottrinale che punti a giustificare teoricamente qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle donne. Basta guardare – ha sottolineato il Primate della Chiesa caldea – alla Vergine Maria e alle figure femminili che circondano Gesù, fin dall’inizio della sua missione salvifica.
Citando gli insegnamenti dei Papi Giovanni Paolo II e Francesco, il Patriarca Louis Raphael ha sottolineato che “se vogliamo far progredire le nostre società e le nostre Chiese, dobbiamo lasciare il posto ai laici di entrambi i sessi per consentire loro di investire i propri talenti”. Se pure il sacerdozio ordinato rimane riservato agli uomini, posizioni di responsabilità nella Chiesa possono essere attribuite ai laici e alle laiche in tutti gli altri campi, compresi quelli della gestione finanziaria, dell'educazione e dei media. A partire da queste considerazioni, il Patriarca caldeo ha invitato tutti a sperimentare nuovi spazi di partecipazione e di condivisione di responsabilità con i laici e le laiche, in tutti gli ambiti della vita ecclesiale.
In conclusione del suo intervento, il Patriarca Sako ha sottolineato che anche nella Chiesa caldea sono stati compiuti i primi passi per affidare funzioni di responsabilità a laici, e in particolare a donne. Un processo di cui si auspica la continuazione in tutte le Chiese d’Oriente. A questo riguardo, il Primate della Chiesa caldea ha fatto cenno anche al ruolo di responsabilità ricoperto dalla professoressa libanese Souraya Bechealany, attuale Segretario generale del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente.

14 marzo 2019

Archbishop of Erbil: Iraq's Christians need to thrive, not just survive

By Rudaw
Robert Edwards

Iraqi Christians were forced to flee their towns and villages across the Nineveh Plains and from the city of Mosul in the summer of 2014 when Islamic State (ISIS) militants launched a lightening campaign through the region.
The jihadists gave Christian residents of their newly conquered territories three options: convert to Islam, pay a heavy religious tax, or die. The majority chose to flee, taking refuge in the Kurdistan Region.
Thousands flocked to Ankawa – a predominantly Christian neighbourhood in the north of Erbil city. Here, churches like Mar Yousif opened their doors, becoming makeshift camps until the government and aid agencies stepped in to build facilities for the displaced.
Since the liberation of Mosul and the Nineveh Plains from ISIS control in 2017, Christian families have faced a new dilemma: should they go back and try to rebuild their homes destroyed in the fighting, emigrate abroad, or start over in the Kurdistan Region.
Bashar Warda, the archbishop of Erbil's Chaldean Catholic Church, believes Christianity can only survive in its diminished state in Iraq if displaced families are offered housing assistance.
Earlier in March, Rudaw reported on the case of dozens of Iraqi Christian families living above Neshtiman Bazaar, near Erbil's historic citadel. They have been living there rent-free for several years thanks to the charity of the building owner Nizar Hanah.
However, since the liberation of their towns and villages, Hanah has requested the families move on – raising fears they could be left homeless.
Speaking to Rudaw on Wednesday at the Cathedral of Mar Yousif, Ankawa, Bishop Warda explained how the church has supported families like those living above Neshtiman Bazaar and what donors can do to help rehouse them.


Rudaw: What will happen to the families living above Neshtiman Bazaar?

Bishop Warda
: From day one of arriving here we really worked hard to take care of these cases on a large scale and in a smaller case. Neshtiman camp was one of the issues we were really grateful to Mr Nizar Hanah who offered the whole building to be used and for the first year and a half there was no charge at all for electricity, water, everything was for free. 
When the liberation started last year, we approached him to give us more time, and he said yes, fine, no problem, I'm not considering [eviction] until the time will be right. Then he asked us to leave the building in January, and I told him no, that's not good, because most of these families have children and these children are in schools so it is better to finish, and he says fine, no problem.

To be fair to the man, he did all he can. To say that those families have no chances to return, it's not true, because there are empty houses in Bartella, we have empty houses also in Qaraqosh, we have also some empty houses in Karemlash, so there are empty houses.
But the other side of the story is most of those people have also already found a job here, and to find a job means they are settled. Travelling every day from Bartella or Qaraqosh would be a really costly one. Here it's much cheaper, in that it is in the heart of the city. There are other people who are from Mosul, which means it would be extremely difficult for them to go home. That's why we are offering alternative houses in Bartella. We spoke with Father Benham Benoka and he said "I have so many houses I could arrange."

Why are these homes empty? So these are people who have left and are not going back?

Cattedrale Aperta del 13 marzo 2019: "La situazione dei Cristiani in Iraq"




Si conclude il ciclo di conferenze di Cattedrale Aperta con l'intervento di S.E.R. Card. Louis Raphael Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei.

12 marzo 2019

Diocesi: Como, dal 15 al 17 marzo visita del card. Sako

By AgenSir

Il card. Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, sarà in visita alla diocesi di Como, più precisamente a Lavena Ponte Tresa (Va) dal 15 al 17 marzo per ritirare il premio San Zosimo I Romano Pontefice, assegnato dall’associazione culturale Reatium.
Il premio, giunto alla settima edizione, gode del patrocinio della Comunità pastorale “Quattro Evangelisti” e del Comune di Lavena Ponte Tresa nella Valli Varesine.
“Abbiamo scelto di conferire il Premio San Zosimo I Romano Pontefice al patriarca cardinale Sako per il suo grande impegno mirato alla promozione del dialogo e della pace in tutto il Medio Oriente e in particolare nell’Iraq”, annuncia al Settimanale della diocesi di Como il presidente dell’associazione Reatium, Stefano Cropanese, che aggiunge: “Il patriarca Sako è un vero costruttore di ponti”.
L’ultima edizione del premio era stata assegnata a mons. Georg Ganswein. Il premio fondato nel 2013 è nato per contribuire alla promozione della fede cattolica e dei valori culturali che scaturiscono dal patrimonio cristiano. Venerdì 15 marzo, alle ore 20.30, il card. Louis Raphael Sako presiederà la Via Crucis dedicata ai cristiani perseguitati, in particolare in Medio Oriente. Sabato 16 marzo, alle ore 20.30, la cerimonia di conferimento del Premio San Zosimo I intitolato al 41° successore di San Pietro, il Romano Pontefice San Zosimo I che fu Papa dal 18 marzo 417 al 26 dicembre 418.

9 marzo 2019

Dopo il Daesh. Iraq, la «riconquista» di Qaraqosh comincia con il lavoro delle donne

By Avvenire
Luca Geronico

Il selciato del chiostro, sotto uno splendente sole primaverile, sembra come riflettere l’intenso ocra della pietra di Hillan, che riveste pareti e facciata della cattedrale dell’Immacolata Concezione. Le ragazze della Casa delle donne hanno appena finito di dipingere di rosso due panchine: una ha una gamba tagliata.
«Quella con la gamba rotta rappresenta i diritti delle donne: se non sono riconosciuti la società, come la panchina, non funziona»,
spiega brandendo il microfono Merna. Un clima da festa popolare, nel chiostro della più grande chiesa dell’Iraq. Canti e balli per la rinascita della città simbolo dei cristiani in Iraq e a scacciare lo spettro satanico del manichino, usato come bersaglio, fra i mille bossoli abbandonati in terra nei chiostri di “al-Tahira” dai cecchini del Califfato neanche due anni fa.

“Balance for better” è lo slogan della festa delle donne a Qaraqosh: per la prima volta quest’anno, assieme alle rappresentanti della Casa delle donne sostenuta da Focsiv, sono pure presenti le sciite della minoranza shabak, quasi tutte provenienti da Bartalla. «Durante l’ultima campagna elettorale abbiamo fatto delle assemblee per spiegare alle donne i loro diritti. E abbiamo pure lavorato per spiegare loro la nuova carta di identità, adesso uguale per tutti», spiega Surya Mahmud Hamed, presidentessa della Shabak women association. Cosa serve per il futuro? «Un lavoro, perché se una donna non ha l’indipendenza economica viene sfruttata dalla società. E dopo l’arrivo del Daesh lo sfruttamento delle donne ha raggiunto il massimo livello», conclude Surya. Ibtisan Noh, insegnante cristiana di Qaraqosh, animava già con entusiasmo i corsi di formazione professionale al campo Ashti 2, quando con tutti i suoi familiari era profuga ad Erbil. «Il ritorno nelle nostre case ci ha molto tranquillizzato, anche se abbiamo ancora paura che quelli del Califfato possano ritornare. Ci sono dei movimenti e ancora dei contrasti: mesi fa una bomba è esplosa davanti al tribunale. Ma tutti insieme possiamo avere la forza per cambiare le cose», spiega con un sorriso coinvolgente.

8 marzo 2019

I leader religiosi iracheni si riuniscono nella città santa sciita di Karbala

By Baghdadhope*

Foto Patriarcato caldeo
Il primo incontro tra tutti i rappresentanti delle fedi religiose in Iraq era stato organizzato dal Patriarcato caldeo nella chiesa di San Giuseppe e Baghdad il 1 marzo del 2018. Ad esso ne era seguito uno organizzato dalla comunità dei Sabei/Mandei ed un altro dalla comunità sunnita nella moschea di Baghdad dedicata ad Abu Hanifa an-Nu'man.
Ad un anno di distanza, il 7 marzo, il quarto incontro si è svolto invece nella città santa sciita di Karbala. Ad esso hanno partecipato quindi esponenti sciiti, sunniti, sabei/mandei e, ovviamente, cristiani. Per la chiesa caldea erano presenti il patriarca, Cardinale Mar Louis Raphel I Sako e i vicari patriarcali Mons. Basel Yaldo e Mons. Robert Jarjis.
L'incontro, il cui slogan, era "Dio ama diffondere la pace" è stato introdotto dalle parole Talal Faiq al-Kamali, Rettore dell'al-Ma’aref Islamic College affiliato al Santuario dell'Imam Hussein a Karbala che ha sottolineato la portata dell'incontro per il suo "messaggio per tutti coloro che vogliono destabilizzare l'Iraq."
Foto Patriarcato caldeo
A favore dell'unità a dispetto delle differenze, come riporta il sito del Patriarcato Caldeo, si sono espressi tutti i partecipanti all'incontro: lo sciecco Satar Jabbar al-Helou, a capo della comunità sabea/mandea che si è augurato che la discisssione possa tradursi in decisioni pratiche; lo sceicco Abdul Wahab al Samarrai del Sunni Fiqh Council, il Consiglio della giurisprudenza islamica sunnita; il religioso sciita Sayyed Jawad al-Khoei  che ha annunciato la pubblicazione imminente di un testo sulle religioni dell'Iraq preparato dalla diverse autorità religiose, l'imam della moschea dedicata allo sceicco Abdul Qadir Jilani, fondatore della più antica confraternita sufi, Anas Al Issawi, ed il rappresentante della comunità yazida, Hassou Horman.
Per quanto riguarda il cardinale Sako egli ha nuovamente sottolineato l'esistenza di discorsi che incitano all'odio verso il diverso, discorsi che però vengono rifiutati dal popolo iracheno, e la necessità di produrre un documento che metta al centro l'importanza della fratellanza. La riunione è terminata con una simbolica passeggiata di tutti i leader religiosi attorno alla moschea dell'imam Hussein, nipote del profeta Maometto, ucciso proprio a Karbala nel 680 AD.    

6 marzo 2019

Christian IDPs sheltering above Erbil bazaar threatened with eviction

By Rudaw
Robert Edwards and Zhelwan Z Wali

Iraqi Christian families left homeless by the war with Islamic State (ISIS) are being threatened with eviction from an apartment building in downtown Erbil where they have been sheltering rent-free since 2014.
Families who spoke to Rudaw English say their homes were destroyed when ISIS militants swept across northern Iraq, forcing thousands of Nineveh's Christians to seek shelter in the Kurdistan Region.
"We have to pay for the house to be rebuilt, but we cannot afford it," said Suhaila Yaaqub, whose family fled to Erbil from Bartella in 2014. "If there's no house, where can we go?"
Yaaqub showed Rudaw photographs of her home before and after the war. It has been reduced to a mound of rubble.
"Even if we did go back, there is no security... Even if we go out, we have no money," she added.
Around 200 Christian families from both Iraq and Syria live in apartments above Nishtiman Bazaar, a stone's throw from the city's iconic citadel.
The majority of the Iraqi Christian families are from the villages of Bartella and Qaraqosh.
Families living in the complex are under the guardianship of La Rocher de Neshtiman – an aid organization backed by the French foreign ministry, L'Œuvre d'Orient, Centre de Crise et de Soutien, and Action Humanitaire France.
With the Syrian civil war still raging, Syrian families living in the complex have been allowed to remain. However, with the declaration of victory over ISIS in Iraq at the end of 2017, the Iraqi Christian families have been told to leave.
The case highlights the ongoing plight of Iraq's IDPs and vulnerable religious minorities.
During the ISIS war, the building's owner, Nizar Hanah, allowed the families to stay in the apartments as an act of charity. Now their villages have been liberated from ISIS, Hanah has asked the Iraqi Christian families to move on. Residents have been told they have until June 2019 to leave.
"We will have to go to Ankawa. But we cannot afford the rent there," said Munira Shaun, one of the block's Iraqi residents, referring to northern Erbil's predominantly Christian neighborhood.
Churches in Ankawa took in thousands of displaced people in 2014 before they were resettled in IDP camps or emigrated abroad.
"We cannot leave. We have children studying in the schools here," said Shamran Majeed, cradling her baby daughter.
Many of the Iraqi Christian families have already vacated their apartments – some returning to their villages, others securing alternative accommodation.
The roughly 30 Iraqi Christian families who remain in the building are left with few options.
"Their homes have been burned... there is nowhere for them to go. They will end up sleeping on the streets,"Rabeel Yousif Soran, who works for La Rocher de Neshtiman, told Rudaw, confirming the evictions.
He is lobbying Bashar Warda, the Archbishop of Erbil, to intervene in support of the families.
Rudaw English tried multiple times to contact Hanah, but has been unable to reach him for comment. Soran says the building's owner is currently in Lebanon
Asked to comment on the issue, Hoshang Mohamed, director of the Kurdistan Regional Government (KRG) Joint Crisis Coordination Centre, said the KRG does not tolerate evictions or the forced return of IDPs.
"Our policy is constant that we do not support any forcible repatriation or returning of IDPs," Mohamed said.
"We only support voluntary return with dignity and respect. We have zero tolerance for any mistreatment, eviction, and abuse of displaced people," he added. 

Arcivescovo siro cattolico scrive al Premier: stop a nuovi insediamenti urbani nella Piana di Ninive

By Fides

Foto Baghdad Post
Nella Piana di Ninive, regione di radicamento storico delle comunità cristiane autoctone nei territori dell’attuale Iraq, sono in atto strategie urbanistiche e immobiliari che cavalcano gli slogan sulla necessaria ricostruzione e ripartenza del Paese dopo gli anni di occupazione jihadista, ma in realtà avrebbero l’effetto di alterare definitivamente gli equilibri e la composizione etnica della popolazione locale. La messa in guardia arriva da Yohanna Petros Moshe, Arcivescovo siro cattolico di Mosul, che ha espresso il suo allarme e le sue preoccupazioni in una lettera personale inviata al Premier iracheno Adel Abdul Mahdi.
A provocare l’allarme dell’Arcivescovo sono state le ventilate misure della Direzione urbanistica della Provincia di Ninive volte a favorire la creazione di nuovi insediamenti abitativi nell’area, anche nel tentativo di sostenere la ripopolazione di aree e villaggi rimasti deserti dopo la sconfitta e l’esodo forzato delle popolazioni locali verificatosi negli anni di occupazione da parte dei miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Daesh).
Tali disposizioni amministrative, a giudizio dell’Arcivescovo, vanno sospese e riformulate “prima che sia troppo tardi”, se non si vuole alterare definitivamente la tradizionale composizione plurale della popolazione di quella regione.
Nelle ultime settimane, organizzazioni e gruppi che si presentano come espressione delle locali comunità cristiane hanno espresso diffidenza e sospetti in particolare riguardo a un progetto edilizio che prevede la costruzione di centinaia di nuove unità immobiliari nell’area urbana di Bartella, cittadina della Piana di Ninive tradizionalmente abitata da cristiani. Il progetto, denominato “Sultan City” – riporta il website ankawa.com – prevede di utilizzare terreni agricoli appartenenti a famiglie cristiane, in una zona dove adesso è molto forte il controllo militare esercitato dalle Forze di mobilitazione popolare, milizie sciite considerate vicine all’Iran. Il progetto immobiliare, delineato già nel 2013, adesso viene rilanciato, dopo aver subito una lunga sospensione a causa dell’occupazione jihadista. E anche se sulla carta una percentuale considerevole delle case in costruzione risulta riservata alle locali popolazioni cristiane, gruppi di militanti locali denunciano piani volti a assicurare alla minoranza sciita degli Shabak il monopolio nell’accaparramento delle future nuove abitazioni.

4 marzo 2019

Patriarca Sako: Un Patto nazionale contro estremismo e violenze

By Asia News
Louis Raphael Sako*

Un “Patto nazionale” quale terreno comune di lavoro fra le diverse anime, sciiti e sunniti, cristiani e musulmani, fondato sulla sovranità, la sicurezza e l’economia, per superare divisioni, violenze ed estremismo che hanno insanguinato l’Iraq. È la proposta lanciata dal primate caldeo, il card. Louis Raphael Sako, in un messaggio pubblicato sul sito del patriarcato caldeo e inviato per conoscenza ad AsiaNews. La soluzione dei problemi, avverte il presule, dovrebbe essere interna e partire da un documento che servirà da “impegno” per tutte le parti in causa, dando vita a uno Stato che “si fonda sulla cittadinanza, sul diritto e sulle istituzioni”.
Ecco, di seguito, il messaggio del patriarca Sako.

Per un patto nazionale
A sua eccellenza, il presidente della Repubblica d’Iraq Barham Salih, 
Eccellenza, 
Sottopongo alla vostra attenzione una proposta complessiva intitolata “Patto nazionale”, che possa aiutarci a uscire dallo stato attuale di crisi. L’attenzione di questa proposta si focalizza su alcune importanti “linee guida” come la sovranità, la sicurezza e l’economia, che dovrebbero proteggere la nostra patria e preservarne la sua unità. 
Poiché sono assai entusiasta della rinascita dell’Iraq in quanto “culla della civiltà”, faccio appello alle tre presidenze perché possano essere fautori di un incontro sullo stile di una “tavola rotonda”, in cui le alleanze politiche e parlamentari si possano riunire per un dialogo civile e responsabile. Un faccia a faccia che dovrà portare alla riconciliazione [nazionale], al perdono e alla comprensione, segnando una distanza netta dalle tensioni regionali e internazionali, dalle differenze e dalla frantumazione. Faccio presente che nell’attuale gabinetto di governo, tuttora incompleto, vi sono ruolo chiave vacanti e le persone aspettano ancora che vengano garantiti loro servizi essenziali (quali elettricità, acqua, etc…). 
Certo, la soluzione dovrebbe essere interna; ciò significa che gli irakeni dovrebbero risolvere da soli i loro problemi. Ed è possibile farlo, basandosi sulla buona volontà e facendo affidamento a un “Patto nazionale” fondato sulla: sovranità, sicurezza, economia, sull’interesse della nazione e sulla sua unità. Un documento di questa natura servirà da “impegno” per tutte le parti in causa, permettendo loro di costruire, in modo sano, uno stato che si fonda sulla cittadinanza, sul diritto e sulle istituzioni. Una nazione che mette da parte il concetto delle quote (che alimentano il settarismo) e le le dispute sul potere il denaro. Al contempo, è altrettanto importante eliminare l’estremismo che indebolisce lo stato; che ferma il progresso; che viola la dignità dei cittadini; che ritarda la disponibilità dei servizi. 
Gli irakeni di tutte le etnie e religioni potranno dunque “derivare” da questo documento: rispetto reciproco, coesistenza pacifica e solidarietà. In ultima analisi, essi rimarranno fermi e risoluti, pronti ad affrontare tutte le difficoltà che si potranno frapporre e che potrebbero essere causa di allontanamento fra loro. 
L’unità nazionale non vuol affatto dire cancellazione delle differenze, dei diversi punti di vista che sono naturali, ma aiuterà le persone ad accettarsi e a vivere in armonia ciascuno con gli altri. In questo modo, saremo in grado di tenere il passo con il resto del mondo civilizzato. 
Spero che vostra Eccellenza condivida questa idea con il Primo Ministro e il presidente del Parlamento. 

* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena