"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

8 ottobre 2008

I cristiani non spariranno. Il patriarca di Baghdad dei caldei, Mar Emmanuel III Delly, al Sinodo dei vescovi

Fonte: Sir

di Daniele Rocchi

"Sono qui a Roma al servizio della Chiesa affinché Gesù sia sempre più conosciuto non soltanto nella Scrittura ma vissuto dai fedeli. Questo è il mio dovere qui al Sinodo, ascoltare la Parola per farla poi vivere anche dai fedeli in Iraq".
In queste parole tutto il senso della presenza del card. Emmanuel III Delly, patriarca di Baghdad dei caldei, al Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio, in corso a Roma. Il SIR lo ha incontrato durante una pausa dei lavori per fare il punto sulla situazione in Iraq.
Eminenza, le violenze contro i cristiani in varie parti del mondo non accennano a diminuire. In Iraq i cristiani, specie in alcune zone, sono minacciati, costretti a convertirsi, a lasciare le loro proprietà, le donne a indossare il velo. Perché tutte queste persecuzioni?
"Ho sempre detto che i cristiani sono come tutti gli iracheni, la loro sorte è quella degli iracheni e la sorte degli iracheni è quella dei cristiani. Vale la pena ricordare che dal 2003 ad oggi, le chiese danneggiate e saccheggiate sono state sette, forse otto, non di più. Le moschee distrutte invece sono state 135. Ci sono stati cristiani ed anche sacerdoti e vescovi rapiti per denaro. Penso in particolare al compianto mons. Rahho, arcivescovo di Mosul, che credo sia morto prima del suo rilascio. I responsabili delle moschee che non hanno pagato, poiché non avevano da pagare, sono stati uccisi".
Ma si può parlare di persecuzione?
"La situazione in cui versa la Chiesa irachena è difficile. La persecuzione non è diretta ma indiretta: penso, per esempio, a delle leggi emanate in cui si vieta di erogare e bere alcoolici o di aprire locali che vendono questi prodotti. Ora i proprietari di questi negozi sono in maggioranza cristiani. Questa legge ha toccato i cristiani più dei musulmani ed è servita per ribadire agli altri Paesi islamici che anche l'Iraq lo è".
Un altro esempio potrebbe essere la recente abrogazione dell'art.50 dalla legge elettorale dei Consigli provinciali che nega alle minoranze alcuni seggi di rappresentanza. Cosa pensa di questa decisione del Parlamento?
"Dopo le proteste seguite all'annullamento dell'art.50 abbiamo ricevuto delle promesse relative al suo ripristino. Quando il Parlamento abrogò l'articolo rimasi molto scontento e, per questo, ho cominciato a lavorare per la difesa dei diritti di tutte le minoranze, specie dei nostri cristiani. Ho potuto parlare con i rappresentanti e responsabili politici, ho scritto lettere al presidente della Repubblica, del Parlamento, al premier, ai vice presidenti della Repubblica, al capo religioso Al Sistani pregando loro di adoperarsi per restituire i diritti alle minoranze. Tutti hanno promesso di impegnarsi in questa direzione. Gli stessi cristiani hanno manifestato pacificamente contro l'annullamento dell'art.50 sfilando in preghiera con le candele accese. Ora speriamo di avere una risposta positiva. È stato importante far sentire la nostra voce, pacifica. Se non l'avessimo fatto forse in futuro avrebbero deciso cose peggiori di queste".
Si calcola che circa la metà dei cristiani iracheni abbia lasciato il Paese spinta dalla violenza religiosa, settaria e dalla mancanza di sicurezza...
"I cristiani sono una minoranza e tendenzialmente sono benestanti. Ma in questa situazione, in cui mancano i servizi più elementari, sanità, elettricità, scuole, lavoro, si trovano in grande difficoltà come i loro confratelli musulmani. Ma i cristiani non sono abituati a questo e sono emigrati, credendo di trovare altrove una situazione migliore. Molti si sono rifugiati in altri Paesi arabi, lasciando la loro chiesa, i loro beni e forse torneranno adesso che hanno finito il denaro. Ma coloro che sono riparati in Europa difficilmente faranno ritorno".
Si va, allora, verso un Iraq senza cristiani?
"L'Iraq non resterà mai senza cristiani. I cristiani rimarranno e saranno sempre di più. Sono ottimista. I nostri padri hanno sofferto più di noi e sono stati uccisi e perseguitati nel IV e V secolo, durante l'occupazione mongola e in epoche più recenti dai turchi, ma sono sempre rimasti. Oggi, nonostante tutto, stiamo meglio di prima, abbiamo la libertà di culto, non religiosa - le conversioni dall'Islam non sono ammesse - possiamo costruire chiese e cappelle. Solo a Baghdad i caldei hanno 33 chiese e 28 parrocchie, 5 case di religiose. Le chiese della capitale sono in totale 54".
I fedeli che sono rimasti come vivono?
"La Chiesa continua la sua vita: le parrocchie sono aperte, i nostri sacerdoti coraggiosi celebrano e predicano. I giovani sono tantissimi. Prima di partire per Roma ne ho incontrati circa 800 tra i 18 e i 25 anni. I pericoli che mettono a repentaglio la sicurezza e l'incolumità sono tanti ma andiamo avanti lo stesso. I nostri cristiani sono provati nella fede che sentono sempre di più al punto di vantarsene. Da parte nostra ci impegniamo affinché i cristiani seguano l'insegnamento del Vangelo, siano fedeli allo Stato, compiano i loro doveri e siano di buon esempio per tutti così da costruire con i confratelli musulmani questo Paese torturato da tanti anni".
Nascono vocazioni in una situazione così difficile?
"Certamente anche se sono diminuite. La ragione è soprattutto nell'emigrazione. Molte famiglie hanno portato via i loro giovani. E lo stesso è accaduto anche per quelle famiglie che avevano figli in seminCorsivoario. La paura che attanaglia Baghdad, Mossul e Bassora ha spinto molti a lasciare il seminario e queste città. Così abbiamo deciso di trasferire momentaneamente il seminario ed il Babel college, la facoltà teologica, ad Ankawa, nel nord dell'Iraq. Quando sarà ristabilita la sicurezza e la pace tutto tornerà nelle loro sedi ordinarie. Oggi gli alunni sono 24 caldei e 4 siri. Abbiamo studenti anche da altri Paesi, 2 da Essen in Germania, 1 dalla Turchia, 1 dall'Iran. Ma ci sono vocazioni anche in Usa. Questo calo si sente anche per gli istituti e le congregazioni religiose. Per valutare e studiare la situazione a gennaio del 2009 avremo il Sinodo della Chiesa caldea".
Con tutte le difficoltà che ha presentato, qual è il contributo che i cristiani possono dare alla ricostruzione dell'Iraq?
"Noi amiamo i nostri fedeli e questi sono attaccati alla fede che professano e, dunque, alla speranza che è Cristo. Certamente c'è anche chi, tra i fedeli, sacerdoti e gli stessi vescovi, mostrano un certo pessimismo, ma tutti sono convinti che l'Iraq risorgerà. Noi siamo parte della Chiesa universale che sentiamo vicino in questi tempi difficili, ed il Papa ce lo ha ricordato spesso. Ai cristiani spetta amare il proprio Paese, lavorare materialmente e spiritualmente insieme con i confratelli musulmani per la sua ricostruzione".
L'Iraq è un Paese molto ricco di risorse naturali, come il petrolio. Non teme che l'interesse delle potenze internazionali sia rivolto solo allo sfruttamento di queste e poco al Paese e ai suoi abitanti?
"Non ho paura che potenze internazionali possano mettere le mani sulle ricchezze irachene. Potranno creare delle difficoltà ma non potranno certo impedire all'Iraq di risorgere. Per questo dico ai responsabili dei governi e delle Istituzioni irachene di fare tutto il possibile per la salvezza del popolo iracheno a livello sociale, economico, politico e culturale e dare così pace e sicurezza. Quando ci saranno pace e sicurezza avremo un Paese modello per tutto il Medio Oriente".