"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 giugno 2011

Cardinale caldeo: "Non volevo far visita ad Al Sistani"

By Baghdadhope*

A distanza di due giorni dal mancato incontro a Najaf tra il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Emmanuel III Delly e la massima autorità sciita del paese, il
Grand Ayatollah Ali Alhussein Alsistani, il sito di Dar al Hayat ha pubblicato una dichiarazione a proposito del Cardinale Delly.
Secondo l'alto prelato le ipotesi avanzate ieri dai media sono false.

Non è vero quindi che il Cardinale non sarebbe stato ricevuto dal leader sciita a causa di una sua indisposizione riferita dai suoi collaboratori, nè a causa del fatto che non essendo stato fissato un appuntamento il Grand Ayatollah sarebbe stato già impegnato in altre attività, ipotesi peraltro riferita anche dalla direttrice dell'ufficio informazione del dipartimento per i cristiani del ministero che si occupa delle proprietà religiose in Iraq.
E' vero invece, come afferma il Cardinale Delly che: "non avevo intenzione di far visita al Grand Ayatollah Alsistani sulla via del ritorno verso Baghdad da Bassora". Visita che peraltro, continua Delly, c'è già stata in passato ma che era stata fissata in precedenza.
In effetti che il Cardinale possa essersi presentato con
tutto il suo seguito all'ufficio di una personalità così in vista ed impegnata come il Grand Ayatollah Alsistani senza avere preventivamente predisposto l'incontro sembra improbabile.
L'Iraq non è un paese da "amichevoli improvvisate".
Se non altro perchè pur essendo Najaf la roccaforte sciita per eccellenza l'incontro tra due massimi leader religiosi dovrebbe prevedere stringenti misure di sicurezza difficili da organizzare su due piedi.
Comunque sia andata però ci si augura che prima o poi questo incontro possa avvenire, se non quest'anno magari nel 2012, quando Najaf sarà a tutti gli effetti la capitale islamica della cultura del mondo arabo
dove sarebbe bello si parlasse non solo, come previsto, della moderna Islamo-fobìa dilagante nei paesi occidentali ma anche della sorte dei "fratelli cristiani" nello stesso Iraq.

28 giugno 2011

Salta l'incontro tra il patriarca caldeo ed il massimo esponente sciita in Iraq

By Baghdadhope*

Piccolo incidente diplomatico occorso al Patriarca della chiesa caldea, il Cardinale Mar Emmanuel III Delly, nella città santa sciita di Najaf.
Di ritorno dalla visita pastorale alla diocesi di Bassora il Cardinale Delly si è fermato a Najaf ed ha chiesto di poter incontrare la massima autorità sciita irachena, il Grand Ayatollah Ali Alhussein Alsistani che all'inizio di giugno aveva ricevuto il Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, Monsignor Giorgio Lingua.
Purtroppo l'incontro non ha avuto luogo. Secondo quanto riferito ad Al Sumaria dalla direttrice dell'ufficio informazione del dipartimento per i non musulmani (cristiani, mandei, yazidi ed ebrei) dell'Awqaf, il ministero che si occupa delle proprietà religiose in Iraq, il Cardinale Delly non aveva fissato un appuntamento con il Grand Ayatollah che era in quel momento occupato nella visita alla moschea dell'Imam Khadim, il settimo imam degli sciiti, per ricordarne il martirio.
Una versione, questa del mancato accordo preventivo sull'eventuale incontro, confermata da fonti vicine all'ufficio del leader religioso sciita che hanno negato altri motivi a giustificazione della mancata accoglienza al Cardinale Delly, ma messa in dubbio da altre fonti sempre riferite da Al Sumaria che riferiscono invece di come al Cardinale ed al suo entourage sia stato detto dall'ufficio di Alsistani che il Gran Ayatollah non avrebbe potuto ricevere la delegazione cristiana per motivi di salute.
Il mancato incontro ha suscitato il disappunto di alcuni rappresentanti della società civile di Najaf che, come riferito da Ankawa.com, hanno parlato di un'occasione mancata per unire il popolo iracheno e per sviluppare legami di fratellanza ed hanno sottolineato come sarebbe stato meglio per il Grand Ayatollah ricevere la delegazione cristian piuttosto che scusarsi per non averlo fatto.
Una fonte anonina del governatorato di Najaf ha riferito che il Cardinale Delly prima di tornare a Baghdad ha incontrato lo sceicco Jabar al Khafaji, esponente dell'Ufficio del Martire Sadr, l'organismo politico creato dallo sciita Muqtada Al Sadr in memoria del padre, il Grand Ayatollah Muhammad Sadiq al-Sadr, ucciso dal regime nel 1999.
Per ora nessun commento sul mancato incontro da parte del patriarcato caldeo è stato pubblicato dai siti iracheni cristiani.

Khanaqin. Una chiesa vuota. Il triste destino degli iracheni cristiani.

By Baghdadhope*
Foto di Ankawa.com

Un articolo di Ankawa.com descrive, partendo dalla storia di un edificio religioso, la fuga degli iracheni cristiani dalla madrepatria.
La chiesa caldea dell'Annunciazione si trova a Khanaqin, una piccola cittadina quasi al confine con l'Iran, ed un tempo neanche troppo lontano serviva la comunità cristiana dell'area e gli stranieri di fede cristiana che lavoravano nella vicina raffineria di Alwand, dal nome del fiume che passa attraverso l'abitato.
Costruita dal sacerdote caldeo Boutrous Yousef Shaya negli anni 50 del 900 grazie al contributo delle famiglie cristiane ed alla donazione del terreno da parte di una fedele la chiesa, secondo quanto riferito ad Ankawa.com un abitante del luogo, ha perso negli anni tutti i suoi fedeli.
"Nel periodo della guerra contro l'Iran (1980-1990) e nei successivi anni 90" ha spiegato Abd Almuhsin Fadhil "le famiglie cristiane hanno iniziato a lasciare Khanaqin e dal 2003 non è rimasta praticamente nessuna."
Una chiesa senza fedeli quindi. Una chiesa abbandonata e, come riferisce il ricercatore Omar Ali Sharif: "una chiesa danneggiata dalle operazioni militari e dai soldati."
Il triste, simbolico epilogo della secolare presenza della cristianità in Iraq.

Sotto la stessa Croce. I giovani iracheni ed egiziani a Madrid

By SIR

Porteranno la Croce anche nella Plaza de Cibeles di Madrid. Non solo in Iraq ed in Egitto dove vivono quotidianamente storie di violenza, di soprusi, di ingiustizie a causa della loro fede in Cristo.
Il tema della XXVI Giornata mondiale della Gioventù di Madrid (16-21 agosto), tratto dalle parole di San Paolo, “Radicati e fondati in Cristo e saldi nella fede”, li interpella da vicino ed è per questo che il Pontificio Consiglio per i Laici ha chiesto di loro di portare la Croce in due stazioni della Via Crucis, in programma il 19 agosto.
I giovani egiziani ed iracheni saranno a Madrid per la Gmg insieme ai loro coetanei mediorientali, per portare, certo, una ventata di “primavera araba” in Europa, ma anche per far sentire il respiro affannato delle loro Chiese locali, sempre più in difficoltà davanti ad un rinascente fondamentalismo islamico.

Egitto. Mons. Makarios Tewfik, vescovo di Ismayliah dei Copti, racconta al SIR, che “a partire saranno almeno 4 gruppi per oltre 300 giovani, 115 organizzati dalla Commissione episcopale per i giovani, 110 neocatecumenali, 55 di una corale appartenente al movimento “Esprit vivant” di Alessandria, ed altri della comunità greco-melkita”. Per loro è prevista anche la partecipazione ai ‘Giorni nelle diocesi’: i giovani dell’Esprit vivant saranno ospitati dalla gemella francese di Bayonne. “Ma con tutti ci ritroveremo a Madrid” aggiunge mons. Tewfik che in Spagna terrà le catechesi ai gruppi di lingua araba e tre celebrazioni. “Veniamo dall’Egitto – dice - per testimoniare la potenza della preghiera e la forza della fede, che tanto ci hanno aiutato e ci stanno aiutando per orientare al bene il futuro del nostro Paese. Eravamo consci che la situazione politica interna non poteva continuare in quel modo e non potevamo non pregare per l’Egitto avendo fiducia nella Provvidenza che ha agito in modo miracoloso. La fede spinge la preghiera e questa ci dona speranza in un futuro migliore per tutti gli egiziani”. Una determinazione che i giovani egiziani stanno mettendo anche in questo tempo di preparazione a Madrid dove vogliono arrivare pronti a confrontarsi con i loro coetanei. “Grande è stata la gioia quando abbiamo avuto la notizia che una rappresentanza di 10 nostri giovani porterà la Croce durante una stazione della Via Crucis. Con noi ci saranno anche 10 giovani dall’India. È significativo che ci siano anche giovani cattolici dei Paesi arabi a portare la Croce in quello che è uno dei momenti forti della Gmg”. Dopo tanta gioia anche un velo di preoccupazione, quella che “alcuni dei nostri giovani non facciamo ritorno in Egitto, decidendo di restare in Europa. “La paura c’è – ammette il vescovo – per questo sentiamo la responsabilità di scegliere tra quei giovani più impegnati certi che faranno rientro. La Chiesa egiziana confida molto nei suoi giovani per rinnovarsi ed è proprio il rinnovamento il frutto che chiediamo alla Gmg per la nostra Chiesa locale. Stiamo pregando perché questi giovani pellegrini siano i semi di un rinnovamento per la chiesa egiziana e per tutto l’Egitto”.

Iraq. Padre Saad Sirop Hanna, parroco a Baghdad, è il responsabile del gruppo “Baghdadhope” formato da giovani di Baghdad e Kirkuk, 86 in tutto, 65 dalla capitale e 21 da Kirkuk. Sono giovani cattolici latini, caldei, armeni e siriaci. Sarà lui con altri 5 sacerdoti e tre suore ad accompagnare i giovani iracheni a Madrid. Con loro anche il vicario patriarcale caldeo della capitale, mons. Shlemon Warduni. Prima tappa a Malaga, per i “Giorni nelle diocesi” poi tutti a Madrid. L’obiettivo, spiega al SIR il parroco, è “dare una testimonianza di una chiesa sofferente ma viva e credente. Partiamo con entusiasmo per incontrare Benedetto XVI e i giovani di tutto il mondo sperando di tornare a casa più forti per poter lavorare alla riedificazione anche spirituale del nostro Paese”.
“Vogliamo far sapere al mondo che in Iraq ci sono ancora giovani che testimoniano Cristo nella loro vita quotidiana fatta di difficoltà, pericoli e priva di certezze per il futuro. Chiediamo alla Chiesa universale di sostenerci affinché la voce cristiana non si spenga in Medio Oriente e in Iraq in particolare”.
Dal 2003 la violenza settaria e fondamentalista si abbatte sui cristiani iracheni. Gli episodi di uccisioni, saccheggi, conversioni forzate e rapimenti non si contano più, anche se adesso la situazione sembra migliorata, ma l’incertezza è sempre dietro l’angolo. Ne sa qualcosa padre Hanna che nel 2006 fu rapito e torturato per 27 giorni, prima di essere liberato. È comprensibile allora la gioia di sapere che anche i suoi giovani iracheni “porteranno la Croce nella Via Crucis con il Papa. Ci stiamo preparando a questo evento. Ma in fondo – aggiunge - la nostra vita è una Via Crucis quotidiana”. “Il tema della Gmg che ci chiede di restare saldi nella fede e radicati in Cristo anche quando si è circondati da violenza, abuso, mancanza di diritto e di giustizia, quando si paga anche per la propria religione. Tuttavia siamo chiamati a farlo per spirito di appartenenza alla Chiesa, lavorando sul terreno del dialogo con il mondo musulmano. Come giovani vogliamo ravvivare le parrocchie ed il nostro Paese, e la Gmg ci può aiutare. I giovani sono il nostro futuro”.
E se qualcuno resterà in Europa? “La tentazione esiste – conferma il sacerdote caldeo - tuttavia, coloro che verranno a Madrid sono stati scelti dai loro sacerdoti e vescovi tra quelli più impegnati nelle chiese. Uscire per poi tornare a casa sarà un’altra grande testimonianza e spinta forte a ripetere l’esperienza anche il futuro”.

Anglican Priest Given Prestigious Religious Freedom Award

By The Christian Post, Jun. 23 2011
by Daniel Blake


The affectionately named “Vicar of Baghdad”, Canon Andrew White, has been named as this year’s recipient of the prestigious International First Freedom Award for his extraordinary commitment to peace-keeping and religious freedom in Iraq.

Past winners include former British Prime Minister Tony Blair in 1999 for his efforts in the Northern Ireland peace process; former Czech President Václav Havel for his role in Charter 77 and the Velvet Revolution; as well as three-time Nobel Peace Prize nominee Father Elias Chacour, founder of Israel’s Mar Elias Educational Institutions.
The awarded was announced by the First Freedom Center, an American institute existing to advance freedom of religion and conscience.

President of the center Ambassador Randolph Bell, said: “We are proud to name Canon White the winner of the International First Freedom Award. This prestigious award recognizes individuals who have demonstrated extraordinary commitment to the advancement of religious freedom – the freedom of conscience.
The judging committee unanimously selected him because of all he has done to advance religious freedom; his longstanding and highly effective commitment to this fundamental human right.”
White upon hearing the news reacted in a characteristically modest fashion, saying: “I am truly touched and rather surprised to be awarded such a prestigious honor.
“To be considered a worthy recipient and to stand alongside such venerable past beneficiaries - me, a priest in downtown Baghdad - is just a wonderful honor,” he said.
The Vicar of Baghdad, as he is widely-known, has been a steady voice amidst violence and political upheaval that has engulfed and changed Iraq beyond recognition since 1998.

White has established himself as a central figure in political, diplomatic and religious circles trying to find solutions to violence and tensions in the Middle East country.
He has been the vicar of a 1,300-member St. George’s Anglican Church in Baghdad where he has shared in the struggles of the depleting Iraqi Christian population.
White is perhaps the most distinguished Christian working in the Middle-East, and has worked in close contact with the administrations of the U.S. and U.K. governments as well as Iraqi, Israeli and Palestinian leaderships.
White has also been presented by the U.S. Supreme Military of the Order of the Knights of Jerusalem, their highest award – the Cross of Valor. He is the only recipient of this high honor in living history, for his extraordinary heroism beyond the call of duty involving personal hazard and danger and the voluntary risk of his own life for his compassion towards others in the region.

White has been an essential voice in explaining to the world exactly the situation and reality Christians in Baghdad and Iraq are finding themselves in. He has previously explained how Iraqi Christians have often been criticized and rebuked due to being associated with a “Western religion”. He has said, “Whether we like it or not, the fact is that the Christians are targeted (in Iraq) because they are seen as belonging to a Western religious tradition. It is seen as an immoral tradition. It is seen as a tradition that does not uphold values. It is seen as a tradition that does not uphold the respect for the kind of issues that the Islamic religion holds as very significant to them,” said the Anglican priest.
White has also highlighted how the entire thought process of culture and life in Iraq varies from that in the West. He has said that Mideast Muslims do not only consider the attitude of the church, but of the entire Western society as representing the Christian faith. He said in the Middle East there is no sense of distinction between religion and state. Therefore what happens in America is associated as being part of Christianity by Muslims in Iraq and beyond.
“It doesn’t happen in Iraq. You can’t separate religion and politics. Religion and politics are intrinsically related,” said White.
White’s contribution to the reconciliation process in Iraq has been testified as exemplary by political and religious leaders alike. The Director of the Foundation for Relief and Reconciliation in the Middle East (FRRME), Peter Marsden said, “Canon White has a unique ability to bring together people from across the sectarian divides for substantive and constructive dialogue.

“Through relationships forged of hard-earned trust, he is able to broker talks that have had lasting effects, especially on the violence against minority religious groups,” he said.
“This includes less well-known groups such as the Yazidis and the Mandeans, as well as the indigenous Christian minority,” Marsden added.
The director of FFRME, of which White is the president, continued saying: “Canon White’s friends and colleagues at FRRME are delighted that he has been honored with the International First Freedom Award. This award is a huge encouragement to us all as we travel the difficult and dangerous path towards freedom of conscience and religion in Iraq; a land riven with sectarian violence.
While the situation in Iraq is much improved relative to the dark days of 2005-2007, sectarian violence in Iraq still costs the lives of more than 4,000 civilians every year. Nearly 300 still perish every month, with two fatal bombings in an average day.”
He concluded: “This award comes as welcome recognition for the work achieved thus far, but there is much still to be done.”

Canon White will be presented with the award in Virginia in January 2012.

Small Kurdistan suburb is refuge for persecuted Iraqi Christians

By The National, Jun 23, 2011
by Rebecca Bundhun

Ankawa/Alin Sarahat fled Baghdad five years ago with his parents, brother and two sisters after the family received death threats from anti-Christian terrorists.
The warning was scrawled on paper and left on their doorstep. "Leave Baghdad, or we will kill you," it read.
The family packed their bags, left the same day and headed north.
Mr Sarahat, now 19, and living in Ankawa, a small Christian suburb of Erbil in Iraqi Kurdistan, is one of many Iraqi Christians there who say they have no intention of returning to their hometown. They say they fear the situation will worsen if American troops leave at the end of the year.
"There's no future here" in Iraq, said Mr Sarahat, who now works in an internet cafe in the town.
Thousands of Iraqi Christians left Iraqi cities amid bombings of churches, kidnappings and murders since the US-led invasion in 2003.
While many left the country, some fled to towns in northern Iraq, such as Ankawa, in Erbil, the city in which the Kurdistan regional government is based.
In this small laid-back district, festive lights in the shapes of Christmas trees and doves line the street throughout the year. Large, picturesque churches stand on streets with off-licences, bars and small shops.
Muslims account for 97 per cent of Iraq's population. Christian leaders estimate that the number of Christians in Iraq in 2003 ranged between 800,000 and 1.4 million. Now they estimate between 400,000 and 600,000 Iraqi Christians have stayed in the country.
In an attack on the Catholic Our Lady of Salvation Church in Baghdad last year, more than 50 people were killed in a hostage-taking by Al Qaeda-linked gunmen.
Erbil absorbed more than 830 displaced Christian families after the attack, according to the International Organisation for Migration. Many more Iraqi Christians have also moved to Dohuk and Sulaymaniyah.
Christians say they feel safe in Ankawa, but explain they are somehow in limbo, and have now resigned themselves to the fact that there is no hope of returning home.
"You need to have hope and a future for the family," said Karam Kamal, 27, who left Mosul after he received death threats for being a Christian. He manages a telecoms store in the town.
He said his uncle was murdered in Mosul, shot in a shop near his home. Mr Kamal did not take any chances and left his home, friends and most of his belongings. He has been living in Ankawa for five years, but his plan is to leave the country.
He said he was not sure where he would go, but probably somewhere in North America or Europe.
Nawar Oghanna, 24, a business management student at the University of Kurdistan, who also fled Baghdad, said he would never go back.

21 giugno 2011

Vescovi Medio Oriente: Temiamo in Siria un altro Iraq

(ASCA) - Venezia - I patriarchi ed i vescovi delle Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa sono gravemente preoccupati di quanto potrà ancora accadere nei loro Paesi, tra l'altro perché la rivoluzione, dove c'é stata, ha lasciato lo spazio a prospettive di incertezza. Le incognite più pesanti, come ha detto Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei, riguardano la Siria. "Noi Vescovi di Siria abbiamo paura, perché è reale il rischio di diventare come l'Iraq" - ha affermato il presule in un ricevimento in Comune a Venezia, dove il patriarca Angelo Scola ha accompagnato i più autorevoli partecipanti al Comitato scientifico di Oasis, in corso in laguna - Quella della Siria di oggi è una questione molta complessa, perché, da cinquant'anni siamo in un regime militare, condizionato dall'ideologia del socialismo sovietico e ci si trova di fronte a un radicale cambiamento, per cui si deve sapere come dialogare e non è facile farlo nella verità. Questo, come l'abbandono della violenza, è il nostro problema di oggi. Spero che lo Stato siriano - ha concluso - sappia fare le riforme parlando nella verità. E spero che l'aiuto degli altri Paesi, come Egitto e Tunisia con la loro esperienza, ci darà una mano per uscire dalla situazione attuale salvi e nella pace".
Preoccupato anche il cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria d'Egitto. "Non mi sarei mai aspettato di sentire ripetere dall'Islam ufficiale del mondo sunnita, come è avvenuto nelle ultime ore, la dichiarazione che si vuole una Costituzione che garantisca una società civile e democratica e mai passata a un gruppo religioso, di qualunque corrente esso sia. Lo sono nonostante le tante nuvole che possono apparire, che non fanno però venire meno la speranza in un futuro migliore".
Più ottimista l'arcivescovo di Algeri, Bader Ghaleb Mmoussa. "Qualsiasi cosa accada, il 2011 resterà nella storia del Nordafrica e del Medio Oriente come l'anno di svolta, perché né l'uno né l'altro saranno più come prima. In questi giorni abbiamo discusso e messo insieme molte opinioni su questi territori, essendo tutti concordi che la sfida che ci aspetta è quella di riscriverne il futuro dopo questa svolta".
Pesanti le accuse all'Italia e all'Europa dell'arcivescovo di Tunisi, Maroun Lahham. "Razzismo è una parola troppo forte; ma, senza dubbio, in Italia c'é un po' di pregiudizio nei confronti dei nordafricani: se i profughi fossero stati polacchi, le cose non sarebbero andate così. In questi giorni si parla molto di noi: in positivo per la transizione democratica, meno positivamente per il fenomeno dell'emigrazione, che ne è uno dei risultati. Il fenomeno va comunque letto in una prospettiva umana, sperando che questa transizione abbia buon esito, perché sarebbe la primissima volta che un Paese arabo-musulmano, restando tale al cento per cento, avrebbe un regime democratico, che speriamo ci aiuti ad aprire un nuovo orizzonte, sia per la presenza che per il lavoro della Chiesa in Tunisia".

Delegati Iraq da Frattini: sostegno alla riconciliazione

By AGI, 20 giugno 2011

Sostegno alla riconciliazione nazionale, tutela delle minoranze cristiane e contributo alla ricostruzione.
Sono i temi al centro dell'incontro domani alla Farnesina tra il ministro degli Esteri, Franco Frattini e una delegazione irachena, guidata dal responsabile per la Riconciliazione nazionale del governo di Bagdad, Ahmer Al Khizai e composta da parlamentari in rappresentanza di tutte le formazioni, sadristi inclusi.
L'incontro segue la visita compiuta dal capo della diplomazia lo scorso 8 giugno nella capitale irachena, dove aveva partecipato ai lavori della seconda riunione della commissione mista bilaterale e firmato una serie di intese, tra cui un accordo sulla promozione e protezione degli investimenti.
Agli esponenti iracheni - in Italia per partecipare ad un seminario a Bolzano dedicato all'esperienza dell'Alto Adige, organizzato nell'ambito del programma Ipalmo di sostegno al dialogo finanziato dalla Direzione generale affari politici del ministero degli Esteri -, Frattini rinnovera' in particolare il sostegno al processo di riconciliazione e ribadira' il desiderio dell'Italia di rimanere interlocutore politico primario e partner commerciale privilegiato.
Proprio sul fronte della cooperazione economica, si conferma l'interesse del mondo imprenditoriale italiano a partecipare alla ricostruzione ed in particolare a progetti come la diga di Mosul e il porto di al Faw.
Aspettativa simile anche per una maggiore collaborazione in materia di dotazioni per la difesa.
Nel corso dell'incontro, Frattini tornera' a porre l'accento sulla difesa delle minoranze religiose, ed in particolare quelle cristiane, auspicando la promozione da parte del governo iracheno di politiche attive di tutela e sostegno.

Iraq: Warduni (Baghdad) 150 giovani iracheni a Madrid per la GMG

By SIR

Sono 150 i giovani iracheni che partiranno per la Giornata mondiale della Gioventù di Madrid ad agosto. A rivelarlo al SIR è il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni che guiderà la delegazione. “Partiranno in oltre 150 – spiega il vicario - di cui circa la metà dalla capitale, gli altri dal resto del Paese. Per loro, ma anche per altri giovani dai Paesi arabi terrò tre catechesi in lingua araba sui seguenti temi: ‘Radicati in Cristo’, ‘Saldi nella fede’ e ‘Testimoni di Cristo nel mondo’”.
Intenso anche il cammino di preparazione: “l’organizzazione ha già promosso due incontri nella chiesa di san Giuseppe a Baghdad, che ha coinvolto molti giovani che hanno, anche, mobilitato le loro parrocchie per racimolare dei soldi per permettersi il viaggio e l’iscrizione alla Gmg. Questo è molto significativo e mostra una chiesa locale molto viva nonostante la situazione nel paese resti molto tesa”.
A livello politico, dichiara mons. Warduni, “non c’è accordo tra i leader politici e questo non aiuta la stabilizzazione del Paese. La ricostruzione procede ma con lentezza, il mercato offre le materia necessarie, ciò che manca è l’unità. Senza di questa nel Paese non si può fare nulla. Ed è anche per questo motivo che i cristiani continuano ad emigrare. Ora che finiranno gli esami scolastici molte nostre famiglie abbandoneranno il paese. Un nuovo esodo è alle porte”.

Iraq: Warduni (Baghdad) 150 young Iraqis in Madrid for the WYD

By SIR

150 young Iraqis will go to the World Youth Day of Madrid in August.
It was revealed to SIR by the Chaldean Patriarchal Vicar of Baghdad, mgr. Shlemon Warduni, who will lead the delegation. “Over 150 of them will go – the Vicar explains –, about one half of them from the capital, the rest from all over the country. For them, as well as for other young people from the Arab countries, I will hold three catecheses in Arabic about these subjects: ‘Rooted in Christ’, ‘Firm in faith’ and ‘Witnesses of Christ in the world’”.
The preparatory process is also intensive: “the organisation has already promoted two meetings in the Church of Saint Joseph in Baghdad, which involved lots of young people who also mobilised their parishes to raise funds, so that they could afford to travel to and register in the WYD. This is very significant and shows that the local church is very lively, although the situation in the country is still very tense”. Politically, mgr. Warduni states, “there is no agreement between the political leaders, and this is not helping the country’s stability. The rebuilding process is going on but slowly, the market is supplying the required materials, what is missing is unity. Without it, nothing can be done in the country. And this is partly why Christians keep emigrating. Now that the school exams are about to finish, many of our families will leave the country. A new exodus is looming ahead”.

20 giugno 2011

Conference to look at Christian faith in Palestine and the Middle East today

By World Council of Churches



The volatile and precarious situation of Christians in the Middle East was of deep concern to the members of the February 2011 meeting of the World Council of Churches (WCC) Central Committee, and it will be highlighted in an upcoming conference on Christians in the Middle East to be held in Greece.

With the diminishing presence of Christians in the region, the Central Committee said in a public statement in February, the “conviviality among peoples from different faiths, cultures, civilizations, which is a sign of God’s love for all humanity, will be endangered.”
The Central Committee also called for a major conference on this issue for 2012. One part of this effort is an upcoming conference in Volos, Greece, from 20 to 22 June to explore the situation from a theological, ecumenical, cultural and political perspective.

The reality for the Christian community in the Middle East is quite stark as more and more stories in the public media tell of Christians fleeing the region or feeling increasingly threatened, even in the context of the recent democracy movements.


In Iraq alone the Christian population has declined by nearly half during the past decade.

In Egypt, there has been heightened violence between Muslims and Christians since the downfall of former president Mubarak.

And in Israel and Palestine, Palestinian Christians in the West Bank and Gaza continue to live under the pressure and humiliation of the Gaza blockade and Israeli occupation.

Christian churches in the Middle East have shown signs of decline despite their continuous historical presence in different countries in the region where many of them embody a heritage of ancient patriarchal jurisdictions. This has become a growing concern as the churches there struggle to maintain their presence and at the same time contribute to a culture of peace.

The Volos conference is co-sponsored by the WCC and Volos Academy for Theological Studies, which is a programme of the Holy Metropolis of Demetrias. Titled “Living Christian Faith in Palestine and the Middle East Today: Theological and Political Challenges in Orthodox and Ecumenical Perspectives”, its participants will explore the theological, ecumenical and political perspectives of living as a Christian in the Middle East.

A subsequent visit by the Echos - Commission on youth in the ecumenical movement to Lebanon to explore how Christian youth are dealing with the realities of the church in the Middle East will take place in October. The WCC Central Committee has recommended “convening an ecumenical international conference in 2012 to address the new challenges Christians are facing in the Middle East, in collaboration with the churches in the region.”

For the situation of Christians in Iraq the speaker will be Deacon Sevan Nazareat Sankrim, Armenian Orthodox Archdiocese of Baghdad



More information about the programme of the conference

Churches in the Middle East: solidarity and witness for peace




19 giugno 2011

I Vescovi tedeschi: per aiutare i cristiani dell’Iraq “priorità al lavoro”


Nella difficile situazione che vivono i cristiani in Iraq, mentre “l’esodo dei fedeli continua”, “le priorità sono la pace e il lavoro”: è quanto dice in una intervista all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Ludwig Schick, Arcivescovo di Bamberga, a capo di una delegazione della Conferenza Episcopale tedesca che ha concluso oggi, 18 giugno, un viaggio in Iraq.

Mons. Schick, Presidente della Commissione episcopale per la Chiesa universale, annuncia a Fides che i Vescovi tedeschi intendono aiutare la Chiesa irachena ad avviare scuole di formazione professionale e ad aprire a Erbil un apposito ufficio che, grazie a esperti dall’estero, realizzi progetti di sviluppo sociale ed economico, a beneficio delle comunità cristiane.
Eccellenza, da quanto avete visto, qual è la situazione dei cristiani in Iraq?
La situazione dei cristiani è differente a seconda delle aree. In luoghi come Mosul e Baghdad vi sono attentati ed episodi di persecuzione che si incrociano con atti di criminalità comune, estorsioni, discriminazioni. Ma non si può parlare di “persecuzione generalizzata”, bensì di difficoltà e sofferenze. Nella zona del Kurdistan (Nord del paese) invece, vi sono pace e sicurezza, per questo molti cristiani sono fuggiti dal Sud al Nord. Ma tanti soffrono ugualmente perchè non hanno il necessario per sopravvivere e per questo vogliono lasciare il paese: anche per queste ragioni l’esodo continua e i Vescovi iracheni sono preoccupati perché i fedeli abbandonano la terra di Abramo.
Cosa fa il governo e cosa si può chiedere alle autorità civili?
Abbiamo parlato con diversi ministri che si sono detti aperti e hanno ribadito l’impegno a tutelare la vita dei cristiani. Credo che, per fermare questo esodo, le priorità siano la pace e il lavoro, che garantisce la sopravvivenza e il benessere. Per trovare lavoro occorre la formazione professionale: per questo abbiamo individuato, come Chiesa tedesca, questo settore concreto di impegno, per aiutare le Chiese locali.
In quale modo le aiuterete?
La Conferenza Episcopale, con Caritas e Misereor, intende aiutare la Chiesa irachena ad avviare scuole di formazione professionale nel settore dell’agricoltura, dell’ediliza, del turismo, del settore alberghiero. Crediamo che in tal modo si possano aiutare le Chiese locali a dare un futuro ai cristiani e a tutto l’Iraq. Per questo è in programma l’apertura di un apposito ufficio a Erbil, che coordini il lavoro e sviluppi progetti della Chiesa. L’ufficio si avvarrà di esperti dall’estero, per valutare le situazioni e avviare progetti a beneficio dei cristiani. I Vescovi e i fedeli hanno buona volontà, ma occorre un aiuto dall’estero, e questo è il nostro compito.
Avete incontrato anche dei leader musulmani: il dialogo interreligioso resta un sfida?
Abbiamo incontrato leader musulmani moderati e aperti al dialogo. Questi, rimarcando che non solo i cristiani sono vittime delle violenze e dal radicalismo musulmano, sostengono che urge unire tute le forze buone per eliminare il radicalismo. Ma esistono anche leader musulmani radicali che vogliono una società solo islamica. Dunque il dialogo è una sfida aperta ma, come dicono i Vescovi iracheni, resta l’unica via possibile, su cui proseguire con ogni sforzo.
Quali speranze vede per i cristiani dell’Iraq?
Le speranze ci sono in quanto, come cristiani, confidiamo nell’aiuto e nella grazia di Dio. Inoltre anche i leader politici affermano che i cristiani sono molto importanti per il futuro della nazione, in quanto portatori di valori e di un umanesimo che può aiutare i gruppi religiosi e sociali a unirsi e costruire una società armoniosa, giusta e fraterna.

La Chiesa tedesca a sostegno della comunità cristiana, in gravi difficoltà, in Iraq


Si è conclusa ieri la visita in Iraq della delegazione della Conferenza episcopale tedesca volta a sostenere le comunità cristiane del Paese. Davanti alle perduranti difficoltà dei fedeli iracheni, la Chiesa in Germania ha voluto esprimere solidarietà ed incoraggiamento ed individuare modalità efficaci di aiuto mediante colloqui con responsabili ecclesiali e autorità politiche. A guidare la missione è stato mons. Ludwig Schick, arcivescovo di Bamberg e presidente della Commissione “Chiesa mondiale” dell’Episcopato tedesco.

Anne Preckel della redazione tedesca, ha raccolto le sue impressioni.
La situazione a Baghdad è molto diversa dalla situazione a Erbil, dove mi trovo ora; e la situazione a Kirkuk o a Mosul è ancora diversa. E’ necessario tenere in conto le differenze tra queste città. Nel Sud dell’Iraq, i cristiani sono perseguitati mentre qui, nel Nord, vivono in pace. Lo stesso governo del Kurdistan sostiene i cristiani: possono costruire case e trovare lavoro … Se noi vogliamo portare il nostro aiuto e la nostra solidarietà, dobbiamo fare una distinzione tra queste diverse situazioni.
Tanti cristiani vanno via dall’Iraq: come si può evitare questo? I cristiani, tra gli altri, sono importanti per la costruzione del tessuto sociale …
E’ molto importante, che i cristiani rimangano, perché i cristiani hanno la migliore formazione: tra loro ci sono medici, insegnanti, professori. I cristiani hanno un umanesimo che aiuta anche i musulmani – sciiti, sunniti – e possono unire i diversi gruppi a formare una comunità: per questo sono necessari.
Ci sono stati progressi, ultimamente?
Il governo del Kurdistan ha formato una polizia cristiana; nelle città del Nord che ho nominato c’è sicurezza. Però, è necessario continuare nella costruzione della sicurezza, si devono creare posti di lavoro, si devono creare le condizioni di vita. E noi tedeschi dobbiamo aiutare la Chiesa caldea in Iraq, affinché possa instaurare scuole professionali e dare una prospettiva ai cristiani.

15 giugno 2011

Syria - Bishop defends response to revolt

By Aid to the Church in Need

In a strongly worded defense of President Bashar al-Assad’s response to the protests and instability, Bishop Antoine Audo accused the media, including the BBC and Al Jazeera, of “unobjective” reporting, unfairly criticizing the Syrian regime.

The Jesuit, who is the Chaldean Catholic Bishop of Aleppo, went on to warn that if Assad’s government was overthrown, it would cause widespread instability, a breakdown of basic services such as electricity, increased poverty and a drive towards Islamization.
Speaking from Aleppo in an interview with Catholic charity Aid to the Church in Need (ACN), Bishop Audo said, “The fanatics speak about freedom and democracy for Syria, but this is not their goal.”
“They want to divide the Arab countries, control them, seize oil and sell arms. They seek destabilization and Islamization.”
“Syria must resist – will resist. 80 percent of the people are behind the government, as are all the Christians.”
Bishop Audo warned that if President Assad was ousted, Syria would suffer the problems of Iraq post Saddam Hussein, with a widespread breakdown of law and order.
“We do not want to become like Iraq. We don’t want insecurity and Islamization and have the threat of Islamists coming to power.”
“Syria has a secular orientation. There is freedom. We have a lot of positive things in our country.”
The bishop was speaking after reports on Monday, June 13th, of a third refugee camp being set up on the border between Turkey and Syria amid no sign of an end to the violence and instability dating back to the end of January.
The Syrian government has been strongly criticized for a hard-line military response to the uprising amid reports that the security forces have killed hundreds of protestors and injured many more.
United Nations Secretary-General Ban Ki-moon has condemned Syria’s armed retaliation against protestors as “unacceptable.”
But the bishop stressed the scale of violence against Assad’s regime, saying how more than 100 police were killed within a few days and added that the government had a right to defend itself.
He said, “In some media organizations, such as the BBC and Al Jazeera, there is an orchestration to deform the face of Syria to say the government does not respect human rights and so on.”
“The government respects people who respect law and order. Syria has a lot of enemies and the government has to defend itself and the country.”
“There is a war of information against Syria. The media reporting is unobjective. We have to defend the truth as Syrians and as Chaldeans.”
Stressing how the violence was centered on the country’s borders, especially in the north, overlooking Turkey, he said that for most people in the Aleppo area, there was relative calm.
But he did warn of increasing poverty, transportation and other communications problems and described growing unemployment.
He said, “Generally, life in Aleppo is very normal. Everything is continuing, but there is less work and transportation is poor.”
In a reference to the country’s 1.5 million Christians, he said, “Our situation as Christian faithful is not really any different from other communities. We want peace and security.”
“We do not want war and violence, and we very much hope that in the next few weeks the situation will be better.”

As a Catholic charity for persecuted and other suffering Christians, Aid to the Church in Need has worked with Bishop Audo to provide long-standing emergency aid for thousands of Christian refugees arriving in Syria from Iraq.

Don Robert che resta a Baghdad

By Vino Nuovo, 15 giugno 2011
di Simone Sereni,


«Le famiglie rimaste sono probabilmente anche quelle dalla fede più profonda. Mi hanno mostrato il senso della mia e loro presenza»


"Don Robert vai in Italia, mi hanno detto. Ma tornerai? L'Italia è bella. Secondo me ti verrà voglia di fermarti lì". "Torno, Istfan, fidati".
Istfan è un giovane iracheno che sostiene di essere "l'ultimo cristiano che lascerà Baghdad". Don Robert è Robert Jarjis, quasi 40 anni, da 3 anni prete cattolico di rito caldeo. Da pochi mesi è il parroco della comunità di Santa Maria Assunta in Cielo di Baghdad, poco più di 120 famiglie.
Un piccolo resto.
Sono le famiglie più povere e i più anziani, quelli che non hanno potuto o voluto lasciare la loro casa per scappare al nord, nel territori controllato dai curdi, dove la vita è un po' più facile per i cristiani. Oppure, via dall'Iraq, prima in Giordania o Siria magari. Poi, chissà da qualche parte in Occidente, se riescono. "Le famiglie rimaste - dice don Robert - sono probabilmente anche quelle dalla fede più profonda". E don Robert vuole restare con loro "perché proprio queste famiglie mi hanno dato il coraggio e mi hanno mostrato il senso della mia e loro presenza. Riescono a creare cose belle con niente".

Il ritorno a casa


Dopo sei anni di seminario e studi a Roma, Robert Jarjis è tornato - da prete - in Iraq e nella sua città d'origine. È tornato subito dopo la strage del 31 ottobre 2010, messa in atto da un gruppo legato ad Al Qaeda, che ha spezzato 52 vite nella chiesa cattedrale della Madonna del Perpetuo soccorso (Saiydat al Nayat). Tra le vittime, due preti amici. Un "olocausto" lo ha definito don Robert in un'intervista rilasciata a Tracce solo pochi giorni dopo la strage.

Si veniva da due anni di relativa calma, un tempo in cui sembrava che le cose lentamente stessero cambiando per il meglio.
Don Robert non può nascondere un certo rimpianto per i tempi di Saddam: "Dopo il tiranno Saddam, sunnita e laico, l'Iraq è stato depredato e per i cristiani la vita è divenuta durissima. Vengono emarginati da tutte le possibilità di lavoro, che in genere vengono riservate a sciiti, ora al potere, e sunniti. E a Bagdad, poi, la vita è davvero cara".
Un rimpianto testimoniato anche da un giovane biologo cristiano Bassam Anis (fonte: bagdadhope.blogspot.com) - uno di quelli che ha deciso di espatriare e ha potuto farlo: "Il 9 aprile 2003 (il giorno della caduta del regime) è stato un giorno disastroso per noi. Non perché la nostra vita prima fosse un granché. Ma perché è stata davvero peggiore dopo".
Eppure, don Robert resta a Baghdad. Nonostante tutto questo.

L'insicurezza dei cristiani e la "morte silenziosa"


Don Robert resta nonostante i cristiani iracheni vivano in un clima di grave insicurezza.

La si potrebbe definire una persecuzione a bassa intensità, nonostante i continui impegni di tutela della minoranza cristiana manifestati dal governo iracheno a maggioranza sciita.
Tutta la vita di fede deve avvenire nell'ombra. Si rischia anche solo nel tragitto da casa alla chiesa per la messa, soprattutto le donne, che caduto il regime, hanno smesso il velo e sono facilmente riconoscibili come cristiane.
E resta nonostante la "morte silenziosa".
"Nella mia zona - spiega il sacerdote - è diffusa e famigerata la pistola col silenziatore. La morte da noi ora arriva in silenzio. E nessuno quasi ci fa più caso. Una volta ero in auto con un amico della parrocchia (a piedi è sempre e comunque pericoloso girare per la città, soprattutto se sei cristiano); passiamo da uno dei tanti check point che punteggiano Bagdad, alcuni dei quali non controllano proprio niente e nessuno. La guardia ci osserva da lontano. Mentre gli passiamo accanto si accascia improvvisamente. Per me, senza alcun preavviso. Io chiedo al mio 'autista' di fermarsi perché quell'uomo deve aver avuto un malore: 'Ma non hai visto?'. 'Ma non sta male. È morto. Vedi quella strisciolina di sangue sotto la testa? Lo hanno freddato col silenziatore. È morto. Lascia stare, non scendere'.
Si muore, e la gente si stringe nelle spalle".
Don Robert resta con Istfan. Perché non sia mai l'ultimo cristiano a lasciare Baghdad.

Storia religiosa: il Cristianesimo dal Mediterraneo al Mar della Cina

By SIR

“La diffusione del vangelo a oriente dell’Impero romano ha fatto nascere in Asia fin dall’antichità varie forme di Cristianesimo autoctono, in un confronto diretto con molteplici tradizioni religiose”.
L’irradiazione del cristianesimo fino al mar della Cina sarà il tema della trentatreesima Settimana europea di storia religiosa promossa dalla Fondazione ambrosiana Paolo VI, assieme all’Università Cattolica e alla Regione Lombardia, che si svolgerà a Villa Cagnola di Gazzada (Varese) dal 6 al 10 settembre, per la quale sono aperte le iscrizioni.
Per il secondo anno l’attenzione si sposta verso la regione che va dal Mediterraneo all’Asia interna, e nel programma (
www.villacagnola.it) sono previste relazioni sul cristianesimo antiocheno, siro-orientale, maronita, e il confronto tra questi e l’islam. Tra i relatori figurano Christian Hannick (Università di Wurzburg, Germania), Jose Kochuparampil (Kerala, India), Louis Sako (arcivescovo di Kerkuk dei Caldei, Iraq), Samir Khalil Samir (Beirut, Libano).
Fra gli altri temi affrontati emergono le persecuzioni dei cristiani nel Kurdistan e in Armenia. Secondo i promotori, la settimana “si configura ricca di contenuti, preziosi in vista della formazione di una sensibilità aperta al dialogo tra realtà antropologiche e religiose diverse, richiesta oggi a chi voglia vivere nella complessità di un mondo globalizzato”.

13 giugno 2011

L'exode des Chrétiens d'Irak

By Baghdadhope*


L'exode des Chrétiens d'Irak from alterdoc on Vimeo.

un film de Fulvia Alberti et Baudouin Koenig
cliquez ici pour voir le film

Germania: una delegazione di vescovi in Iraq per esprimere solidarietà ai cristiani

By Radiovaticana, 12 giugno 2011

Una delegazione della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) sarà in Iraq da domani al 18 giugno. Lo ha annunciato ieri il sito della Dbk con un comunicato stampa ripreso dall'agenzia Sir. La delegazione sarà guidata da mons. Ludwig Schick, presidente della Commissione della Dbk per la Chiesa universale e arcivescovo di Bamberga. Scopo del viaggio è “manifestare la solidarietà verso i cristiani del luogo che si trovano in una situazione difficile e consultarsi con responsabili di Chiesa e Stato sulle possibilità che la Chiesa tedesca possa prestare un aiuto efficace”, si legge nel documento.
La delegazione incontrerà anche rappresentanti del mondo islamico “per informarsi sul dialogo cristiano-islamico in Iraq”, prosegue il comunicato. Tra i membri della delegazione: Peter Neher, presidente della Caritas tedesca; Harald Suermann, direttore dell’Istituto scientifico missionario Missio; Ulrich Pöner, segretario della Commissione per la Chiesa universale.

10 giugno 2011

Il Nunzio Apostolico in Iraq incontra la massima autorità religiosa sciita

By Baghdadhope

Il Nunzio apostolico in Iraq e Giordania, Mons. Giorgio Lingua, si è recato nella città santa sciita di Najaf per incontrare il Grand Ayatollah Ali Alhussein Alsistani che, secondo quanto riferisce l'agenzia ABNA ha espresso parole di apprezzamento verso la comunità irachena cristiana che ha diritti e doveri uguali a tutti gli altri cittadini.

Sempre secondo la stessa agenzia il Nunzio Apostolico avrebbe da parte sua lodato il ruolo del Grand Ayatollah nel mantenimento della pace nel paese.

Pope approves Chaldean Eparchy in Canada

By Radiovaticana

Pope Benedict XVI has erected the Chaldean Eparchy of Canada under the title of Mar Addai of the Chaldeans of Toronto and appointed SE Archbishop Hanna Zora first Bishop of the new Eparchy, transferring him from the See of Ahwaz and retaining the title of Archbishop ad personam.
“We are very pleased at the news”, Archbishop Louis Sako of Kirkuk told Emer McCarthy “we Chaldeans are part of the universal Church. However, at the same time we are a little saddened by the continuing exodus from our land, where the Church has been present since the 5th century. We appeal to Christians not to abandon this land, their faith, their specific liturgical traditions, but to stay. We have a mission to remain here, to witness to our Muslim brothers”.
Archbishop Sako also appeals to Christians across the world and to nations to help Christians remain in Iraq by fostering projects and investing in the diminishing community.
“We also need your prayers”, he adds. “The situation in Kurdisan in the North is safe for Christians, and also here in the city, nonetheless we must promote coexistence with our Muslim brothers but also employment for our young people”. The Archbishop of Kirkuk appeals to the Diaspora not to forget those who have chosen to remain in Iraq as a living presence of the ancient community.

Archbishop Hanna Zora was born in Batna (Alquoch - Iraq) 13 March 1937. Ordained a priest June 10, 1962, he was elected Archbishop of Ahwaz of the Chaldeans (Iran) on 1 May 1974, remaining an Iraqi citizen. In February 1987 he left Iran, remaining in Rome until 1993, when he was made responsible for the pastoral care of the Chaldean community in Canada.
The total number of Chaldean Christians in Canada is around 38,000. Pastoral care is offered by the Archbishop Hanna Zora as a community leader in Toronto, under the jurisdiction of the Latin Archbishop of Toronto, and four priests. Most of the Chaldean Christians are concentrated in certain areas of the country: Toronto, Montreal, London - Windsor, Hamilton and London – Ontario, Oakville, Saskatoon, Vancouver and Ottawa.
The Church of Mar Addai in Toronto, recently consecrated by the Chaldean Patriarch, Cardinal Emmanuel III Delly, has been elevated to a eparchial Cathedral.

Benedetto XVI crea in Canada l'Eparchia di Toronto dei Caldei. Intervista con mons. Louis Sako

By Radiovaticana

Benedetto XVI ha eretto l'Eparchia caldea del Canada, con il titolo di Mar Addai di Toronto dei Caldei, nominandone come primo vescovo il 74.enne mons. Hanna Zora, trasferendolo dalla Sede di Ahwaz e conservandogli il titolo di arcivescovo ad personam.
Sono circa 38 mila i fedeli caldei in Canada, in maggioranza concentrati in alcune aree del Paese, nelle quali spiccano - oltre a Toronto - metropoli come Montréal, Vancouver ed Ottawa. La nuova Eparchia, pur essendo motivo di gioia perché offre un punto di riferimento ai cristiani caldei del nord America, custodisce in sé il segno della diaspora che interessa i cristiani iracheni nel mondo.
Al microfono della collega della redazione inglese, Emer McCarthy, ne parla l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako:

L'Eparchia di Toronto dei Caldei è una cosa molto positiva, che mostra l’universalità della Chiesa. Nello stesso tempo, però, è triste vedere tanti cristiani andare via dopo duemila anni ed essere isolati nella loro chiesa locale, con tutto il patrimonio cristiano, liturgico che li caratterizza. Con il tempo, i cristiani caldei dovrebbero essere integrati nella società occidentale, sia in Canada, che in America che altrove. L’importante è non incoraggiare i cristiani ad andare via o ad essere delusi, perché l'Iraq è la loro patria, qui pure c’è bisogno di dare una testimonianza del Vangelo. Qui noi abbiamo una nazione: questa è la nostra terra e ci sono le nostre chiese. Ci sono chiese, del V-VI-VII secolo. C'è dunque una grande storia alle spalle, e bisogna cercare di non svuotare il Paese di cristiani.

Ci può dare un quadro della situazione odierna dei cristiani e della comunità cristiana, caldea e non, in Iraq?

L’esodo continua sempre per tante ragioni, anche molto complicate. da noi manca una visione stabile del futuro. La gente è preoccupata e ha paura del futuro; ha paura del fondamentalismo musulmano. Penso, però, che ci sia un modo per vivere qui con gli altri ed è compito della Chiesa locale quello di vedere, di dialogare, di preparare il terreno e di continuare questa testimonianza cristiana, che dura da duemila anni. Nel Nord, nel Kurdistan, mancano i servizi - l’elettricità, l’acqua, le scuole – ma è possibile fare qualche piccolo progetto nei villaggi, per dare alla gente la speranza. Ci sono problemi per tutti gli iracheni e non solo per i cristiani. Anche i cristiani, dunque, hanno una loro parte di sofferenza, ma devono resistere, secondo me.

Pax Christi Italia. Sulle strade dell'Iraq

By SIR

Un messaggio di pace e di speranza per l’Iraq, un Paese che sta faticosamente cercando di rinascere dopo i lutti e le devastazioni provocate dalla guerra. È stato questo il significato principale del viaggio compiuto nel Paese mediorientale da una delegazione di Pax Christi Italia, guidata dal presidente, mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia. La missione, iniziata il 4 giugno, si conclude oggi. Tra gli obiettivi: portare aiuto e solidarietà alle comunità cristiane presenti in questa area segnata da un lungo conflitto e da tensioni non ancora sopite.
Alessandro Repossi, direttore del settimanale della diocesi di Pavia (“Il Ticino”), ha raggiunto telefonicamente il presidente di Pax Christi.

Mons. Giudici, quali sono state le tappe del viaggio in Iraq?
“Abbiamo visitato Kirkuk, una grande città in una delle regioni con i maggiori giacimenti petroliferi del Paese. Siamo anche saliti più a Nord, a Erbil; poi ci siamo diretti in una zona vicino a Mosul. In tutte e tre le tappe abbiamo visitato le comunità caldeo-cristiane e siro-cristiane, che vivono giorni di difficoltà: in queste aree, infatti, sono arrivate molte persone provenienti dalla zona di Baghdad, dove manca ancora la sicurezza e si vive sempre con il timore dei colpi di coda di una società non ancora in pace”.
Chi avete incontrato?
“Prima di tutto le comunità e le autorità religiose. Ma non sono mancati confronti anche con le famiglie, sia di cristiani sia di musulmani. Abbiamo avuto la possibilità di parlare anche con i responsabili di associazioni sciite e sunnite del Paese: questo ci ha permesso di riflettere insieme sulla pace, che è un grande dono di Dio, e sulla necessità che le comunità dei credenti, sia cristiane sia musulmane, abbiano chiaro l’impegno, che deriva dalla religione, di rispettare il prossimo”.
Come vive oggi la gente in Iraq?
“L’immagine è quella di una terra che sta provvedendo a sviluppare le proprie possibilità economiche e anche industriali. Un dato è emblematico: nei primi mesi del 2011 il Pil (Prodotto interno lordo, ndr) nazionale dell’Iraq è cresciuto del 10% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Questo dimostra che la ricchezza del petrolio rappresenta una grande risorsa. Tuttavia esistono ancora zone del Paese in cui le persone non si muovono con sicurezza: questo rende più difficile lo sviluppo economico. Inoltre, come in ogni società avanzata, in Iraq molte persone continuano a vivere in una condizione di estrema povertà: è il frutto di una società complessa e in pieno sviluppo, nella quale molte tensioni non sono ancora sopite. Tutto questo fa pensare al fatto che la guerra non risolva mai i problemi, ma piuttosto tenda ad ingigantirli”.
Ha incontrato persone che esprimono un forte desiderio di pace, tranquillità, rinascita civile ed anche di una serena convivenza religiosa.
“Lo abbiamo spiegato anche ai responsabili delle comunità cristiane e musulmane: la loro risposta è stata positiva. Evidentemente questo è solo uno dei passi percorribili: occorre che anche all’interno delle comunità diminuiscano le paure, il desiderio di vendetta, l’incapacità a riconoscere dignità a chi non ha le stesse tradizioni e l’identico credo religioso. È un compito di ogni comunità religiosa e, più in generale, di ogni persona. Ed è proprio in questo cammino che Pax Christi Italia iscrive la sua missione, sia all’interno della Chiesa cattolica, sia nel dialogo con le altre religioni”.

Pax Christi Italia: trip to Iraq, "reflecting on peace together"

By SIR

A message of peace and hope for Iraq, a country that is laboriously trying to be born again after the deaths and devastation of the war. This was the main meaning of the trip made in the Middle Eastern country by a delegation of Pax Christi Italia, led by its president, mgr. Giovanni Giudici, bishop of Pavia. The mission, that began on June 4th, will be ending today. Its goals included: taking aids and solidarity to the Christian communities that live in this area affected by a long conflict and tensions that have not died out yet. Over these days, mgr. Giudici explains in an interview with the weekly of the diocese of Pavia (Il Ticino) and SIR, “first we met the communities and the religious authorities. But we also met the families, both Christian and Muslim. We had a chance to talk to the leaders of Shiite and Sunni associations of the country as well”. All this, he adds, “made us reflect on peace, that is God’s great gift, and the need that the communities of believers, both Christian and Muslim, understand the commitment, which comes from religion, to respect their neighbours”.
Currently, mgr. Giudici states, “Iraq is viewed as a land that is developing its economic and industrial capabilities. One figure tells it all: over the first few months of 2011, Iraq’s GDP (Gross Domestic Product, editor’s note) has grown by 10% from the same period last year. This proves that oil is a great resource”.
However, “there are some areas of the country in which people do not feel safe yet: this makes economic development harder." In addition, “as in any developed society, in Iraq many people still live in a state of destitution: this is the result of a complex, fully developing society, in which many tensions have not died out yet”. All this, the bishop concludes, “suggests that war never solves problems, it rather tends to amplify them”.

9 giugno 2011

Frattini a Baghdad, la "primavera" farà rifiorire l'Iraq

By AGI

La Primavera araba pone sfide impegnative ma offre "un'opportunita' unica" per fare finalmente "progressi su molte questioni regionali": e' questo il messaggio di fiducia che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha portato a Baghdad, dove ha co-presieduto la seconda Commissione mista Italia-Iraq e ha firmato un accordo bilaterale per la promozione e la protezione degli investimenti. Il titolare della Farnesina e' giunto in Iraq mentre infuria la rivolta in Siria che il governo iracheno teme possa portare a un vuoto di potere pericoloso per tutta la regione.
"Ritengono sia indispensabile dare un'ultima chance a Bashar Assad di fare le riforme", ha spiegato Frattini, "anche perche' condividono la mia impressione che e' difficile individuare una chiara leadership alternativa nell'opposizione".
Il ministro degli Esteri, che ha incontrato il collega Hoshyar Zebari e il presidente Jalal Talabani, ha esortato l'altro influente vicino dell'Iraq, l'Iran, "ad avere il coraggio di scommettere su una visione regionale che non sia fondata sullo scontro".
Ma in attesa di vedere come questi sommovimenti cambieranno il Medio Oriente, l'Italia e' determinata a rafforzare la sua presenza in Iraq, Paese che "nei prossimi anni diventera' il primo produttore di petrolio al mondo" e che con la sua "democrazia compiuta rappresenta un modello per l'intera regione".
A Baghdad e' stato anche parafrasato un accordo sui servizi aerei, per i quali, ha riferito Frattini, "c'e' un'offerta italiana per creare una compagnia italo-irachena che rilevi il 'brand' Iraq Air".
Zebari ha assicurato che "l'Iraq si candida a diventare un mercato strategico in Medio Oriente ed e' pronto ad accogliere le imprese italiane per la sua ricostruzione".
Alla Commissione mista hanno partecipato i rappresentanti di una decina di imprese italiane, dall'Impregilo a Finmeccanica, da Unicredit a Technital. All'Italia, tra le altre cose, e' stato chiesto di formare musicisti per far ricostituire un'orchestra nazionale che dia vita all'Opera irachena.

Frattini ha anche incontrato l'arcivescovo di Erbil, Bashar Warda, e altri esponenti della Chiesa irachena cui ha offerto la disponibilita' dell'Italia a finanziare, in collaborazione con la Caritas, progetti per alloggi e scuole per i cristiani, in modo che non siano piu' costretti a lasciare il Paese.

Nel pomeriggio una tempesta di sabbia ha impedito a Frattini di raggiungere Nassiriya per la cerimonia di chiusura del Prt italiano, che in cinque anni ha realizzato 432 progetti per la ricostruzione. Il ministro ha cosi' raggiunto direttamente Abu Dhabi, dove domani co-presidera' il terzo Gruppo di contatto sulla Libia. (AGI) .

Il vento della protesta araba incombe sull'Iraq: Pax Christi in missione nel Paese

By Radiovaticana, 8 giugno 2011

L’Iraq è alle prese con le enormi sfide della ricostruzione del proprio tessuto sociale e politico -istituzionale. A preoccupare gli analisti è, in particolare, il timore che sulla scia delle proteste esplose nel mondo arabo, possano verificarsi disordini anche in Iraq, dove il governo del premier Nuri al Maliki stenta a varare un efficace piano di riforme. Il primo ministro ha 'concesso' altri 100 al suo governo per implementare le riforme. Ma la situazione nel Paese è complicata anche dai molteplici strappi provocati dal recente conflitto e che si ripercuotono spesso sulle minoranze del Paese. Tra queste, quella dei cristiani iracheni ha dovuto sopportare di recente grandi sofferenze.
A confermarlo è mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi- Italia in visita nella regione.
L'intervista è di Stefano Leszczynski:

Si ha la sensazione di un Paese che fatica a trovare di nuovo equilibri di convivenza tra le persone. Ci sono segni evidenti di difesa, di timore, di ansietà, cosa che si ripercuote anche nelle famiglie: quando le visitiamo sentiamo sempre che la grande domanda è la sicurezza, la tranquillità, la possibilità di riprendere una vita sociale, di relazione, che sia normale.
Si ha la sensazione di trovarsi ancora in un Paese in guerra?
In guerra no, si capisce che il passaggio è stato superato, però certamente è un Paese che ancora non trova equilibri di convivenza serena e fiduciosa.
Un Paese frammentato e con poca sicurezza. Tra gli elementi più deboli di questa realtà c’è sicuramente la Chiesa?
Intanto vorrei dire l’aspetto più bello e positivo: è una Chiesa di cristiani che pregano, oserei dire, tanto e questo è sempre un segno di vitalità profonda. Poi, certo, è una Chiesa che è tentata di lasciare il Paese non come Chiesa in quanto tale ma come singoli individui perché, appunto, l’incertezza è particolarmente forte per le minoranze.
Appare quindi del tutto prematuro iniziare a immaginare un possibile ritorno di quelli che già sono usciti tra i cristiani?

Penso che sarebbe un grande aiuto alle comunità qui presenti se ci fosse qualcuno di questi che ritorna. Certo, man mano, nelle zone soprattutto del nord si vanno profilando una maggiore tranquillità e una maggiore possibilità di lavoro e di sviluppo, però non è ancora del tutto conclusa la traversata verso condizioni di armonia sociale.
La Chiesa si è spesa moltissimo per la pace in Iraq e lo stesso sta avvenendo adesso anche in Paesi più lontani come la Libia. Sono paragonabili queste due situazioni?
Certamente, almeno sul punto della inefficacia di una guerra, nel senso che una guerra apre problemi grandi e le ferite che provoca hanno un tempo di guarigione, forse non si può neanche dire una guarigione definitiva, che sono molto lunghi. Qui si vede esattamente cosa può capitare e gli squilibri che si creano fanno vittime non solo di sangue, di morti, ma vittime anche di culture che vengono messe in difficoltà, di convivenza che viene resa difficile e anche di blocco dello sviluppo di un Paese.

Iraq: altri 100 giorni per Maliki, premier sposta staffetta per riforme

By ADNkronos, 8 giugno 2011

Il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha 'concesso' altri 100 al suo governo per implementare le riforme che, stando ai programmi originari, dovevano essere attuati nei 100 giorni scaduti ieri e stabiliti da Baghdad per placare le riforme che erano esplose nel Paese. E' quanto riferisce il giornale di proprieta' dello Stato al-Sabah, sul quale appaiono le parole di Maliki: ''vogliamo realizzare l'orizzonte di un secondo periodo di 100 giorni che sosterra' il primo di 100 giorni''.
Nella tarda serata di ieri la televisione ufficiale Iraqia aveva trasmesso in diretta la riunione di governo presieduta da Maliki per discutere dei successi ottenuti da alcuni ministri durante il primo periodo di 100 giorni, fissato dal premier a partire dal 27 febbraio. L'iniziativa era stata presentata come una possibilita' offerta al governo per mettere in campo le riforme promessa, pena il combiamento dei suoi uomini. Secondo gli analisti, in questo lasso di tempo non sono state attuate riforme in grado di soddisfare le richieste del popolo iracheno.

8 giugno 2011

Iraq: domani Frattini in missione a Baghdad, accordi e cooperazione

By ASCA

Nonostante le criticita' che permangono ''l'Italia ha fiducia nell'Iraq e nel suo futuro'' ed e' convinta che ''un suo futuro stabile, democratico, multietnico e tollerante'' possa dare sostegno all'intera regione. Questo il messaggio che il capo della diplomazia Franco Frattini portera' domani a Baghdad in occasione della II riunione della Commissione mista Italia-Iraq.
Nel corso della sua missione, secondo quanto riferito dal portavoce della Farnesina Maurizio Massari in un briefing con la stampa, il ministro degli Esteri incontrera' il presidente Jalal Talabani, il premier Nuri al-Maliki e il collega Hosteri (?) Hoshyar Zebari.
Una missione, quella di Frattini, durante la quale verranno firmati ''importanti accordi, tra cui uno sulla promozione e protezione degli investimenti, e ne verra' parafato (?) uno sui servizi aerei'', ha detto.
''L'Italia vuole mantenere il suo rapporto privilegiato con l'Iraq e rimanere fra i principali attori'' che hanno agito a favore della ricostruzione in alcuni importanti settori strategici, ha spiegato Massari.
Il portavoce della Farnesina ha fatto sapere, inoltre, che il titolare del dicastero avra' un colloquio a Baghdad con l'arcivescovo di Erbil, monsignor Bashar Matti Warda, nel quadro ''dell'attenzione costante dell'Italia ai diritti delle minoranza religiose, ed in particolare di quella cristiana, considerata un valore aggiunto per lo sviluppo del Paese''.
La Commissione mista prevede tre tavoli: quello economico (al quale prendera' parte un nutrita delegazioni di imprenditori italiani), quello della Cooperazione italiana allo sviluppo e quello dedicato alla difesa.
Massari ha poi ricordato come l'Italia sia il primo partner commerciale europeo dell'Iraq, con un interscambio di 3,5 miliardi di euro. Per quanto riguarda la Cooperazione allo sviluppo, ''dal 2003 ad oggi, sono stati stanziati 3,3 miliardi di dollari: 2,4 miliardi per la cancellazione del debito, 475 milioni a dono e 400 milioni come linea di credito'', ha sottolineato.
Inoltre l'Italia, in questi anni, ha sostenuto progetti di institution building intervenendo in programmi di riconciliazione e di formazione professionale e, sempre nell'ambito della cooperazione, in programmi di restauro e conservazione del patrimonio artistico e culturale del Paese, ha aggiunto.
Frattini si rechera' infine nei pressi di Nassirya, per la cerimonia di chiusura del Prt, ''l'unico Prt (Provincial Reconstruction team) in Iraq a carattere civile e non a guida americana'', ha ricordato Massari. ''Un successo di cooperazione e sinergie con le autorita' locali'', ha concluso.

7 giugno 2011

Studiare teologia cristiana in Iraq: il Babel College


By Baghdadhope*
foto da Ankawa.com

308 studenti in totale. 15 iscritti ai corsi di filosofia. 35 a quelli di teologia. 210 quelli che frequentano i corsi dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose ad Ankawa, nella regione del Kurdistan iracheno, e 48 quelli che invece li seguono a Baghdad. 9 studenti che hanno ottenuto il baccellierato alla fine dell'anno accademico 2010-2011 e 4 studenti che nel corso di esso sono stati ordinati sacerdoti.
Questi sono i numeri che con precisione che gli italiani usano attribuire solo agli svizzeri snocciola Mons. Jacques Isaac a proposito della chiusura dell'anno accademico del Babel College avvenuta lo scorso sabato 4 giugno nella sede di Ankawa. Oltre a Mons. Isaac, rettore dell'istituto, alla cerimonia erano presenti tra gli altri Mons. Bashar M. Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, nel cui territorio si trova Ankawa, e Mons. Mikha P. Maqdassi, vescovo caldeo di Alqosh, cittadina quasi interamente cristiana nell'Iraq del nord.
Il Babel College, unica facoltà di filosofia e teologia cristiana in Iraq, come ha dichiarato a Baghdadhope Mons. Isaac, vicario patriarcale caldeo per gli affari culturali, prosegue quindi nel cammino verso "la formazione del clero di tutte le chiese cristiane in Iraq" nonostante le difficoltà vissute negli ultimi anni che hanno reso indispensabile nel gennaio del 2007 il trasferimento della sua sede dalla capitale nella più controllata regione del Kurdistan.
Quello del carattere ecumenico dell'istituzione è un aspetto che sta particolarmente a cuore a Mons. Isaac che ci tiene a ribadire come il Babel College non solo abbia nel suo staff alcuni docenti di filosofia di religione islamica quanto sia frequentato da studenti delle chiese cattoliche ma anche di quelle che invece non riconoscono l'autorità del pontefice.
Il Babel College però, spiega ancora Mons. Isaac, non è solo un luogo di studio ma anche di aggregazione culturale e di spinta alla collaborazione proiettata verso il mondo.
Così all'inizio dello scorso maggio l'istituto è stato sede di un ciclo di 15 conferenze che hanno avuto per tema la "famiglia cristiana come comunione e testimonianza" ed a metà del mese ben 7 docenti del Babel College, tra cui ovviamente Mons. Isaac, hanno partecipato in qualità di relatori al convegno "Il Cristianesimo in Mesopotamia" organizzato dall'Università di Friburgo legata dal luglio 2010 al Babel College da un accordo di collaborazione.
A questi successi che hanno "aperto" il Babel College ai fedeli e lo stanno facendo conoscere all'estero si aggiunge il rinnovo quinquiennale (in precedenza triennale) dell'affiliazione alla Pontificia Università Urbaniana di Roma e, ancora più importante, la dichiarazione dell'ottobre del 2010 secondo la quale i titoli rilasciati dall'istituto sono riconosciuti in Italia ed in Europa.

Iraq: “Pessimistic” Iraqi Christians see no end in sight to the violence against them

By Aid to the Church in Need
by John Newton and John Pontifex

A leading bishop has described how Christians in Iraq believe “there is no future” for them there but are afraid to flee abroad because of political uncertainty and crisis in neighbouring countries.
Chaldean Archbishop Bashar Warda of Erbil, in the Kurdish north of Iraq, described the people’s shock after father of four Arakan Yacob, an Orthodox Christian, was shot dead on Tuesday (31st May) in the nearby city of Mosul.
Mr Yacob’s killing is the latest in a series of attacks. According to Archbishop Warda, since 2002 more than 570 Christians have been killed in religiously and politically-motivated violence.
In an interview with Catholic charity Aid to the Church in Need, Archbishop Warda said that since Mr Yacob’s death a number of the faithful had said they wanted to emigrate.
But he said emigration was difficult because of political crisis and uncertainty in neighbouring Syria and Turkey.
Both countries have already provided sanctuary to many thousands of Christians who fled persecution in the years since 2003, when religious violence suddenly escalated after the overthrow of Iraqi dictator Saddam Hussein.
Speaking from Erbil, Archbishop Warda told ACN: “The latest murder adds to the pessimistic view that there is no future.
“No matter how you try to convince people things are getting better they say look at these things that are happening.”
Describing renewed talk of emigration among Iraqi Christians, he went on: “Even the situation in neighbouring Turkey is not that good and with what’s going on in Syria at the moment a family thinking of emigration has limited choices.”
But he refused to be downcast. He said: “The message of hope is always there – life should go on – that’s the message.”
Archbishop Warda has, nonetheless, made no secret of his people’s suffering.
He has provided statistics showing that since the 1980s Christians in Iraq had plummeted from up to 1.4 million to as low as 150,000.
Amid reports of hundreds of thousands of Iraqi Christians fleeing the country, he went on to state that between 2006 and 2010, 17 Iraqi priests and two Iraqi bishops had been abducted and were either beaten or tortured by their kidnappers.
Of those, one bishop, four priests and three sub-deacons were killed.
With no sign of an end to the violence, it has now emerged that Mr Yacob, the Mosul Christian who died this week, had been the target of two previous kidnapping attempts.
His death came three weeks after the body of kidnap victim Ashur Yacob Issa, 29, was discovered on 16th May.
Mr Issa’s family said they were unable to pay the $95,000 ransom demanded by his kidnappers.
As a Catholic charity for persecuted and other suffering Christians, Aid to the Church in Need has prioritised help for Iraq in line with a 2007 directive from Pope Benedict XVI to help the Church in the Middle East where he said “it is threatened in its very existence”.
ACN has provided emergency aid for refugees in Iraq, Jordan and Turkey, food parcels for displaced Christians in northern Iraq, Mass offerings for poor and oppressed priests, support for Sisters and help for seminarians displaced to the north of the country.
Thanking ACN, Archbishop Warda said: “It is reassuring to know that people are praying for us.”

6 giugno 2011

L'Ascensione di Nostro Signore celebrata a Baghdad

By Baghdadhope*

In linea con la tradizione in molte chiese caldee nel mondo giovedì 2 giugno stata ricordata l'Ascensione di Nostro Signore.

Tra esse, naturalmente, quella di Baghdad dedicata proprio alla ricorrenza dove ad affiancare il parroco, Padre Jamil Nissan, erano il patriarca ausilare, Mons. Shleimun Warduni ed il Nunzio Apostolico in Iraq e Giordania, Mons. Giorgio Lingua, che hanno anche visitato i banchi di prodotti artigianali confezionati dai catechisti ed hanno potuto constatare i danni provocati da un corto circuito che nel mese di maggio ha distrutto l'impianto di generazione di energia elettrica e l'edificio che ospitava l'asilo, fortunatamente vuoto al momento dell'incidente occorso di venerdì, e che ha parzialmente danneggiato anche la chiesa.

Baghdadhope ha ricevuto alcune foto della ricorrenza.