"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 gennaio 2009

TORINO
Iraq: quale futuro per i cristiani?

GIOVEDÍ 29 GENNAIO 2009

ore 21,00

Incontro pubblico su
IRAQ:QUALE FUTURO PER I CRISTIANI?

relatore MONS. SHLEMUN WARDUNI
PATRIARCA VICARIO CHIESA CATTOLICA CALDEA

moderatore d. Ermis Segatti

REFERENTE PER LA CULTURA ARCIDIOCESI DI TORINO
V. MARIA VITTORIA 38

ROMA
Cristiani in Iraq: quale speranza
Un evento del Centro Culturale di Roma
Giovedì 29 gennaio alle ore 19.00

Intervengono:
S.E.R. MONS. LOUIS SAKO
Vescovo di Kirkuk dei Caldei

Mario Mauro
Vicepresidente del Parlamento Europeo
Rappresentante dell'Osce per la lotta alle discriminazioni

Rodolfo Casadei
Giornalista, autore del libro "Il sangue dell'agnello. reportage tra i cristiani perseguitati in Medio Oriente"

modera Roberto Fontolan, giornalista.

Hotel Columbus di Via della Conciliazione 33

Kirkuk, una città contesa. Mons. Louis Sako, Arcivescovo caldeo

By Baghdadhope

Monsignor Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk, ha accettato di parlare a Baghdadhope delle speranze sul futuro della sua città, contesa tra le aspirazioni del governo curdo che la reclama come sua capitale storica e quello centrale che la considera sua parte integrante.
Monsignore, in un nostro precedente incontro nel 2005 Lei aveva parlato di un processo di “curdificazione” di Kirkuk attuato attraverso una politica di favoritismo nei confronti dei curdi che l’avevano dovuta abbandonare a causa dell’opposto tentativo di “arabizzarla” da parte del regime di Saddam Hussein, ed addirittura di quelli che ormai da anni vivevano in Iran. A distanza di cinque anni questo processo continua o si è fermato?
“Non si è mai fermato. Kirkuk è una città a maggioranza curda ed anche il suo governo vede rappresentanti curdi nei posti di maggior rilievo.”
I curdi controllano anche la sicurezza della città?
“La sicurezza era affidata ai soldati curdi – i peshmerga – ed agli americani ma ora, con la politica di disimpegno delle truppe USA dalle città, la presenza delle forze del governo centrale sta aumentando.”
Ci sono problemi tra queste forze e quelle curde visto che Kirkuk è ancora contesa tra le due parti?
“No, perché anche i peshmerga fanno ormai parte dell’esercito iracherno.”
Potrebbe quindi definire la situazione a Kirkuk come tranquilla?
“Si. A Kirkuk la lunghissima storia di convivenza tra le diverse componenti etniche e religiose garantisce una tranquillità sconosciuta altrove.”
Sarà così anche se in futuro le pretese sul controllo di una città così ricca dovessero portare ad uno scontro tra le parti coinvolte?
In pratica fino ad ora ogni decisione sul suo status futuro è stata rimandata…

“Io penso che alla fine tutto si risolverà. È innegabile che Kirkuk è una città contesa, ma è altrettanto vero che la strada del dialogo fino ad ora intrapresa tra le diverse componenti ha dato i suoi frutti garantendo stabilità.”
Con gli incontri che Lei organizza ed i buoni rapporti che intrattiene con tutte le parti in causa è sicuro che in caso di scontri quelle stese parti sarebbero pronte a preservare la minoranza cristiana ed a difenderla da eventuali attacchi?
“Si. Ne sono convinto. Gli iracheni sanno, e ci dicono, che perdendo i cristiani perderebbero una parte importante della loro stessa identità nazionale. A Kirkuk, ma anche in altre parti del paese, i cristiani possono fungere da ponte, da componente mediatrice. Un ruolo da non sottovalutare. Certo, bisogna lavorare molto e costruire questi rapporti, un processo fatto di piccoli passi, di piccoli segni, ed anche di un uso abile e coerente delle parole e dei messaggi che noi come comunità esprimiamo, ed alle volte della forza di imporre il rispetto per il nostro essere cristiani ma innanzitutto iracheni.”
Può fare qualche esempio di queste parole e di questi messaggi?
“Nelle parole, ma soprattutto nei fatti, dobbiamo dimostrare di essere equidistanti tra le parti laddove equidistanti non significa indifferenti ma, anzi, interessati ad ascoltare le ragioni di ognuno per trovare un punto di accordo tra esse. Per quanto riguarda la richiesta di rispetto dei nostri diritti non dobbiamo temere di reclamarlo. Quando a Kirkuk – è successo due volte – un imam ha parlato contro i cristiani nella predica del venerdì io ho immediatamente chiamato il capo religioso chiedendo spiegazioni su un tale ingiustificato comportamento ed in entrambi i casi il messaggio del venerdì successivo si è trasformato da uno di intolleranza ad uno di fratellanza e rispetto.”
La sua volontà di dialogare con le parti è ricambiata?
“A parte gli inviti agli incontri che vengono accettati mi sembra che uno dei più chiari esempio di questa volontà risalga allo scorso Natale quando all’inizio della Santa Messa si è presentata in chiesa una delegazione di capi musulmani. Alla fine della celebrazione mi sono recato in prossimità della porta ed ho distribuito un fiore ad ognuno di loro. Un gesto commentato positivamente perché testimone dei nostri sentimenti di fratellanza e soprattutto di perdono. Un sentimento, quello del perdono, che i musulmani sempre riconoscono a noi cristiani ed ammirano. Un gesto che mi ha permesso di essere invitato a parlare in moschea dove ho trovato fedeli pronti ad ascoltare ciò che avevo da dire loro.”
E che cosa ha detto a quei fedeli musulmani?
“Ho ricordato loro che la prima protezione avuta dal Profeta Maometto è stata offerta dalla chiesa in Etiopia, una cosa che ha lasciato stupiti molti ma che ha anche permesso di ribadire i legami antichissimi che esistono tra le diverse religioni che convivono nella stessa area geografica.”
La legge elettiva per i consigli provinciali del settembre 2008 ha stabilito per Kirkuk la creazione di una commissione di 7 legislatori (uno dei quali cristiano) con il compito di presentare entro il 31 marzo prossimo una bozza di legge elettorale per la città per l’approvazione del Parlamento. Lei può dirci qualcosa dei lavori di questa commissione?
“Mi sembra di aver sentito dire che la bozza è stata già inviata a Baghdad ma sinceramente non posso essere più preciso di così.”
A dicembre del 2007 è stata stabilita per Kirkuk per quanto riguarda gli impieghi governativi una percentuale che assegna ad arabi, curdi, turcomanni e cristiani una quota fissa rispettivamente di 32-32-32 e 4%. Le quote sono rispettate?
“In linea di massima sì anche se, ad esempio, per i cristiani vige la regola di favorire di volta in volta chi si stima più vicino alla componente maggioritaria che controlla questo o quell’ufficio governativo.”
Eppure lo stesso Jalal Talabani ha affermato di volere far rispettare queste quote. Una promessa che suona simile a quelle di difesa dei diritti delle minoranze fatte in occasione dell’approvazione della legge elettorale e della cancellazione dell’articolo 50 che assicurava ad esse 15 seggi nelle prossime elezioni del 31 gennaio – elezioni da cui comunque Kirkuk è esclusa -. Che assicurazioni avete che queste quote verranno davvero rispettate e l’impiego dei cristiani venga “slegato” dalla loro vicinanza politica a questo o a quel partito?
“Sicurezza nessuna, speranze tante. Le stesse speranze che abbiamo che la situazione posa migliorare e diventare un giorno normale."
Torniamo alla questione dell’articolo 50 con un breve riassunto. Le minoranze religiose che secondo quest’articolo avrebbero dovuto avere 15 seggi alle elezioni provinciali, dopo vari cambiamenti e proposte hanno visto questi seggi ridursi a 6 in totale nelle 14 province interessate (escluse come si è detto quella di Tamim di cui Kirkuk è capitale e le tre province curde). I cristiani che all’inizio ne avevano assegnati 12 sono passati a tre ma, cosa più importante, non avranno diritto a rappresentanti nelle province di Erbil, Dohuk e Kirkuk.
Fermo restando che le elezioni provinciali a Kirkuk non si svolgeranno il 31 gennaio ma in data da definire, e che questo provvedimento di “taglio” è stato definito come temporaneo e suscettibile di cambiamento a seguito del censimento della popolazione irachena Lei pensa che sarà possibile per Kirkuk “recuperare” la rappresentatività politica dei cristiani persa a settembre 2008?

“Io penso e spero di sì. Magari anche di un solo seggio. Molto è nelle mani dei partiti politici che si presentano troppo divisi tra loro e quindi hanno minori capacità. Certamente rivendicare i nostri diritti a livello politico è però giusto. Siamo minoranza religiosa ma sempre cittadini iracheni a tutti gli effetti.”
La sua reazione alla decisione della comunità europea di permettere agli stati membri di accogliere su base volontaria 10.000 profughi iracheni che vivono in Giordania e Siria è stata di netto rifiuto perché considerata un possibile incoraggiamento alla fuga dei cristiani. Considerando che si tratta di un provvedimento che non riguarda esclusivamente i cristiani, ed in più interessa quelli che già vivono all’estero, come può influire così tanto in Iraq da farle parlare di esodo?
“Influisce perché quello che è in atto è davvero un esodo. La gente vuole partire perché crede che in Europa, in America o in Australia tutto sia facile e bello mentre non è così. È una specie di moda. Vuole partire anche chi vive in zone dove non c’è pericolo, gente che non sa che l’Occidente non è cristiano secondo i criteri di valutazione mediorientali, gente che si troverà a fare una vita misera e di sofferenza, che troverà indifferenza e sfruttamento. Noi abbiamo spiegato in chiesa cosa significa questo provvedimento, che andare in Siria o Giordania non vuol dire automaticamente essere trasferiti a Parigi, a Stoccolma o a Madrid. Che non c’è ragione di abbandonare villaggi che vivono in pace. Questi provvedimenti non aiutano la nostra comunità.”
E che provvedimenti sarebbero d’aiuto, invece?
“Aiuto a creare posti di lavoro, possibilità di contribuire alla ricostruzione del paese. Una cosa che i cristiani hanno sempre fatto a fianco dei loro fratelli musulmani e che desideriamo continuino a fare.”
Durante l’incontro avvenuto in Germania lo scorso luglio di una delegazione di religiosi cristiani iracheni con il governo tedesco è stato chiesto di aiutare i profughi che già si trovano in quel territorio ed eventualmente di favorire il ricongiungimento familiare. È questo il “distinguo” tra la vostra proposta e quella della comunità europea?
“Noi non diciamo di non aiutare nessuno. Diciamo che bisogna valutare i casi. Diciamo ad esempio che l’Europa potrebbe offrire protezione a chi per avere avuto in passato una posizione influente tornando in Iraq potrebbe essere a rischio della vita. Che ci sono casi di genitori anziani i cui figli vivono all’estero e che sono rimasti soli, o casi che necessitano di cure mediche specifiche. Pensiamo a molti casi, insomma, ma non ad un’accoglienza generalizzata che creerebbe, come ho già detto, un’ulteriore spinta alla fuga.”
Monsignore, Lei ha praticamente rivolto ai cristiani che sono o stanno pensando di fuggire un monito, si potrebbe definire quasi un’accusa di non essere dei buoni fedeli perché non seguono l’esempio di chi ha deciso di affrontare la morte per la propria fede...
“E lo ribadisco. Il cristiano con il battesimo giura fedeltà alla sua fede, ed il cammino della fede può essere pieno di difficoltà e sacrifici ma non per questo non deve essere percorso.”
Ma come si può rimproverare chi pensa di poter assicurare ai propri figli un futuro migliore, lontani da un paese in cui Lei stesso dichiara i cristiani sono considerati cittadini di seconda classe?
“Emigrare per vivere una vita da profugo non è la soluzione. Cercare una vita più comoda neanche. Queste persone devono sperare, pregare e lottare perché la situazione migliori e ci sia un domani senza più cittadini di prima o seconda classe.”

22 gennaio 2009

Iraq: Warduni (Baghdad) agli USA "prima la pace e poi il ritiro"

Fonte: SIR

“2.500 famiglie a Mosul sono dovute emigrare, la nostra situazione viene politicizzata, abbiamo gridato all’Europa perché parlasse di diritti. Il futuro dei cristiani in Iraq ora dipende dal futuro del Paese, che appare difficile, ma ci sono tutte le possibilità di un miglioramento”. Lo ha dichiarato ieri il vicario patriarcale di Baghdad, mons. Shlemon Warduni nel corso della presentazione del documentario sui rifugiati cristiani iracheni prodotto dall’associazione “Salvaimonasteri”. Il vescovo ha ribadito l’auspicio espresso ancora ieri al Sir che le forze americane escano dall’Iraq “con responsabilità portando prima la pace e la sicurezza”. “E’ un dovere degli occupanti”, ha ribadito, “la democrazia non viene imposta, viene insegnata”.
Per mons. Georges Casmoussa, arcivescovo sirocattolico di Mosul, le difficoltà nel Paese, dopo l'arrivo degli americani sono “centuplicate, ma gli americani non sono il problema, prima o poi lasceranno il Paese. Il vero problema delle diverse comunità in Iraq è la negazione dell'altro”. “I cristiani in Iraq si considerano e sono cittadini di tradizione locale, non sono importati, e perciò non capiscono perché non possono essere riconosciuti a pieno titolo come cittadini. Questo è un problema anzitutto politico. Ci vogliono delle leggi che ora mancano e anche per far sì che i rifugiati ritornino nel Paese è necessario uno stato di diritto”.

Iraq: Sako (Kirkuk) "un sinodo generale per i cristiani in MO"

Fonte: SIR

“I tempi sono maturi perché la Chiesa universale pensi ad un Sinodo generale per i cristiani in Iraq e nel Medio Oriente”. La proposta di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, è giunta ieri sera nel corso della presentazione di un documentario sui rifugiati cristiani iracheni prodotto dall’associazione “Salvaimonasteri”. “Il sinodo – ha spiegato - potrebbe aiutarci a studiare insieme i problemi e le prospettive dei cristiani nella regione, i quali in assenza di una visione chiara sul futuro pian piano lasceranno questa terra. Una perdita che sarebbe grave anche per i musulmani: dobbiamo infatti restare in Iraq anche per aiutare loro a creare un cambiamento basato sul pluralismo”. “Tutti conoscono la grave situazione che viviamo in questi ultimi 5 anni e i cristiani – ha detto a sua volta mons. Matti S. Matoka, arcivescovo siro-cattolico di Baghdad - sono i più colpiti. La coscienza mondiale dove porsi il problema del destino dei rifugiati costretti a lasciare le case per le violenze, ma anche quello dell’esistenza dei cristiani che restano nel Paese”. La situazione, per il vescovo, infatti è “tale da fare immaginare un disegno affinché i cristiani lascino il Medio Oriente”.

Vatican: Iraqi bishops launch appeal to Pope to stop Christians fleeing

Source: ADNkronos

A delegation of Chaldean bishops launched an appeal to Pope Benedict XVI on Thursday to call for a general synod or church council to create a strategy to prevent Christians from leaving the region."The Holy See should think of a general synod for the Middle East for these Christians as these already take place in Asia, Africa and Latin America," said the Chaldean archbishop of the Iraqi city of Kirkuk Luis Sako. Sako said the church should deal with this problem rapidly before all Christians leave the region. It is urgent "that the church takes a clear position in regards to the problems, (of the Christian community in the Middle East) otherwise Christians will leave this land," said Sako. Sako also stressed that all "Eastern" churches work together with the Vatican to look at issues such as interfaith dialogue with Islam and the role of Christians in politics among others. "We need the closeness of the church. We have the feeling of being isolated and forgotten," he said. Sako also said the church should make its presence felt in the area, something that Muslims also benefit from. "There is an absence of the church in the area. We need to remember that the church is not only prayer and liturgy. Even our Muslim brothers expect something from us, and we are there to help them understand pluralism," he said. On behalf of the rest of the delegation, Sako said the problems of the Christians are the same in Lebanon and Palestine. For this reason, all bishops from the region - with the help of the Vatican - must tackle a series of issues together, he argued. Sako concluded by saying that in the last few years, there has been more than 500 Iraqi Christian 'martyrs' who have been killed.The delegation was composed of the deputy Chaldean bishop of Baghdad, Shlemon Warduni, and two Syriac-Catholic Iraqi bishops, Georges Casmoussa and Matti Matoka.
The Chaldean Catholic Church is one of the oldest Christian churches in the world, but hundreds of thousands of Christians have been forced to flee Iraq to escape the violence and the economic crisis caused by the war.

Iraq: il dramma dei rifugiati cristiani raccontato in un documentario

Fonte: Sir

Negli ultimi anni sono stati quasi 5 milioni gli iracheni costretti a lasciare la propria casa. Nel loro Paese erano per lo più professionisti e gente istruita. Accolti prevalentemente in Siria e in Giordania, adesso sono rifugiati senza lavoro e diritti. Di questa realtà parla il documentario di Elisabetta Valgiusti, fondatrice dell’associazione “Salvaimonasteri” presentato ieri sera alla Radio Vaticana. Prodotto con il contributo del ministero degli Affari esteri e trasmesso dal 21 gennaio dall’emittente EWTN, il documentario è stato realizzato con i cristiani iracheni di Mosul, Baghdad e Alqosh rifugiati in Sira e Giordania e il contributo di esponenti religiosi locali. Dei rifugiati si racconta il dramma umano: “l’impossibilità di lavorare, la frammentazione degli aiuti, l’inconsistente numero dei visti ottenuti per i Paesi terzi”. Si evidenzia anche, però, che l’esodo dei cristiani dall’Iraq non riguarda solo i cristiani: “la fuga di un quinto degli abitanti dai luoghi originali significa la distruzione della coesione culturale e sociale del Paese. Prendere come bersaglio i cristiani ha significato colpire il cuore della società irachena”. I cristiani, che rappresentano una componente minore per numero, ma fondamentale per storia e cultura, “hanno subito gravi violenze: più del 50% è stato costretto a lasciare il Paese, una persecuzione che è stata male e poco riportata dai media”.

21 gennaio 2009

La chiesa siro cattolica ha un nuovo patriarca

By Baghdadhope

Come previsto da Baghdadhope qualche giorno fa il sinodo della chiesa siro cattolica, che lo scorso anno aveva mancato di eleggere il nuovo patriarca al posto di Mar Ignace Pierre VIII Abdel-Ahad che a gennaio aveva rassegnato le proprie dimissioni, una volta riunitosi a Roma è giunto in breve tempo (3 giorni) ad una decisione. Il nuovo patriarca della chiesa siro cattolica è, da ieri, 20 gennaio, il vescovo della diocesi di Our Lady of Deliverance per gli Stati Uniti ed il Canada, Mar Ephrem Joseph Younan che assumerà il nome di Mar Ignatius Joseph III Younan.
Venerdì 23 il nuovo patriarca incontrerà il Santo Padre ed a metà febbraio è prevista una cerimonia ufficiale presso la sede patriarcale in Libano.


S.E. Ephrem Joseph F. Younan



Vescovo di Our Lady of Deliverance di Newark, Visitatore Apostolico per i Siro-Cattolici nell’America Centrale e Venezuela.
S.E. Ephrem Joseph F. Younan è nato da Farjo e Khatoun (Khabot) Younan il 15 novembre del 1944 ad Hassakeh, in Siria, dove fu battezzato, nella chiesa dell’Assunzione, l’8 dicembre dello stesso anno.
Dopo gli studi presso la chiesa della parrocchia dell’Assunzione ed il seminario patriarcale di Charfé in Libano si recò a Roma presso il collegio di “Propaganda Fide” e conseguì il master in filosofia e teologia presso l’Università Urbaniana.
Ordinato sacerdote il 12 settembre 1971 divenne insegnante presso il seminario di Charfé che diresse per due anni. Tornato ad Hassakeh lavorò come direttore diocesano per la catechesi per sette anni. Nel 1980 fu nominato parroco della chiesa dell’Annunciazione a Beirut dove rimase fino al 1986.
A marzo del 1986 gli fu assegnato il compito di creare una missione per i siro cattolici nell’area metropolitana di New York/New Jersey. Con l’aiuto dell’Arcivescovo di Newark, Theodore E. McCarrick, fondò la prima missione di Our Lady of Deliverance. Nel 1988 fu nominato dalla Congregazione per le Chiese Orientali come coordinatore tra i fratelli missionari negli Stati Uniti ed in Canada e nel 1991 fu nominato Delegato Apostolico dalla stessa congregazione per rappresentarla e presentare il rito siriaco alla gerarchia cattolica del Nord America.
Nel giugno del 1991 divenne Corepiscopo per volere dell’allora Patriarca Mar Ignatius Antoine II Hayek e la cerimonia si svolse nella missione di Our Lady of Deliverance in Newark, New Jersey.
Da quel momento Mons. Younan lavorò per dare vita ad un’altra missione negli Stati Uniti occidentali. Nel 1991 fu fondata la missione del Sacro Cuore a North Hollywood ed ad essa si aggiunse, tre anni dopo, quella di Our Lady of Perpetual Help a San Diego.
Il 6 novembre 1995 Papa Giovanni Paolo II lo nominò primo vescovo della neonata Diocesi (Eparchia) di Our Lady of Deliverance per i siri cattolici negli Stati Uniti ed in Canada. Fu consacrato il 7 gennaio 1996 nella chiesa di Saint Peter and Paul a Kamishly, in Siria, da Sua Beatitudine l’allora patriarca Mar Ignatius Antoine II Hayek.
Mons. Younan risiede a Union City, New Jersey.
Parla arabo, aramaico, francese, inglese, italiano e tedesco.

The Syriac Catholic Church has a new patriarch

By Baghdadhope

As anticipated by Baghdadhope a few days ago the Synod of the Syriac Catholic Church, that last year failed to elect a new patriarch to replace Mar Ignace Pierre VIII Abdel-Ahad who in January had resigned, after its meeting in Rome came in a short time (3 days) at a decision. The new patriarch of the Syriac Catholic Church is, since yesterday January 20, the bishop of the Diocese of Our Lady of Deliverance for the United States and Canada, Mar Ephrem Joseph Younan who will take the name of Mar Ignatius Joseph III Younan. On Friday 23, the new patriarch will meet the Holy Father, and in mid-February there will be an official ceremony at the patriarchal headquarters in Lebanon.

H.E. Ephrem Joseph Younan

Bishop of Our Lady of Deliverance of Newark, Apostolic Visitator for the Catholic Syriacs in Central America and Venezuela.
H.E. Ephrem Joseph F. Younan born to Farjo & Khatoun (Khabot) Younan on November 15, 1944 in Hassakeh, Syria and baptized on December 8th at Assumption Parish. He is the middle child of nine children, having four brothers and four sisters.
Bishop Joseph Younan attended Assumption Parochial School and after graduation went on to study at Our Lady of Deliverance Seminary in Charfet, Lebanon. He continued to pursue his priestly formation and career at "Propaganda Fide" and earned a double Licentiate (Masters) in philosophy and theology from Urbaniana University in Rome.
Bishop Joseph was ordained to the priesthood on September 12, 1971. After ordination he was appointed as teacher in the Seminary in Charfet where he was director of the major Seminary for two years. He returned to his home Diocese of Hassakeh where he functioned as Diocesan Director of Cathechesis. He remained in this position as director for seven years. He was then appointed pastor of the Church of the Annunciation in Beirut in 1980, where he remained until 1986.
In March of 1986 he was assigned to the United States where he was to establish a mission in the New York/New Jersey Metropolitan area to gather Syriac Rite Catholics. Soon after his arrival, with the guidance and assistance of The Most Reverend Archbishop Theodore E. McCarrick (Archbishop of Newark) he established the first mission of Our Lady of Deliverance. In 1988, he was further appointed by the Sacred Congregation for Eastern Rite Churches as coordinator among his colleague missionary priests in the United States and Canada. And in 1991, he was officially appointed "Apostolic Delegate" by the same Congregation to represent the Congregation and the Syriac Rite to the Catholic hierarchy of North America.
In June of 1991, Father Younan was elevated to the rank of "Chorbishop" by the Patriarch, Mar Ignatius Antoun II Hayek. The ceremony took place at Our Lady of Deliverance Mission in Newark, New Jersey.
Since this time, Chorbishop Younan traveled from the East Coast to the West Coast (California) on a monthly basis to help establish another mission. Soon after his initial visits, the mission of The Sacred Heart was established in North Hollywood in 1991. Three years after, he reached out again to establish a further mission Church in San Diego called Our Mother of Perpetual Help.
On November 6, 1995, Pope John Paul II appointed him first Bishop (Eparch) of the newly established Diocese (Eparchy) Our Lady of Deliverance Syriac Catholic Diocese for Syriac Catholics in the United States and Canada. He was consecrated Bishop on January 7, 1996 at Saint Peter and Paul's Church in Kamishly, Syria by His Beatitude, the Patriarch Hayek.
Currently, Bishop Younan resides in Union City, New Jersey.
He fluently speaks Arabic, French, Aramaic, Italian, German and English.

Iraq: Arcidiocesi di Torino, incontro con Mons. Warduni sul futuro dei cristiani nel paese

Fonte: SIR

“Quale futuro per i cristiani?” è questo il tema dell’incontro pubblico che si terrà il 29 gennaio a Torino su iniziativa dell’arcidiocesi. A parlare è stato invitato il vicario patriarcale di Baghdad, il caldeo mons. Shlemon Warduni. “L’incontro – spiega al Sir don Ermis Segatti, referente per la cultura e l’università dell’arcidiocesi e moderatore dell’evento – intende far conoscere l’importanza della presenza cristiana in questa zona del mondo e più specificatamente all’interno di una secolare tradizione islamica. Vogliamo poi tracciare un quadro delle condizioni estreme in cui si trovano i cristiani, una minoranza tollerata ma sotto protezione che ha bisogno di aiuto. Dall’ascolto delle parole di mons. Warduni cercheremo quindi di capire che tipo di aiuto offrire come comunità ecclesiale torinese”.
Da questo punto di vista l’arcidiocesi di Torino è sempre stata molto attiva come dimostra, per esempio, la campagna “Io ho un nuovo amico, un sacerdote caldeo iracheno”, che per ben cinque anni è stata portata avanti dall’ufficio diocesano pastorale migranti (Upm) volto a sostenere economicamente dieci giovani sacerdoti di Baghdad. Il progetto, gestito da don Fredo Olivero, direttore dell’Upm e dal sacerdote caldeo padre Douglas Dawood ha dato a questi sacerdoti non solo un sostegno economico ma anche morale a testimonianza di un impegno che va oltre l’emergenza.

20 gennaio 2009

Iraq: quale futuro per i cristiani?

GIOVEDÍ 29 GENNAIO 2009
ore 21,00
Incontro pubblico su


IRAQ:QUALE FUTURO PER I CRISTIANI?

relatore
MONS. SHLEMUN WARDUNI
PATRIARCA VICARIO CHIESA CATTOLICA CALDEA


moderatore
d. Ermis Segatti
REFERENTE PER LA CULTURA
ARCIDIOCESI DI TORINO


presso FONDAZIONE FEYLES
V. MARIA VITTORIA 38 .
TORINO

Nuove ordinazioni nella chiesa caldea

By Baghdadhope

Fonte: Ankawa.com

Alla vigilia del viaggio che porterà a Roma il patriarca ed i vesscovi della chiesa caldea per la visita ad limina nuove ordinazioni in Iraq.
A Baghdad Padre Louis Shabi, ordinato sacerdote a Roma nel 1968, è stato ordinato corepiscopo, mentre Padre Saad Sirop Hanna, che molti ricordano per essere uno dei sacerdoti sequestrati nel 2006, ha preso il posto di Mons. Shabi come parroco della chiesa di San Giuseppe. Alla cerimonia hanno partecipato il patriarca della chiesa caldea, Mar Emmanuel III Delly, i vicari patriarcali mons. Shelum Warduni e mons. Jacques Isaac, il vescovo latino di Baghdad, mons. Jean Sleiman ed il vescovo armeno cattolico, mons. Emmanuel Dabaghian.
Ad Ankawa c'è stata l'ordinazione di 6 suddiaconi e 3 giovani diaconi che in un paio di mesi diventeranno sacerdoti: Steven Husam(1985), Karam Najib (1986) and Aram Sabah (1987). Provenienti da diverse diocesi sono stati ordinati da Mons. Rabban Al Qas, vescovo di Amadhiya ed amministratore vescovile di Erbil che è stato asistito nella cerimonia da Padre Bashar Warda, rettore del seminario maggiore caldeo ad Ankawa e Padre Sami Dinkha, parroco della chiesa caldea di Essen (Germania) ma temporaneramente ad Ankawa come docente al Babel College, l'unica facoltà teologica cristiana in Iraq.

New ordinations in the Chaldean Church

By Baghdadhope

Source: Ankawa.com

On the eve of the journey that will lead to Rome the patriarch and the Chaldean bishops for their ad limina visit there were new clerical ordinations in Iraq.
In Baghdad Father Louis Shabi, ordained priest in Rome in 1968, was appointed as chorepiscop, while Father Saad Sirop Hanna, who many remember for being one of the Chaldean priest abducted in 2006, has taken the place of Msgr. Shabi as pastor of the Church of St. Joseph in Baghdad. The celebration was attended by the patriarch of the Chaldean church, Mar Emmanuel III Delly, the patriarchal vicars Msgr. Shelum Warduni and Msgr. Jacques Isaac, the Latin bishop of Baghdad, Msgr. Jean Sleiman and the Armenian Catholic bishop Msgr. Emmanuel Dabaghian.
In Ankawa there was the ordination of 6 subdeacons and three young deacons who in a couple of months will become priests: Steven Husam(1985), Karam Najib (1986) and Aram Sabah (1987). Coming from different dioceses they were ordained by Msgr. Rabban Al Qas, bishop of Amadhiya and episcopal administrator of Erbil who was assisted in the celebration by Father Bashar Warda, rector of the Chaldean Major Seminary in Ankawa and Father Sami Dinkha, parish priest of the Chaldean church in Essen (Germany), but temporarily in Ankawa as a teacher at the Babel College, the only Christian theological faculty in Iraq.

Presentazione di un documentario sui rifugiati cristiani iracheni

Fonte: Zenit

Il 21 gennaio presso la sede della “Radio Vaticana”
CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 19 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Verrà presentato mercoledì 21 gennaio, alle 18.00, presso la Sala Marconi della “Radio Vaticana” (Piazza Pia 3, Roma) il documentario promosso da
Salvaimonasteri sui rifugiati cristiani iracheni realizzato in Iraq, Siria e Giordania da Elisabetta Valgiusti.
Seguirà un dibattito condotto da padre Federico Lombardi, direttore della “Radio Vaticana” e del Centro Televisivo Vaticano, nonché portavoce della Sala Stampa Vaticana.
Interverranno all'evento monsignor A. Matti S. Matoka, Arcivescovo Siro Cattolico di Baghdad, monsignor Louis Sako, Arcivescovo Caldeo di Kirkuk, monsignor Georges Casmoussa, Arcivescovo Siro Cattolico di Mosul, monsignor Shlemon Warduni , Vescovo Ausiliare di Babilonia dei Caldei.
Parteciperanno inoltre Antonio Zanardi Landi, Ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, l'Ambasciatore Gianludovico De Martino, Ministro plen. Task force Iraq, e l'onorevole Umberto Ranieri, già presidente Commissione Esteri.
Il documentario, prodotto da Salvaimonasteri con il contributo del Ministero degli Affari Esteri, Direzione Generale del Mediterraneo, sarà trasmesso via satellite da EWTN dal 21 gennaio in America, Europa, Asia, etc. (
www.ewtn.com e www.salvaimonasteri.org).
Hanno partecipato alla realizzazione del documentario cristiani iracheni di Mosul, Baghdad e Alqosh, rifugiati in Siria e Giordania, monsignor Sako, padre Romualdo Fernández – Direttore del Memoriale di S.Paolo a Damasco –, Caritas Siria, il Centro dei Padri Gesuiti di Amman (Giordania), suor Carmen Herrer, le Sorelle Comboniane e l'Ospedale Italiano di Amman, Mohammed Al Adid – Presidente Red Crescent Giordania –, Imran Riza, rappresentante della Commissione delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNCHR) ad Amman.
Nella sua storia recente, ricorda un comunicato ricevuto da ZENIT, l'Iraq ha visto “differenti fasi di espulsioni, dislocazioni, varie ondate di rifugiati”. Si calcola che i profughi interni e i rifugiati all'estero siano 4,5-5 milioni, ovvero un quinto della popolazione irachena.
La Siria ha accolto circa 1.600.000 iracheni, la Giordania 700.000, circa 500.000 si sono rifugiati fra Egitto, Libano, Turchia e l'area del Golfo. Più di 2,5 milioni sono stati i profughi dentro i confini iracheni.
“Considerato che la famiglia, la comunità, i rapporti e i legami tribali costituiscono in Iraq i fattori più significativi della struttura sociale, la fuga di un quinto degli abitanti dai luoghi originali significa la distruzione della coesione culturale e sociale del Paese”,
constata il comunicato.“I cristiani, che rappresentano una componente minore per numero ma fondamentale per storia e cultura, hanno subito gravi violenze; più del 50% della comunità è stato costretto a lasciare il Paese, soprattutto professionisti e gente istruita”.Prendere come bersaglio i cristiani, che costituiscono “la pietra angolare della società irachena”, ha significato “colpire il cuore della società irachena”. La loro persecuzione, “iniziata con bombe e attacchi a chiese e ai monasteri, continuata con rapimenti e omicidi di preti e Vescovi”, “è stata male e poco riportata dai media internazionali”.Interi quartieri di Amman e Damasco sono abitati da cristiani iracheni che, come tutti gli altri rifugiati iracheni, soffrono privazioni e difficoltà, nonostante l'accoglienza accordata da Siria e Giordania, riconosce il testo.
“L'impossibilità di lavorare, la frammentazione degli aiuti, l'inconsistente numero di visti ottenuti per Paesi terzi (l'1% secondo dati UNCHR), concorrono a rendere la situazione insostenibile per tutti i rifugiati iracheni”, conclude.

18 gennaio 2009

Zenit

Discorso di Benedetto XVI ai Vescovi dell'Iran in vista "ad limina"

Pope to Church in Iran: Build Relations With State

El Papa invita a los cristianos de Irán al diálogo con las autoridades islámicas

Papa convida cristãos do Irã a dialogar com autoridades islâmicas

Iran : Une Commission bilatérale à l’étude avec les autorités

Benedikt XVI.: Der Dialog mit dem Islam ist notwendig

16 gennaio 2009

Iraq: Warduni (Baghdad) "Violenze anticristiane a Mosul". Urge "soluzione giusta per Gaza"

Fonte: SIR

“Le nuove violenze a Mosul contro i cristiani mostrano che la situazione non è ancora del tutto sotto controllo”. Mons. Shlemon Warduni,vicario patriarcale di Baghdad commenta così le notizie, date in questi ultimi giorni dalle tv del Paese, che hanno visto nella città a nord della capitale il rapimento di un cristiano, poi rilasciato dopo il pagamento del riscatto e l’assassinio di un altro fedele, a colpi d’arma da fuoco. “A Mosul la situazione stenta a migliorare – dichiara al Sir il vicario caldeo – al contrario a Baghdad si nota una maggiore tranquillità. Rispetto al passato ora la gente esce di più, anche in orari serali, si nota una certa serenità. Certamente il cammino per la stabilizzazione dell’Iraq è ancora lungo”. Tra le preoccupazioni di mons. Warduni c’è anche il conflitto di Gaza la cui eco arriva “forte” anche agli iracheni. “Bisogna subito trovare il modo di giungere ad un immediato cessate-il-fuoco e alla tregua tra Israele e Hamas. Ben vengano gli sforzi diplomatici di questi giorni perché se non si trova una soluzione giusta a questo conflitto si rischia di far piombare tutta la regione in un inferno”.

Iraq: Warduni (Baghdad) "Anti-Christian violence in Mosul". A "fair solution for Gaza" is needed

Source: SIR

“The new outbreak of violence against Christians in Mosul shows that the situation is not completely under control yet”. Mgr. Shlemon Warduni, patriarchal vicar of Baghdad, comments with these words the news relayed over the last few days by the local TVs, which have seen, in the city north of the capital, a Christian man being abducted, then freed after payment of a ransom, and another devotee being shot to death. “The situation in Mosul is hardly improving – states the Chaldean vicar to SIR –, while Baghdad seems to be quieter. Compared with the past, now people are getting out more, even in the evening, a relaxed atmosphere can be felt. Certainly the process for the stabilisation of Iraq is still long”. One of mgr. Warduni’s concerns is the Gaza conflict, the “strong” echo of which has reached the Iraqis as well. “We must immediately find a way to reach an immediate ceasefire and a truce between Israel and Hamas. The diplomatic efforts of the last few days are most welcome, because, unless a fair solution to this conflict is found, the whole region risks becoming a living hell”.

Delegazione di Kirkuk attesa a Roma

By Baghdadhope

Folla di iracheni in Vaticano questo gennaio. Ai vescovi siro cattolici che domani si riuniranno in sinodo per eleggere il nuovo patriarca, a quelli caldei attesi per la visita ad limina dal 23, si aggiunge una delegazione proveniente da Kirkuk formata da rappresentanti di tutte le etnie e religioni presenti in città, e tra essi, naturalmente, i cristiani. Delegazione che secondo alcune fonti visiterà il Vaticano e secondo altre incontrerà il Pontefice per farsi portatrice di un messaggio di pace e convivenza. Secondo Mala Bakhtiyar, a capo dell’ufficio politico del PUK (Patriotic Union of Kurdistan) la visita a Roma servirà a “…mobilitare il sostegno internazionale sulla questione di Kirkuk, di vitale importanza per l’Iraq….” ed a “confermare al Santo Padre la volontà della popolazione di Kirkuk di continuare a convivere nella cornice di un Iraq democratico e pluralistico” riconoscendo al Pontefice un “ruolo importante nello sforzo di stabilire la pace nel mondo.”
Per quanto riguarda la minoranza cristiana di Kirkuk il presidente iracheno nonché fondatore e segretario generale del PUK, Jalal Talabani, ha ribadito la volontà di mantenere per essa la percentuale di impieghi governativi del 4% a Kirkuk così come quella di assicurare la loro rappresentatività nelle istituzioni governative a livello nazionale.
La percentuale del 4% cui si riferisce Talabani è quella stabilita nel 2007 e si inserisce nel più vasto discorso sul futuro di Kirkuk, città ancora contesa tra le parti che la abitano. Le elezioni provinciali svoltesi in Iraq nel gennaio 2005 videro l’affermarsi a Kirkuk della coalizione politica curda, un’affermazione che portò ad accuse di brogli e conseguente paralisi politica che sembrò risolversi il 2 dicembre 2007 quando si raggiunse un accordo secondo il quale gli impieghi governativi sarebbero stati assegnati a membri delle diverse comunità (arabi, curdi, turcomanni e cristiani) secondo una precisa percentuale di 32-32-32 e 4% che però, denunciano gli stessi membri del Consiglio, non è mai stata rispettata con una predominanza di arabi tra gli impiegati governativi e di curdi tra i dirigenti governativi,
una sorta di rappresentazione numerica della sempre maggiore importanza politica che la parte curda ha assunto in città dal momento della caduta del regime.
Kirkuk, come le tre province curde del nord dell’Iraq, non eleggerà il proprio consiglio provinciale il prossimo 31 gennaio. La legge elettiva riguardante tali entità politiche nel settembre 2008 stabilì per la città contesa la creazione di una commissione di 7 legislatori (2 arabi, 2 curdi, 2 turcomanni ed 1 cristiano) che ha tra i suoi diversi compito quello di trovare una soluzione al difficile problema del consenso a Kirkuk preparando una bozza di legge elettorale per la città da presentare a Baghdad per l’approvazione parlamentare entro il 31 marzo 2009.
Ad
oggi il comitato, sebbene creato, non ha dato inizio alle proprie attività ed un’altra volta appare difficile che in tempi stretti a Kirkuk possa essere trovata una soluzione che non sia quella del procrastinare sine die. Il viaggio della delegazione in Vaticano quindi, sebbene carica di un valore simbolico forte, difficilmente potrà aiutare dal punto di vista pratico la soluzione del problema di una città che, galleggiando su uno dei più grossi giacimenti di greggio del paese, è da molti e da sempre indicata come un futuro casus belli nella storia del paese

Kirkuk delegation expected in Rome

By Baghdadhope

Crowd of Iraqis at the Vatican this January. The Syriac Catholic bishops will meet tomorrow in synod to elect the new patriarch, the Chaldean ones are expected for the visit ad limina from the 23, and a delegation from Kirkuk made up of representatives of all ethnic and religious groups in the city, and among them, of course, some Christians, are expected in the next days.
The delegation that according to some sources will visit the Vatican and to others will meet the Pope will bear a message of peace and coexistence. According to Mala Bakhtiyar, head of the political bureau for the Patriotic Union of Kurdistan, the visit to Rome will serve "... to mobilize international support on the issue of Kirkuk, of vital importance for Iraq ...." and to "confirm to the Holy Father the will of the people of Kirkuk to continue and live in the framework of a democratic and pluralistic Iraq" recognizing to the Pope an "important role in the effort to establish peace in the world."
As for the Christian minority in Kirkuk, the Iraqi president, founder and secretary general of the PUK, Jalal Talabani, reiterated the desire to maintain for it the 4% percentage of government jobs in Kirkuk as well as to ensure its representation in the governmental institutions at national level. The percentage of 4% to which Talabani refers to was established in 2007 and is part of the broader discussion on the future of Kirkuk, a city still disputed among the different groups living there. The provincial elections held in Iraq on January 2005 saw the victory in Kirkuk of a Kurdish political coalition, a victory that led to accuses of gerrymandering and to the consequent political paralysis that seemed to be resolved on December 2, 2007, when according to an agreement the governmental jobs had to be assigned to members of the different communities (Arabs, Kurds, Turkmen and Christians) according to a precise percentage of 32-32-32 and 4%. Agreement that how denounced by some members of the Council has never been implemented with a resulting predominance of Arabs among the government employees and Kurds between government officials, a kind of numerical representation of the growing political importance that the Kurds gained in the city since the fall of the regime. Kirkuk, as the three Kurdish provinces of northern Iraq, will not elect its provincial council on January 31. The electoral law concerning these political entities established for the contested city the creation of a commission of 7 lawmakers (2 Arabs, 2 Kurds, 2 Turkmen and 1 Christian) that, among its various task, must find a solution to the difficult problem of consensus in Kirkuk preparing a draft electoral law for the city to be presented in Baghdad for parliamentary approval by 31 March 2009.
To date the committee, although created, has not started its work and another time it seems unlikely that in such a short time a solution can be found for Kirkuk but that of postponing it indefinitely. The trip of the delegation to the Vatican then, although having a strong symbolic value, is unlikely to help in practice the solution to the problem of a city that floats on one of the largest deposits of crude oil in the country, and that for this reason has always been mentioned as a future casus belli in the history of the country.

15 gennaio 2009

La chiesa siro cattolica ci riprova. Sinodo convocato a Roma per eleggere il nuovo patriarca

By Baghdadhope
Lo scorso 22 settembre Baghdadhope aveva dato la notizia dell’imminente inizio a Beirut del sinodo della chiesa siro cattolica che avrebbe dovuto eleggere il nuovo patriarca a sostituzione di Mar Ignace Pierre VIII Abdel-Ahad che nel gennaio 2008 aveva rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di Patriarca della chiesa di Antiochia dei siro cattolici assunta nel 2001.
Chiesa che nei nove mesi di sede patriarcale vacante era stata affidata per disposizione vaticana ad un Comitato episcopale formato da S.E. Théophilus Georges Kassab, arcivescovo di Homs, Hama e Nabk dei Siri che ha anche governato l'Eparchia patriarcale, da S.E. Athanase Matti Shaba Matoka, arcivescovo di Baghdad dei Siri e da S.E. Gregorius Elias Tabi, arcivescovo di Damasco dei Siri.
Quel sinodo si riunì in effetti nel seminario patriarcale di Charfé in Libano ma gli undici presuli partecipanti, tra cui i tre formanti il Comitato episcopale nominato da Roma e ben due patriarchi emeriti, il già citato Ignatius Pierre VIII Abdel Ahad ed il Cardinale Ignatius Musa I Daoud che nel 2001 aveva rinunciato all’incarico patriarcale diventando Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali e mantenendo tale carica fino al 2007, non riuscirono a trovare l’accordo su un nome.
La sede patriarcale rimase quindi ancora vacante. Una vacanza che dovrebbe però avere i giorni contati.
In virtù del canone 72 § 2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, infatti, che per quanto riguarda l’elezione dei patriarchi prevede che “se l’elezione non si porta a termine entro quindici giorni, da computare dall’apertura del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale, la cosa viene devoluta al Romano Pontefice” dal 17 al 23 gennaio il sinodo della chiesa siro cattolica si riunirà a Roma e sarà questa volta presieduto dal Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali.
Un sinodo seguito quindi più da vicino da Roma come già era avvenuto in passato. Negli anni recenti, infatti, non è questa la prima volta che un sinodo di una chiesa orientale si risolve in un nulla di fatto per trovare poi una veloce soluzione a Roma. Era già successo nel 2003 quando, successivamente alla morte a luglio a Beirut del Patriarca della Chiesa Caldea, Raphael I Bedaweed, il sinodo dei vescovi riunitosi a Baghdad non aveva prodotto una fumata bianca e l’accordo sul neo patriarca era stato trovato a Roma nel dicembre dello stesso anno con la nomina dell’attuale capo della chiesa, il Cardinale Mar Emmanuel III Delly, scelto da un collegio sinodale presieduto allora dal siro-cattolico Mar Ignatius Musa I Daoud.
Non resta che aspettare e vedere se anche questa volta l’aria romana spingerà i vescovi della chiesa siro cattolica, come già successe per quelli caldei, a prendere una decisione superando i particolarismi, a rivedere le alleanze che sempre un’elezione comporta, ed a dare ai fedeli una nuova guida che sappia e voglia aiutarli a superare un momento difficile della loro storia.

The Syriac Catholic Church tries again: Synod convened in Rome to elect the new patriarch

By Baghdadhope
On September 22, 2008, Baghdadhope gave the piece of news about the imminent start in Beirut of the Synod of the Syriac Catholic church which was to elect the new patriarch to replace Mar Ignace Pierre VIII Abdel-Ahad who, in January, had resigned from the office of Patriarch of the Church of Antioch for Syriac Catholics held since 2001.
In the nine following months the patriarchal vacant seat had been entrusted by Vatican to an Episcopal Committee formed by S.E. Theophilus George Kassab, Archbishop of Homs, Hama and Nabk of the Syriacs also in charge of the Patriarchal Eparchy, S.E. Archbishop Athanase Matti Shaba Matoka, Achbishop of Baghdad of the Syriacs and S.E. Bishop Gregorius Tabi Elias, Archbishop of Damascus of the Syriacs.
That synod in the end was held in the patriarchal Seminary of Charfé, in Lebanon, but the eleven participating prelates, including the three forming the Episcopal Committee appointed by Rome and two emeritus patriarchs, the above-mentioned Ignatius Pierre VIII Abdel-Ahad and Cardinal Ignatius I Musa Daoud who in 2001 had resigned the patriarchal office becoming the Prefect of the Congregation for Oriental Churches maintaining that position until 2007, failed to find an agreement on a name.
The patriarchal seat was then still vacant. A vacancy the days of which should be now numbered. Canon 72 § 2 of the Code of Canons of the Eastern Churches establishes in the case of the election of a Patriarch that "If an election is not successful within fifteen days from the opening of the synod of bishops of the patriarchal Church, the matter devolves to the Roman Pontiff" and consequently on January 17-23 the Synod of the Syriac Catholic church will meet in Rome and will be this time presided over by Cardinal Leonardo Sandri, Prefect of the Congregation for Oriental Churches.
A synod that will be so overseen more closely by Rome as already happened in the past. In recent years, in fact, this is not the first time that a synod of an eastern church does not go through to find then a quick solution in Rome.
It had already happened in 2003 when, after the death in July of the Patriarch of the Chaldean Church, Mar Raphael I Bedaweed, the meeting of the synod of the bishops in Baghdad had not produced a white smoke, and the agreement on the new patriarch was found in Rome in December of the same year with the appointment of the head of the church, Cardinal Mar Emmanuel III Delly, chosen by the Synod by then presided over by the Syriac Catholic Mar Ignatius I Musa Daoud.
We have only to wait and see if also this time the Roman air will push the bishops of the Syriac Catholic Church, as already happened for the Chaldean ones, to take a decision by overcoming the particularisms, to review the alliances that an election always involves, and to give the faithful a new guide who can and want help them to overcome a difficult moment in their history.

La Conferenza episcopale dell'Iran dal Papa per la visita ad Limina: intervista con l'arcivescovo di Teheran


Il Papa ha ricevuto oggi alcuni vescovi dell'Iran, in visita "ad Limina", guidati da mons. Ramzi Garmou, arcivescovo di Teheran dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale iraniana. Tiziana Campisi ha intervistato il presule chiedendogli di parlarci della situazione della comunità cattolica in questo Paese:
" ...Sarebbe opportuno dire qualche parola sulla storia della Chiesa in Iran. Secondo le informazioni a nostra disposizione, la Chiesa in Iran è il frutto dell’opera di evangelizzazione dell’Apostolo Tommaso e dei suoi discepoli. Quindi le sue origini si possono fare risalire al I sec. d.C.. Questa Chiesa ha conosciuto una straordinaria espansione nei primi secoli. Questi missionari sono stati i primi ad annunciare il Vangelo a popoli molto lontani come la Cina, la Corea, il Giappone. Eessa ha anche conosciuto dure persecuzioni ai tempi dei Sassanidi, in particolare sotto il Regno dello Scià Shapur II [IV sec. d.C. - ndr] che fece perseguitare i cristiani per 40 anni. Questo sangue dei martiri ha fatto sì che la Chiesa in Iran e in Oriente trovi molta forza e coraggio per continuare la sua missione in questa regione. Oggi è una piccola comunità. Su 70 milioni di abitanti si contano intorno a 100mila cristiani. Circa 80mila appartengono alla Chiesa armena ortodossa. I cattolici appartengono a tre riti: Caldeo, Armeno e Latino. Ma minoranza non significa scarsa incisività. Anche una minoranza può crescere e avere delle radici nel Paese. Basti pensare alle parola di Gesù: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo”. Con un po’ di sale si può dare sapore a molti alimenti. Anche noi, nonostante i limiti della nostra comunità, speriamo nella grazia di Dio e la testimonianza dei nostri fedeli di continuare la missione della Chiesa in questo Paese. Rendiamo grazie a Dio, perché nella nostra comunità è ancora vivo il sentimento religioso. Abbiamo dei giovani impegnati nella pastorale e abbiamo qualche vocazione sacerdotale e religiosa. Tutto questo è quindi un segno che Dio lavora nella nostra Chiesa, nonostante i limiti che ci sono imposti. Quello che caratterizza la nostra Chiesa e la nostra popolazione cristiana è l’emigrazione. Nel corso di questi ultimi trent’anni una buona parte dei nostri fedeli ha lasciato il Paese e sfortunatamente l’emigrazione continua. Solo Dio sa quale sarà il futuro della Chiesa nel nostro Paese, ma crediamo che, se chi resta rimane fedele alla sua vocazione cristiana, avremo un futuro luminoso. "
La Chiesa ha vissuto momenti difficili. Qual è la situazione oggi? E quali sono oggi le principali sfide pastorali?
"...La Chiesa vive situazioni difficili in tutti i Paesi, anche in Europa ha davanti a sé sfide notevoli come la secolarizzazione e l’indifferentismo religioso, la perdita dei valori morali e spirituali. Noi pure, come le altre Chiese, abbiamo delle difficoltà: è normale per delle persone che vogliono vivere la loro fede e testimoniarla. Nonostante questo, secondo la Costituzione della Repubblica Islamica d’Iran, i cristiani sono riconosciuti ufficialmente come una minoranza religiosa. Quindi abbiamo la libertà di praticare il culto e di impartire una formazione cristiana ai nostri fedeli all’interno delle nostre chiese. Le nostre chiese sono aperte per il culto e la formazione cristiana. La sfida che, secondo me, dobbiamo affrontare oggi è quella di aiutare i fedeli a passare da una fede sociologica, etnica, trasmessa dai genitori, a una fede che sia un’autentica esperienza spirituale, una testimonianza di vita, dunque innanzitutto un dono dello Spirito Santo. Questo passaggio è necessario e cerchiamo di farlo attraverso incontri, riunioni, prediche. L’altra sfida è quella di lavorare per l’unità dei cristiani. Siamo una piccola comunità divisa in più comunità e questo ancora oggi è uno scandalo per noi cristiani. Occorre dunque fare il possibile perché i cristiani possano vivere in comunione affinché la loro testimonianza sia più credibile presso gli altri. Dobbiamo inoltre convincerci che, siamo sì una piccola minoranza, ma che Dio può fare attraverso noi delle grandi opere. L’importanza di una Chiesa non sta nella sua visibilità, nella sua grandezza visibile, ma nella qualità della sua fede e nella testimonianza dei suoi fedeli. Dunque bisogna credere che, a dispetto dei numeri, Dio può realizzare meraviglie per noi a condizione che ascoltiamo la Sua voce e che facciamo la Sua volontà. "
Quali sono i rapporti con le altre Chiese nel Paese?
"Abbiamo rapporti fraterni tra vescovi e sacerdoti, ma il dialogo ecumenico purtroppo non è alimentato abbastanza. Ci accontentiamo di un incontro di preghiera per l'unità dei cristiani una volta all’anno. A mio avviso non basta. Occorre dunque intensificare e approfondire il dialogo ecumenico per rispondere alla volontà di Gesù che tutti coloro che credono in Lui “siano una sola cosa, affinché il mondo creda”.
Cosa vi aspettate dalla vostra visita ad Limina e dall’incontro con il Santo Padre?
"Questa visita tradizionale manifesta innanzitutto la comunione di tutti i vescovi del mondo con il Vescovo di Roma, che è anche Pastore universale della Chiesa cattolica. Quindi anche noi, come vescovi cattolici dell’Iran, veniamo per manifestare questa comunione con il Santo Padre. Inoltre ci attendiamo che ci confermi nella fede, nella convinzione profonda che abbiamo una missione da compiere in Iran. Auspichiamo poi che la Santa Sede sia più informata sulla situazione dei cristiani in Iran: speriamo che questa visita ci aiuti a essere meglio capiti dai diversi dicasteri per stabilire una collaborazione più utile e fruttuosa per la Chiesa."

9 gennaio 2009

Gaza. Warduni (Baghdad) "Fermate la strage, in nome di Dio!"

Source: SIR

8 gennaio, “Fermate la strage, in nome di Dio!”. E’ l’appello accorato di chi vive “ogni giorno e ormai da anni, la violenza e la morte”. Mons. Shlemon Warduni, vicario patriarcale di Baghdad, interviene così sulla guerra in corso a Gaza. “Quelli che hanno sperimentato le guerre e le ingiustizie – dichiara al Sir - ora compiono sugli altri le medesime azioni. E questo vale sia per i palestinesi che per gli israeliani”. Per questo, aggiunge il vicario, “bisogna levare la voce per dire ‘no’ e che non è questo il modo di fare e di agire. Mi chiedo come si può mancare di rispetto a uomini, donne e bambini indifesi e innocenti. Gli israeliani hanno sperimentato una terribile guerra ed anche i palestinesi. Ma nonostante ciò continuano a fare guerra”. “La sofferenza – dice il presule - non conosce cittadinanza, religione, etnia, colpisce tutti, non c’è distinzione tra un bambino iracheno ed uno di Gaza. La violenza, purtroppo, li costringe in un devastante gioco al massacro che non conosce esitazioni. Questa guerra in corso a Gaza danneggia tutti quanti e miete vittime innocenti”.
“Le appena trascorse festività natalizie – conclude mons. Warduni – hanno portato un po’ di serenità qui in Iraq, dove abbiamo potuto celebrare senza problemi di sorta. Purtroppo quello che sta accadendo a Gaza è orribile e ci ha gettato nello sconforto”.

Gaza. Warduni (Baghdad) "Stop the slaughter, in the name of God!"

Source: SIR

January, 8. “Stop the slaughter in the name of God!” It is the sorrowful appeal of those who have been living for years “with violence and death.” In this way Mgr Shlemon Warduni, Patriarchal Vicar of Baghdad, explains the ongoing conflict in Gaza. “Those who have suffered from war and injustice now impose the same actions on others. This is true for both Palestinians and Israelis.” “For this reason,” adds the Vicar “we have to raise our voice to say ‘no’, this is not the way to react. I wonder how one can be so disrespectful of vulnerable and innocent children and women. Israeli people have experienced a terrible war. So have Palestinians. Nevertheless, they are still engaged in war.” “Suffering does not make any distinction of citizenship, religion or ethnic group, it strikes everyone both Iraqi and Gaza children. Unfortunately, violence is forcing them to play a cruel slaughter game. The current war in Gaza is damaging everyone and is causing innocent victims.”
“The past Christmas festivities have brought some joy here in Iraq,” concludes Mgr Warduni “and we were able to celebrate Christmas without major problems.” “Unfortunately, what is happening in Gaza is horrible and that is why we are in distress.”