"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

23 agosto 2012

Il Papa saluta le Suore Caldee. Un docente di Baghdad: ci sono forze che lavorano contro la presenza dei cristiani in Medio Oriente

By Radiovaticana, 22 agosto 2012

Al termine dell’udienza generale, il Papa ha rivolto un cordiale saluto alle Suore Caldee Figlie di Maria Immacolata, “impegnate in un generoso e prezioso servizio alle popolazioni dell’Iraq”. Le religiose cattoliche forniscono il loro aiuto non solo alla comunità cristiana ma anche ai musulmani, in un contesto difficile per tutti. Della situazione in Iraq si è parlato anche al Meeting di Rimini, dove ha dato la sua testimonianza il prof. Mehdat, docente universitario di Baghdad. Federico Piana gli ha chiesto di parlarci delle condizioni di vita dei cristiani in Iraq
"La prima cosa che voglio dire è che i cristiani vivono in Iraq fin dal I secolo. Negli ultimi 50 anni, sono stati i cristiani a costruire l’Iraq. Cristiani erano i medici, gli insegnanti, gli infermieri. Ora siamo sempre di meno. Negli ultimi 30 anni siamo diminuiti tantissimo: siamo passati dal 20 al 5 per cento della popolazione irachena. La vita dei cristiani non è certo semplice, ma varia da città a città e anche da un quartiere all’altro. Però devo dire che il nostro vero problema è la presenza di gente che s’ingegna a creare i problemi: c’è gente che vuole distruggere, distruggere il Paese e anche le persone."
I cristiani iracheni si sentono abbandonati dalla comunità internazionale?
" Devo dire la verità? Sì. Si sentono abbandonati. Ora io mi aspetto dall’Occidente che pensi ai cristiani: non solo ai cristiani in Medio Oriente, ma anche ai cristiani nello stesso Occidente, in Europa e in America, perché ci sono delle forze che stanno lavorando contro i cristiani. E chiedo un aiuto per fronteggiare tutte quelle forze che nei Paesi arabi indeboliscono la presenza dei cristiani. Non bisogna lasciarle fare, perché l’obiettivo di questi poteri è colpire i cristiani del Medio Oriente. Dobbiamo avere il coraggio di contrastare queste forze."
Che rapporto c’è con i musulmani? Lo Stato garantisce la libertà religiosa?
"40 anni fa, la situazione dei rapporti tra cristiani e musulmani era migliore di oggi. Il problema è il governo che non dà sicurezza e non può garantirla, perché è debole. Ci sono poi tanti aspetti che il governo non tiene in considerazione, altre cose che non s’impegna a fare e anche se è a conoscenza di certe situazioni difficili non interviene."
Qual è oggi la situazione in Iraq?
"Dal 2003 [quando furono tolte le sanzioni] ad oggi, vediamo i risultati di tante guerre, di 30 anni di embargo: l’Iraq è un Paese veramente molto stanco. Ora la situazione economica è migliorata, ma la vita sociale è peggiorata perché non c’è sicurezza e non c’è tranquillità. Quindi, anche se è migliorata la situazione economica, senza sicurezza, il popolo non può vivere."

20 agosto 2012

Mons. Warduni (Baghdad): Cristiani emarginati.

By Baghdadhope*

La fine del mese sacro islamico di Ramadan è stata sancita in Iraq anche da un messaggio fatto pervenire alla vice presidenza della Repubblica da Mons. Shleimun Warduni, patriarca vicario caldeo di Baghdad. Messaggio di augurio che, come ha raccontato Mons. Warduni a Baghdadhope, conteneva, tra le altre, le parole di esortazione già espresse dal Cardinale Jean Louis Tauran ad "educare i giovani cristiani e musulmani alla giustizia ed alla pace".
Questa manifestazione di vicinanza alla comunità islamica nel giorno di festa più importante era stata preceduta da un incontro svoltosi nella chiesa di Mons. Warduni in occasione della cena che sancisce la fine della giornata di digiuno lo scorso 8 agosto. Una cena cui hanno partecipato più di 250 persone, in maggioranza proprio sunniti e sciiti. 
I rapporti tra cristiani e musulmani, per quanto ancora imperfetti in Iraq, sono quindi, a livelli gerarchicamente alti, più che normali.
Nonostante ciò però la comunità cristiana continua ad avere problemi. Un Monsignor Warduni deluso ha infatti espresso chiaramente a Baghdadhope il suo disappunto per il nuovo assetto dell'Awqaf, l'ufficio governativo che gestisce le proprietà delle diverse confessioni religiose.
"Noi cristiani ci sentiamo emarginati. Prima della caduta del regime esistevano due distinti uffici, quello per i musulmani e quello per i non musulmani all'interno del quale però esisteva un ufficio per i cristiani. Ognuna delle 14 confessioni riconosciute dal regime aveva però un capo riconosciuto a pieno titolo dal ministero del culto."
"Successivamente alla caduta del regime gli Awqaf divennero tre:  uno per i sunniti, uno per gli sciiti ed uno per i cristiani e le altre religioni ma recentemente qiuesto assetto è cambiato. Ora l'ufficio è dedicato ai cristiani, agli yazidi ed ai mandei e questo ci fa sentire discriminati."
"Per prima cosa i cristiani vengono accomunati sotto un'unica denominazione mentre noi vorremmo che tutte le 14 confessioni venissero riconosciute con le proprie dignità e particolarità. Oltre a ciò la condivisione della gestione delle proprietà con gli altri gruppi può dare adito a problemi nel caso, ad esempio, dei molti lasciti di cui la chiesa può beneficiare, per non dire del fatto che se si tiene conto delle sovvenzioni governative esse devono essere divise tra i tre gruppi, cristiani, yazidi e mandei ma i cristiani devono ulteriormente distribuire la propria quota tra le 14 confessioni riconosciute."
"La proposta da noi fatta di revisione del decreto che ha creato questo assetto - proposta rifiutata - è che i cristiani facciano riferimento ad un ufficio specificatamente a loro dedicato e che altrettanto sia concesso agli yazidi ed ai mandei. Bisogna tenere anche conto che addirittura nessun cristiano è presente nel comitato parlamentare che regola questo tipo di uffici. E' chiaro che in questa situazione gli iracheni cristiani si sentano emarginati. In ogni caso però non smetteremo di lottare e prevediamo di ripresentare una nuova proposta di revisione del decreto."  

16 agosto 2012

In Baghdad prayers for Mary and the Syrian people


By Baghdadhope*

On August 14 in the Chaldean church of Mar Eliya al Hiri in Baghdad there was a great celebration for the eve of the Feast of the Assumption of Mary. The Holy Mass, however, as explained to Baghdadhope by the parish priest, Father Douglas Al Bazi, was not only dedicated to the Virgin Mary but to the Syrian people suffering because of the ongoing civil war.
"We prayed," said Father Al Bazi, "for all our Syrian brothers  because as Iraqis we know what it means living in war, suffering, fearing for the future."
"With our prayers we expressed our solidarity and closeness."
Solidarity and closeness which move considering how much the Iraqis are still suffering because of the instability of the country and for which gratitude to the church of Mar Eliya al Hiri was expressed through three messages sent by the Syrian Bishop John Battah, the Maronite Diocese of Alep and Father Joseph Tobji from Alep too.
Questioned if any of the families of his parish who fled to Syria in recent years because of the dangerous situation in Iraq has returned to Baghdad Father Al Bazi said he has no news about it but also reiterated that it is likely that many are not going back to Iraq for the fear of losing their hard-won place in the lists of the United Nations High Commissioner for Refugees for their relocation from Syria to third countries.
A sobering decision: If the Iraqis, and in this case the Iraqi Christians, agree to remain in the current situation in Syria not to lose their chance  to emigrate to the West means that everything, absolutely everything, it is better than to return to Iraq from which they fled. A sad evidence that the time of sorrow for them is not finished.

A Baghdad si prega per Maria ma anche per la Siria

 
By Baghdadhope*

Il 14 di agosto nella chiesa caldea di Mar Eliya al Hiri a Baghdad si è svolta una grande celebrazione per la vigila della festa dell’Assunzione di Maria. La Santa Messa però, come ha spiegato a Baghdadhope il parroco, Padre Douglas Al Bazi, non è stata dedicata solo alla Vergine Maria ma anche all’intera popolazione siriana sofferente a causa della guerra civile in corso.
“Abbiamo pregato” ha detto Padre Al Bazi, “per tutti i nostri fratelli siriani perché noi iracheni sappiamo bene cosa vuol dire vivere in guerra, soffrire, temere per il futuro.”
“Con le nostre preghiere abbiamo espresso la nostra solidarietà e vicinanza”.
Solidarietà e vicinanza che commuovono considerando quanto ancora gli iracheni stiano soffrendo a causa dell’instabilità del paese e che non hanno mancato di suscitare gratitudine espressa alla chiesa di Mar Eliya al Hiri attraverso tre messaggi inviati dal vescovo siriano Mons. John Battah, dalla Diocesi Maronita di Aleppo e da Padre Joseph Tobji sempre di Aleppo.
Interrogato se qualcuna delle famiglie della sua parrocchia fuggite in Siria nel corso degli ultimi anni a causa della pericolosa situazione irachena abbia fatto ritorno a Baghdad Padre Al Bazi ha affermato di non avere notizie a proposito ma ha anche ribadito come è probabile che a frenare il ritorno di molti possa essere il desiderio di non perdere il posto faticosamente conquistato nelle liste dell’’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite per la ricollocazione dalla Siria in paesi terzi.

Una decisione che fa riflettere: se gli iracheni, ed in questo caso gli iracheni cristiani, accettano di rimanere nell’attuale situazione siriana pur di poter eventualmente emigrare in occidente vuol dire che tutto, ma proprio tutto, è meglio di tornare nell’Iraq da cui sono fuggiti, a dimostrazione che per loro non è ancora finito il tempo del dolore.  


13 agosto 2012

Canti mariani a Baghdad per la festa dell’Assunta. Coro cristiano e musicisti musulmani. “Effettiva collaborazione” dice Padre Albert Hisham.

By Baghdadhope*

In vista della celebrazione dell’Assunzione della Vergine Maria la chiesa caldea di Baghdad proprio ad essa dedicata ha organizzato un concerto di canti mariani che si inserisce tra le diverse attività della settimana  di festa della parrocchia che terminerà il prossimo 18 agosto.
Il concerto, come ha spiegato a Baghdadhope Padre Albert Hisham, si è svolto nei locali della chiesa ed ha visto una grande partecipazione di fedeli, del segretario della Nunziatura Apostolica e del patriarca vicario caldeo di Baghdad, Mons. Shleimun Warduni.
La sua importanza, ha spiegato Padre Hisham, non sta solo nella preghiera a Maria attraverso il canto ma anche nel fatto che i musicisti che hanno accompagnato il coro sono membri dell’orchestra sinfonica irachena e sono tutti di fede islamica: “a testimonianza dell’effettiva collaborazione tra religioni in Iraq”  e che, come ha ricordato il parroco della chiesa dell’Assunzione di Maria Vergine, Padre Robert Saeed"Questo concerto è espressione della vivacità della chiesa di Baghdad che, contraddicendo ciò che molti dicono, è viva e tale rimarrà."
A provare tale vivacità è anche l’incontro catechistico, avvenuto lo scorso venerdì nella chiesa della Vergine Maria, dei ragazzi e delle ragazze delle scuole superiori provenienti da 7 parrocchie caldee di Baghdad e la presenza, dopo la Santa Messa del 12 agosto nella chiesa dell’Assunzione della Vergine Maria, delle suore irachene delle Piccole Sorelle di Gesù di Charles de Focauld che hanno raccontato delle proprie esperienze e della propria missione in Iraq.

8 agosto 2012

Giovani francesi in Iraq, per testimoniare la solidarietà della Chiesa universale

By Asia News
di Joseph Mahmoud


Testimoniare la solidarietà della Chiesa universale e contribuire in modo concreto alla promozione di progetti improntati al dialogo interreligioso e all'incontro islamo-cristiano. È con questo spirito che un gruppo composto da 13 ragazzi - maschi e femmine - provenienti dalla Francia ha iniziato un viaggio di alcuni giorni alla scoperta del nord dell'Iraq, delle comunità cristiane locali e delle iniziative messe in campo da laici e sacerdoti per ricostruire un Paese martoriato dalla guerra e, ancora oggi, teatro di violenze e scontri interconfessionali. I giovani sono arrivati lo scorso 4 agosto: sette di loro sono ospiti a Kirkuk, gli altri sei a Karakosh (piana di Ninive), nel Kurdistan irakeno.
Per il gruppo di ragazzi provenienti dalla Francia, la solidarietà ai fratelli dell'Iraq si manifesta attraverso "una presenza" che diventa anche "vicinanza fisica" e non solo solidarietà "a parole". A Kirkuk, i giovani hanno trovato ospitalità nell'arcivescovado, grazie alla disponibilità offerta da mons. Louis Sako. La loro presenza (nella foto mentre partecipano alla messa), raccontano i testimoni, è "di grande aiuto per i giovani cristiani della città", che hanno trascorso intere giornate "dedicate alla preghiera, alla formazione, alla condivisione alternata a momenti di gioco e svago". In tutto erano  una novantina i giovani fra francesi e irakeni della zona.
In queste giornate irakene, il gruppo di giovani francesi ha anche incontrato il governatore di Kirkuk Najim al-din Umar Karim, che ha mostrato di ammirare "il loro coraggio"; egli ha voluto ringraziarli per la loro iniziativa, sottolineando l'importanza "del ruolo della Chiesa" nella promozione del dialogo e della convivenza. Sempre in città, i ragazzi hanno partecipato all'inaugurazione di una scuola elementare privata - la Vergine Maria Myriam Ana - che inizierà le lezioni il prossimo settembre e accoglierà studenti cristiani e musulmani senza distinzioni e di entrambi i sessi. Gli alunni, spiegano i responsabili della struttura, riceveranno la stessa educazione e seguiranno gli stessi corsi; una scelta che in prospettiva "aiuterà la buona intesa e la convivenza" e accrescerà le possibilità di impiego nell'area.
A Karakosh, invece, l'altro gruppetto di giovani francesi ha contribuito all'apertura di un asilo, grazie anche al prezioso aiuto fornito nella fase di realizzazione dall'arcivescovo siro-cattolico mons. Petros Moshi. In seguito i due gruppi si sono riuniti per partecipare alla visita di alcuni villaggi del nord dell'Iraq, per incontrare le famiglie cristiane della zona.
Sottolineando il valore profondo dell'iniziativa che ha portato ragazzi europei a incontrare e conoscere la realtà irakena e della minoranza cristiana, l'arcivescovo di Kirkuk ha voluto esprimere "la più profonda gratitudine". "Sono progetti - ha aggiunto mons. Sako - che inducono alla speranza" e rendono "tutti più forti: francesi e irakeni", grazie anche alla possibilità di "approfondire la fede" e "testimoniare la Buona Novella". Cristo, ha concluso il prelato, è "ragione di salvezza per tutti noi" e ogni momento è "occasione di redenzione".

Primo congresso dei giovani caldei d'Europa. Il messaggio del Cardinale Sandri

By Baghdadhope*

E' iniziato ieri a Monaco di Baviera il primo incontro dei giovani di fede caldea in Europa.
L'incontro, che durerà 4 giorni e che riunisce appunto giovani caldei provenienti da diversi paesi europei sarà, come ha spiegato a Baghdadhope il segretario dei sacerdoti caldei operanti nel vecchio continente, Padre Sami Danka, dedicato alla preghiera per una "nuova spiritualità ed una nuova evangelizzazione".
I giovani ed i sacerdoti, riuniti sotto la guida di Monsignor Philip Najim, procuratore della chiesa caldea presso la Santa Sede e visitatore apostolico per l’Europa, risponderanno all’invito rivolto da Papa Benedetto XVI per “l’Anno della Fede” ritrovandosi a Monaco per “tornare alle sorgenti della fede della chiesa d’oriente martire e sofferente dando un chiaro segno della sua vita e della sua presenza in ogni parrocchia.”
L’incontro, che prevede diversi momenti di preghiera e di meditazione, ha avuto il suo inizio ufficiale nella Santa Messa di ieri celebrata da Mons. Philip Najim coadiuvato da tutti i sacerdoti caldei di origine irachena e turca operanti in Europa durante la quale sarà anche letto il messaggio destinato ai partecipanti e consegnato a Mons. Najim dal Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.  

Il messaggio del Cardinale Sandri che, appunto, descrive l’incontro dei giovani caldei come preparatorio per  “vivere intensamente l’Anno della Fede che avrà inizio il prossimo 11 ottobre”, rammenta anche come proprio in quel giorno si celebrerà il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II che dedicò particolare attenzione alle chiese orientali cattoliche con il decreto Orientalium Ecclesiarum che recita: “questo santo ed ecumenico Concilio, preso da sollecitudine per le Chiese Orientali, che sono testimoni viventi della tradizione apostolica, desidera che esse fioriscano e assolvano con nuovo vigore apostolico la missione loro affidata.”
E’ sempre il Cardinale Sandri a ricordare come il “pellegrinaggio alle sorgenti” della propria professione di fede che può trasformare la nostra esistenza facendoci vivere “ogni istante del quotidiano dischiuso all’orizzonte dell’eternità” sia la risposta al Motu proprio Porta Fidei di Papa Benedetto XVI la cui vita, vissuta in parte proprio nella diocesi dove si svolge l’incontro, pur segnata da una “dittatura atea e violenta” si sviluppò all’insegna della certezza che “Dio può tutto e vince tutto”. 
I giovani caldei riuniti a Monaco, continua il messaggio, devono ricordare la fedeltà di Cristo ad Israele ed alla Chiesa “nonostante l’umanità tenti in ogni epoca di metterlo fuori dalle porte della propria esistenza”, e devono farlo anche in nome della loro chiesa madre, quella chiesa caldea “che nelle prove non ha mai smesso di confessare il nome di Cristo e attende una nuova stagione di primavera in cui voi dovete essere protagonisti dell’annuncio di Dio agli uomini!”

Di seguito i nomi dei sacerdoti, dei monaci e delle suore che hanno partecipato e guidato l'incontro

Monsignor Philip Najim
Padre Sami Danka
Padre Sabri Anar

Padre Fadi Hanna
Padre Firas Ghazi
Padre Faris Toma
Padre Sizar Sliwa
Padre Raad Sharafana
Padre Muhannad Al-Tawil OP
Padre Philip Hermz OP
Padre Paulus Sati CSsR
Padre Sakvan Younan
Padre Ihab Nafeh
Fratello Sarmad OP
Fratello Samer OP
Suor Christina SC
Suor Marie -Agnes SC
Suor Karolin SC
Suor Basma
Suor Warina

Iraq, mons. Sako (Kirkuk): «Noi cristiani perseguitati»


Pubblichiamo la prefazione di monsignor Louis Sako, arcivescovo  caldeo di Kirkuk (Iraq), al nuovo libro di Rodolfo Casadei, Tribolati ma non schiacciati (Lindau), che sarà disponibile al Meeting di Rimini dal 19 al 25 agosto e uscirà in libreria a settembre. La prefazione sarà pubblicata sul numero 32-33/2012 di Tempi, in edicola da giovedì 9 agosto.
 
Quattro anni fa Rodolfo Casadei portava nelle librerie italiane un libro che aveva un sapore speciale per la sua spontaneità e per la sua lingua diretta e viva. S’intitolava Il sangue dell’agnello e raccontava le persecuzioni contro i cristiani nel Vicino Oriente. Oggi torna a noi con altre storie di cristiani di Iraq, Iran, Libano, Sudan e Uganda, sotto il titolo: Tribolati, ma non schiacciati. L’autore, che ha viaggiato in tutti questi paesi, ha incontrato la gente del posto e descrive le cose direttamente. Non fa speculazioni a distanza, ma parla della realtà quotidiana che le comunità vivono.
I cristiani dell’Iraq e di tutta la regione non hanno conosciuto pace lungo tutta la loro storia. Sempre sono stati sottoposti a pressioni, sia prima che dopo l’avvento dell’islam. E nulla lascia pensare che presto troveranno la pace. I loro paesi esistono sotto forma di instabili mosaici, senza che esista un progetto da parte dei governanti per integrare tutta la popolazione in un’unica cittadinanza con gli stessi diritti. Gli uomini di potere musulmani sunniti e sciiti hanno come unico punto di riferimento per la loro azione politica la loro religione, e pensano che i cristiani, che lo accettino oppure no, sono cittadini di seconda categoria che dovrebbero lasciare il paese se non sono contenti della tolleranza loro riservata. Ma questa tolleranza non significa per nulla libertà e uguaglianza. La tolleranza non è la libertà. Tolleranza è termine peggiorativo. Vuole dire: tu sei sbagliato, ma sopporto che tu esista…
Le nostre Chiese in Oriente sono Chiese apostoliche perché sono martiri. La fede infatti non è né una questione ideologica, né un’utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l’intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po’ più lontano, fino al sacrificio. Tale è l’espressione assoluta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai, in Iraq noi siamo consapevoli che credere significa amare e amare significa donarsi. E il titolo del libro esprime questo e si muove nella giusta direzione: Tribolati, ma non schiacciati.

Sperare nel cambiamento dei cuori
In che cosa speriamo? Nel Vangelo, prima e dopo la Risurrezione, molte volte Gesù rassicura i suoi discepoli dicendo loro: «Non abbiate paura». E quando Gesù ce lo ripete oggi, si fonda sull’amore del Padre per noi e sul suo amore a Lui. Un amore al quale noi stessi, per parte nostra, possiamo rispondere e che è strettamente legato alla nostra fede. L’amore e la fede sono in realtà una medesima cosa. Vanno a braccetto. È questo amore senza limiti che dà senso alla vita. E che le dona al contempo la sua dimensione eterna, perché coloro che amano sanno che il loro amore li supera e rappresenta il vero mistero. L’amore è il paradigma della vera via per la risurrezione. Ecco lo nostra speranza.
Noi cristiani d’Iraq, in quanto minoranza perennemente costretta alle difficoltà e al sacrificio, sappiamo bene cosa significhi essere perseguitati, sequestrati, uccisi. Sappiamo per certo cosa vuol dire sentirsi impotenti! Ho detto talvolta che coloro che vogliono vedere l’inferno devono venire in Iraq! Siamo consapevoli dei rischi, ma la nostra fede ci dona il coraggio di continuare a sperare e amare. La nostra Chiesa è apostolica non solo perché è stata fondata dagli apostoli, ma perché è martire come lo è stata la Chiesa degli apostoli. Seguendo l’esempio dei nostri martiri iracheni, che non possiamo certo dimenticare, noi troviamo la forza di perseverare, sperando in un cambiamento dei cuori di tutti gli uomini, là dove germoglia la Grazia divina.

Quei 973 non sono morti invano
Speriamo vivamente che il sacrificio di 973 cristiani – fra loro un vescovo e cinque preti giovani – e anche di migliaia di musulmani innocenti in Iraq non sarà vano. Contribuirà un giorno alla comprensione dell’amore, in quanto significato possibile della vita. Rodolfo Casadei mostra di essere un cristiano credente perché attraverso il racconto di queste storie esemplari invita i cristiani di tutto il mondo a “rinnovare” il loro impegno nel seguire Cristo, misurandolo col martirio sopportato dai cristiani perseguitati, in Iraq e nel resto del mondo. E invita a mostrare la solidarietà e il sostegno dei fratelli e delle sorelle cristiani d’Occidente e altrove, così da incoraggiare questi cristiani che soffrono a restare nella loro terra con le loro Chiese. È proprio questa unità pur nella distanza con tutti i cristiani che ci aiuta a vivere qui, in pace accanto ai musulmani, per continuare la nostra presenza e la nostra testimonianza di amore e perdono. Non dovete mai dimenticare che queste Chiese d’Oriente oggi minoranze sono le radici della vostra fede.

7 agosto 2012

Mons. Warduni: anche i cristiani dell’Iraq attendono con gioia la visita del Papa in Libano


Manca ormai poco più di un mese al viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano, in programma dal 14 al 16 settembre prossimo. Una visita che ha come scopo primario la pubblicazione e consegna dell’Esortazione apostolica post-sinodale per il Medio Oriente. La visita del Papa è, dunque, molto attesa non solo in Libano ma in tutte le comunità cristiane della regione. Su come la Chiesa dell’Iraq guardi a questo viaggio, Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:

Malgrado tutte le difficoltà che esistono e tutte le circostanze preoccupanti che ci sono in Medio Oriente, anche la Chiesa irachena aspetta con grande speranza la visita in Libano del Santo Padre. E’ la visita di un padre che ama i suoi figli, che sentono la sua preoccupazione per loro, ovunque e in qualsiasi circostanza. Anche noi in Iraq aspettiamo questa Esortazione apostolica con amore e grande speranza. Ci sono ancora tante difficoltà, specialmente per quanto riguarda la sicurezza. Speriamo, quindi, che questa visita porti tanta consolazione, tanto coraggio e tanto sostegno.
Il Papa non incontrerà soltanto i cristiani e i vescovi in Libano: avrà anche un incontro con le comunità musulmane. Questo è molto importante anche per rafforzare il dialogo…

Certo! Anche al Sinodo per il Medio Oriente si è parlato del dialogo fra musulmani e cristiani. Tutti quanti noi viviamo in uno stesso luogo: qui siamo cresciuti insieme, viviamo insieme e specialmente noi - testimoni del Vangelo - cerchiamo sempre di essere vicini ai nostri fratelli, cercando di far capire che la religione deve avvicinare gli animi, deve far comprendere che lo Spirito di Dio è presente ovunque. Se non ci rispettiamo gli uni gli altri, se non cerchiamo di aiutarci gli uni gli altri, riconciliandoci tutti insieme, sarà molto difficile andare avanti in queste circostanze - con la guerra - perché non si capisce l’amore per Dio e l’amore verso il fratello.

Questo viaggio del Papa in Libano sarà anche di incoraggiamento per i tanti cristiani dell’Iraq, costretti a fuggire. Questa vicinanza del Papa è sentita dalla comunità cristiana irachena?

Certamente. Come ci chiede il Papa, dobbiamo amare la nostra terra; dobbiamo “attaccarci” alla nostra fede, alla nostra Chiesa e alla nostra terra. Questa è l’ora della speranza, grande e forte, affinché tutti tornino alle loro case: lì troveranno veramente la loro felicità. Speriamo che tutti potranno vivere in pace e in sicurezza!

5 agosto 2012

Ruins a memento of Iraqi Christians' glorious past

By Huffington Post
by Kay Johnson

A hundred meters (yards) or so from taxiing airliners, Iraqi archaeologist Ali al-Fatli is showing a visitor around the delicately carved remains of a church that may date back some 1,700 years to early Christianity.
The church, a monastery and other surrounding ruins have emerged from the sand over the past five years with the expansion of the airport serving the city of Najaf, and have excited scholars who think this may be Hira, a legendary Arab Christian center.
"This is the oldest sign of Christianity in Iraq," said al-Fatli, pointing to the ancient tablets with designs of grapes that litter the sand next to intricately carved monastery walls.
The site's discovery in 2007 and its subsequent neglect are symbolic of a Christianity that has long enriched this country, and is now in decline as hundreds of thousands have fled the violence that followed the U.S.-led invasion in 2003.
At the same time, the circumstances of the find reflect a renaissance for Najaf, a holy Shiite Muslim city. The airport expansion that revealed the ruins was needed because Najaf attracts multitudes of pilgrims.
The ruins left in the baking heat are within the airport perimeter and relatively safe from vandals and looters. The site's stone crosses and larger artifacts have been moved to the National Museum in Baghdad.
For al-Fatli, it's all very tantalizing. "I know if we were to work more, we will find more and similar churches," he said.
But there is no money to mount a proper dig, he laments. In a country where bombings constantly kill people and much of the populace lacks reliable electricity or clean water, archaeological preservation is a low priority.
Today, the Christian portion of Iraq's population of 31 million has fallen from 1.4 million to about 400,000, according to U.S. State Department data.
Caught in the sectarian violence of 2005 to 2008, massacred by Muslim militias as heretics, "We were in the worst of times," says Younadam Kanna, a Christian member of Iraq's parliament. He says the exodus has slowed but the future for Christians remains uncertain.
 Still, he says, for those who remain, the discoveries at Hira provide some hope.
"It shows we can live together in peace with Muslimsbecause we did for centuries before," he says. "When Islam first came to Iraq, the Christians here welcomed them."
Legend traces Christianity in Iraq to Thomas, one of the Twelve Apostles who fanned out to spread Christ's word after the Crucifixion.
Historians believe Hira was founded around 270 A.D., grew into a major force in Mesopotamia centuries before the advent of Islam, and reputedly was a cradle of Arabic script.
Lying 160 kilometers (100 miles) south of Baghdad, it was lost to Iraq's southern desert for centuries after Christians were driven out of the area by Muslim rulers.
Erica Hunter, a professor of early Christianity at London's School of Oriental and African Studies, says historical evidence shows that by the early third century, the faith was well established in what is now southern Iraq by the Lakhmid dynasty, an Arab kingdom whose final ruler converted to Christianity.
For centuries Hira was an important center of the Church of the East, sometimes known as the Nestorian church, whose modern offshoot, the Assyrian Church of the East, is still followed in Iraq. Hira, also called al-Hirah, lay near the Sea of Najaf, since vanished, and was renowned as an idyllic retreat.
Archaeological finds have been traced in the 1900s, but the evidence is limited.
Hunter, one of the few scholars to explore the other sites linked to Hira, studied the Syriac inscriptions found by a Japanese-led team in the 1980's. Other traces of Hira include two churches excavated in 1934 by an Oxford University team. Several church sites were mapped by German archaeologists in the 1980s before the 1991 Gulf War curtailed new exploration.
Hunter is cautious about claims the newly discovered ruins are Iraq's oldest church, but adds, "They certainly must be very, very early," perhaps dating to the fourth century dating.
What is clear is that Christianity at Hira continued to thrive alongside Islam until at least the 11th century, hundreds of years after the Muslim conquest of the area.
"In fact Muslim historians talk of 40 monasteries in the vicinity of Hira," Hunter said in a telephone interview from London.
Eventually the region's Muslim rulers began persecuting the Christians, and Hira's churches were abandoned. Most remaining Iraqi Christians today are clustered in Baghdad, Mosul, Kirkuk and the self-ruled Kurdish north of Iraq.
Al-Fatli, himself a Shiite, thinks of those 40 lost monasteries as he surveys the desert around the abandoned Najaf excavation. For now, though, Christianity's lost city in Iraq will remain mostly a mystery.
But lawmaker Kanna says there's still time to uncover it. After all, like the remains, Christians in Iraq have endured for some two thousand years.
"This is our country. We will be here," he says. "We'll be here not only for one more century, but for many centuries to come."

Associated Press writer Sameer N. Yacoub contributed to this report.

3 agosto 2012

BUONE VACANZE!

HAVE A NICE HOLIDAY!







By Baghdadhope*