"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

31 agosto 2015

Declare the killing of Middle East’s Christians a genocide, Iraqi prelate urges

By Catholic Culture

Speaking with three diocesan newspapers in the United States, the Chaldean Catholic archbishop of Erbil, Iraq, called for the declaration of the killing of Syrian and Iraqi Christians as a genocide.
“This is very important for us,” said Archbishop Bashar Warda. “You cannot accept this in the 21st century while everyone is watching. I would like the Americans to take responsibility.”
“Do not wait another 20 years and look back to what happened and say, ‘Well, I’m sorry that we did not do something really decisive,’” he added.
The Islamic State “is evil,” he stated. “The way they slaughter, the way they rape, the way they treat others is brutal. They have a theology of slaughtering people.” 

Il vescovo Melki è beato. Il rito in Libano

By Avvenire
Camille Eid

È successo esattamente cent’anni fa, ma poteva essere una storia di ieri. L’Oriente cattolico si è ritrovato ieri in Libano per la beatificazione del vescovo siro-cattolico Flaviano Michele Melki, martirizzato dai soldati turchi in odium fidei il 29 agosto 1915 , durante le persecuzioni dell’Impero Ottomano contro armeni, siriaci e assiri. Il solenne rito, presieduto dal patriarca siro-cattolico Ignazio Yussef III Younan, si è svolto nel suggestivo panorama della sede patriarcale di Charfe, a brevissima distanza dal celebre santuario mariano di Harissa. Oltre all’inviato speciale del Papa e prefetto della Congregazione delle cause dei santi, cardinale Angelo Amato, erano presenti tutti i patriarchi cattolici orientali (maronita, latino, caldeo e armeno) e un rappresentante del patriarca siro-ortodosso, attualmente in visita nel Canada. Con le delegazioni siriache venute da Siria, Iraq, Giordania, Palestina ed Egitto, si trovavano molti siriaci arrivati dall’Europa (in particolare dalla Gran Bretagna e dalla Svezia, dove vive una nutrita comunità siriaca) e dall’Australia.
Intervistato da Radio Vaticana prima della cerimonia, il patriarca Younan ha definito l’evento «una consolazione che non si può descrivere, perché in questi tempi così difficili – per le sofferenze che patiamo, per le stragi che hanno luogo in Iraq e in Siria, per le violazioni dei diritti dell’uomo che vengono compiute, di fronte ai tanti cristiani che sono dovuti fuggire o sono stati rapiti – per noi questo è un segno di speranza e una grazia che ci è stata data dal Signore». Secondo il patriarca, la testimonianza del beato Melki, che si era rifiutato di abbandonare la sua sede vescovile («Do la vita per le mie pecore», diceva), interpella oggi i cristiani siriani e iracheni che sono tentati dall’emigrazione dalla proprie terre. Anche il cardinale Amato ha affermato che è desiderio del Papa che questa beatificazione sia un messaggio di speranza e incoraggiamento per tutti i cristiani che oggi sono umiliati e oppressi.
Si tratta del secondo vescovo martire proclamato beato dalla Chiesa. Nel 2001 Giovanni Paolo II aveva beatificato Ignazio Maloyan, arcivescovo armeno di Mardin, anch’egli ucciso nel 1915 – durante il genocidio armeno – in odium fidei. Durante la cerimonia è stato diffuso ai fedeli il testo dell’invocazione a Melki. «Beato e martire Michele, intercedi per noi, e proteggi soprattutto i cristiani d’Oriente e del mondo in questi giorni di pena e di dolore». Lo stesso luogo in cui si è svolto il rito di beatificazione testimonia delle peripezie sperimentate dalla Chiesa siro-cattolica, nata nel 1783 da un ritorno alla piena comunione con Roma di alcuni vescovi e fedeli giacobiti (siro-ortodossi). È infatti nel monastero di Sayyidat al-Najat (Nostra Signora del Soccorso) a Charfe, su un terreno offerto dalla Chiesa maronita, che il primo patriarca siro-cattolico Michele Jarwe ha trovato rifugio nel 1801. Al momento dei massacri del 1915 la sede si trovava a Mardin, nell’attuale Turchia, allora popolata da numerose comunità cristiane. Da qui la decisione di ristabilire nel 1920 la sede patriarcale a Charfe, essendo stata sradicata la presenza cristiana in quella regione.

La santità ignorata il dovere di tutti

Fulvio Scaglione

Ieri, a cent’anni esatti da quel 29 agosto 1915 in cui la soldataglia turca lo decapitò dopo averlo torturato a morte per poi gettarne le spoglie nel fiume Tigri, è stato proclamato beato il vescovo siro-cattolico Flaviano Michele Melki. Non molti, in Occidente, conoscono la sua storia, considerata invece esempio di santità tra i fedeli delle Chiese orientali. Nato nel 1858 a Qaalat Mara, nel sud-est della Turchia, era stato ordinato vescovo (la cerimonia si svolse a Beirut, in quel Libano che ieri l’ha visto diventare beato) di Djezireh dei Siri nel 1913. Tra i fedeli era noto anche per aver venduto i paramenti pur di aiutare i poveri. Nel 1915, di fronte all’avanzare della persecuzione, rifiutò di abbandonare la propria sede, dove subì il martirio.
Non deve stupire che una simile testimonianza di fede sia tuttora largamente sconosciuta. Intanto, il genocidio degli assiri, in cui morirono tra 250mila e 750mila cristiani, raggiunti e trucidati in vaste zone della Turchia e persino nell’odierno Iran, è stato accuratamente rimosso. Non figura nei libri di testo, è negato dalla Turchia al pari di quello a esso contemporaneo degli armeni, e per ragioni di convenienza politica è riconosciuto da pochi Stati (lo fanno Italia e Francia, Svizzera e Polonia ma non Gran Bretagna, Germania e Usa, che non accettano il termine "genocidio" nemmeno per gli armeni) ed è stato discusso dal Parlamento europeo per la prima volta nel 2007.
Una congiura del silenzio che ha reso piuttosto facile spingere nell’ombra tante stragi, ma che fa capire la forza delle parole di papa Francesco, che il 12 aprile di quest’anno, salutando i fedeli di rito armeno durante la Messa per l’anniversario del genocidio, ha detto: «La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come "il primo genocidio del XX secolo", ha colpito il vostro popolo armeno, prima nazione cristiana, insieme ai siro-cattolici, ortodossi, assiri, caldei e ai greci». Il Novecento come secolo dei genocidi e secolo anche di genocidi cristiani: ecco un tema su cui varrebbe la pena di riflettere molto più di quanto si sia fatto finora.
Ma c’è un’altra ragione per cui la figura del vescovo Melki e la storia del suo martirio sono oggi esemplari. E questa ragione sta proprio in quel suo essere un martire a molti ignoto. È la più terribile ed efficace conferma che in un secolo non è cambiato quasi nulla per milioni di cristiani di tante parti del mondo. Possiamo dirlo di nuovo con le parole del Papa, che in un’omelia a Santa Marta ha ricordato appunto «i nostri fratelli sgozzati sulla spiaggia della Libia, quel ragazzino bruciato vivo dai compagni perché cristiano, quei migranti che in alto mare sono buttati in mare dagli altri perché cristiani. Pensiamo a quegli etìopi assassinati perché cristiani, e tanti altri che noi non sappiamo».
Nei massacri dell’intolleranza islamica come nella pulizia etnica dell’Is, nelle tragedie dell’immigrazione come nella crudeltà delle guerre civili, il martirio dei cristiani ancora oggi è anonimo, ignorato e quindi disprezzato. Come si vede, un secolo è passato invano.
È importante rendersi conto, sempre nel nome e nell’esempio di monsignor Melki, che anche oggi del martirio cristiano si parla poco non per caso o per distrazione ma per convenienza. Il silenzio è necessario per non turbare certe politiche, non disturbare certe alleanze, non alterare certi equilibri. Ricordiamo le reazioni scomposte, urlate, e quindi tanto più indicative, che accolsero in aprile le parole di papa Francesco (che riecheggiavano quelle di Giovanni Paolo II e del patriarca armeno Karekin II) sul massacro dei cristiani armeni e dei siro-cattolici come «primo genocidio del Novecento». Nel 2003 in Iraq c’era quasi un milione e mezzo di cristiani e oggi ce ne sono meno di 300 mila. L’Is è arrivato a controllare un territorio grande quasi quanto l’Italia. Nella Nigeria delle enormi ricchezze petrolifere pare ineliminabile la violenza di Boko Haram. Potremmo fare tanti altri esempi ma la domanda è sempre la stessa: davvero non sappiamo perché? Siamo sicuri che non potremmo fare di più e di meglio?
 

Il Patriarcato caldeo consegna alle autorità un dossier sugli abusi subiti dai cristiani di Baghdad

By Fides

Sono 14 i casi di espropriazioni abusive dei beni immobiliari dei cristiani di Baghdad documentati nel primo dossier che il Patriarcato caldeo ha consegnato ieri ai responsabili del comitato recentemente istituito dalle autorità politiche irachene, con il compito specifico di raccogliere informazioni e disporre misure concrete in merito alle violenze subite dai cristiani nella capitale irachena. La consegna del dossier, avvenuta domenica 30 agosto, rappresenta la prima, solerte risposta del Patriarcato caldeo alle richieste del comitato ad hoc, che aveva sollecitato da parte della compagine ecclesiale un aiuto nella raccolta di informazioni sui casi di espropri, rapimenti, estorsioni e soprusi che negli ultimi mesi hanno avuto come bersaglio mirato soprattutto i cristiani di Baghdad. Nel dossier, oltre ai casi riguardanti le espropriazioni immobiliari illegali, si riportano anche i nomi dei cristiani sequestrati e fatti vittime di estorsioni.
Il comitato ad hoc delle forze di polizia per combattere l'escalation di sequestri di persona e di espropriazioni abusive della case e dei terreni subite negli ultimi mesi dai cristiani della capitale irachena era stato istituito nei giorni scorsi su disposizione del Primo Ministro Haydar al-Abadi (vedi Fides 24 agosto). I responsabili del comitato, in un incontro con il Patriarca caldeo Louis Raphael I, avevano chiesto alla compagine ecclesiale di fornire tutti gli aiuti opportuni per favorire le operazioni di censimento dei beni immobiliari sottratti abusivamente ai nuclei familiari cristiani, raccogliendo i titoli di proprietà e indicando i singoli, i gruppi e gli enti collettivi che adesso usufruiscono degli immobili espropriati illegalmente.
Negli ultimi mesi sia a Baghdad che in altre città irachene, si erano moltiplicati i casi di abitazioni e terreni sottratti illegalmente ai legittimi possessori cristiani attraverso la produzione di falsi documenti legali, che rendevano di fatto impossibile il loro recupero da parte dei proprietari. Il fenomeno ha potuto prendere piede anche grazie a connivenze e coperture di funzionari corrotti e disonesti. Lo scorso 13 luglio, il Patriarca Louis Raphael I aveva rivolto un appello pubblico alle autorità politiche e istituzionali del Paese, chiedendo al governo maggiore protezione contro le bande di delinquenti che attentano ai beni e alle persone.