"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 settembre 2013

Ondata di attentati in Iraq: 60 morti. Mons. Warduni: c'è paura per il futuro


In Iraq, è salito ad almeno 60 morti il bilancio provvisorio delle 12 esplosioni con autobomba, stamani a Baghdad. Oltre 100 i feriti. Gli attacchi, secondo la polizia locale, hanno colpito perlopiù la comunità sciita. Già ieri a Musayyib, 60 km a sud della capitale, un kamikaze si era fatto saltare in aria provocando il crollo del soffitto della moschea sciita dove si stavano celebrando le esequie di un uomo ucciso sabato da miliziani: almeno 40 le vittime. Una ventina invece erano state registrate ad Hilla, città meridionale a maggioranza sciita. E a Erbil, nel Kurdistan, un gruppo armato aveva fatto irruzione nella sede dei servizi di sicurezza locali, provocando altri 6 morti. Una scia di sangue che conta almeno 800 vittime soltanto a settembre e 6 mila morti dall’inizio dell’anno per le tensioni interconfessionali tra la maggioranza sciita al potere e la minoranza sunnita.
Un’ondata di violenza che ha raggiunto i livelli del triennio di sangue 2006-2008. Sulla situazione attuale, Giada Aquilino ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei caldei:
Sta succedendo il caos. Ci preoccupiamo, perché non sappiamo cosa e per quali motivi stia accadendo. Alcuni dicono a causa delle elezioni, che ci saranno fra un anno, altri dicono si tratti di contraddizioni non soltanto religiose, ma di interessi e divisioni fra partiti. Noi non lo sappiamo. Si tratta comunque di cose che non sono per il bene dell’Iraq né degli iracheni e che fanno male a tutti.
Questa violenza, quindi, non è solo da ricondurre a tensioni interconfessionali?
E’ anche questo, ma non solo. L’aspetto interconfessionale è molto chiaro, ma ci sono altre cause sia interne sia esterne: contro l’Iraq, contro la sua unità, contro i suoi interessi.
Come si è arrivati a questo punto?
Se non c’è un governo forte, che possa mandare avanti le cose, si moltiplicano gli atti terroristici, che fanno paura a tutti. Noi chiediamo solo alla gente di stare tranquilla, di pregare. La gente però se non ha la sicurezza, se non ha la pace come può vivere sempre con questa ansia di non sapere quando possa scoppiare una macchina, un’autobomba o quando ci sia un kamikaze? Che il Signore ci protegga. La maggioranza delle persone però vuole uscire dal Paese, c’è un grande flusso migratorio. Ieri, per esempio, c’è stato uno scoppio nel Nord, il posto più sicuro in Iraq al momento. E quando la gente vede che non c’è più alcun posto sicuro, cosa può fare per proteggere la propria vita, la propria famiglia, il proprio lavoro, il proprio futuro?
La situazione in Siria si rispecchia anche in Iraq?
Sì, certamente c’è un’influenza e certamente c’è una guerra interconfessionale. Da noi ci sono entrambe le parti. Siamo al confine. E ci sono sia le armi sia i terroristi. Noi stiamo pregando molto, chiedendo l’aiuto di Dio, perché ci sia la pace e la sicurezza per tutti quanti.
Qual è la situazione dei cristiani al momento?
In Iraq, adesso non abbiamo direttamente grandi problemi, ma abbiamo paura per il futuro, perché non si sa quando ci saranno attacchi contro di noi o contro le nostre chiese. Ogni tanto, comunque, si sente una minaccia contro quella chiesa, contro quella persona.
Com’è impegnata la Chiesa irachena?
Da una parte, dice alla gente di non andare fuori, di non emigrare; dall’altra, ci sono le difficoltà quotidiane per le quali non si sa come fare. Ci vuole coraggio e eroismo. Preghiamo il Signore e diciamo: “Noi siamo qui, anche fino al martirio; siamo pronti”.

Patriarca Sako: Cristiani d'Oriente, uniti e fermi nella fede davanti alla sfida dell'estremismo religioso

By Asia News
di Joseph Mahmoud

"I cristiani d'Oriente, le diverse confessioni, devono essere uniti se non vogliono subire una "morte lenta". Essi sono parte del tessuto storico e culturale del Medio Oriente e hanno lavorato e sofferto con i loro fratelli musulmani per la "comune dignità e coesistenza".
Il loro riconoscimento come cittadini a pieno titolo è la via per un mondo arabo moderno. Sono alcuni dei temi che il patriarca caldeo di Baghdad, Mar Louis Sako ha trattato nell'omelia della messa celebrata ieri nella cattedrale di S. Raffaele e a Baabda. Il patriarca, in visita pastorale alle comunità caldee del Libano, ha salutato il nunzio apostolico, mons. Gabriele Caccia, esprimendogli tutta la stima per quanto papa Francesco sta compiendo per la pace in Medio Oriente. Alla messa erano presenti il presidente libanese, Michel Sleiman, oltre a membri cristiani, sunniti e sciiti del parlamento, insieme a molti ambasciatori.
Rifacendosi all'Esortazione apostolica "Ecclesia in Medio Oriente" di Benedetto XVI, Mar Sako ha chiesto a tutti i cristiani di "rimanere fermi" nelle loro radici, educando i figli alla fede ricevuta e potenziando il lavoro ecumenico di unità fra le confessioni cristiane: senza unità, ha sottolineato, "non abbiamo futuro".
"Questa unità - ha continuato - mantiene la nostra presenza e continuità, i nostri diritti e il nostro ruolo... Non c'è futuro per noi se rimaniamo delle piccole chiese regionali, chiuse in se stesse. La riforma è un dovere. La riforma è una questione di vita o di morte lenta!".
Fra le sfide che il mondo cristiano del Medio Oriente deve affrontare, egli ha elencato alcune "discriminazioni": la libertà di convertirsi a senso unico [solo da altre religioni verso l'islam]; le leggi sullo statuto personale; "l'opacità sulla storia cristiana, facendo credere alla media dei musulmani che i cristiani sono stranieri, generando nelle giovani generazioni cristiane un senso di alienazione che li porta ad emigrare".
Ma soprattutto egli ha messo in luce "i movimenti estremisti religiosi e l'invito da parte di alcuni di loro di umiliare i non musulmani, esigendo pubblicamente di non partecipare alle loro gioie e dolori". Ciò, aggiunge il patriarca, "ci lascia preoccupati e inorriditi".
"Noi cristiani - ha spiegato - siamo parte essenziale e integrale del tessuto dell'Oriente, della sua cultura e storia; le nostre radici sono profonde e si distengono per 2000 anni e non possono essere strappate. Noi manteniamo la patria nei nostri cuori e molti di noi hanno sacrificato la loro vita affianco ai loro fratelli musulmani, per consolidare i calori di libertà, sovranità, dignità e coesistenza. Vogliamo vivere nelle nostre nazioni, nel nostro Paese, senza discriminazioni fra maggioranza e minoranza; non vogliamo emigrare; vogliamo vivere in dignità come cittadini godendo dei nostri diritti e esercitando i nostri doveri".
"Non c'è soluzione araba - ha detto - se non adottando [il diritto a] l'unica cittadinanza, dato che i Paesi arabi sono un miscuglio di popoli, nazionalità, culture, lingue religioni, ideologie".
Il patriarca ha poi parlato della situazione regionale e in particolare "di ciò che succede in Siria... Noi desideriamo che i combattimenti si fermino e che la Siria e la regione non scivoli sempre più nel caos e nella violenza".
"Chiediamo a tutti - ha aggiunto - di usare razionalità, dialogo e comprensione per giungere alle necessarie riforme e a un processo politico inclusivo. La lotta non risolve il problema, ma approfondisce e porta morte e distruzione".
" L'Occidente - ha poi sottolineato - deve aiutare ad avere rispetto per i diritti umani, allo stesso livello con cui li garantisce ai suoi cittadini".
Mar Sako ha anche rivolto un appello per la liberazione dei due vescovi ortodossi di Aleppo, rapiti da mesi vicino alla Turchia, in una zona nelle mani dei ribelli fondamentalisti. "Chiedo a tutte le persone di buona volontà - ha detto - di lavorare per il rilascio dei due vescovi, mons. Yohanna Ibrahim e mons. Boulos Yazigi, e tutte le persone rapite".
Un ultimo pensiero è stato per il Libano, che già Benedetto XVI - nell'Esortazione apostolica -  ha indicato come modello per il Medio Oriente e per il mondo.
"Saluto il Libano, la sua unicità, originalità e generosità nell'abbracciare tutti con calore e collaborazione, ciò che lo rende splendente in tutta la regione, un elemento che consola e un segno di speranza. Io spero che le nazioni arabe seguiranno il suo esempio".

29 settembre 2013

Le parole di Mar Louis Sako dal Libano alla vigilia della partecipazione al meeting di Sant'Egidio

By Baghdadhope*

Di seguito il testo integrale del discorso che il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Louis Raphael I Sako, ha pronunciato ieri in occasione della Santa Messa celebrata a Beirut nella Cattedrale caldea di San Raffaele come ultimo atto della sua visita pastorale in Libano. 
Il testo del discorso, inviato a Baghdadhope da Padre Albert Hisham, responsabile delle comunicazioni sociali del Patriarcato Caldeo è stato pubblicato dal sito del patriarcato.     

"I greet you all, and thank you for coming, and for your love and participation with us today in our prayer and our hope.
I greet honorable Bishop Michel Kassarji, Pastor of the diocese, and his beloved priests and deacons, and daughters and sons of ‘Beirut of the Chaldeans’ Diocese, and also greet the honorable officials for their presence.
1.    This pastoral visit to the beloved Beirut Diocese has been an opportunity for me to pray and inflame hope, and exchange experiences and views to promote ‘Church Unity’and the communion between Chaldean dioceses from one point, and between our Church and its sister churches from another point, and also with our fellow Muslims in submission to the Apostolic Exhortation of Pope Benedict the sixteenth: "The Catholic Church in the Middle East: Communion and Witness" so that our witness be real Christian, strong and influential.
On this occasion I would like to express the Chaldean Church gratitude and pride in your bishop and in what he had accomplished for you from services and achievements, and in your priests and every one of you for your love and your commitment to your heritage and ethics, and for your binding to your Bishop and your church.
2.    I would like to urge you to keep your roots and your Authentic Eastern Christian identity, and hold on to them in front of the severe challenges designed to disrupt them. Remain and stand firm in your faith and raise your children on it as it is the path of hope to live the Gospel of Jesus Christ.
Also I invite you to adhere to your church in Mesopotamia, and your homeland Lebanon, Lebanon of goodness and openness, Lebanon of diversity and freedom, Lebanon of multi-culture and unity and living together.
3.   Chaldeans in Lebanon have deep roots and presence and interaction, and their literary and ecclesiastical patrimony, along with the heritage of Antioch and Byzantium and the Arabs, have great importance in the history of civilizations, accordingly it is their right to be represented in the State House of Representatives and Ministry, with other minorities. Evaluation should not be measured on the logic of the majority, but the quality and professionalism, where the quantitative minority may have stronger effect than the majority.
The existence of minorities and their continuation depend on their ‘actual representation in all life facilities within the government’, as it will preserve and protect this existence, and it is a pillar of achieving genuine democracy and full justice.
4.   I emphasize on the unity of Christian churches and the Ecumenical work, as today they are an existential necessity urgently needed to face the great challenges which threaten our survival. We have no future without them. I emphasize on the unity, and put on everyone the responsibility to achieve it, especially the Patriarchs of the East.
‘Unity’ is the desire of Jesus, and division is sin. It conflicts with the faith, and obstructs Christian witnessing. Our division was caused by cultural, political and personal, authoritarian factors and not spiritual. Our belief is one, but with different expressions, so there is no reason to stay divided. The Unity that I refer to is not a Federation of Churches, neither special ecclesiastical identities melt in one style, but I mean unity within plurality, and communion built on one faith and celebration of the holy sacraments and the agreement on attitude and discourse. This unity maintains our presence and our continuation and our rights and our role. Once again I assure that there is no future for us if we remain small and regional churches closed on its self.  Reform is a must. Reform is a matter of life or slow death! Openness and Regeneration and the Union should include the ecclesiastical structures and institutions and rituals and Christian education and theological discourse education systems.
People today can't live their present unless they have hope. ‘Hope’ renews our lives as individuals and in groups, and in the Church; and renews our vision to the existence and future as confirmed by the Apostolic Exhortation to The Catholic Church in the Middle East: “By its witness, may the “brotherhood” of Christians become a leaven in the whole human family (cf. Mt 13:33)! May Christ’s followers in the Middle East, Catholics and other Christians as well, be one in courageously bearing this difficult yet exhilarating witness to Christ, and thus receive the crown of life (Rev 2:10b)! May they know the encouragement and support of the Christian world as a whole. May the trials experienced by some of our brothers and sisters (cf. Ps 66 [65]:10; Is48:10; 1 Pet 1:7) strengthen the fidelity and faith of all!”(paragraph no. 99).We, in the Arabic Muslim-majority countries, need anew simple theological language easy to understand by Christian and Muslim, closer to the language of the Bible and the early fathers of the church, ratherto the language of Plato and Aristotle!
5.  The challenges facing the Eastern Christians and threaten their survival are several. The feeling that prevails in Christians is that they are stuck in a game bigger than them. The movements of religious extremism and the invitation of some of them to atone the non-Muslims and urge publicly not to participate in their joy and grief, make us worried and horrified, and force us to leave our homes and migrate and alienate us from our land and therefore lose our identity. Clearly and with complete honesty, there is religious discrimination against Christians in our countries at least at the street level and in certain laws and legislation,for example:
·       The freedom of religious conversion in only one direction,
·       The personalstatus laws,
·       The opacity upon Christian’shistory, thus making the average Muslim believes that a Christian is a stranger, and this generates within the Christian a sense of alienation that leads to immigration.
6.  Let everyone understand that today religion, any religion, cannot be an ideology and set the laws of a contemporary country, and if that happened, it would be a disaster on the religion and the country together. Generally, the basis and laws of a religion are fixed, while the basis for governing is variable and based on interests. And, there is no Arabic solution unless by adopting “One Citizenship”, where the Arabic countries are mixture of peoples, nationalities, cultures, languages, religions and ideologies. So, I call on Arab leaders and Muslim religious authorities to remedy the situation and pursue those ideas that create discord and dispute, and harm the national fabric and undermine coexistence.
The Christians’ and Muslims’ clerics and of other faiths are requested to unite together and to deal courageouslywith full honesty and clarity with religious extremism and the exploitation of religion for political purposes, through educational plan based on openness on the other and accepting him; and seek to promote dialogue and mutual understanding and to strengthen bridges to peaceful coexistence among the peoples of the region, as peace is a common virtuewithin all religions.
7.  We Christians, an essential and integral part of the fabric of the East, its culture and its history; our roots are deep and stretches to two thousand years, and cannot be uprooted. We held our homelands in our heart, and many of us have sacrificed their lives with their fellow Muslims in order to consolidate the values of freedom, sovereignty and dignity and co-existence. We want to live in our country, our land, without discrimination between majority and minority; we don't want migration; we want to live in dignity as citizens enjoying our rights and performing our duties.
8.  Christians in the Middle East need to continue to testify in their actual position, and despite the difficulties and suffering they should be a real sign of hope and peace to their people, and strive to improve dialogue and understanding based on human rights and religious values, and engage more in cultural, society and political activities, and not be afraid to claim their civil rights and equal citizenship.
9.  What happens in the region concerns us, particularly what is happening in Syria from fighting between citizens of one country, we wish that fighting would stop so that Syria and the region will not slide into further chaos and violence, and we call on everyone to adopt the rationality and dialogue and understanding in order to achieve the needed reforms and inclusion in the political process. Fighting does not solve the problem, but it deepens it and yield death and destruction. The West must help to have respect for human rights on the same scale that it respects its citizens.
And, from this stand, I appeal to all those with good will to work for the release of the two honored Bishops: Yohanna Ibrahim and Boulous Yazigi, and all kidnapped people.
10. And here I have to salute Lebanon in its uniqueness and originality and generosity to embrace all with warmth, and collaboration thus making him the shining face of the region, and an element of console, and a sign of hope. I hope that the Arabic countries would follow its step.
Thanks for Lebanon who welcomed previously the Palestinian and Iraqi Refugees, and today the Syrian with all the accompanied requirements and challenges.This reception made the small Lebanon really large and different. I wish that the Lebanese would maintain the unity of their country, a mosaic of their 18 beautiful communities through understanding, love and cooperation.
I extend my warm thanks to the Maronite Church for its generosity in receiving and embracing the persecuted Churches during the previous years, and I pay tribute to the role of the churches of Lebanon in the area of education, culture, social and health services, and in the dialogue and interaction between different communities and religions. Let us appeal to God Almighty in this difficult time, to bestow on our countries safety and security.

O Lord of peace we beseech you, grant peace to our countries, Amen."

Libano. I patriarchi cattolici d'Oriente: la primavera araba si è trasformata in ferro e fuoco

By Radiovaticana, 28 settembre 2013

Nella giornata di ieri, il Consiglio dei patriarchi cattolici d'Oriente si è riunito nella sede del patriarcato maronita a Bkerké (Libano) per una riflessione condivisa davanti alle convulsioni che sconvolgono la regione mediorientale, mettendo a rischio il futuro di comunità cristiane di tradizione apostolica radicate in quell'area. Alla riunione, ospitata dal patriarca maronita e card. Bechara Boutros Rai, hanno preso parte tra gli altri il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako, il patriarca greci-melkita Grégoire III Laham, il patriarca siro-cattolico Ignatius Yusuf III Yunan e il patriarca armeno cattolico Nerses Bedros XIX. Nell'intervento d'apertura, il patriarca Rai ha fatto riferimento al Sinodo ordinario sul Medio Oriente svoltosi in Vaticano nell'ottobre 2010, ricordando che proprio la fine di quel Sinodo “coincideva con l'inizio della Primavera araba. Disgraziatamente” ha commentato il patriarca maronita “quella Primavera si è trasformata in inverno, in ferro e fuoco, in stragi e distruzioni, proprio quando i popoli aspiravano a una nuova vita e a delle riforme, nell'universo della globalizzazione”. Oggi più che mai – ha continuato il cardinale libanese - “questa regione ha bisogno del Vangelo di Gesù, quello della pace, della verità, della fraternità e della giustizia, perché se il mondo perde il Vangelo, conoscerà una situazione di distruzione, come quella che noi viviamo oggi”. Il patriarca Rai ha anche riferito che i patriarchi cattolici d'Oriente si ritroveranno a Roma con Papa Francesco per un incontro “che avrà luogo a novembre e al quale si uniranno anche rappresentanti delle Chiese ortodosse”. L'incontro è previsto dopo l'Assemblea plenaria della Congregazione per le Chiese orientali. Nelle riunioni con il Papa e i suoi collaboratori, i patriarchi cattolici del Medio Oriente, insieme agli arcivescovi maggiori che guidano le altre compagini ecclesiali cattoliche di rito orientale, richiameranno l'attenzione su questioni pastorali e canoniche come l'elezione dei vescovi nelle Chiese cattoliche orientali. Il summit fornirà anche occasione per riflettere insieme sul futuro dei cristiani in Medio Oriente, nel tentativo di delineare criteri di discernimento pastorale condivisi davanti ai conflitti che dilaniano la regione, a partire dalla tragedia siriana.
 

26 settembre 2013

Mar Louis Raphael I Sako incontra in Libano il Patriarca della chiesa armena cattolica.

By Baghdadhope*
Fonte della notizia: Patriarcato Caldeo

Nel secondo giorno della sua visita pastorale in Libano il patriarca caldeo Mar Louis Raphael I Sako ha fatto visita al Patriarca cattolico di Cilicia degli Armeni Nerses Boutrous XIX Tarmouni.
Mar Sako era accompagnato, tra gli altri, dal vescovo caldeo del Libano, Monsignor Michael Kassarji, e dal vescovo di Baghdad Monsignor Shleimun Warduni.
I due patriarchi hanno sottolineato il tema dell'unità tra le chiese ricordando come sia la chiesa caldea che quella armena condividono l'essere state entrambe chiese che hanno vissuto un lungo periodo storico al di fuori dei confini della chiesa dell'Impero Romano, e le persecuzioni di cui sono state oggetto nei secoli.
Durante la visita in Libano dello scorso maggio in occasione della conferenza del World Council of Churches Mar Sako aveva incontrato il Patriarca della chiesa siro cattolica, Ignatius Yousef III Younan, quello della chiesa siro ortodossa Zakka I Iwas e quello della chiesa armena ortodossa Aram I Keshishian.La giornata è terminata con la Santa Messa celebrata da Mar Sako nel monastero delle suore caldee delle Figlie di Maria.

Gemayel visite le patriarche chaldéen et appelle à sauver les chrétiens du Levant

By National News Agency (Lebanon)

Le président Amine Gemayel a visité, ce jeudi, le patriarche chaldéen de Babylone, Louis Raphael Sako, au siège du patriarcat. Il a également participé à la messe organisée par le patriarche à son arrivée à Beyrouth.
Selon le bureau de presse de M. Gemayel, "la rencontre a porté sur la situation des chrétiens d'Orient".
"Ils ont insisté sur l'importance de la présence chrétienne et sur la nécessité de les protéger. Les chrétiens du Liban, de Syrie et d'Irak constituent un facteur fondamental de la région", a-t-il précisé.
M. Gemayel a appelé à sauver la présence chrétienne du Levant "de la persécution et de l'émigration. Ils doivent constituer un facteur de stabilité et de paix au sein des sociétés du Levant".

Chaldean patriarch speaks out against emigration


The Chaldean patriarch arrived in Lebanon for a rare visit Thursday and urged Christians to not leave their homeland.
Louis Raphael Sako, the Chaldean Catholic patriarch of Babylon, made the comments at Rafik Hariri International Airport, before heading to the Beirut suburb of Hazmieh for the holding of religious services.
“Christians, wherever they are, should not emigrate, because this is considered a withdrawal from the scene and a loss of identity,” he said.
“In countries of emigration, they are refugees and emigres, but here, they have an identity, a role and a history.”
Sako complained about certain countries offering visas as an “inducement” for Christians to emigrate.Sako also spoke against what he termed a “plan for a ‘new Middle East,’ which might see this East divided into religions and ethnic and sectarian cantons,” and lamented civil strife in Arab countries, and particularly the specter of fighting between Sunnis  and Shiites.
“I understand a war in defense of the country, or to preserve it, but it is incomprehensible for fighting to take place between people from the same country,” he said.
Sako was elected patriarch in February.
During his visit to Lebanon, the patriarch is scheduled to take part in a religious summit at Bkirki, the seat of the Maronite patriarch, and will pay a visit to the Assyrian Diocese in Sadd al-Boushrieh and meet with the Armenian patriarch.
Sako will also visit Baadba Palace for a meeting with President Michel Sleiman.

Il Patriarca caldeo Sako: gli occidentali non favoriscano la fuga dei cristiani

By Fides

I Paesi occidentali che facilitano la concessione di permessi di soggiorno per i cristiani in fuga dalle convulsioni mediorientali finiscono per provocare un “incitamento” al loro esodo, e quindi all'estinzione della presenza cristiana in Medio Oriente.
Lo ha detto mrcoledì 26 settembre il Patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I Sako al suo arrivo in Libano, all'inizio della sua prima visita da Patriarca nel Paese dei cedri.
Secondo Sako, i conflitti e le operazioni terroritiche che stanno martoriando la regione mediorientale rivelano l'esistenza di un “piano per un 'nuovo Medio Oriente'” diviso secondo frontiere religiose e “'cantonizzato' su base etnica e settaria”. In particolare, Sako ha evocato lo spettro dei uno smembramento dei Paesi mediorientali provocato dallo scontro intra-musulmano tra sciiti e sunniti. “Io capisco una guerra in difesa di un Paese, o per preservarlo” ha notato il Patriarca, “ma è incomprensibile combattere per prendere il predominio tra persone dello stesso Paese”.
Durante la sua visita in Libano, oltre a partecipare a incontri ecumenici e inter-religiosi, il Patriarca Sako sarà ricevuto anche dal Presidente libanese Michel Sleiman

25 settembre 2013

Anche la voce dell'Iraq all'incontro di Sant'Egidio: Mar Louis Raphael I Sako

By Baghdadhope*

Nell'ambito dell'incontro internazionale per la pace "Il Coraggio della Speranza. Religioni e culture in dialogo" organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio che si terrà a Roma dal 29 settembre al 1° ottobre è prevista la presenza di Mar Louis Raphael I° Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei.
L'intervento di Mar Sako è previsto per martedì 1 otttobre presso la Basilica di San Bartolomeo all'Isola * (Piazza di San Bartolomeo all'Isola, 22)
per l'incontro intitolato: "Martirio, realtà attuale dei cristiani."
Sempre dall'Iraq è previsto, il 30 settembre alla Sala della Pace, (Piazza San'Egidio 3) l'intervento di Sayyed Salih al-Hakeem, docente di Diritto Islamico per l'incontro "Cristiani e musulmani in dialogo."
Per il programma dell'incontro clicca qui:

Dal sito della Comunità di Sant'Egidio:
Dal 29 settembre al 1 ottobre 2013 centinaia di leader di tutte le religioni e personalità del mondo della cultura e della politica, da più di 60 Paesi, convergeranno a Roma nei giorni di fine settembre, facendo della nostra città la capitale della pace e della convivenza, simbolo per il mondo intero. Si tratta della ventisettesima edizione di quegli incontri attraverso i quali, partendo dalla storica Giornata di Preghiera del 1986 voluta dal Beato Giovanni Paolo II,  Sant’Egidio ha diffuso lo “spirito di Assisi” in tanti Paesi europei e mediterranei.
In queste occasioni si intreccia l’amicizia, il dialogo umano e culturale, la preghiera come forza dello spirito. C’è un grande valore nell’essere insieme tra donne e uomini di religione, quando si realizza un autentico incontro, fatto di dialogo sincero e si prega gli uni accanto agli altri. Si realizza così l’immagine vera di un mondo di pace: è la civiltà del vivere insieme.
Oltre venticinque anni di cammino nello spirito d’Assisi hanno dimostrato come la forza spirituale fondi una pace vera. Le religioni cambiano l’uomo dal di dentro, suscitando un atteggiamento pacifico. Crediamo che oggi sia quanto mai prezioso riaffermare con il coraggio della speranza la via del dialogo come indicazione per un futuro vivibile per tutti. Le numerose e qualificate conferme pervenute finora già permettono di disegnare un avvenimento ricco e importante, con contributi di grande significato, in un tempo come il nostro che finalmente presenta segni nuovi di ripresa umana e spirituale.
Il convegno, come è consuetudine, si articolerà in un’Assemblea Plenaria di Apertura, che avrà luogo domenica 29 settembre presso l’Auditorium “Conciliazione”. Numerosi Panel si svolgeranno nelle tre sessioni di lunedì 30 settembre mattina, pomeriggio e martedì 1 ottobre mattina, in diverse sale, tutte nel centro storico della città. La Cerimonia Finale del Meeting, dopo gli incontri di preghiera delle diverse religioni, avrà luogo la sera di martedì 1 ottobre in Piazza del Campidoglio. Allora sarà proclamato l’Appello di Pace di Roma 2013

* Nella Basilica di San Bartolomeo all'Isola è custodita, tra le altre reliquie dei martiri cristiani del nostro tempo, la stola sacerdotale di Padre Ragheed Aziz Ganni, il giovane sacerdote caldeo ucciso a Mosul (Iraq) insieme a tre suddiaconi il 3 giugno 2007.
Nota di Baghdadhope

24 settembre 2013

Mar Louis Raphael I Sako: visita pastorale in Libano

By Baghdadhope*

Il Patriarca della chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako, arriverà domani in Libano per la sua prima visita pastorale e per incontrare i molti caldei, libanesi ma anche iracheni e siriani fuggiti dalla guerra. 
Lo scopo della visita, ha infatti dichiarato Padre Raphael Trabulsi, il parroco della chiesa caldea dedicata all'Arcangelo Raffaele a Beirut, non è solo quello di visitare la diocesi, dove ad accogliere il Patriarca sarà il Vescovo caldeo del Libano, Mons. Michael Kassarji, ma anche quello di incoraggiare i fedeli locali e provenienti da altri paesi a sperare ed a continuare a testimoniare Cristo in Medio Oriente perchè essi ne sono ne parte integrale ed in quanto tale devono mantenere la propria presenza in Terra Santa, in Mesopotamia, in Libano, Siria e Palestina.
Tra i vari incontri che il Patriarca caldeo avrà in Libano da segnalare quello con il Presidente libanese Michael Suleiman, e quello voluto dal Patriarca Maronita Mons. Bechara Rai e che riunirà i Patriarchi cattolici e non cattolici d'Oriente per discutere della grave situazione politica in Medio Oriente nella sede patriarcale maronita a Bkerke.
In attesa di partire per Beirut intanto il patriarca caldeo continua ad affrontare la drammatica situazione di un Iraq fuori controllo. E' del 18 settembre la notizia di una bomba esplosa nel quartiere di Bataween a Baghdad, non lontano dalla chiesa caldea della Sacra Famiglia che ha causato un ferito ed ingenti danni in una zona dove sono presenti attività legate all'editoria e gestite da cristiani.

23 settembre 2013

Iraq, mons. Rabban al-Qas: Terroristi stranieri contro chi lavora per la speranza


"L'Iraq è ancora in balia di terroristi stranieri, non vi è sicurezza. Gli estremisti al soldo di Paesi stranieri sfruttano l'instabilità per impedire alla popolazione impegnata nella politica di ricostruire il Paese". E' quanto afferma ad AsiaNews mons. Rabban al-Qas, arcivescovo caldeo della diocesi di Amadiyah-Zakho, in occasione dei recenti attentati e attacchi mirati contro politici cristiani avvenuti a Baghdad e Kirkuk. Per il prelato, in tutto il Paese, soprattutto nella capitale, la situazione è drammatica: "Il clima di terrore colpisce tutta la popolazione cristiana e musulmana, sunniti e sciiti. Chi tenta di portare avanti un dialogo viene colpito".
Fra il 20 e il 21 settembre, due violenti attentati hanno causato nella sola Baghdad quasi 80 morti. Il primo ha colpito una moschea sunnita a Samarra, a pochi chilometri dalla capitale. L'esplosione ha fatto 18 morti e 21 feriti. Il secondo si verificato a Sadr City (nord di Baghdad) durante un funerale della locale comunità sciita. Due ordigni sono esplosi in mezzo al corteo, uccidendo 73 persone e ferendone in modo grave almeno 200. Un attentato contro un politico cristiano è avvenuto invece a Rafidayn, nella provincia di Kirkuk (Kurdistan), dove terroristi hanno fatto esplodere l'appartamento di Emad Youhanna, parlamentare cristiano membro dell'Assyrian Democratic Party. L'attacco non ha fatto vittime, ma ha ferito circa 50 persone. Secondo le autorità i responsabili potrebbero essere legati ai partiti di opposizione islamici che si oppongono alle politiche di Mas'ud Barzani, presidente della regione e leader del partito democratico kurdo (Dkp), grande sostenitore delle recenti elezioni regionali, che hanno permesso a molti cristiani di lanciarsi in modo attivo nella politica locale.
Mons. Rabban spiega che chi vuole l'instabilità dell'Iraq "sono gruppi islamisti di nazionalità straniera. I loro obiettivi sono soprattutto politici e leader religiosi. Le loro azioni servono per scatenare il caos fra le comunità". Il prelato spiega che "molti esponenti dei partiti di governo e opposizione organizzano da mesi incontri per cercare una soluzione alla decennale crisi irachena". L'ultimo è avvenuto di recente nella capitale e ha raccolto tutti i rappresentanti delle comunità religiose ed etniche residenti in città e provincia. Anche la Chiesa, su iniziativa del patriarca caldeo Mar Raphael I Sako ha dato il via a una serie di incontri con i politici cristiani per cercare un'agenda comune e unita per difendere i diritti delle minoranze e lavorare per il bene del Paese.  
Per mons. Rabban, gli islamisti ostacolano proprio questi tentativi di riconciliazione portati soprattutto grazie ai cristiani: "I terroristi stanno facendo di tutto per costringere la popolazione cristiana ad abbandonare l'Iraq. Occorre proteggerli, dare loro una ragione per non fuggire. La presenza dei cristiani in Iraq è fondamentale, la loro testimonianza di fede, di pace e riconciliazione è un faro per la popolazione musulmana, che si è ormai polarizzata".

Auto-bomba contro la casa di un politico cristiano. 50 feriti

By Fides

E' di 50 feriti il bilancio dell'attentato perpetrato a Kirkuk contro l'abitazione di un noto uomo politico cristiano nella mattina di domenica 22 settembre. Secondo quanto riportato da fonti locali all'Agenzia Fides, un'auto-bomba guidata da un kamikaze è stata fatta esplodere nel quartiere di Rahim Awa davanti alla residenza del cristiano assiro Imad Youkhana, esponente del Movimento democratico assiro e membro del parlamento iracheno. L'uomo politico bersaglio dell'azione terroristica è rimasto incolume, ma l'esplosione ha provocato almeno cinquanta feriti, compresa la moglie e alcuni congiunti di Youkhana.
All'inizio del 2006 il 70enne Yaqo Youkhana, padre di Imad, era stato ucciso dai soldati Usa che stavano disperdendo con le armi una manifestazione di protesta popolare contro i prezzi troppo alti del carburante.

19 settembre 2013

Mons. Ramzi Garmou: prima visita pastorale in Europa

By Baghdadhope*

E' iniziata il 14 settembre con una Messa per la festività della Santa Croce celebrata nella chiesa di Nostra Signora dei Caldei a Parigi la prima visita pastorale in Europa, precisamente in Francia e Belgio, del nuovo Visitatore Apostolico caldeo, Mons. Ramzi Garmou, Arcivescovo di Tehran (Iran).
La visita interessa non solo Parigi, dove Mons. Garmou ha celebrato la Santa Messa anche nella chiesa di San Tommaso Apostolo e dove ha incontrato il Cardinale André Armand Vingt-Trois, ma altre città come Marsiglia dove si è svolto l'incontro con il vescovo Mons. Georges Paul Pontier, Lione dove il prossimo 24 settembre incontrerà il Cardinale Philippe Barbarin e Bruxelles dove il giorno dopo incontrerà l'Arcivescovo della città, Mons.André Joseph Léonard.

18 settembre 2013

Elezioni nel Kurdistan iracheno: candidati cristiani in ordine sparso

By Fides

Alle imminenti elezioni per il Parlamento regionale del Kurdistan iracheno – in programma per sabato 21 settembre – i candidati cristiani partecipano con una pluralità di liste concorrenti. Sono riusciti solo in parte i tentativi di aggregare gli aspiranti parlamentari cristiani in partiti unitari. Secondo informazioni raccolte dall'Agenzia Fides, il cartello politico in cui sono confluite gran parte delle formazioni politiche ispirate da cristiani – compreso il Partito Nazionale Assiro e il Consiglio Nazionale Caldeo - è l'Assemblea delle organizzazioni caldee, assire e siriache, sotto la presidenza del cristiano assiro Emmanuel Koshaba. Ad esso si aggiunge il Partito Rafdein - legato al Movimento democratico assiro e presieduto da Yunadam Kanna – E il Partito Figlio dei due fiumi, sotto la presidenza di Kalita Shaba. Altri canditati cristiani – soprattutto armeni – sono presenti individualmente in altre liste.
La fioritura di partiti di impronta cristiana, pur esprimendo un vivace interesse per la sfera pubblica, appare segnata anche dal rischio della frammentazione su base etnica che da sempre caratterizza la partecipazione delle minoranze cristiane alla vita politica nell'Iraq post-Saddam. Sono 2.803.000 gli iracheni chiamati alle urne per eleggere 111 rappresentanti nella quarta legislatura regionale del Kurdistan iracheno. Il “sistema delle quote”, a tutela delle minoranze etniche e religiose, riserva almeno 6 seggi ai cristiani (5 per caldei, assiri e siriaci e uno per gli armeni) e altri 6 ai turkmeni.
Tra le questioni che stanno più a cuore ai rappresentanti cristiani nel Parlamento regionale del Kurdistan iracheno c'è da sempre lo sviluppo dei servizi sociali per le città e i villaggi della Piana di Ninive e il mantenimento degli equilibri demografici in quell'area, caratterizzata da una forte presenza cristiana.

Patriarca Sako ai politici cristiani: Siate uniti per il bene della comunità e del Paese


"I cristiani devono unire i loro sforzi per mantenere la coesione nazionale e difendere il diritto alla libertà religiosa come una componente fondamentale della società irachena".  È quanto sottolinea sua Beatitudine Mar Luis Rapahel Sako, patriarca caldeo, in occasione delle elezioni per il rinnovo del parlamento del Kurdistan, in programma per il 21 settembre. Nella sua lettera ai politici cristiani, il prelato indica alcune linee guida su come migliorare la situazione del Paese, vittima degli odi confessionali ed etnici che da gennaio hanno provocato oltre 5mila morti. Per il patriarca i cristiani si sentono in pericolo. Essi vendono le loro case ed emigrano all'estero. "Questa - afferma - è una grave perdita non solo per la comunità cristiana oramai dimezzata, ma per l'intero Paese".
Secondo gli analisti queste saranno le votazioni più importanti nella storia della regione, che in gennaio ha iniziato l'esportazione diretta di greggio sui mercati mondiali attraverso la Turchia, sfidando in modo aperto il governo centrale che rivendica il "pieno controllo" del petrolio in Iraq. I successi economici non hanno però fermato la disgregazione della società. La spaccatura tra i due partiti principali, il Partito Democratico Curdo (KDP), guidato dal presidente in carica Mas'ud Barzani  e l'Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), partito fondato da Jalal Talabani, attuale capo di Stato, potrebbe favorire i partiti islamici finora all'opposizione, Unione Islamica e Gruppo Islamico, con gravi rischi per la minoranza cristiana più volte bersaglio degli islamisti, con attentati e omicidi mirati.
Di seguito il testo della lettera inviata dal patriarca Sako ai politici cristiani.
Mi rivolgo a voi con amore e rispetto, in vista delle elezioni parlamentari in Kurdistan, partendo dalle mie preoccupazioni per la sorte dei cristiani e non per intervenire nella politica. Desideravo organizzare un incontro per raccoglierebbe i politici cristiani, che non si è riusciti ad organizzare a causa delle troppe responsabilità nella Chiesa e l'assenza di un team di lavoro nella curia patriarcale. Per questa ragione scrivo questa lettera suggerendo alcune idee per unire gli sforzi dei cristiani invitandoli a mantenere da un lato la coesione nazionale e dall'altro di portare avanti la difesa dei diritti dei cristiani come un valore per la società irachena.
La fragilità della sicurezza e dell'identità nazionale, gli scontri e l'instabilità, mettono a rischio tutti i cittadini, ed i cristiani in modo particolare. Finora non vi sono segni che lascino intendere sicurezza o un futuro migliore. Essi hanno venduto le loro case, i terreni ereditati dai loro padri e sono emigrati per trovare un luogo migliore per i loro figli. Questa è una grande sfida, ma anche una perdita per chi parte e per tutto l'Iraq. Secondo il censimento del 1987 i cristiani erano 1.264.000, oggi sono meno della metà. Se circa 600mila sono fuggiti, chi ha deciso di restare ha bisogno di aiuto, di coraggio, ma ciò va realizzato in modo pratico, con metodo e vi è la necessità di un team specializzato che studi e analizzi il problema e suggerisca nuove soluzioni.
Possiamo migliorare la situazione delle nostre città e dei nostri villaggi, costruire abitazioni, strade e creare lavoro affinché i cristiani non emigrino? Perché non si incoraggiano i membri ricchi della comunità ad investire nelle proprie zone?
In che modo si può introdurre nel Paese e nel governo del Kurdistan il rispetto della libertà religiosa e dare ai cristiani gli stessi diritti dei musulmani?
Come possiamo partecipare in modo attivo nella politica per servire il bene comune e non gli interessi personale?
E' possibile riunire tutti i partiti cristiani sotto un unico nome, ad esempio "Unione nazionale cristiana irachena"?
Oggi servono unità, familiarità e solidarietà. Restando uniti potremmo lanciare una campagna nazionale, che potrebbe avere come slogan: "La pace e la convivenza pacifica, il rispetto di tutte le religioni e le confessioni, per diffondere uno spirito di libertà e vera democrazia".
Perché non si costituisce un "consiglio politico cristiano" che si faccia carico degli affari dei cristiani e di seguire i problemi della comunità.
 Dobbiamo incoraggiare i cristiani della diaspora ad iscriversi nelle ambasciate irachene e ad avere un proprio passaporto per mantenere il loro diritto di voto, utile in tempo di elezioni.
Occorre sollecitare i cristiani ad entrare in altro partiti, a candidarsi in altre liste, non solo in quelle cristiane, soprattutto in occasione delle elezioni del 2014 in modo da aumentare i parlamentari membri della nostra comunità.

17 settembre 2013

Iraq, il massacro continua 4.000 morti in sei mesi


"Sulla situazione in Iraq non possiamo tacere e non accettiamo il silenzio": lo afferma in una nota monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi Italia.
"Sono più di quattromila i morti dallo scorso mese di aprile in Iraq - si legge nella nota - e numerosi sono gli attentati e i morti anche in questi giorni. Il forte legame che da anni Pax Christi Italia ha con molte persone e comunità in Iraq, in particolare col patriarca caldeo Louis Sakh, ci chiede di non tacere".
"L'Iraq nella sua instabilità senza fine - conclude monsignor Giudici - è la conferma di come la guerra sia davvero un'avventura senza ritorno e di come non ci sia alternativa alla strada del dialogo e della non violenza nell'impegnativo cammino della pace".

Di seguito il testo integrale della nota di Mons. Giovanni Giudici:
Iraq: non accettiamo il silenzio.

Sono più di 4.000 i morti dallo scorso mese di aprile in Iraq. Numerosi sono gli attentati e i morti anche in questi giorni. Siamo di fronte al rischio reale del silenzio e dello blio su questa tragedia. Pax Christi Italia vuole rompere questo silenzio che sembra avvolgere la situazione in Iraq.
Il forte legame che da anni Pax Christi Italia ha con molte persone e comunità in Iraq, in particolare con il Patriarca caldeo Louis Sako, ci chiede di non tacere. Innanzitutto esprimiamo umana pietà e solidarietà per le vittime anche di questi giorni. Rinnoviamo poi l'impegno costante per la pace e contro la guerra. Il dramma della vicina Siria non può che ricadere anche sulla gente dell'Iraq, aumentando paura e insicurezza. Occorre prendere coscienza che ci sono molti interessi –dice il Patriarca Sako – nel mantenere una situazione di conflitto.Temo ci sia una strategia per dividere il Medio Oriente in paesi confessionali. Sostenuti dal forte richiamo di papa Francesco, continuiamo a pregare per la pace, ricordando che la guerra sempre è portatrice di violenza, morte e distruzione. In particolare chiediamo che si attui un severo ed efficace controllo al mercato delle armi. Non dimentichiamo quanto dicono voci autorevoli: Dieci anni dopo l'invasione americana in Iraq non abbiamo la democrazia. Ogni giorno ci sono esplosioni, morti e danni. L'Occidente non vede che i suoi interessi economici! Le riforme si fanno col dialogo e ci vuole tempo e buona volontà e non le bombe! Ora la lotta fra tutti è per il potere e non per la democrazia e le riforme.
Dunque non bisogna vendere armi!.
L'Iraq, nella sua instabilità senza fine, è la conferma di come la guerra sia davvero avventura senza ritorno e di come non ci sia alternativa alla strada del dialogo e della non violenza nell'impegnativo cammino della pace.

Giovanni Giudici, vescovo di Pavia
Presidente di Pax Christi Italia

Pavia, 17 settembre 2013

Segreteria Nazionale di PaxChristi 055/2020375 info@paxchristi.it

Coordinatore Nazionale di Pax Christi: d.Renato Sacco 348/3035658 drenato@tin.it

Local Catholics answer Pope Francis’ call for prayer, fasting

by Joyce Coronel

In his address to the nation Sept. 10, President Barack Obama indicated he would delay a possible military strike against Syria while pursuing a diplomatic path to ending the crisis.
Three days prior to the speech, Catholics around the globe responded to Pope Francis’ call for Catholics and people of good will around the globe to pray and fast for peace.
Images of the bodies of more than 1,000 victims wrapped in white burial shrouds — many of them children — killed by a chemical weapons attack Aug. 21,  sparked global outrage. The two-year civil war in Syria has claimed 100,000 lives and driven thousands from the country and into refugee camps.
As the Obama administration signaled that the United States was contemplating a military strike on Syria for its use of chemical weapons, Pope Francis made his impassioned plea for peace, calling for a day of prayer and fasting.
“I wish to make add my voice to the cry which rises up with increasing anguish from every part of the world, from every people, from the heart of each person, from the one great family which is humanity: it is the cry for peace!” Pope Francis said in his address to the faithful gathered in St. Peter’s Square Sept. 1.
Fr. Kurt Perera, parochial vicar at Ss. Simon and Jude Cathedral in Phoenix, took the pontiff’s plea to heart and organized a prayer vigil to coincide with the one that took place in Rome Sept. 7.
Jen Pitera, director of youth ministry at Ss. Simon and Jude, estimated that about 1,000 Catholics from around the Valley made their way to cathedral at some point during the five-hour vigil. The day began with Fr. Perera reading Pope Francis’ letter to the faithful and included a bilingual recitation of the rosary, the Divine Mercy chaplet, Benediction, adoration and confession. Prayers were read by various representatives of the community every 15 minutes throughout the event.
The Arizona Catholic Conference, the public policy arm of the four Catholic bishops of Arizona, released a statement Sept. 9 in which they called on the state’s congressional delegation to urge President Obama to seek a negotiated political statement rather than a military strike. The statement also condemned the use of chemical weapons.
“This tragedy cannot continue. We ought not to fuel violence but seek a negotiated resolution. We ought to learn from the Iraq tragedy that rushing to conclusions without clear evidence can have disastrous consequences,” the statement read in part.

Fr. Felix Shabi, a native of Iraq and the corbishop of the Chaldean Catholic Vicariate of Arizona, added his voice to the outcry against military intervention.
“Every military action will cause damage and the killing of innocent people,” Fr. Shabi said. “We cannot create peace by the sword.” U.S. military action, he said, would harm the fragile Christian minority of Syria.
“As we experienced in Iraq, and as they are experiencing now in Syria as well, the innocent people, most likely Christians… are very easily targeted and would be extinguished,” Fr. Shabi said.


Fr. Peter Boutros
, pastor of St. John of the Desert Melkite Catholic Church in Phoenix, agreed. The Melkite patriarchate is based in Damascus.
“What we need is a peaceful solution,” Fr. Boutros said. “Our churches are being destroyed,” he added. Maaloula, a Christian village that was home to ancient monasteries, was captured by rebel forces that damaged the churches. “The government forces came and kicked them out.”
Fr. Boutros said he agreed with the need to eliminate chemical weapons, but not by way of military intervention.
“Let’s go and take the chemical bombs, I agree with that,” Fr. Boutros said. “but don’t go with force and give the power to those people who are going to destroy Christianity.”
Bill Hallinan, a St. Thomas the Apostle parishioner, attended the local prayer vigil for peace decked out in his Veterans for Peace T-shirt.  Overcome by emotion, he pointed out the quote from Gen. Dwight D. Eisenhower emblazoned on the back of his shirt: “I hate war as only a soldier who has lived it can, as only one who has seen its brutality, its futility, its stupidity.”
Hallinan, a veteran of the U.S. Air Force, said he opposed the Obama administration’s pursuit of military action in Syria.
“America is a nation that has become insane with murder,” Hallinan said, pointing to abortion as well as the wars in Vietnam, Korea and Iraq.
Scott Yeager and his son Jacob, 9, also from St. Thomas the Apostle Parish, came straight from football practice to attend the prayer vigil.
“We’re here to pray for peace. More bloodshed isn’t going to help anything,” the elder Yeager said. “We’re all human and we’re all here for the same purpose, whether we are Syrian or Chinese or Russian, it doesn’t really matter. We need to do what we can as Catholics to improve the world for everybody.”
Lily Alvarez of St. Jerome Parish blinked back tears as she explained that God had called her to take part in the prayer vigil at the cathedral.
“The world is in need of peace,” Alvarez said. “We need God’s protection and comfort — we need to turn to Him.”
Fernando Rojo, 17, read a prayer in English and Spanish that God would “bring peace into the world by bringing peace into the hearts of all.” He said he hoped there would be a non-violent solution to the crisis in Syria.
“There are other ways of having a resolution,” Rojo said. “Everyone needs to give their part for world peace. I gave my part so hopefully everyone will give their part.”
Tatym Bonheimer, a Ss. Simon and Jude eighth-grader, said she and fellow students are praying for peace and studying about the Middle East and the ongoing violence there. Bonheimer read the prayer for peace from the Roman Missal.
“Kindle in the hearts of all men the true love of peace, and guide with Your pure and peaceable wisdom those who make decisions for the nations of the earth,” the prayer read in part.
In his Sept. 10 speech, Obama said that he intended to keep pressure on the Assad regime and that he had ordered the military to “be in a position to respond if diplomacy fails.” A U.S. military response, he said, would be a “targeted strike to achieve a clear objective: deterring the use of chemical weapons and degrading Assad’s capabilities.”

Iraq, mai così tanti morti dal 2007. Il patriarca Sako: Tutto si confessionalizza, non c’è uno spiraglio di unità


A seguito delle autobombe esplose ieri in 7 città irachene sale a 5612 morti il bilancio annuale delle vittime. Il 2013, dopo soli 8 mesi e mezzo, si conferma l'anno più sanguinoso dal 2007 ad oggi. "Nella popolazione non c'è volontà di perdonare o voltare pagina - spiega ad AsiaNews il patriarca caldeo, Mar Louis Raphael Sako - sciiti, sunniti, curdi, arabi..tutto tende a frammentarsi e a confessionalizzarsi".
All'ombra dell'emergenza siriana, la recente ondata di violenze religiose in Iraq ha prodotto oltre 3mila vittime dall'inizio dell'estate. Con una media in aumento di 36 civili al giorno, il mese di settembre si appresta a raggiungere il bilancio più sanguinoso degli ultimi 5 anni: nella sola giornata di ieri, 11 differenti attacchi su tutto il territorio hanno causato 67 morti.
Secondo iraqbodycount.org, sito impegnato a documentare ogni attentato dall'inizio del conflitto, il bilancio dei civili in 10 anni d'instabilità oscillerebbe tra i 114mila e i 125mila innocenti. Il ritiro statunitense nel 2011, e il conseguente passaggio dei poteri alle autorità sciite irachene ha contribuito a peggiorare tale tendenza, riaccendendo l'odio religioso della minoranza sunnita.
In aggiunta a ciò, il vicino conflitto siriano, con le sue degenerazioni confessionali, ha contribuito a una ripresa delle violenze religiose anche tra i gruppi iracheni. "La situazione regionale è molto complessa e la crisi in Siria ne è la riprova - spiega il patriarca Sako - In Iraq e in tutto il Medio oriente, sembra che mani esterne agiscano per alimentare odio e violenza facendo leva sulle frammentazioni etnico-religiose".
Anche il parlamentare cristiano Yonadam Kanna, leader dell'Assyrian Democratic Movement, spiega ad AsiaNews che "le violenze nel Paese, soprattutto a Baghdad, sono il riflesso diretto del conflitto settario che si sta consumando in Siria; oltre che la partita irachena di uno scontro su più ampia scala tra le monarchie sunnite del Golfo e l'asse sciita di Tehran-Damasco-Hezbollah". E prosegue: "La gente in Siria non piange per il regime ma per il collasso dell'istituzione statale; in tale quadro rischia di essere compromessa anche la stabilità del Libano, della Giordania, dell'Iraq e della Turchia. Grazie a Dio è stato almeno evitato un intervento armato esterno".

16 settembre 2013

Iraq, il patriarca Sako: la violenza nel Paese legata alla crisi in Siria


Non si ferma l’ondata di attentati in Iraq. Altre sette persone sono rimaste uccise oggi e 20 ferite in diverse azioni alla periferia di Baghdad, dopo che ieri almeno 17 esplosioni con autobomba avevano causato una cinquantina di vittime nella capitale e nella parte meridionale del Paese, in particolare nella città a maggioranza sciita di Hilla. Non sono al momento arrivate rivendicazioni agli attacchi, ma le violenze sembrano inquadrarsi nelle sanguinose tensioni in corso tra sunniti e sciiti. Per una testimonianza sulla situazione, Giada Aquilino ha intervistato l’arcivescovo Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei:
 
Tutto ciò serve a creare confusione, mantenendo questi conflitti sempre accesi contro un’iniziativa di riconciliazione che sembra molto difficile e molto complicata. Tutto è collegato alla situazione regionale in Siria ed in Egitto. E sembra purtroppo esserci un conflitto “confessionale”.
Più di quattromila morti dall’inizio di aprile: 800 soltanto ad agosto. In generale, qual è la situazione oggi in Iraq?
C’è una tensione molto forte e la gente ha paura. Prima il sud era tranquillo, invece ieri è stata colpita proprio quella parte del Paese, in una zona sciita. Talvolta le tensioni avvengono tra gli sciiti, altre volte tra i sunniti.
Com’è possibile arginare tanta violenza?
E’ molto complicato perché ci sono Paesi che non vogliono la cosiddetta “Primavera araba”, la democrazia, la libertà: è un pericolo per loro. Quindi è nel loro interesse mantenere tali conflitti. Forse poi c’è una strategia per dividere il Medio Oriente in Paesi “confessionali”.
La comunità cristiana come vive queste ore?
La comunità ha paura e non sa dove andare. Non ci sono segnali di sicurezza né per i cristiani, né per tutti gli altri.
Lei ha detto che la situazione in Iraq è legata a ciò che sta succedendo in Siria ed in altri Paesi vicini. Papa Francesco, anche recentemente, ha pregato per l’Iraq affinché la violenza settaria lasci il passo alla riconciliazione. Secondo lei a questo punto cosa può succedere?
La gente ed anche i politici sono coscienti che l’intervento militare o la guerra non aiutano. La guerra è sempre portatrice di morte e distruzione. Dunque, non c’è altra scelta se non il dialogo e la pace. L’accordo tra americani e russi (sulle armi chimiche siriane, ndr) penso sia un successo e tutti hanno apprezzato questa iniziativa non militare.
 Sull’esempio della veglia di preghiera e di digiuno voluta dal Papa, ci sono anche delle iniziative particolari della Chiesa di Iraq per la pace?
Anche noi, nelle nostre Chiese, abbiamo digiunato e pregato, celebrando Messe in tutto il Paese. Pure i musulmani hanno pregato per la pace, perché è un’esigenza di tutti. Sono convinto che il dialogo sia possibile. Senza dialogo non c’è vita, non c’è convivenza; anche la maggioranza dei musulmani è aperta al dialogo. Ne sono pienamente convinto. Ci sono i fondamentalisti, per cui tutto è politicizzato, ma ci sono anche capi religiosi aperti al dialogo. Penso inoltre che cristiani e musulmani debbano cercare un linguaggio più comprensibile per esprimere la loro fede, per dire che noi crediamo in un solo Dio, che è Creatore, che è Padre, che è misericordioso.

Il Patriarca caldeo Sako scrive al Patriarca assiro Mar Dinkha IV: torniamo alla piena unità

By Fides

Il Patriarca di Babilonia dei caldei Louis Raphael I Sako ha inviato una lettera di felicitazioni al Patriarca della Chiesa assira d'Oriente Mar Dinkha IV in occasione del suo 78esimo compleanno, celebrato il 15 settembre. Nel messaggio augurale, il Patriarca Sako ha rivolto al Capo della Chiesa assira anche un eloquente invito ufficiale a iniziare insieme un cammino di dialogo per ripristinare la piena comunione ecclesiale tra la comunità cristiana caldea – unita al Vescovo di Roma – e quella assira.
“Colgo l'occasione” scrive S. B. Sako nella sua missiva “per esprimere il desiderio della Chiesa caldea riguardo all'attivazione di un dialogo per l'unità, che è il desiderio di Gesù. L'inizio di questo dialogo è oggi urgente, di fronte alle grandi sfide che minacciano la nostra sopravvivenza. Senza unità, non c'è futuro per noi. L'unità può aiutare a custodire la nostra presenza. (…). Metto con fiducia questo desiderio sincero nelle mani di Vostra Santità”.
In passato si è svolto un dialogo teologico tra la Chiesa assira d'Oriente e la Chiesa cattolica nel suo insieme, che nel 1994 ha portato alla stesura di una Dichiarazione cristologica comune nella quale Papa Giovanni Paolo II e il Patriarca Mar Dinkha IV hanno riconosciuto di condividere la stessa fede in Gesù Cristo e nel mistero dell'Incarnazione. Finora tuttavia non si è mai dato ufficialmente inizio a un dialogo ecumenico e ecclesiologico bilaterale tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira d'Oriente, che condividono lo stesso patrimonio teologico, liturgico e spirituale. “Se abbiamo riconosciuto di confessare la stessa fede” spiega all'Agenzia Fides il Patriarca Sako “a questo punto mi chiedo quali siano gli ostacoli a camminare insieme verso il riconoscimento della piena unità tra noi. Forse serve solo un po' di coraggio nel cercare il metodo giusto. Penso alla possibilità di riunire insieme i nostri sinodi, e confrontarci sulle nostre comuni preoccupazioni, come la fuga dei nostri fedeli dalle terre d'origine e il dissiparsi del patrimonio millenario condiviso dalle nostre Chiese. Attendo con trepidazione la risposta dei nostri fratelli assiri”. 

L’islam aspetta ancora il suo Martin Luther King

by Sandro Magister

La mite fermezza di Benedetto XVI nel dialogare con l’islam sembra lasciare il passo, con il successore, a una separazione di ruoli.
Le parole miti a papa Francesco. Le parole ferme ai suoi luogotenenti, posto che ne abbiano il coraggio.
I capitani coraggiosi che nei giorni scorsi si sono espressi con fermezza rivolgendosi a dei musulmani sono stati due: il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e l’arcivescovo Giorgio Lingua, nunzio apostolico  in Iraq e in Giordania.
L’hanno fatto entrambi nel corso di un summit sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente, promosso ad Amman il 2 e 3 settembre dalla monarchia hascemita.
Il cardinale Tauran ha detto:
“Il dialogo interreligioso deve essere condotto in modo credibile. Come è possibile infatti parlare di dialogo positivo quando da una parte si parla e dall’altra si lanciano bombe nelle chiese in cui si svolgono funzioni liturgiche? È necessario che i leader musulmani siano più ‘outspoken’, più diretti, nel denunciare questi atti terroristici compiuti da loro correligionari”.
E ancora:
“Noi possiamo fare delle belle dichiarazioni, però non siamo ancora riusciti a far passare a livello legislativo e di regolamenti amministrativi e della strada i piccoli passi che abbiamo ottenuto nel dialogo col mondo musulmano”.
In un’intervista a Gianni Cardinale per “Avvenire”, il cardinale Tauran ha fatto sapere di aver letto, per prepararsi al summit, un libro dello storico Jean-Paul Roux dal titolo non certo tranquillizzante: “Un choc de religions: la longue guerre de l’islam et la chrétienté, 622-2007″.

Quanto al nunzio in Iraq e Giordania, ha chiesto che nei paesi musulmani la libertà di religione sia piena, che la fede non sia imposta a nessuno e che il detto del Corano “non c’è costrizione nella religione” sia applicato riconoscendo a tutti i figli di Adamo la stessa dignità, come credenti, come esseri umani, come cittadini, nelle scuole, nei posti di lavoro, nel sistema giudiziario, nell’osservanza delle leggi, per gli uomini come per le donne.
Con in prima fila esponenti della monarchia hascemita, l’arcivescovo Lingua non ha temuto di chiamare in causa proprio la Giordania:
“La costituzione giordana grazie a Dio è un esempio da imitare, ma deve essere fatto di più perché venga applicata, particolarmente nel campo dell’educazione, al fine di creare un clima di tolleranza, dal momento che spesso, a dispetto delle leggi esistenti, la pratica si allontana dell’ideale codificato. I cristiani aspettano dai loro governi il rispetto delle leggi e la completa separazione dei poteri. Altrimenti non sarà mai fatta giustizia piena, in particolare per i membri più deboli della società”.
E ha concluso il suo discorso applicando ai paesi musulmani il celebre “sogno” del discorso di Martin Luther King di cinquant’anni fa:
“I cristiani arabi, oggi, nel 2013, condividono lo stesso sogno e vogliono essere aiutati a farlo diventare realtà. Vogliono stringere la mano con i loro fratelli islamici e guardare nei loro occhi. Sognano che il loro figli dicano ai nipoti quanto fortunati sono di nascere nel paesi di Abramo, di vivere sulle montagne di Elia, di camminare sulle strade percorse da Mosè, di abitare nella terra di Gesù e di lasciarla ai loro discendenti migliore di come l’hanno trovata”.

15 settembre 2013

Riorganizzazione dei sacerdoti caldei in Europa. Patriarca Louis Raphael I Sako: "Servite con umiltà e dando il buon esempio"

By Baghdadhope*

Terminato ad Istanbul l’incontro dei sacerdoti caldei che operano in Europa con il nuovo Visitatore Apostolico, Mons. Ramzi Garmou, e con il Patriarca della chiesa caldea Sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako.
Il risultato dell’incontro è stata una profonda riorganizzazione che ha toccato diversi punti. Per prima cosa sono stati scelti 4 sacerdoti cui è stato affidato il compito di aiutare il Visitatore Apostolico nelle nazioni europee che contano il maggior numero di fedeli caldei: Padre Sabri Anar (Francia); Padre Sami Al Rais (Germania); Padre Musa Baramiss (Belgio) e Padre Mahir Nissan (Svezia).
I sacerdoti che prestano servizio in Europa saranno trasferiti ogni sei anni in altra parrocchia per alternare il loro operato in chiese con molti fedeli ed altre più piccole, in grandi città o in piccoli centri. Per questa ragione sono stati nominati Padre Ihab Nafi Borzan per l’Austria, Padre Idris Jibrael per il Belgio, Padre Michael Domand per Clichy (Francia) e Padre Suleyman Oz per Sarselle (Francia.)
Sarà compito del Visitatore Apostolico fare una lista dettagliata dei sacerdoti e della durata del loro servizio per curarne il trasferimento. Ai sacerdoti dovranno essere affiancati dei diacono permanenti di cui si dovrà curare la preparazione.
Malgrado i sacerdoti caldei in Europa dipendano dalle diocesi latine e da esse ricevano lo stipendio si è comunque deciso di creare una commissione per controllare i conti delle singole chiese nel nome della trasparenza finanziaria. 
Un altro punto è quello dell’unificazione del rito liturgico, in attesa dell’approvazione da parte della Santa Sede della Messa rinnovata presentata dal Sinodo Caldeo riunitosi a Baghdad lo scorso giugno.
L’incontro si è chiuso con la richiesta espressa da Mar Louis Raphael I Sako ai sacerdoti di servire i fedeli con umiltà e dando il buon esempio per essere buoni pastori.

12 settembre 2013

The dangerous life of the Apostolic Nuncio in Iraq: Msgr. Giorgio Lingua

By Baghdadhope*


Being an Apostolic Nuncio, practically a Vatican’s ambassador, is not an easy task. It means being the voice of papal diplomacy but also the bearer of Catholic religious values and in this double role, therefore, being particularly careful in operating in different cultural, political and economic environments.
This is true especially in case of "difficult" countries, in war with others or where the civil war rages on, dominated by dictatorial regimes or mired in poverty, plagued by recurrent disasters or where Christianity,  Catholic or not, is a minority, as in the case of Iraq, "freed" by a tyrant but not yet "free" and above all still far from any semblance of normalcy.
In such a difficult environment the Apostolic Nuncio has to double the prudence that his diplomatic role already imposes on him and that is what Archbishop Giorgio Lingua, Apostolic Nuncio in Iraq and Jordan, does since his arrival in the small building of the Nunciature in Sha' ra Saadoun, in Baghdad.
Always ready to listen and to give voice to all parties, in the interviews he granted up to now he showed wisdom and prudence to disappoint no one of them, and it could not be otherwise.
But what do we know, in practical terms, of the life of the Apostolic Nuncio in one of the most dangerous countries in the world? We can imagine him, or even see him while meeting heads of state, ministers, ambassadors and other representatives of all religions, but how is his typical day?
Baghdadhope asked it to him:

Your Excellence, you live between Amman and  Baghdad, can you describe your daily life in the Nunciature of the Iraqi capital city?
"I would say that is a very retired life although as Papal Nuncio I have many institutional meetings in the Nunciature or in the Green Zone, the large and heavily guarded area established by the Americans where are the seats of the Iraqi government institutions.
"
Institutional meetings, however, are not the only opportunities you have to leave the Nunciature I guess ..
"No. There are the meetings with the religious leaders, Muslims, Christians or of the other two minorities, the Yazidis and the Mandaeans, the religious ceremonies such as ordinations, consecrations of new churches and the celebrations of the liturgical calendar, and there are the national holiday parties that are held in the about fifty embassies in the city.
According  to your description it does not seem a very retired life. What did you refer to describing it as such?
"Well, I referred to the fact that although I arrived in Baghdad almost three years ago I still don’t know the city very well because I can’t decide to go out for a walk and breathe its true air, the one I could appreciate only by getting lost in its streets following a smell, a sound, a man walking in front of me. Yet I'd like to do it. Baghdad is like a woman wearing a burka who shows her beauties only to the one who loves her and for the little I saw from behind the car window it is a city that would be worth knowing but where, unfortunately, safety is an unknown good: days of illusory calm are followed by days in which the echo of the explosion of the car bombs and the sound of sirens can be heard in large areas of the city."

What about your security? Most of us can’t imagine what does it means to live under escort like you.

"The security of the building of the Nunciature is entrusted to armed guards and until a few months ago to a dog that unfortunately passed away, I fear for the terrible heat of July. As for me when I go out I have to inform the head of the guards who organizes the 7 policemen armed to the teeth who escort, in front and behind, the armored car of the Nunciature on two pickups. By order of the Ministry of Foreign Affairs I can’t go out without the body guards who, in case of meetings in other cities, are doubled and alerted at least 72 hours in advance.
In three years I was allowed to go out by feet on very few occasions, for example to visit the tombs of the priests killed in the Syriac Catholic Cathedral of Our Lady of Perpetual Help that is just 400 meters from the Nunciature. To obtain the permission to go there I have to point out to the authorities every year that such a pilgrimage, made on All Souls’ Day, is a requirement of my religion and then they do not oppose it. The first time, however, I was escorted by five guards in uniform, helmet and Kalashnikovs and who saw me leaving the Nunciature said that I looked like someone arrested and taken to prison. Since then I  requested, and the authorities sensibly accepted, to be escorted by guards in civilian clothes.
Sometimes the issue of security has also surreal implications: one day I went out to buy an ornamental plant and I found a nice one, but it was too big to fit into our car. I asked to load it on the pickup of the police escorting us and the agents kindly agreed to help me: one of them travelled for about 5 km across Baghdad holding with one hand his Kalashikov and with the other my plant !
Leaving Baghdad is not easy too. The authorization to the company in charge of security at the airport must be requested at least 24 hours before the departure. Once you have the authorization number you must show it to the first checkpoint located about 4 km from the airport where, if you who don’t have a special pass, you must leave your car and take a taxi. There is where the body guards leave me. After about 500 meters the explosive sniffer dogs inspect the car and after another 2.5 km there is the last checkpoint operated by a security company different from the one in charge of the first one and after which you  finally arrive at the airport.
Do you think these security measures are sufficient?
"I find them a bit excessive since they reduce the freedom of movement. It must be said, however, that they are good for health: a regular and almost monastic life is surely healthy.
"
But in this way you never make exercise, there is not a gym in the Nunciature and the lack of movement is not good for health..
"Technology helps me. In the afternoon, if there are no meetings in the Nunciature or somewhere else,  I run for about 40 minutes on the treadmill but, as to run indoors is rather monotonous, I do it while watching on TV football or tennis matches imaging to run on those fields. I do what I can!"
Meetings, work and sport. What else? At what time does your working day begin?
"At 6 o'clock when my smartphone tells me the time, informs me on the outside temperature, reminds me of the commitments of the day and above all the reason I wake up for that day: living to love Jesus and to try to be another Mary. The miracles of technology! A small device, if properly set up, can do many things and my smartphone is useful also when, especially in winter, the generators are still off and in the absence of electricity I use it as a breviary at 6:30
After waking up and before the prayers there is a special moment. Shacking the laziness of the early morning hours off I drag myself out of bed; many times I am already sweaty by that hour since in the hot months there are already 30 degrees in the room. Then I go to the bathroom where the previous evening I filled the tub of water to give it the time to "cool down" during the night: with an outside temperature that sometimes exceeds 50 degrees and the water tanks on the terrace the water would still be too hot in the morning. 
After reading the breviary I go to the small chapel of the Nunciature where I pray the Office and where I meditate until 7.30 when I celebrate Mass with the Lauds with the Secretary of the Nunciature, Msgr. George Panamthundhil. Usually present to the Mass are also two Chaldean nuns of the order of the Daughters of Mary Immaculate: Sister Hanan and Sister Clara.

You, the Secretary and two nuns. Does anyone else live in the Nunciature?

"A good lady named Shamiran who is responsible for the cleaning and a gardener with whom I communicate with gestures and who, although well understanding the reproaches, has the habit to do only what he wants. It’s a losing battle! On the back of the Nunciature there is a small garden under his care in which, after the breakfast with Msgr. George, I take a walk to check the plants and possibly to collect some flowers to welcome the guests; if I am lucky I collect some fresh eggs from the chicken coop set up near a small vegetable garden that I would not describe as flourishing and if I have time I encourage the papayas in their growth and I look with commiseration the tomatoes that do not want to sprout. At 9:00 the actual working day starts with the Secretary and the Iraqi nun who, speaking a fluent Italian, has to work very hard. Twice a week an Iraqi priest comes to help us with the translations.

The first tasks are to check the e-mail and the agenda to distribute the assignments depending on the urgency and everyone’s skills but before that, to remember that the most important thing is to put into practice the Word of Scripture, we read the Arabic/Italian sign that we change every month and that we hung in the Chapel. As Pope Francis said we are not an NGO or an embassy like the others: we are consecrated and it must be a priority for us to live the Word that gives meaning to our activities, our work and our meetings.. 
After this organizational meeting I usually surf the web for national and international news and I check what I have to do: drafts to be corrected, answers to be given, budgets to be controlled, letters to be signed, speeches to be prepared, information to be communicated, phone calls to be made and dossiers to be studied: the normal administration of a Nunciature.
On Monday, when the diplomatic courier usually arrives from Rome the Secretary
immediately opens it - I don’t know if for authentic zeal or curiosity - to record the official correspondence, organize it and take it to me.
Around eleven Shamiran "breaks" my activities with some tea and some biscuit and, if scheduled, after this break I meet someone, but only until 12:00 because at that time my secretary, Indian but punctual like a Swiss, rings the bell that calls us to the Chapel where we recite the Angelus and pray for the peace in the world, especially for the countries at war.
After an hour I have lunch with the Secretary eating what the good nuns prepare for us and we use those moments to take stock of the work flow. At approximately 14:00 I retire to my office where I turn on the TV to watch the news from Italy or on Al Jazeera even if, due to digestion and the heat, after three or four news I doze off to wake up when I feel the remote control slipping from my legs to the floor. At about 15:00 I go to the Chapel for the prayers of the Ninth Hour and after them, with great effort of will, I try to do some exercise in Arabic to be ready for the Monday nights Skype conversations with my teacher, Ahmed.
After the homework I work again until 19:30 when I have dinner with the Secretary and the nuns. Since I can’t  go out I take a walk in the garden and say good night to the guards who watch over us. Another visit to the Chapel for the Vespers and the evening ends with a table tennis match on the WII between me and Msgr. George.  Neither of us wants to lose because the stakes are high: a chocolate candy, but do not ask me who usually wins, I won’t reveal it!"

A long day...

"That does not end with the table tennis. There is some good reading, internet and contacts with friends around the world, there is the personal correspondence to check. Usually my day ends on the terrace where I go to pray the Holy Rosary and from where I contemplate, behind the guards’ back as they would not allow it, all that I can see of Baghdad. In those moments I commend the city, its inhabitants and the whole country to the protection of Holy Mary and look at the great cross of the Syriac Catholic Cathedral of Our Lady of Perpetual Help that is only 400 meters far from the Nunciature. With the recitation of Compline on the terrace or in the Chapel I say good night to Jesus too, asking for forgiveness for the shortcomings of the day that, despite my good intentions, I feel to be more than the good deeds I wanted to do. At that point there is still one thing to do: hang up the smartphone charger that on the morning after will wake me up saying that "It's six o clock!" and that another day is about to begin for me in Baghdad ."


* The pictures by Baghdadhope were taken in 2002 and show the Apostolic Nunciature still bearing the symbols of its status: the plaque on the outside of the building now hidden by the protective barrier, the Vatican flag barely visible on the roof and above all the coat of arms of John Paul II, Pope in that year, on the facade. Symbols that now, as it is clear from the photo taken by Mr. Zaia, are hidden or disappeared. In the other photo Msgr. Giorgio Lingua and one of the armed guards of the Nunciature.

Iraq: esplosione a Baghdad.

By Radiovaticana

È di 30 morti e 55 feriti il bilancio dell’esplosione avvenuta questa mattina nella parte nord di Baghdad. L'agenzia di stampa Xinhua, citando una fonte del ministero dell'Interno iracheno, parla di un attacco kamikaze avvenuto vicino alla moschea di al-Temimi, frequentata dalla comunità sciita della capitale irachena.
“La sicurezza in Iraq è un bene sconosciuto”, a lanciare un nuovo allarme è il nunzio apostolico in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua, che in un’intervista a Baghdadhope ha affermato: “Nonostante sia arrivato a Baghdad da quasi tre anni non conosco ancora molto bene la città, quando devo uscire devo avvertire il capo delle guardie che organizza la scorta composta in genere da 7 poliziotti armati fino ai denti che scortano, davanti e dietro, la macchina blindata della nunziatura su due fuoristrada pick-up. Per disposizione del ministero degli Esteri - aggiunge il nunzio - non posso uscire senza questa scorta che in caso di visite fuori città viene più che raddoppiata ed organizzata con almeno 72 ore di anticipo”. Neanche lasciare Baghdad è facile. “L’autorizzazione alla Compagnia incaricata della sicurezza all’aeroporto deve essere richiesta almeno 24 ore prima della partenza”.

11 settembre 2013

La vita "blindata" del Nunzio Apostolico in Iraq: Monsignor Giorgio Lingua

By Baghdadhope *


Essere Nunzio Apostolico, praticamente Ambasciatore del Vaticano, non è facile. Vuol dire essere voce della diplomazia papale ma anche portatore dei valori religiosi cattolici, ed in questa doppia veste, di conseguenza, essere particolarmente attenti nel muoversi nei diversi ambienti culturali, politici ed economici.
Specialmente se si tratta di paesi “difficili”, in conflitto con altri o in cui imperversa la guerra civile, dominati da regimi dittatoriali o sprofondati nella povertà, piagati da ricorrenti sciagure o in cui la religione cristiana, cattolica o no, è minoritaria, come nel caso dell’Iraq, “liberato” da un tiranno ma non ancora “libero” e soprattutto ancora lontano da qualsiasi parvenza di normalità.
In un ambiente così difficile il Nunzio Apostolico deve raddoppiare la prudenza che il suo ruolo diplomatico già gli impone ed è quello che Monsignor Giorgio Lingua, Nunzio in Iraq ed in Giordania, fa dal giorno del suo arrivo a Baghdad nel piccolo edificio della Nunziatura di Sha’ra Saadoun. Sempre attento a dare ascolto e voce a tutte le parti, nelle interviste fino ad ora concesse ha dimostrato saggezza e prudenza per non urtarne nessuna, e non potrebbe essere altrimenti.

Ma cosa sappiamo noi, in fondo, della vita del Nunzio Apostolico in uno dei paesi più pericolosi del mondo? Possiamo immaginarlo, o addirittura vederlo, mentre incontra capi di stato, ministri, altri ambasciatori o rappresentanti di tutte le religioni ma com’è una sua giornata tipo?
Baghdadhope
ha voluto chiederglielo.


Monsignore, Lei vive nel centro di Baghdad alternando la sua presenza lì con quella in Giordania, può descriverci la vita nella Nunziatura?

“Direi che è una vita molto ritirata anche se, per il ruolo che ricopro, gli incontri istituzionali sono sempre molti. Sono incontri che si svolgono in Nunziatura o nella Zona Verde, la vasta zona blindata istituita dagli americani dove si trovano le sedi delle istituzioni governative irachene.”

Gli incontri istituzionali non sono però l’unica occasione per lasciare la Nunziatura immagino..

“No. Ci sono gli incontri con i capi religiosi, musulmani, cristiani o delle altre due minoranze, quella yazida e quella mandea, le cerimonie religiose cui partecipo, ad esempio le ordinazioni, le consacrazioni di nuove chiese e le celebrazioni del calendario liturgico, e ci sono poi i ricevimenti per le feste nazionali che si tengono nelle circa cinquanta sedi diplomatiche presenti in città.”

A descriverla così però non sembra una vita molto ritirata. A cosa alludeva definendola come tale?

“Al fatto che nonostante sia arrivato a Baghdad da quasi tre anni non conosco ancora molto bene la città visto che mi è impossibile decidere di uscire a fare una passeggiata e respirarne la vera aria, quella che si può apprezzare solo perdendosi tra le sue strade e facendosi guidare da un odore, un rumore, un uomo che cammina davanti a te. Eppure mi piacerebbe farlo. Baghdad è come una donna con il burka che lascia vedere le proprie bellezze solo a chi la ama e per quel poco che ho visto da dietro i vetri dell’auto è una città che varrebbe le pena scoprire ma dove purtroppo la sicurezza è un bene sconosciuto: a giorni di apparente calma seguono giorni in cui l’eco delle esplosioni delle autobomba ed il suono delle sirene sono udibili in vaste aree della città.”

E la Sua, di sicurezza, da chi e cosa è garantita? La maggior parte di noi fa fatica ad immaginare cosa voglia dire vivere blindati.

“Per quanto riguarda la sicurezza dell’edificio della Nunziatura essa è affidata a guardie armate e fino a pochi mesi fa ad un cane che purtroppo è deceduto, temo per l’atroce caldo di luglio. Per quanto riguarda me quando devo uscire devo avvertire il capo delle guardie che organizza la scorta composta in genere da 7 poliziotti armati fino ai denti che scortano, davanti e dietro, la macchina blindata della Nunziatura su due fuoristrada pick-up. Per disposizione del Ministero degli Esteri non posso uscire senza questa scorta che in caso di visite fuori città viene più raddoppiata ed organizzata con almeno 72 ore di anticipo.
In tre anni mi è stato consentito di uscire a piedi soltanto in pochissime occasioni, ad esempio per la visita alle tombe dei sacerdoti uccisi nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso che si trova a soli 400 metri dalla Nunziatura. Per ottenere il permesso di farlo ogni anno faccio presente alle autorità che tale pellegrinaggio, compiuto nel giorno dei defunti, è un obbligo della mia religione ed allora esse non si oppongono. La prima volta, però, fui accompagnato da 5 guardie in divisa, elmetto e kalashnikov e chi mi vide lasciare la nunziatura così scortato disse che sembravo un arrestato condotto in prigione. Da allora ho richiesto, e le autorità hanno sensatamente accettato, di essere accompagnato da guardie in borghese.
A volte la questione della sicurezza ha anche dei risvolti surreali: un giorno sono andato a comprare una pianta ornamentale e ne ho trovata una bella ma troppo grande per entrare nella nostra macchina. Ho chiesto così di caricarla sul pick-up della polizia che ci scortava e gli agenti hanno gentilmente accettato di aiutarmi: uno di essi ha così fatto tutto il viaggio in piedi (circa 5 km attraverso Baghdad!) reggendo con una mano il kalashikov e con l'altra la mia pianta!

Neanche lasciare Baghdad è facile. L’autorizzazione alla compagnia incaricata della sicurezza all’aeroporto  deve essere richiesta almeno 24 ore prima della partenza. Una volta ottenuto il numero di autorizzazione lo si deve esibire al primo check-point che si trova a circa 4 km dall’aeroporto dove chi non ha un pass speciale deve lasciare il veicolo su cui ha viaggiato e prendere un taxi. Quello è il punto in cui la scorta mi lascia. Dopo circa 500 metri i cani anti esplosivo ispezionano l’auto  e dopo altri 2,5 km si trova l’ultimo check point che è gestito da una compagnia di sicurezza diversa da quella che controlla il primo punto di controllo e passato il quale si arriva finalmente allo scalo.

Ritiene che queste misure di sicurezza siano sufficienti?

“Le ritengo un po’ eccessive dato che riducono al minimo i movimenti e la libertà di spostamento. C’è però da dire che tutto ciò è vantaggioso per la salute: una vita regolare, quasi monastica, fa senz’altro bene.”

Ma così non si muove mai, in Nunziatura non c’è una palestra e la mancanza di movimento non fa bene..

In questo mi aiuta la tecnologia. Al pomeriggio se non ci sono visite in Nunziatura o uscite in programma mi dedico allo sport con una corsetta di circa 40 minuti sul tapis roulant. Certo correre al chiuso è piuttosto monotono e così lo faccio guardando in TV qualche partita di calcio o tennis ed illudendomi di star correndo su quei campi. Si fa quel che si può!”

Allora: visite, uscite e sport. Che altro? A che ora comincia la giornata?
“Alle 6 in punto quando il mio smartphone mi annuncia l’ora, mi informa sulla temperatura esterna, mi ricorda gli impegni della giornata e soprattutto il motivo per cui anche quel giorno mi sveglio: vivere per amare Gesù e cercare di essere un’altra Maria. I miracoli della tecnica! Un piccolo aggeggio, se programmato a dovere, può fare molte cose ed il mio smartphone serve anche quando, soprattutto d’inverno, i  generatori sono ancora spenti e manca la luce elettrica, ed io lo uso come breviario alle 6.30.
Tra il momento della sveglia e quello delle preghiere c’è però un momento speciale. Scrollandomi di dosso la pigrizia tipica delle ore mattutine mi trascino giù dal letto molte volte già tutto sudato, visto che nei mesi caldi a quell’ora nella stanza ci sono già 30 gradi, e vado in bagno dove la sera precedente ho provveduto a riempire la vasca di acqua così da darle il tempo di “raffreddarsi” durante la notte visto che con una temperatura esterna che a volte supera i 50 gradi e le cisterne sul terrazzo l’acqua al mattino sarebbe ancora troppo calda.
Dopo la lettura del breviario mi reco nella piccola cappella della Nunziatura dove recito l’Ufficio e dove mi raccolgo in meditazione fino alle 7.30 quando con il Segretario della Nunziatura, Mons.
George Panamthundhil, celebriamo la Santa Messa con le Lodi mattutine alla quale assistono anche due suore
caldee dell’ordine delle Figlie di Maria Immacolata: Suor Hanan e Suor Clara .                     
Lei, il Segretario e due suore. Chi altri vive in Nunziatura?

“Una brava signora di nome Shamiran che si occupa delle pulizie ed un giardiniere con il quale comunico a gesti e che sebbene capisca bene i rimproveri ha l’abitudine, comunque, di fare di testa sua. Una partita persa. Sul retro della Nunziatura c’è un piccolo giardino affidato alle sue cure in cui, dopo la colazione che consumo con Mons. George, faccio una passeggiata per controllare lo stato delle piante ed eventualmente raccogliere qualche fiore per dare il benvenuto agli ospiti; se ho fortuna raccolgo anche qualche uovo fresco dal piccolo pollaio allestito vicino ad un orticello che non definirei proprio florido e se ho tempo incoraggio le papaie nella crescita e guardo con commiserazione i pomodori che non vogliono saperne di spuntare. Alle 9.00 inizia la vera e propria giornata lavorativa con il Segretario e la suora irachena che, visto che parla perfettamente anche l’italiano è costretta a fare di tutto. Due volte alla settimana un sacerdote iracheno viene ad aiutarci con le traduzioni.
I primi impegni sono quelli di controllare la posta elettronica e l’agenda per distribuire le incombenze a seconda delle urgenze e delle competenze ma prima di ciò, per ricordare che la cosa più importante è mettere in pratica la Parola della Scrittura, leggiamo il cartello che la riporta in arabo ed in italiano che abbiamo affisso in cappella e che cambiamo ogni mese. Come ha detto Papa Francesco noi non siamo una ONG e neanche un’ambasciata come le altre: siamo consacrati e deve essere prioritario per noi vivere la Parola che dà senso a tutte le nostre attività, al nostro lavoro ed ai nostri incontri.
Dopo questo incontro organizzativo in genere mi affido ad internet per controllare le notizie nazionali ed internazionali e metto mano alle pratiche che mi aspettano: bozze da correggere, risposte da dare, bilanci da controllare, lettere da firmare, discorsi da preparare, informazioni da comunicare, telefonate da fare e dossier da studiare: la normale amministrazione di una Nunziatura. Al lunedì, quando in genere arriva il corriere diplomatico da Roma, il Segretario si affretta ad aprirlo – non so se per autentico zelo o pura curiosità – per registrare la corrispondenza ufficiale, ordinarla e portarmela. Verso le 11.00 Shamiran “spezza” le mie attività con del thé e qualche biscotto e, se previsto, dopo questa pausa incontro qualcuno, ma solo fino a 12.00 perché a quell’ora il mio Segretario, indiano ma puntuale come uno svizzero, suona la campanellina che ci richiama in Cappella dove recitiamo l’Angelus e preghiamo per la pace nel mondo, specialmente per i paesi in guerra.
Dopo un’ora pranzo con il Segretario con ciò che le brave suore ci preparano ed approfittiamo di quei momenti per fare il punto sull’andamento delle attività. Alle 14.00 circa mi ritiro nel mio studio dove accendo la Tv per seguire le notizie dall’Italia o su Al Jazeera anche se, complice la digestione ed il caldo, al terzo o quarto servizio in genere mi appisolo per risvegliarmi quando sento il telecomando scivolare a terra dalle mie gambe. Verso le 15.00 mi reco in Cappella per la recita dell’ora nona e dopo, devo dire con estremo sforzo di volontà, provo a fare qualche esercizio di arabo per non farmi trovare impreparato quando, al lunedì sera, mi collego tramite Skype com Ahmed, il mio insegnante.
Dopo l’arabo riprendo il lavoro che termina alle 19.30 per la cena che condivido con il Segretario e le suore. Visto che non posso uscire mi concedo una passeggiata in  giardino approfittando così per dare la buona notte alle guardie che vegliano su di noi. Un altro incontro in Cappella per i Vespri e la serata termina con un’accanita sfida tra me e Mons. George a ping-pong simulato dalla Wii. Nessuno di noi due vuole perdere perché la posta in gioco è alta: un cioccolatino, ma non mi chieda chi vince di solito, per rispetto del mio avversario non lo rivelerò!”
Una giornata lunga…

“Che non finisce però con il ping-pong. C’è qualche buona lettura, c’è internet ed i contatti con gli amici sparsi nel mondo, c’è la corrispondenza personale da evadere. Di solito concludo la giornata in terrazzo dove salgo per recitare il Santo Rosario e da dove, di nascosto dalle guardie che non lo permetterebbero, contemplo quel poco di Baghdad che posso vedere. In quei momenti affido la città, i suoi abitanti e tutto il Paese alla protezione della Madonna e guardo, a soli 400 metri, la grande croce della cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso. Con la recita della compieta, in terrazzo o in Cappella, do la buona notte anche a Gesù chiedendo perdono per le mancanze della giornata che, nonostante i buoni propositi, ho l’impressione siano sempre più numerose delle buone azioni che avevo intenzione di compiere. A quel punto c’è ancora un’unica cosa da fare: riagganciare al caricatore lo smartphone che l’indomani mattina mi sveglierà annunciando implacabilmente che “Sono le sei e zero minuti” e che un’altra giornata sta per iniziare per me a Baghdad.”

















* Le foto di Baghdadhope sono state scattate nel 2002 e mostrano la Nunziatura Apostolica recante ancora i simboli del suo status: la targa sull'esterno dell'edificio che ora è nascosta dal muro di protezione, la bandiera vaticana che si intravvede sul tetto e soprattutto lo stemma di Papa Giovanni Paolo II, pontefice in quell'anno, sulla facciata. Simboli che ora, come è chiaro dalla foto scattata da Mr. Zaia, sono nascosti o scomparsi. Nell'altra foto Monsignor Giorgio Lingua ed uno dei soldati di guardia alla Nunziatura.