"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

31 maggio 2012

Prima comunione nella chiesa caldea di Beirut

By Baghdadhope*


Cerimonia della prima comunione nella cattedrale caldea di Beirut per quarantatrè bambini il 26 di maggio.
La Santa Messa è stata celebrata da Mons. Michel Kassarji e da Padre Ronny Hanna. 


29 maggio 2012

Iraq Church is apostolic because it is a martyr Church, says Kirkuk archbishop

by Louis Sako, Archbishop of Kirkuk

We publish an address by Mgr Louis Sako, archbishop of Kirkuk (northern Iraq), which he delivered at a prayer meeting organised by Aid to the Church in Need (ACN). The event took place last Friday in Paris (France) in a church overflowing with faithful who had come to hear important representatives of the universal Church from regions where Christians are persecuted for their religious beliefs.
Among the speakers, there were Card Joseph Zen, who spoke about the Church in China; Paul Bhatti, brother of the late Shahbaz Bhatti who was killed by Muslim fundamentalists on 2 March 2011 and now special national harmony adviser to the prime minister of his country; the Coptic bishop of Assiut in Egypt, Mgr. Kirrolos William Simaan; and of course Mgr Sako of Iraq.
During the ACN meeting, the names of last year's Christian martyrs as well as those of the first part of this year were read out, with candles lighted in front of their pictures. The vigil was preceded by a Mass celebrated by the apostolic nuncio to France and co-celebrated by the cardinals and bishops.
Here is the address by Mgr Louis Sako sent to AsiaNews, which we gladly publish:

Our Church is apostolic because it is a martyr Church. Faith is not an ideological issue or a utopia but rather a personal tie, sometimes existential, with the person of Christ, whom we love and to whom we give our entire life. For Him, we must always go farther, including sacrifice. Such is the absolute expression of loyalty to this love. In Iraq today more than ever before, we are conscious that believing is love and love is giving.
In the Gospel, before and after the Resurrection, Jesus reassured his disciples many times when he told them, "Do not be afraid!" When Jesus says the same today, he does so on the basis of the Father's love for us and his love for Him. For us, it is possible to respond to such love, which is connected to our faith. Love and faith are one and the same. They go together. Such boundless love gives life its meaning and its eternal dimension for those who love each other know that their love transcends them. Such is a true mystery. Love is the logical consequence of life and the resurrection.
For us, Christians of Iraq, as a minority that is constantly facing difficulties and sacrifices, we know what it means to be persecuted, kidnapped and killed. We know how it feels to be powerless. We are aware of the dangers, but our faith gives us the courage to continue to hope and love. Our Church is apostolic not only because it was founded by the apostles, but also because it is a martyr Church as was the Church of the apostles. Like the Iraqi martyrs whom we cannot forget, we find the strength to persevere, hoping for a change in men's heart, in which a divine seed grows. I cannot forget Fadi, a choirboy killed in our church Our Lady of Kirkuk. Nor can I forget Deacon Wayil, or the sisters Marguerite and Fadila, who came to mass every evening. I certainly cannot forget Mgr Faraj Rahho and Fr Raghid Ganni. I am convinced that the sacrifice of 973 Christians and of thousands more Muslims in Iraq will not be in vain. One day, it will help us realise that love means life.
Today, Christians around the world need to "renew" their vow to follow Christ in light of the Christians martyred and persecuted in Iraq and elsewhere. The prayers, solidarity and support of our Christian sisters and brothers in the West and elsewhere encourage us to remain in our homeland and stand in our churches. This long-distance union with every Christian helps us live here, side by side and in peace with our Muslims neighbours, so that we continue our presence and witness of love and forgiveness.

Arcivescovo di Kirkuk: Chiesa d’Iraq, apostolica perché martire

by Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk

Pubblichiamo di seguito il discorso di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, nel nord dell'Iraq, durante un incontro di preghiera organizzato il 25 maggio scorso a Parigi, in Francia, da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). La chiesa in cui si è tenuta la celebrazione era colma di fedeli, accorsi per ascoltare la testimonianza di personalità della Chiesa universale, provenienti da aree o Paesi in cui i fedeli sono in difficoltà o perseguitati a causa della religione professata.
Si sono così alternati gli interventi del card. Joseph Zen sulla Chiesa in Cina, cui è seguito il discorso di Paul Bhatti, fratello del ministro pakistano Shahbaz assassinato dai fondamentalisti islamici il 2 marzo 2011, oggi Consigliere speciale del premier per l'Armonia nazionale; ancora, mons. Kirrolos William Simaan, vescovo copto di Assiut in Egitto e, infine, mons. Sako per l'Iraq.
I partecipanti all'incontro di preghiera, voluto con forza da Acs, hanno scandito i nomi dei martiri cristiani del 2011 e di questi primi mesi del 2012, accendendo alcune candele poste davanti alle loro foto. La veglia è stata inoltre preceduta da una messa concelebrata dai porporati e prelati presenti, presieduta dal nunzio apostolico in Francia.Ecco, di seguito, l'intervento di mons. Louis Sako che AsiaNews volentieri riceve e pubblica:

La nostra Chiesa è apostolica perché è martire. La fede non è né una questione ideologica, né un'utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l'intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po' più lontano, fino al sacrificio. Tale è l'espressione assolta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai, in Iraq noi siamo consapevoli che credere significa amare e amare significa donarsi.
Nel Vangelo, prima e dopo la Risurrezione, molte volte Gesù rassicura i suoi discepoli dicendo loro: "Non abbiate paura". E quando Gesù ce lo ripete oggi, si fonda sull'amore del Padre per noi e sul suo amore a Lui. Un amore al quale noi stessi, per parte nostra, possiamo rispondere e che è strettamente legato alla nostra fede. L'amore e la fede, sono in realtà la medesima cosa. Vanno a braccetto. È questo amore senza limiti che dà senso alla vita. E che le dona al contempo la sua dimensione eterna, perché quanti si amano sanno che il loro amore li supera ed rappresenta il vero mistero. L'amore è il paradigma della vera via per la risurrezione.
Per noi, cristiani d'Iraq, in quanto minoranza perennemente costretta alle difficoltà e al sacrificio, sappiamo bene cosa significhi essere perseguitati, sequestrati, uccisi. Sappiamo per certo cosa vuol dire sentirsi impotenti! Siamo consapevoli dei rischi, ma la nostra fede ci dona il coraggio di continuare a sperare e amare. La nostra Chiesa è apostolica non solo perché è fondata dagli apostoli, ma perché è martire come lo è stata la Chiesa degli apostoli. Seguendo l'esempio dei nostri martiri irakeni, che non possiamo certo dimenticare, noi troviamo la forza di perseverare, sperando in un cambiamento dei cuori di tutti gli uomini dove germoglia la grazia divina.
Non posso dimenticarmi di Fadi, un bambino dolce ucciso davanti alla nostra chiesa di Notre-Dame a Kirkuk. E neanche del vice-diacono Wayil. Né le due sorelle Marguerite e Fadilla, sempre presenti alla messa della sera, così come non si può scordare mons. Faraj Rahho e p. Raghid Ganni. Sono sicuro che il sacrificio di 973 cristiani e delle migliaia di musulmani in Iraq non sarà vano. Contribuirà un giorno alla comprensione dell'amore, in quanto significato possibile della vita.
I cristiani del mondo interno hanno bisogno oggi di "rinnovare" il loro impegno nel seguire Cristo, misurandolo col martirio sopportato dai cristiani perseguitati, in Iraq e nel resto del mondo. Al contrario, sono la preghiera, la solidarietà e il sostegno dei nostri fratelli e delle sorelle cristiani d'Occidente e altrove, che ci danno il coraggio di restare nella nostra terra e nelle nostre chiese in Iraq. È proprio questa unione a distanza con tutti i cristiani che ci aiuta a vivere qui, in pace accanto ai musulmani, per continuare la nostra presenza e la nostra testimonianza di amore e perdono.

Anche l'Iraq all'incontro delle famiglie a Milano. Mons. Warduni (Baghdad):" La famiglia è il seme da cui nasce l'albero"

By Baghdadhope*

Mons. Warduni, vicario patriarcale caldeo di Baghdad, a fine aprile aveva annunciato al SIR il desiderio di partecipare con una rappresentanza irachena all'incontro mondiale delle famiglie a Milano che si terrà dal 30 maggio al 3 giugno.
Quel desiderio si è realizzato ed il vescovo è arrivato nel capoluogo lombardo accompagnato da due sacerdoti, 2 laici, una giovane consacrata e 9 coppie provenienti da Baghdad e Mosul in rappresentanza delle famiglie cristiane cattoliche irachene.

Baghdadhope ha parlato con Mons. Warduni dell'importanza della famiglia nella società irachena - in particolar modo nella sua componente cristiana - e delle sfide che si trova ad affrontare. "Per prima cosa" esordisce Mons. Warduni, "sono felice del nostro essere qui a Milano perchè è la prima volta che una rappresentanza irachena partecipa alla giornata mondiale della famiglia. Da pochi mesi è nato in Iraq un Comitato religioso per la famiglia ed il nostro essere qui è il suo primo, grande, risultato.
La famiglia, per gli iracheni cristiani, ha un grande ed importante ruolo perchè ancora, nonostante tutto ciò che è successo, è un nucleo compatto. Certo la famiglia, come insieme di singoli individui, sta vivendo un periodo di grandi difficoltà legate a diversi fattori quali l'emigrazione, l'insicurezza, la mancanza di stabilità e lavoro, in molti casi addirittura di mezzi di sostentamento. Tutti fattori che si traducono nella diminuzione del numero di figli per famiglia ed anche, ad esempio, sulla continuità della stessa istituzione familiare."
Tra i problemi che le famiglie devono affrontare quello che maggiormente ritorna nei suoi discorsi è quello dell'emigrazione. In che termini esso influisce sull'istituzione familiare e come?
"Direi che è il problema più grave. In termini psicologici l'emigrazione crea disgregazione negli affetti, senso di abbandono in chi rimane e di struggente nostalgia in chi parte, rompe l'armonia familiare che è fatta di gesti di affetto tangibili che non possono essere sostituiti dai pur frequenti contatti virtuali. L'ansia di emigrare alla ricerca di sicurezza e lavoro produce giovani frustrati che non possono o non riescono ad immaginare il proprio futuro, e genitori combattuti tra il desiderio di tenere vicini i propri figli e quello di accontentarli fornendo loro i mezzi per partire.
E' difficile tenere unita una famiglia che cinque anni fa ha visto sparire - per rapimento - un padre ed uno zio, un cui figlio è stato ricoverato a Beirut perchè ammalato di cancro, la cui madre ha seguito il figlio in Libano ed i cui altri membri vivono a Baghdad nella speranza di raggiungerli."
Che posizione ha nell'ambito della famiglia irachena cristiana la donna?
"In linea di massima direi che nella comunità cristiana la donna ha un ruolo paritario rispetto all'uomo nell'ambito familiare ma, certo, l'influenza ambientale non manca ed anche alcuni cristiani pensano alla donna come inferiore all'uomo. In questo senso la Chiesa fa di tutto perchè siano rispettati l'uguaglianza tra i sessi e la dignità della donna, e lo fa attraverso le parole dei sacerdoti che ricordano, nei colloqui ma anche nelle omelie, come la donna debba essere considerata ed amata."
Non c'è dubbio che per i traumi vissuti la popolazione irachena avrebbe bisogno di un supporto psicologico che purtroppo non esiste. La Chiesa può essere di aiuto ai suoi fedeli?
"Quello dei traumi subiti dalla popolazione è uno dei problemi più gravi che, come è ovvio, si riflette anche all'interno del nucleo familiare perchè vivere la quotidianità del dolore, della paura, e dell'insicurezza non è facile. La chiesa però non può aiutare in questo senso. Noi siamo sacerdoti, non psicologi. Ciò che possiamo fare è accogliere i nostri fedeli e raccogliere i loro sfoghi e le loro frustrazioni ricordando loro che la speranza non deve morire perchè dove c'è Dio c'è sempre speranza."

La Chiesa quindi come punto di riferimento per le famiglie in difficoltà ma, a parte ascoltare e consolare, cosa fa per preservare la loro unità?
"Come sacerdoti noi parliamo alle famiglie, organizziamo il catechismo, i raduni dei giovani, ci prendiamo cura, per quanto possiamo, delle persone che vivono maggiori difficoltà ad esempio attraverso organizzazioni come "Amore e Gioia" che si occupa di handicappati o la Caritas. In quanto punto di riferimento per molte famiglie abbiamo intenzione di organizzare anche un congresso che le riunisca. Anche la Chiesa vive periodi di difficoltà ma malgrado le insufficienti risorse materiali ed umane cerca di fare il possibile per aiutare la preservazione della famiglia come nucleo vitale della società."
Tutte le difficoltà cui ha accennato come hanno influito sui rapporti interni alla famiglia?
"E' difficile dirlo perchè le situazioni sono molto diverse. Pensiamo ad esempio ai casi di famiglie in cui il padre o la madre hanno lasciato il paese e la loro mancanza ha quindi spostato gli equilibri familiari facendoli a volte crollare. Pensiamo ai genitori che hanno figli in altri continenti e sono rimasti soli, o a quegli stessi figli che erano sicuri di trovare la felicità altrove e che invece soffrono lontani da casa e dagli affetti più cari. La disgregazione della famiglia è ciò che più ne mina la coesione e ne muta i rapporti interni."
Con le difficoltà sono aumentati i casi di violenza domestica?
"La violenza domestica - è doloroso dirlo - c'è sempre stata ed i problemi che stiamo vivendo ne hanno causato l'aumento. Dolore, rabbia, frustrazione, tensione, non sono sentimenti che favoriscono l'armonia familiare anche se si è notato che in alcuni casi, al contrario, proprio le difficoltà hanno unito ancor di più le famiglie che reagiscono compatte contro di esse. Questo ci dà speranza."
Monsignore, per la prima volta l'Iraq è presente con una delegazione all'incontro mondiale della famiglia. In cosa si tradurrà questa presenza?
"Questa nuova esperienza siamo certi darà speranza e coraggio. Le famiglie irachene vogliono, attraverso chi è oggi a Milano, dimostrare di voler vivere come tutte le altre famiglie del mondo, rompere l'isolamento in cui hanno vissuto e nel quale purtroppo ancora vivono, testimoniare la necessità di non perdere la speranza cristiana che è sempre viva, reagire insieme alle altre famiglie agli attacchi cui sono sottoposte in modi e misure diverse in tutto il mondo. La famiglia, istituzione benedetta da Dio, è sotto attacco di chi la vuole disgregare, spezzare, e la fede che ne unisce i componenti è la risposta. La famiglia è un seme da cui nasce un grande albero ed anche laddove ci sono problemi dobbiamo seguire la via che il Signore illumina per restituirle la dignità ed il ruolo centrale che le spetta nella società. Le coppie di Baghdad e Mosul che vivranno l'esperienza di Milano torneranno a casa arricchite da nuove speranze e, ne siamo certi, non mancheranno di trasmetterle perchè la rete delle famiglie cristiane nel mondo diventi più forte e nella coesione e nella fede trovi pace e serenità."

24 maggio 2012

Refugees with correct ID losing out to boat arrivals

by Gemma Jones

A refugee trying to bring his relatives to Australia under a special humanitarian visa program - which is currently being overrun by boat arrivals - says he is being rejected at "the front door".
Majid Hana's seven family members are Iraqi Chaldean Catholics - one was widowed when her husband was killed by extremists in their home country.

They are currently split between Greece and Syria, with four members, including twin four-year-old boys, in strife-torn Damascus.

It emerged at a parliamentary estimates hearing this week only 655 special humanitarian visas had been issued this year compared to almost 8000 nine years ago.
The visas are part of a quota that is now being almost exhausted by refugees who arrive by boat.
"  People are coming through boats, we are coming through the right direction, we come by Australian rules, by the government, through the front door"  Mr Hana said. "  We apply overseas. They come in the boat and they process them straight away
" We wait so many years to get an interview (but) we still don't get to interview, even. "
More than 20,000 people sought a special humanitarian visa last financial year. The visas allow refugees such as Mr Hana, who said he fled Iraq because Chaldean Catholics face bombings, murder and kidnapping, to be reunited in Australia.

His relatives include Kareem Habeeb Baaho and his wife Nawal Odeesho Yusef and their twins Loothar and Arthur, who fled to Syria in 2009.

His cousins Samir and Sameh Georgis Hanna fled in 2006 to Greece via Turkey after their father was killed.

Mr Hana who lives in Melbourne, and a female relative in Sydney, have all of their identity paperwork.

"  We have all their documents. The people on the boat, we don't know who they are,"   he said.

Nine out of 10 asylum seekers coming by boat do not have their documentation when they arrive, estimates heard this week.

Many of them throw their passports overboard while travelling to Australia so their real identities and backgrounds are harder to check.

Mr Hana said he had been told by government officials that demand for the special visas far outstripped the number available.

23 maggio 2012

La non libertà nel mondo 2012. Il caso iracheno

By Osservatorio Iraq, 22 maggio 2012

Il voto della Freedom House è 5,5. Ma al di là della pagella, è lo status  assegnato a fotografare la situazione: il 'nuovo' Iraq non è un paese libero. Il rapporto ricostruisce le tappe fondamentali dell’azione politica americana e della nuova dirigenza irachena, dal 2003 ad oggi.

traduzione a cura di Rino Finamore


Status: non libero
Livello di libertà: 5.5
Libertà Civili: 6
Diritti Politici: 5


Introduzione

Nel dicembre del 2011, subito dopo il completamento del ritiro americano dal paese, sono riaffiorate le tensioni tra i partiti sunniti e sciiti. Iraqiya ha boicottato il Parlamento in risposta alla presa di potere del primo ministro Nouri al-Maliki ed al rilascio di un mandato d'arresto contro il vicepresidente sunnita. Durante tutto l'anno, Turchia ed Iran hanno lanciato attacchi nel nord del paese per annientare i gruppi guerriglieri curdi, e la crescente violenza confessionale, terrorista e politica ha preso di mira forze governative, giornalisti e civili.


La Storia
Il moderno Stato iracheno è stato fondato dopo la prima guerra mondiale sotto mandato della Società delle Nazioni e amministrato dalla Gran Bretagna. Gli inglesi hanno instaurato una monarchia costituzionale, che privilegiava la minoranza araba sunnita a scapito di curdi e sciiti.

Il predominio politico arabo sunnita è proseguito anche dopo l'indipendenza del 1932 e dopo il colpo di stato militare che nel 1958 ha rovesciato la monarchia. Il partito nazionalista arabo Baath ha preso il potere nel 1968, e l'uomo forte del nuovo regime de facto, Saddam Hussein, ha assunto la presidenza nell'79.

Nei successivi due decenni, l'Iraq ha dovuto sopportare una brutale repressione politica, una guerra distruttiva contro l'Iran (1980-1988), una sconfitta militare da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti (nel 1990, dopo l'invasione del Kuwait), e anni di onerose sanzioni commerciali.

Dopo l'istituzione di una no-fly zone a nord del 36° parallelo imposta dagli Usa nel 1991, la maggior parte delle tre province settentrionali di Erbil, Duhok, e Sulimaniyah è passata sotto il controllo del Partito democratico del Kurdistan (KDP) e l'Unione patriottica del Kurdistan (PUK).

Le due fazioni hanno apertamente combattuto a metà degli anni 90', ma alla fine si sono riconciliate ed hanno formato un governo regionale autonomo del Kurdistan (KRG).

Una coalizione a guida Usa ha invaso l'Iraq nel marzo 2003, creando un'Autorità provvisoria della Coalizione (CPA) per amministrare il paese. L'esercito iracheno è stato smantellato e impedito ai membri del partito Baath di prestare servizio nel governo o nelle nuove forze di sicurezza.
Il conseguente vuoto di sicurezza ha portato saccheggi, danni alle infrastrutture, e grave scarsità d'acqua e di elettricità.
Sull'onda delle frustrazioni sunnite provocate dalla politica di de-baathificazione e l'imminente cambio del potere politico a favore della maggioranza sciita, reti libere di ufficiali baathisti membri di tribù sunnite e militanti islamisti associati ad al-Qaeda hanno iniziato ad organizzare e a finanziare un'insurrezione che ha guadagnato rapidamente terreno nel tardo 2003-2004.

Le intimidazioni da parte degli insorti hanno fatto sì che gli arabi sunniti abbiano boicottato le elezioni del 2005 per l'Assemblea nazionale di transizione (TNA) ed i governi provinciali, con il risultato di una schiacciante vittoria per i partiti sciiti e curdi.
Una nuova Costituzione è stata approvata tramite referendum nel mese di ottobre 2005, nonostante più di due terzi dei votanti in due province a maggioranza sunnita abbiano deciso di respingerla.
Nel frattempo, le milizie del partito sciita sono riesciute ad infiltrarsi nella polizia del ministero dell'Interno e nelle forze antisommossa, con la conseguenza che le detenzioni extragiudiziali e le uccisioni hanno raggiunto un boom nel corso del biennio 2005-2006.

Interi quartieri sono strati rastrellati per la pulizia etnica, a Baghdad così come in altre province multietniche o multiconfessionali.

Gli arabi sunniti hanno partecipato alle elezioni parlamentari del dicembre 2005, aumentando la loro rappresentanza politica. Nouri al-Maliki del partito sciita Da'wa è diventato primo ministro.

Tuttavia,  ulteriori progressi sono stati ostacolati sia dal principale blocco arabo sunnita in Parlamento che da una fazione sciita fedele al religioso e populista leader Moqtada al-Sadr. Entrambi hanno attuato un boicottaggio della legislatura nel 2007.

Il Parlamento ha adottato diverse misure simboliche nel 2008 per riportare gli arabi sunniti nel processo politico. Nel mese di gennaio, a molti ex baathisti è stato consentito di recuperare il lavoro che avevano perso, e nel mese di febbraio il governo ha concesso l'amnistia a migliaia di prigionieri prevalentemente sunniti.

Ed è così che il più grande blocco sunnita ha deciso di tornare al governo (aprile), dopo un boicottaggio durato quasi un anno, con sei nuovi ministri che si sono uniti al gabinetto formato da Maliki.

Sempre nel 2008, e con il finanziamento degli Usa, le forze di sicurezza irachene hanno messo in atto un giro di vite contro le milizie sunnite e di al-Sadr.

Ai sensi della legislazione elettorale passata alla fine del 2008, gli elettori nelle elezioni provinciali del gennaio 2009 potevano scegliere dei candidati, piuttosto che delle liste di partito, mentre l'uso di simboli religiosi in campagna elettorale era fortemente limitato.
Alle donne spettava il 25% delle quote e solo sei seggi erano riservati ai cristiani e alle altre minoranze del paese, su un totale di 440 sedi provinciali del consiglio. La votazione si svolge in un clima relativamente pacifico, e l'affluenza nella maggior parte delle province si attesta tra il 50 e il 75 per cento. Vince il partito Da'wa di al-Maliki, ma ha bisogno di nuove coalizioni per governare nella maggior parte delle province.
Le elezioni provinciali 2009 non hanno interessato la regione autonoma curda o la provincia contestata di Kirkuk. Qui le elezioni del luglio 2009 per il Parlamento regionale curdo e la presidenza si sono caratterizzate per una forte affluenza e per l'exploit di un blocco di opposizione nuovo, chiamato Gorran (Change), che ha preso circa un quarto delle preferenze.

Il referendum per stabilire se Kirkuk sarebbe stata annessa alla regione curda è tutt'ora sospeso, nonostante la disposizione costituzionale che lo aveva raccomandato prima della fine del 2007, così come le elezioni parlamentari del marzo 2010 erano state costituzionalmente programmate per gennaio.

La precedente legge elettorale del 2009 aveva un sistema di liste aperte, e di voto proporzionale con diversi distretti e vari candidati corrispondenti alle 18 provincie. Un totale di 8 seggi erano stati riservati ai cristiani e ad altre minoranze.


 La situazione
In quest'ultima tornata, gli elettori hanno manifestato tutta la loro frustrazione, rivotando soltanto 62 membri eletti nella precedente legislatura, con la conseguenza che si assiste oggi ad uno stallo politico.
Nonostante l'obbligo costituzionale di formare un governo entro 30 giorni dall'annuncio dei risultati, nessuno dei blocchi rivali è stato in grado di formare una maggioranza, mentre le potenze straniere  - tra cui Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti - hanno giocato un ruolo importante nel ritardare i negoziati.

Il nuovo Parlamento ha rieletto il leader curdo Jalal Talabani come presidente (novembre 2010), e in dicembre Maliki ha ottenuto l'approvazione parlamentare per un governo di unità che comprendesse tutte le principali fazioni, tra cui Iraqiya e il movimento di al-Sadr.

L'interregno post elettorale è stato caratterizzato da una forte escalation di violenza confessionale e antigovernativa.

Gli insorti hanno iniziato a prendere di mira le istituzioni nazionali, in particolare i servizi di sicurezza, così come i luoghi di culto. In estate la violenza ha raggiunto vette che non si vedevano da anni.

All'inizio del 2011, i funzionari militari statunitensi hanno stimato una riduzione del 20 per cento degli incidenti di sicurezza rispetto all'anno precedente. Tuttavia, dopo l'uccisione di Osama bin Laden, al-Qaeda in Mesopotamia ha condotto una dura rappresaglia contro civili, politici, forze di sicurezza irachene e truppe americane.

Inoltre, con l'inizio del ritiro statunitense, vari gruppi di miliziani hanno cercato di approfittare del vuoto di sicurezza, svelando l'incapacità delle forze irachene di arginare la violenza. In totale, nel 2011 gli scontri hanno coinvolto oltre 4000 civili.

In linea con un accordo di sicurezza messo a punto nel 2008 da Iraq e Stati Uniti, circa 50.000 militari americani sono rimasti in Iraq fino alla fine del 2011, nonostante si fossero ritirati dalle città irachene già nel 2009 e avessero formalmente concluso le operazioni di combattimento l'anno successivo.

I leader politici americani e iracheni si aspettavano di concordare una riduzione di 5.000 soldati Usa dopo il 2011, ma il patto è saltato a causa del rifiuto del Parlamento iracheno di concedere al personale degli Stati Uniti l'immunità dai procedimenti giudiziari. Di conseguenza, le ultime truppe hanno lasciato il paese nel mese di dicembre.
Pochi giorni dopo il completamento del ritiro, la tensione si è alzata ancora una volta tra i partiti sunniti e sciiti. In una presa di potere apparente della coalizione di governo del primo ministro Nouri al-Maliki, un mandato d'arresto è stato emesso contro il vicepresidente Tariq al-Hashimi, un politico sunnita, accusato di gestire uno "squadrone della morte" che aveva come obiettivo la polizia e funzionari governativi.
Hashimi è fuggito nella regione settentrionale curda, ma i continui arresti ai danni dei sunniti hanno portato Iraqiya a boicottare il Parlamento in segno di protesta.

Oltre alle violenze in corso e alla lotta politica, l'Iraq continua però a soffrire anche le difficoltà economiche e dei confini tutt'altro che sicuri, sebbene il governo sia stato in grado di fornire almeno alcuni servizi pubblici di base.

La fornitura di energia elettrica, per esempio, è aumentata notevolmente negli ultimi anni, ma non ha tenuto il passo con la crescente domanda, e la maggior parte degli iracheni non dispone di una fonte affidabile e sicura di energia.

A ciò si aggiunga una disoccupazione che ormai supera il 20% a livello nazionale, con punte del 55% in alcune zone rurali.

Nel mese di agosto e ottobre 2011, in risposta agli attacchi guerriglieri curdi, la Turchia e l'Iran hanno lanciato attacchi transfrontalieri contro sospetti guerriglieri nascosti nel nord dell'Iraq. Si tratta dei primi attacchi di tale entità dal 2008.


 Diritti politici e libertà civili
L'Iraq non è una democrazia elettorale. Nonostante le elezioni, la partecipazione politica e al processo decisionale del paese sono ostacolati dalle violenze confessionali, dalla corruzione diffusa e dall'influenza delle potenze straniere.
Secondo la Costituzione, il presidente e i due vicepresidenti sono eletti dal Parlamento e nominano il primo ministro (ogni 4 anni). Il capo del governo costituisce un gabinetto ed esegue le funzioni esecutive dello Stato. Il Parlamento è costituito da 325  seggi nella camera bassa, il Consiglio dei Rappresentanti, e una ancora non formata Camera alta, il Consiglio federale, che dovrebbe rappresentare gli interessi provinciali.

La Commissione elettorale indipendente irachena (IECI), i cui nove membri del board sono stati selezionati da un comitato consultivo delle Nazioni Unite, ha la responsabilità esclusiva per l'amministrazione delle elezioni.

I partiti politici operano senza restrizioni legali, mentre il partito Baath è ufficialmente bandito.
Dopo il ritiro delle truppe Usa, gli ostacoli alla partecipazione politica sembrano essere in crescita, visti i tentativi di Maliki di consolidare il proprio potere.
Sede di un quinto della popolazione del paese, la regione autonoma curda costituisce una comunità politica distinta all'interno dell'Iraq, con la sua bandiera, le sue unità militari, e la sua lingua. I 111 posti della legislatura regionale restano dominati dal KDP e PUK alleati, nonostante la presenza del nuovo blocco di opposizione Gorran dopo elezioni del 2009.

Sebbene i leader politici della regione curda professino la loro fedeltà rimanendo parte di uno Stato federale iracheno, le forze di sicurezza curde mantengono un confine de facto con il resto del paese, con gli arabi vengano trattati come stranieri e il governo regionale che agisce spesso seguendo il proprio interesse nonostante le obiezioni di Baghdad.

L'Iraq è afflitto da una corruzione dilagante a tutti i livelli di governo.

Una Commissione nazionale per l'integrità ha il compito di combattere la corruzione, ma conduce le sue indagini in segreto e non pubblica le sue conclusioni fino a quando i tribunali non hanno emesso decisioni finali.

La stragrande maggioranza degli autori di reati restano impuniti, in gran parte a causa di una legge di amnistia che consente ai ministri di intervenire e respingere le accuse. Di conseguenza, i casi sono in genere portati avanti nei confronti dei funzionari a basso e medio rango.

E se la Commissione di integrità aveva guadagnato un certo slancio negli ultimi anni, nel 2011 ha dovuto affrontare una serie di battute d'arresto.

Ricordiamo tra le cose più importanti che il presidente della Commissione è stato costretto a dimettersi nel mezzo di una crescente pressione politica, dopo numerose segnalazioni di corruzione e tentativi del governo di mettere a tacere gli informatori.

Le reclute presumibilmente pagavano tangenti fino a 5000 dollari per entrare nelle forze di sicurezza irachene, e le rapporti indicano che i cittadini comuni devono ricorrere alla corruzione per svolgere semplici operazioni burocratiche, come ottenere le targhe dei veicoli.

Quest'anno l'Iraq si è posizionato al 175simo (su 183 paesi) dell'Index di Transparency International Corruption Perceptions 2011.


Anche se la libertà di culto è garantita da Costituzione, tutte le comunità religiose hanno ricevuto e continuano a subire minacce. Si stima che tra i 300 e i 900 mila cristiani hanno cercato sicurezza all'estero dal 2003.
Minoranze religiose ed etniche nel nord dell'Iraq - tra cui turkmeni, arabi, cristiani e shabak - hanno segnalato casi di discriminazione e molestie da parte delle autorità curde, anche se erano fuggiti proprio in questa regione per la sua relativa sicurezza.

Le zone precedentemente miste sono ora molto più omogenee, e gli attacchi terroristici continuano ad essere rivolti verso obiettivi religiosi.

 
Le istituzioni accademiche operano in un ambiente altamente politicizzato e insicuro.
Centinaia di professori sono stati uccisi durante il picco di violenza confessionale e molti altri ancora hanno smesso di lavorare o sono fuggiti dal paese, nonostante alcuni ricercatori siano tornati a seguito dei miglioramenti degli ultimi anni.
I diritti alla libertà di riunione e di associazione sono riconosciuti dalla Costituzione, ma "in un modo che non violi l'ordine pubblico e la moralità".Alcune proteste isolate si sono tenute nel mese di febbraio e marzo 2011, ispirate dalle sollevazioni popolari del Nord Africa.
A Baghdad nel mese di febbraio, più di 20 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza mentre cercavano di disperdere la folla.

Le organizzazioni non governative nazionali e internazionali (ONG) sono in grado di operare senza restrizioni di legge, anche se i problemi di sicurezza limitano fortemente le loro attività in molte aree.

La Costituzione prevede il diritto di formare sindacati e di aderirvi. L'attività dell'Unione è fiorita in quasi tutti i settori industriali dal 2003, e gli scioperi non sono stati rari.

Tuttavia il diritto del lavoro del 1987 rimane in vigore, vietando i sindacati nel settore pubblico, e un decreto del 2005 ha concesso al governo il potere di bloccare tutti i fondi sindacali e prevenire il loro esborso.

Alcuni membri del governo si sono poi attivati per vietare i sindacati a maggio 2011, ma l'opposizione a livello nazionale e internazionale ha costretto questi funzionari ad abbandonare la loro causa.

L'indipendenza dei magistrati è garantita da Costituzione. Il Consiglio superiore della magistratura - presieduto dal giudice capo del Supremo tribunale federale e composto da 17 giudici d'appello  e numerosi giudici della Corte federale di cassazione - ha l'autorità amministrativa sul sistema giudiziario.

Nei fatti i giudici sono sottoposti a immense pressioni politiche e settarie e non sono stati in gran parte in grado di perseguire i casi di criminalità organizzata, la corruzione e le attività delle milizie, anche a fronte di prove schiaccianti.

I cittadini iracheni si rivolgono spesso alle milizie locali e ai gruppi religiosi per amministrare la giustizia, piuttosto che cercarla attraverso gli organi ufficiali delle forze dell'ordine considerati corrotti o inefficaci.

Il codice di procedura penale e la Costituzione vieta arresti arbitrari e le detenzioni, anche se entrambe le pratiche sono comuni. La Costituzione proibisce anche qualsiasi forma di tortura e trattamenti inumani e offre alle vittime il diritto al risarcimento, ma ci sono poche tutele efficaci in vigore.

Un centro di detenzione precedentemente sconosciuto dove sono state riportate accuse credibili di tortura è risultato essere sotto il diretto controllo dell'ufficio del primo ministro nel 2010.
Stesso copione per il nord: sebbene anche le leggi del Krg proibiscano i trattamenti disumani, è ampiamente riconosciuto che le forze di sicurezza curde praticano detenzioni illegali e tattiche di interrogatorio quantomeno discutibili.
Anche i detenuti sotto custodia degli Stati Uniti sono stati soggetti a tortura e maltrattamenti, nonostante dal 2011 le forze Usa non possano più gestire detenuti direttamente in Iraq.

Circa cinque milioni di iracheni sono stati sfollati dalle loro case dal 2003, e mentre centinaia di migliaia di persone - la maggior parte arabi sunniti - sono fuggiti in Giordania e in Siria, quasi tre milioni di iracheni sono sfollati all'interno dell'Iraq.

In regioni come Kirkuk, il regime di Saddam Hussein ha costretto circa 250.000 di curdi residenti a muoversi dalle loro case in nome della "arabizzazione".

Conflitti etnici nella regione hanno portato ad una lunga impasse politica tra i curdi e le minoranze di arabi, turcomanni e cristiani assiro-caldei.

La Costituzione garantisce altresì i diritti delle donne uguali davanti alla legge, anche se in pratica si trovano ad affrontare varie forme di discriminazione giuridica e sociale. A loro spetta il 25 per cento dei seggi del Parlamento, e la loro partecipazione alla vita pubblica è effettivamente aumentata negli ultimi anni.

Nonostante le gravi pressioni sociali e le restrizioni, le donne sono tornate in massa ai posti di lavoro e università. Godono di maggiori protezioni legali e libertà sociali nella regione curda, ma il loro potere politico è ancora limitato.

Inoltre, i cosiddetti delitti d'onore e gli abusi domestici  sono diffusi in tutto il paese. Nel luglio 2010, i leader religiosi curdi hanno formalmente dichiarato che le mutilazioni genitali femminili (MGF) non costituiscono una pratica islamica, ma alcuni gruppi di difesa sostengono che oltre il 50 per cento delle ragazze adolescenti curde sono ancora vittime di MGF.

Nel rapporto 2011 sulla tratta di persone stilato dal dipartimento di Stato Usa, l'Iraq, oltre a figurare al secondo posto della classifica, è additato anche per lo sfruttamento sessuale di donne e bambini provenienti da famiglie povere e/o sfollate, senza contare i casi di abuso degli stranieri che vengono reclutati a lavorare in loco.

21 maggio 2012

After escaping war, Chaldeans face moral risks in US, says bishop

By Catholic News Service, May 17, 2012
by Carol Glatz

VATICAN CITY (CNS) -- Iraqi Catholics fleeing physical danger in their homeland often find themselves unprepared for the moral threats awaiting their families in the United States, said the head of Chaldean Catholics in the Western U.S.

Seeing a lack of respect for the unborn, altered definitions of marriage and a general disregard for Christian values means Chaldean Catholic families settling in the United States often find themselves in a world they are not at all accustomed to, Chaldean Bishop Sarhad Y. Jammo of the Eparchy of St. Peter the Apostle of San Diego told Catholic News Service May 17.

The challenge for many parents is not so much the usual difficulties with the language or acclimating to a new culture, but rather being afraid of what their children may be exposed to every day in the media and many schools, he said.

"This is the irony, that is the dilemma," he said. They escape from gunfire in Iraq trying to save their family so they go to the United States "and they find physical security, but then they face moral attack," he said.

Because of a lack of moral grounding in the wider culture, families turn to the church for help as they struggle to maintain their Christian identity and live according to the Gospel, Bishop Jammo said.

The bishop was in Rome for his "ad limina" visit to the Vatican together with other heads of Eastern Catholic dioceses in the United States.

Chaldean Catholics are the largest Eastern-rite community in the United States and their numbers are steadily growing. The Chaldean eparchies based in Detroit and San Diego count about 165,000 faithful, according to Vatican statistics for 2011.

Bishop Jammo said their growing numbers are due to a large and steady stream of refugees since the U.S.-led invasion of Iraq in 2003.

Chaldean Bishop Ibrahim N. Ibrahim, who heads the Eparchy of St. Thomas the Apostle of Detroit, the diocese for Chaldean Catholics in the Eastern United States, said the biggest challenge in his diocese is how to help families who have been unable to go to church for years.

Many of the refugees spent five to 10 years in a transit country such as Lebanon, Jordan or Syria before they found a home in the United States, he said.

The bishops' aim is to make them feel at home "after those years of suffering" and to help them acclimate to their new surroundings and reignite their faith, he said.

Many refugees have "become confused" in terms of their faith during their hiatus abroad, either losing their faith because they had little to no access to a priest or pastoral care or because they found solace in a Protestant community, he said.

"However, when they arrive in the States, we get them back" when they discover the large, vibrant Chaldean Catholic community, he said.

"They want to be with their own citizens, their own people, family and friends" and hear their own language, he said.

Bishop Ibrahim estimates there are really more than 180,000 Chaldean Catholics just in his eparchy alone. He said they have 1,100 baptisms and 400 weddings a year, which keeps their 20 priests very busy.

In each of the past five years, they have ordained one U.S.-born priest a year, but this year they will ordain two men.

"That is a good sign and I'm going to tell the pope (during their meeting May 18) that we are really blessed by the vocations of young people for the priesthood," he said.

For both bishops, funding new parishes and pastoral programs for their growing number of parishioners are enormous challenges.

Despite the generous help they receive from the U.S. Conference of Catholic Bishops, Bishop Jammo said the economic investment needed to fund Bible study programs, youth groups, catechisms, and provide for seminarians, priests, nuns and teachers is "overwhelming."

Many Chaldeans arrive in the United States with appropriate skills and education, and a desire to work, but there are no jobs, said Bishop Jammo. That means most parishioners are not only unable to help fund and support the parish and its work, they need financial and social assistance from the church, he said.

""   I am racing against time because I don't want to lose even one soul,"   he said.

The Eastern Catholic bishops formed the last group of bishops from the United States making their visits "ad limina apostolorum" (to the threshold of the apostles) to pray at the tombs of the apostles Peter and Paul, to meet with Pope Benedict XVI and to visit Vatican officials to discuss issues of common concern.

18 maggio 2012

Hira, antica città cristiana vicino Najaf che rischia di sparire

By Il Sole 24 ore


Un'antica città cristiana a due passi dal più sacro e venerato luogo di culto dell'Islam sciita, Najaf, città santa nel centro-sud dell'Iraq: l'antica Mesopotamia.
Siamo nel sito di al-Hira, importante centro urbano di epoca preislamica. Qui, nel IV secolo d.C., la dinastia araba dei Lakhmidi stabilì la capitale del proprio regno costruendo mirabili chiese e palazzi come il leggendario al Hawarnaq nel quale, secondo la tradizione, il re Nu'man si convertì al Cristianesimo.
Ne parla l'archeologo Shakir al Jabri: "Malgrado la sua importanza storica e archeologica, al Hira non ha mai ricevuto adeguate attenzioni. Le indagini archeologiche, condotte in modo sporadico negli anni '30 e '50 del secolo scorso, sono state riprese nel 2007 a seguito dei lavori di ampliamento dell'aeroporto di Najaf".
Gli ultimi scavi hanno portato alla luce le fondazioni di numerosi edifici in mattoni. Rinvenuti circa 2.100 reperti tra i quali iscrizioni, monete e frammenti ceramici riferibili al V-VII secolo d.C. Poi dal 2010, più nulla perchè i lavori sono stati interrotti per mancanza di finanziamenti.
"La salvaguardia del patrimonio archeologico e culturale del paese non è fra le priorità del governo", si lamenta al Jabri e così questo frammento di storia che ha resistito per secoli rischia di sparire per sempre. 

Iraq. Babilonia. Autopsia di un disastro

By Osservatorio Iraq, 18 maggio 2012
di Giovanni Andriolo

Il sito dell’antica città di Babilonia non trova pace. Dopo le razzie dei primi archeologi europei, le ristrutturazioni invasive di Saddam Hussein, le perforazioni nel sottosuolo per il passaggio degli oleodotti, l’occupazione delle truppe internazionali, la prossima minaccia potrebbe venire dal turismo. Ne parliamo con Paolo Brusasco.

Nelle scorse settimane Osservatorio Iraq aveva segnalato il degrado del sito dell’antica Babilonia, nell’attuale Iraq, uno dei più antichi e importanti centri abitati della storia dell’umanità.
Degrado dovuto, nell’ultimo secolo, a diversi fattori, non da ultimo la strumentalizzazione del sito a scopi politici, economici, militari.

Abbiamo intervistato Paolo Brusasco, archeologo e docente di Storia del vicino oriente antico all’Università di Genova, nonché autore del libro "Babilonia. All’origine del mito", il cui titolo del primo capitolo è eloquente: "Autopsia di un disastro".

Ci può raccontare quali danni hanno provocato le truppe internazionali che nel 2003 hanno “occupato” il sito dell’antica Babilonia?
Come suggerito dal rapporto finale Unesco del 26 giugno 2009 e dal mio personale ricordo del sito, i danni causati dalla base militare alleata (statunitense e polacca) Camp Alpha sono molto gravi per estensione e impatto sull’archeologia dell’antica capitale.
Dall’aprile del 2003 alla fine del 2004, la base, che contava almeno 2000 soldati, ha condotto le seguenti operazioni, tutte assolutamente invasive:
a) nel cuore stesso della città interna ove giacciono i resti più monumentali - il palazzo di Nabucodonosor II ( 604-562 a.C.) e la Porta di Ishtar – si è spianato addirittura con bulldozer un’area archeologica di ben 300.000 metri quadrati, il tutto ricoperto di ghiaia trattata chimicamente per limitare la polvere durante le operazioni militari e il passaggio di blindati;

b) i fragili resti in mattoni della Porta di Ishtar, cosi come il Palazzo Reale Sud, i templi di Ninmakh, di Ištar, di Nabu e le case babilonesi – già ristrutturati in età saddamiana -  hanno fortemente patito per le vibrazioni causate dalla vicina presenza di un grande eliporto, costruito nelle vicinanze direttamente sugli strati delle dinastie partico-sasanidi (II sec. a.C. – VII sec. d.C.);

c) dalla Porta di Ishtar, 9 pregiati mushkhush - i draghi-guardiani, simbolo del dio poliade Marduk, realizzati in mattoni a rilievo – sono stati gravemente danneggiati da razziatori verosimilmente interni alla base che hanno asportato parte dei fregi
d) molto esteso anche il danno alla Via delle Processioni, il tragitto rituale dove avvenivano le celebrazioni della Festa del Nuovo Anno babilonese, la cui pavimentazione in cotto risulta in più punti distrutta dal passaggio di blindati, camion, veicoli militari e la collocazione di barriere di cemento;
e) la creazione di infrastrutture militari di vario tipo, quali caserme, aree di rifornimento di carburante, trincee di difesa, barriere protettive create con contenitori HESCO (a maglie metalliche e tela), ha alterato la stratigrafia del sito; gli HESCO, in particolare, sono stati colmati con terreno archeologico di Babilonia e di altri antichi siti satellite, contaminando per sempre l’integrità dell’archeologia. 

Oltre ai danni provocati in loco, sembra che diversi reperti siano stati trafugati e portati illegalmente fuori dal paese: cosa ci può dire in proposito?
Ciò purtroppo è accaduto, ma non solo a Babilonia. Sin dalla Prima Guerra del Golfo del 1990-91, la maggior parte delle migliaia di siti archeologici dell’Iraq continua a subire la più grande spoliazione di tesori archeologici della storia.

E la razzia non si è arrestata. Una mia recente indagine, unitamente a quella di Neil Brodie della Stanford University, ha messo in evidenza una preoccupante rete di trafficanti, dai tombaroli locali ai ricettatori alle grandi case d’asta e siti web di antichità, sino ai fruitori euroamericani e giapponesi.

Un traffico illegale di centinaia di migliaia di dollari che si affianca, non senza connessioni, a quello della droga. A patire di più sono le migliaia di tavolette cuneiformi, di sigilli cilindrici e di amuleti vari che l’Interpol sta intercettando alle frontiere di molti stati occidentali, compreso l’Italia.
Per aggirare la legge che vieta il commercio di antichità irachene (UNSCR 1483), si utilizzano, in luogo di “Iraq”, fuorvianti definizioni geografiche circa la provenienza dei reperti (i.e. East Mediterranean, East Asia, Syria, ecc.); inoltre, attraverso astute triangolazioni con paesi mediorientali confinanti con l’Iraq gli oggetti vengono piazzati nei mercati internazionali.
Ma le truppe internazionali non si erano sistemate sul sito di Babilonia proprio per proteggere le rovine e i reperti?
Questo è quello che hanno sostenuto a loro difesa - nelle parole del loro portavoce, il colonnello John Coleman, capo-missione a Babilonia - come ho scritto nel mio libro.

Ma è evidente che una cosa è proteggere Babilonia con pattugliamenti esterni al sito, e ciò sarebbe stato sufficiente a garantirne una adeguata tutela;  altra cosa è impiantare una base militare sulle rovine stesse del sito.

A livello simbolico, ritiene che l’occupazione e la devastazione del sito di Babilonia abbia leso l’immagine delle forze internazionali?
Non lo ritengo solo io, ma tutta la comunità archeologica internazionale. Anche da parte americana, persino i neoconservatori più convinti, come l’allora sottosegretario alla Difesa Fred Iklé, riconoscono l’ingenuità del gesto e la conseguente perdita di prestigio.

Babilonia, in effetti, ha una forte valenza simbolica, non solo agli occhi degli iracheni ma per gli stessi Occidentali che la connotano come la patria del diritto, della scienza, della letteratura…, la prima città cosmopolitica della storia. Decostruire questo simbolo è stato un po’ come tranciare le proprie radici culturali, offendendo al contempo il popolo iracheno, e mostrandosi al cospetto del mondo come i nuovi barbari, emuli del famigerato re elamita  Shutruk-Nakhunte  che l’aveva razziata nel 1150 a.C.

Non avevano forse gli Stati occidentali e il Consiglio di Sicurezza dell'Onu a suo tempo deprecato le distruzioni dei Buddha di Bamiyan da parte del governo talebano dell’Afghanistan, tacciandole di oltraggio al patrimonio culturale?

Un martirio, quello di Babilonia, che inizia ben prima del 2003: dai primi scavi archeologici ai pesanti interventi di Saddam Hussein.
Certamente. La martoriata storia della riscoperta della città passa dagli scavi colonialisti di fine Ottocento diretti dal tedesco Robert Koldewey che, per conto della Deutsche Orient-Gesellschaft (Società Orientale tedesca), ha ricostruito al Vorderasiatisches Museum di Berlino gli spettacolari fregi della Porta di Ishtar e della Via delle Processioni, fino ai faraonici interventi negli anni Ottanta del Novecento dell’ex dittatore iracheno Saddam Hussein.

Questi vedeva nella città il luogo ideale, con la sua storia millenaria, per coniugare la sua propaganda politica di matrice baathista socialisteggiante col panarabismo guidato dal genio del grande Iraq, in un filo sottile che legava Saddam agli illustri antenati babilonesi Hammurabi e Nabucodonosor II.
Le ricostruzioni saddamiane – il Palazzo Sud, la Porta di Ishtar, il teatro greco, e vari templi cittadini – per quanto non filologiche e frutto del sogno megalomane di un dittatore, rendono comunque almeno in parte giustizia allo splendore che doveva rappresentare la città antica, purtroppo assai deteriorata dall’urto del tempo.
Nel suo libro, parla di “strumentalizzazione politica del patrimonio archeologico iracheno”: cosa intende con questa espressione?
Proprio quello che ho detto prima: la città in quanto simbolo intriso di profondi significati è stata via via  utilizzata dai vari interlocutori politici che ne sono venuti in contatto – i tedeschi, i governi iracheni e per ultimi gli americani – per mettere in atto un piano di autocelebrazione propagandistica, mirata più all’appropriazione del passato che a un suo effettivo rispetto e riqualificazione nel presente.   

Nemmeno il presente sembra promettere bene: quali pericoli minacciano oggi il sito di Babilonia?
Già, nuovi e continui pericoli minacciano il sito. Recentemente la costruzione di un nuovo oleodotto che attraversa le mura urbiche – una delle sette meraviglie del mondo antico - è davvero sconcertante, e non lascia ben sperare per il futuro.

Ma oltremodo dannoso è il rilancio di un turismo indiscriminato da parte dell’attuale governo di maggioranza sciita e del suo nuovo ministero del Turismo che sta soppiantando l’autorità del vecchio Dipartimento di Antichità (State Board of Antiquities and Heritage, SBAH), di matrice sunnita, l’unico legalmente preposto alla tutela della città. Inoltre, va purtroppo registrata la continua edificazione di giardini, aree da picnic….., e la crescente presenza di aree residenziali allocate agli impiegati della locale municipalità. 

Quali azioni, a livello sia governativo che internazionale, sono state intraprese a difesa del sito?
Di notevole interesse è il progetto “Futuro di Babilonia”, sotto l’egida dell’UNESCO, finanziato a partire dal 2009 con 700.000 dollari dell’ambasciata americana, in collaborazione con lo SBAH e il Fondo mondiale per i monumenti.

Anche se la collaborazione col Getty Museum lascia seri dubbi (viste le sue passate acquisizioni di antichità di provenienza illegale), il progetto è quanto meno apprezzabile poiché  finalizzato all’attuazione di un piano per la tutela del sito e per lo sviluppo di un turismo controllato.

Un risultato che tuttavia pare ancora molto lontano, e non privo di ombre, dal momento che sembra ostacolato dagli immediati  interessi economici legati al turismo e al petrolio.

L’eventuale inclusione di Babilonia nella lista del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco potrebbe aiutare a proteggere il sito? In che modo?
Sarebbe un passo fondamentale per offrire a Babilonia il tipo di finanziamento economico e la protezione, costante nel tempo, di cui necessita un sito di tale importanza culturale.
Ma prerequisito di tale iscrizione è la messa a punto di un efficace piano di tutela, col ripristino delle strutture monumentali, la cessazione di attività costruttive invasive e la limitazione del turismo.
Per attuare in tempi rapidi tutto ciò, a mio parere, sarebbe anche necessario un più forte coordinamento centrale da parte delle autorità irachene dello SBAH.

16 maggio 2012

Incontri di amicizia e di pace.Un nuovo "diario di viaggio" dalle terre del Kurdistan iracheno

By Peacelink  15 maggio 2012 
di Andrea Misuri

Il cielo lattiginoso dei primi giorni, per la polvere sollevata dalla terra arida, ha lasciato il posto a raffiche gelate di pioggia e di vento - che depositano sui vestiti una sottile lamina giallognola - poi, nei giorni successivi, a una trama leggera di neve farinosa che ci ha accompagnato per un lungo tratto, nel ritorno all’aeroporto di Erbil. Al check point al passo di Taslwja, i giovani peshmerga, kalashnikov in mano, sono intabarrati nei giacconi, con le sciarpe alzate fin sotto gli occhi e i copri orecchi a proteggere dal freddo di una primavera che tarda ad arrivare. Scendiamo a valle. Il paesaggio ora è piatto e brullo. Passiamo vicino a piccoli villaggi: Bazian, Takia, Qara-Hanjeer, prima di costeggiare l’enclave di Kirkuk e le cime innevate della catena montuosa sulla nostra sinistra, mentre la strada corre verso nord. Improvvisamente tutto scompare. “Nebbia in Val Padana” scherziamo tra noi. Una nebbia ben strana, però, di un colore ocra sospetto che ci fa subito propendere per quello che realmente è, un muro impalpabile di sabbia che ci accompagna fino alle porte di Erbil.
“Finché esistono le montagne, non abbiamo paura di niente” è un proverbio curdo degli anni della guerra. Lo racconta Arsalan Baiz presidente del Parlamento regionale, per spiegarci la determinazione con la quale i curdi hanno combattuto per la loro libertà. “A quel tempo costruivamo le case ad almeno cinquanta metri l’una dall’altra, per evitare che una bomba potesse colpire entrambe le abitazioni.” Oggi il Parlamento di Erbil è l’espressione del caleidoscopio etnico e religioso che convive in questa regione nel nord dell’Iraq. Dare voce a tutte le istanze e riportarle nel comune consesso istituzionale è un percorso obbligato che trova risposta in qualche numero: centoundici parlamentari, dei quali trentacinque dell’opposizione; quarantadue donne elette; cinque rappresentanti della minoranza turcomanna; sei di quella caldea.

Prendiamo ad esempio la comunità caldea, concentrata in gran parte a Erbil, nel quartiere di Ankawa. Oltre ventimila abitanti che aumentano costantemente, per lo stillicidio di arrivi da Baghdad e dalle città del sud dell’Iraq, dove i muri alzati per separare i diversi quartieri e i rispettivi gruppi etnici, niente possono contro le quotidiane minacce che colpiscono i credenti cristiani. Per chi arriva, ci sono i problemi della casa e del lavoro. Per quest’ultimo, nel Parlamento regionale si sta cercando una soluzione legislativa. In un Paese dove i dipendenti pubblici rappresentano la maggioranza dei lavoratori, potrebbero ottenere una sorta di trasferimento, per alleviare i disagi di una fuga dalle città d’origine. A Sulaimaniya, la collettività è estremamente esigua. La chiesa cattolica caldea di St. Joseph, una costruzione moderna affiancata da un campanile stilizzato, è posta di lato alla Direzione del Ministero della Cultura. Al cancello, una garitta e un soldato armato ricordano come non sia possibile abbassare la guardia dal pericolo fondamentalista. Il vasto interno circolare dell’edificio è ingentilito da bianche colonne e dalle pareti fasciate di legno chiaro.
Padre Ayman Aziz Hermiz, trenta anni, proviene da Kirkuk. Ha l’espressione attenta e gioviale; una barba nera e ben curata gli incornicia il mento. Ci accoglie con cordialità. La comunità è composta da duecentocinquanta famiglie, novecento fedeli in tutto, in una metropoli di oltre un milione di abitanti. Un isolamento che percepisco nello sguardo e nella voce di padre Ayman. “La strada della convivenza è l’unica percorribile –ci dice sorridendo – Musulmani e cristiani torneranno a vivere insieme”. Tutti i pomeriggi alle cinque, la messa officiata da padre Ayman è l’occasione quotidiana per riunire la comunità di fedeli intorno a questo giovane prete.

15 maggio 2012

Mons. Lingua (Apostolic Nuncio to Iraq): "Unity in love and respect"

By Baghdadhope*

 

The Apostolic Nuncio to Jordan and Iraq, Monsignor Giorgio Lingua, on early May made a tour in northern Iraq that first led him into the city of Mosul where, accompanied by the Chaldean Archbishop of the city, Monsignor Emil Shimoun Nona, met the Syriac Orthodox bishop of Mosul, Mor Nicodemus Dawood Sharaf and the retired bishop, now a patriarchal counselor, Mor Gregorious Saliba Shamoun. The meeting ended with an ecumenical prayer in the cathedral dedicated to St. Ephrem the Syriac. In Mosul, Mons. Lingua visited also the Chaldean Cathedral of Santa Meskinta, the Chaldean monks’ monastery, various religious communities, the old patriarchal seminary of St. Peter and had a public meeting in the church of Saint Paul crowded with worshippers.
From Mosul Mons. Lingua reached Telkeif, a small village of long Christian tradition where he visited the church of Mart Shmona that belongs to the Assyrian Church of the East, a non-catholic autocephalous church that in Iraq has many faithful, less in any case to those living abroad, and attended the opening ceremony of the liturgical center of the Chaldean Sisters of the Daughters of the Sacred Heart.
In Erbil Mons. Lingua delivered the homily during the Mass celebrated by the Chaldean Archbishop Mons. Bashar M. Warda dedicated to the seventh anniversary of Benedict XVI’s pontificate whose life has been retraced through a multimedia presentation prepared by Father Rayan P. Atto. In Ankawa the Apostolic Nuncio spent a day in the Chaldean seminary of St. Peter and in Alqosh he finally met a group of Chaldean priests.

UNITY IN LOVE AND RESPECT

Mons. Lingua’s short tour in northern emphasizes the importance of the celebration of Pope Benedict XVI’s seventh year of pontificate as a mark of the strong bond of Iraqi church with the papacy but what’s more emphasizes the importance of Christian unity.
Not only Mons. Lingua visited Catholic and non-Catholic churches, but he made of unity the central topic of the homily he delivered during the celebration in honor of the Pope held in Erbil and of the meeting he had with the Chaldean priests in the convent of the Redemptorists in Alqosh.
The position of Mons. Lingua is frank: Christians are "unfortunately" divided and this "gives a negative testimony" as Jesus' prayer was that " that they may all be one so that the world may believe." (Jn 17.21 )
Recalling the various Christian traditions that make up the Iraqi mosaic Mons. Lingua recalled how it is not such diversity that creates division that instead means wealth, but rather "criticism, envy, suspicion" that must be overcome by love and mutual esteem.
The church in Iraq will "bloom again" if all its children will love each other "as Christ loves each one of us" and if with "courage" they will put aside the divisions that are evidence of "weakness".
Even more precise is the call for unity in Mons. Lingua’s address to the Chaldean priests to whom, recalling "the high mission and the great responsibility" given to them by the Church in their being "called and consecrated to represent Christ on earth" the Nuncio recalls that priesthood does not mean power, but service. Being priests is a privilege for Christians, a gift, because everyone is called by Baptism to live like Christ, but only some are chosen by the Church to continue His work in "dispense the sacraments of salvation."
This gift, however, means sacrifice too. The priest must be able to rejoice even in suffering keeping in mind that it hides Christ and therefore "every time we complain of what we have to endure, we complain about Him."
The priest, " man of joy," moreover, "as man chosen to bring God to men and men to God" should be "at any level" "instrument of unity and communion" and must follow some guidelines.
He must first of all reconcile with his bishop, a reconciliation that Mons. Lingua does not hesitate to describe as "difficult", even "heroic " but since being a priest "means to be ready to give one’s own life " and that first of all the priest must know how to give it "for his bishop" it should not weigh that much since "if one is ready to give his life must also be ready to give everything that is not life!"
Reconciliation with the bishops as well with the brethren to be "examples for the flock", and priest as an instrument of reconciliation in the community in all its components: family, parish, society, world.
The figure of the "reconciler" priest is for Mons. Lingua is "necessary today in Iraq"  for "the moral reconstruction" of the country.
The reconciliatory process, however, is not only about the relationship between priests and the civil society and the ecclesiastical hierarchy but also, especially in the Iraqi Christian mosaic, about the ecumenical value and "the communion within the Catholic Church."
Recalling the final message of the Special Assembly for the Middle East held in Rome in 2010 Mons. Lingua cites the words of the Synod Fathers who spoke of a "same path" to cover with the Orthodox Churches and the Evangelical Communities "for the sake of Christians" and specifies how "despite the diversity of our churches" only through unity we can "accomplish the mission that God entrusted to all of us. "
For sure, says Mons. Lingua, "we still have a ,long way to cover" but we must be careful not to take shortcuts that do not respect our identities because although, for example, not to share communion as "the culmination of the celebration" with "our Orthodox brothers" is a "suffering" it is necessary "to avoid the false irenism and disregard for the rules of the Church" (Encyclical Ut Unum Sint). The division, it is true, brings sufferings but if "loved and respected it will bear fruits."
If this applies to relations among the sister but different churches it also applies to the "variety of rites within the Catholic Church."
To mix different rites as some priests do in Iraq "is not helpful either to protect one’s own identity neither to grow in communion" because this requires "mutual love through the respect of the other in his diversity" because, points out once again Mons. Lingua, "diversity is wealth, division is poverty."
Love and respect for unity but in the preservation of the identities. A strong call that of Mons. Lingua to the priests who in Iraq live "an exciting challenge" but who should not forget the choice they made to give their life for "God and brethrens" and indeed they must renew it every day.
 
Baghdadhope publishes Mons. Lingua’s  homily (Italian, English and Arabic) delivered during the celebration of the seventh year of Benedict XVI’s pontificate (click here) and his speech to the Chaldean priests gathered in Alqosh (Italian and Arabic) (click here)

Mons. Lingua (Nunzio Apostolico in Iraq): "Unità nell'amore e nel rispetto"

By Baghdadhope*

Il Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, Mons. Giorgio Lingua, ha compiuto agli inizi di maggio un viaggio nel nord dell'Iraq che lo ha portato dapprima nella città di Mosul dove, accompagnato dall'Arcivescovo caldeo della città, Mons. Emil Shimoun Nona, ha incontrato il vescovo siro ortodosso della città, Mor Nicodemus Dawood Sharaf ed il vescovo emerito, ora consigliere patriarcale, Mor Gregorious Saliba Shamoun. Incontro che si è concluso con una preghiera ecumenica nella cattedrale dedicata a Sant'Efrem il Siro. Sempre a Mosul Mons. Lingua ha visitato la cattedrale caldea di Santa Meskinta, il monastero dei monaci caldei, varie comunità religiose, ed il vecchio seminario patriarcale di San Pietro per finire con un incontro pubblico nella chiesa di San Paolo gremita di fedeli.
Da Mosul Mons. Lingua ha raggiunto Telkeif, un piccolo villaggio di lunga tradizione cristiana dove ha visitato la chiesa di Mart Shmona che appartiene alla chiesa Assira dell'Est, chiesa autocefala non cattolica che in Iraq ha molti fedeli, inferiori comunque a quelli che vivono in diaspora, ed ha presenziato all'inaugurazione del centro liturgico delle suore caldee Figlie del Sacro Cuore.
Ad Erbil Mons. Lingua ha invece pronunciato l'omelia durante la Santa Messa celebrata dal vescovo caldeo Mons. Bashar M. Warda dedicata alla ricorrenza dei sette anni di pontificato di Benedetto XVI la cui vita è stata ricordata attraverso una presentazione multimediale preparata da Padre Rayan P. Atto. Ad Ankawa il Nunzio Apostolico ha trascorso una giornata nel seminario caldeo di San Pietro ed infine ad Alqosh ha incontrato un gruppo di sacerdoti caldei.

 

UNITA' NELL'AMORE E NEL RISPETTO
Il breve viaggio di Mons. Lingua nel nord dell’Iraq oltre che a rimarcare l’importanza della celebrazione del VII anno di pontificato di Papa Benedetto XVI a testimonianza del sempre forte legame della chiesa irachena con il soglio pontificio è servito a sottolineare l’importanza dell’unità per i cristiani.
Non solo Mons. Lingua ha visitato chiese cattoliche e non cattoliche quanto ha fatto dell’unità il tema centrale sia dell’omelia da lui pronunciata durante la celebrazione in onore del Papa tenutasi ad Erbil, sia nell’incontro da lui avuto con i sacerdoti caldei nel convento dei Redentoristi ad Al Qosh.
La posizione di Mons. Lingua sul tema è schietta: i cristiani sono “purtroppo” divisi e ciò "dà una testimonianza negativa” perché la preghiera di Gesù fu che “che tutti siano uno, perché il mondo creda”. (Gv 17,21)
Ricordando le diverse tradizioni cristiane che da sempre compongono il mosaico iracheno Mons. Lingua ha ricordato come non sia tale diversità a creare la divisione che invece significa ricchezza, quanto piuttosto “la critica, l’invidia, il sospetto” che devono essere superati dall’amore e dalla stima reciproci.
La chiesa in Iraq potrà “rifiorire” se tutti i suoi figli si ameranno l’un l’altro “come Cristo ci ha amati” e se con “coraggio” metteranno da parte le divisioni che altro non sono che prova di “debolezza”.
Ancora più puntuale è il richiamo all’unità nel discorso ai sacerdoti caldei ai quali, ricordando “ l’alta missione e la grande responsabilità” data loro dalla Chiesa nell’essere “chiamati e consacrati per rappresentare Cristo su questa terra” il Nunzio rammenta come il sacerdozio non significhi potere ma servizio. L’essere sacerdoti è per i cristiani un privilegio, un dono, perché ognuno grazie al Battesimo è chiamato a vivere come Cristo, ma solo alcuni sono scelti dalla Chiesa per continuare la Sua opera nel “dispensare i sacramenti della salvezza.”
Tale dono però vuol dire anche sacrificio. Il sacerdote deve essere capace di gioire anche nella sofferenza ricordando, ogni volta che si propone, come essa nasconda Cristo, e che quindi “ogni volta che ci lamentiamo di quanto dobbiamo sopportare, noi ci lamentiamo di Lui”.
Il sacerdote, “uomo della gioia”, inoltre, “perché scelto a portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio” deve essere a “tutti i livelli” “strumento di unità e comunione”, e per farlo deve seguire delle linee guida.
Deve per prima cosa riconciliarsi con il proprio vescovo, una riconciliazione che Mons. Lingua non esita a definire “difficile", addirittura “eroica” ma che visto che essere sacerdoti “significa essere pronti a dare la vita” e che prima di tutto occorre saperla dare “per i propri vescovi” non dovrebbe pesare più di tanto visto che “se uno è pronto a dare la vita deve essere disposto anche a dare tutto quello che è meno della vita!”
Riconciliazione con i vescovi quindi ma anche con i propri confratelli per essere “modelli del gregge” e sacerdote come strumento di riconciliazione nella comunità in tutte le sue componenti: famiglia, parrocchia, società, mondo.
La figura del sacerdote “riconciliatore” è insomma per Mons. Lingua “necessaria oggi in Iraq” per la “ricostruzione morale” del paese.
Il processo riconciliatorio però non riguarda solo i rapporti tra sacerdoti e società civile e gerarchie ecclesiastiche ma anche, soprattutto nel mosaico cristiano iracheno, valore ecumenico e di “comunione all’interno della Chiesa Cattolica.”
Ricordando il messaggio conclusivo dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente tenutasi a Roma nel 2010 Mons. Lingua cita le parole dei Padri Sinodali che hanno parlato di una “stessa strada” da percorrere con le Chiese Ortodosse e le Comunità evangeliche “per il bene dei cristiani” e specifica come “malgrado le diversità delle nostre chiese” solo con l’unità si può “compiere la missione che Dio ha affidato a tutti”.
Certo, spiega Mons. Lingua, “la strada è ancora lunga davanti a noi” ma bisogna fare attenzione a non prendere scorciatoie non rispettose delle proprie identità perché sebbene il non poter condividere la comunione come “culmine della celebrazione” con i “fratelli ortodossi” sia una “sofferenza” è necessario “evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa” (Enciclica Ut Unum Sint). La divisione, è vero, fa soffrire ma “se amata e rispettata porterà i suoi frutti.”
Se ciò vale per i rapporti tra le chiese sorelle ma diverse vale anche per la “varietà dei riti all’interno della Chiesa Cattolica.” Mescolare riti diversi come alcuni sacerdoti fanno in Iraq “non è utile né per salvaguardare la propria identità né per crescere nella comunione” che ha bisogno di “amore reciproco attraverso il rispetto dell’altro nella sua diversità” perché, ancora una volta Mons. Lingua lo sottolinea, “diversità è ricchezza, divisione è povertà.”
Amore e rispetto per l’unità quindi ma nella preservazione della propria identità. Un richiamo forte quello di Mons. Lingua ai sacerdoti che vivono in Iraq “una sfida entusiasmante ed avvincente” ma che non devono dimenticare la scelta operata di dare la propria vita per “il Signore e per i fratelli” ed anzi devono rinnovarla ogni giorno.

Baghdadhope pubblica il testo (Italiano, Inglese ed Arabo) dell'omelia pronunciata da Mons. Lingua durante la celebrazione del VII anno di pontificato di Benedetto XVI (clicca qui) e del suo discorso ai sacerdoti caldei riuniti ad Alqosh (Italiano ed Arabo) (clicca qui)

Alqosh, 7 maggio 2012. Incontro del Nunzio Apostolico con i sacerdoti

By Baghdadhope*


Incontro del Nunzio Apostolico con i sacerdoti

Alquosh, 7 maggio 2012

Sono lieto di rivolgere la parola per la prima volta da quando sono arrivato in Iraq ad un gruppo di sacerdoti.
Ringrazio S.E. Mons. Warda e S.E. Nona per l’organizzazione di questo convegno che ritengo molto importante e S.E. Mons. Maqdassi per l’accoglienza.
Questo incontro mi offre l’opportunità di condividere con voi alcune riflessioni sul sacerdozio.
Come sapete il sacerdote continua il ministero di Cristo sulla terra. In questo senso si dice che è un altro Cristo.
Il Papa Benedetto XVI nell’omelia durante l’ordinazione sacerdotale di 10 diaconi della diocesi di Roma il 29 aprile scorso ha richiamato una delle domande che si fanno nel momento dell’ordinazione sacerdotale: «Volete essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando voi stessi a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?». E poi ha spiegato: “Il sacerdote è infatti colui che viene inserito in un modo singolare nel mistero del Sacrificio di Cristo, con una unione personale a Lui, per prolungare la sua missione salvifica. Questa unione, che avviene grazie al Sacramento dell’Ordine, chiede di diventare “sempre più stretta” per la generosa corrispondenza del sacerdote stesso” (Benedetto XVI, Omelia, 29 aprile 2012).
Come, oggi, essere un altro Cristo, qui in Iraq? In altre parole, come Cristo vuole che noi viviamo il nostro sacerdozio nelle nostre comunità, con i nostri problemi, con gli strumenti a nostra disposizione?
Abbiamo celebrato da poco l’anno sacerdotale ed il papa ha riproposto a tutti la figura di un sacerdote esemplare, il Santo Curato d’Ars. Confesso che la mia prima reazione è stata di sorpresa. Con tutta la stima che avevo per questo grande santo, mi sono detto: ma cosa può dire ai sacerdoti di oggi questo santo vissuto in un contesto ben diverso, con uno stile di vita difficilmente imitabile? Non aveva né auto per visitare le parrocchie, né video per trasmettere qualche buon documentario o film biblico, né computer per registrare i parrocchiani, né internet per trovare qualche idea per le sue omelie e neppure sussidi stampati in Libano per le catechesi!
Poi mi sono accorto che nel suo sacerdozio c’è qualcosa di universale. L’essere Cristo per Lui si esplicava in modo diverso da quello di oggi, il materiale a sua disposizione era certo limitato, ma la cosa essenziale non è la forma, non sono gli strumenti, bensì il contenuto. Non sono i tipi di sacrifici che faceva, ma il sacrificarsi. Non è il modo di parlare con Dio, ma era il suo parlare con Dio. Non come si donava, ma il fatto di donarsi, non come faceva la volontà di Dio, ma il fatto che cercava di compiere in tutto la volontà di Dio.
Quindi ecco la domanda: come Gesù vuole il suo rappresentante sulla terra oggi?
Innanzitutto dobbiamo riconoscere l’alta missione e la grande responsabilità che significa l’essere chiamati e consacrati per rappresentare Cristo su questa terra. Nel videomessaggio inviato ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale, che si è tenuto ad Ars dal 27 settembre al 3 ottobre 2009, durante l’anno sacerdotale - che il Papa Benedetto XVI ha voluto istituire anche per rispondere e rimediare agli scandali commessi da tanti sacerdoti - , il Santo Padre diceva: “Pensate al gran numero di messe che avete celebrato o che celebrerete, rendendo ogni volta Cristo realmente presente sull'altare. Pensate alle innumerevoli assoluzioni che avete dato e darete, permettendo a un peccatore di lasciarsi redimere. Percepite allora la fecondità infinita del sacramento dell'Ordine. Le vostre mani, le vostre labbra, sono divenute, per un istante, le mani e le labbra di Dio. Portate Cristo in voi; siete, per grazia, entrati nella Santissima Trinità. Come diceva il santo Curato: "Se si avesse la fede, si vedrebbe Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro un vetro, come un vino mescolato all'acqua".


Coerenza di vita nel sacerdote
Sabato scorso dicevo ai seminaristi e giovani in ricerca vocazionale riuniti ad Ainkawa che nessuno ha il diritto di essere sacerdote, poiché il sacerdozio è un servizio che si rende alla Chiesa. È la Chiesa, il Corpo di Cristo in terra, che sceglie i candidati al sacerdozio tra coloro che manifestano la loro disponibilità a servire Cristo nei fratelli. Questo cosa significa? Significa che mentre tutti i cristiani, in ragione del sacramento del Battesimo, sono chiamati ad essere un altro Cristo , a vivere come lui - in questo senso si parla di sacerdozio regale, di tutti i fedeli -, qualcuno è scelto per continuare l’opera di Cristo nel dispensare i sacramenti della salvezza, grazie al sacramento del sacerdozio. Per questo si parla di azioni che si compiono ex opere operato, cioè in virtù della consacrazione stessa. Se anche fossi in stato di peccato mortale e celebro la Messa quel pane e quel vino diventano corpo e sangue di Cristo, mentre nella mia vita Cristo è morto, è crocifisso! Compio un’azione sacerdotale senza vivere una vita sacerdotale. Per questo motivo posso anche andare all’inferno ma le azioni che io compio sono valide e io sono strumento di salvezza.
Anche in questo il Santo Curato d’Ars ci è d’esempio. Scriveva il beato Giovanni Paolo II in occasione del ritiro spirituale per i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi nella cripta di Ars il 6 ottobre 1986: “Certo, i sacramenti devono la loro efficacia a Cristo e non alla nostra dignità. Noi siamo i suoi strumenti, poveri e umili, che non devono attribuirsi il merito della grazia trasmessa, ma strumenti responsabili, e, attraverso la santità del ministro, le anime sono meglio disposte a cooperare alla grazia. Vediamo esattamente nel curato d’Ars un sacerdote che non si è accontentato di compiere esteriormente i gesti della redenzione; egli vi ha partecipato nel suo stesso essere, nel suo amore di Cristo, nella preghiera costante, nell’offerta delle sue prove o delle sue mortificazioni volontarie”.
Va ricordato, infatti, che Gesù è sacerdote ed è vittima. Il momento in cui Cristo ha esplicitato il suo essere sacerdote è sulla croce, dove si è immolato per i nostri peccati. È sacerdote, dunque, perché offre il sacrificio, ma è pure vittima perché quel sacrificio è egli stesso! In quel momento egli si è offerto completamente al Padre, come uomo e in nome dell’umanità ha detto: “Tu sei tutto, io sono nulla”. Io offro la mia vita a te, per i peccati del mondo. Ma Gesù anche in quel momento non cessava di essere Dio e, come Dio, diceva agli uomini: “voi per me siete tutto, ed io do la mia vita per voi”. Ecco chi è il sacerdote: colui che dà la sua vita a Dio in nome degli uomini e dà Dio agli uomini offrendo sé stesso per loro.
Una vita sacerdotale è una vita donata, per questo il il sacerdozio non è un potere ma un servizio.


Il sacerdote uomo della gioia
Partecipare al sacrificio di Cristo, completare nella nostra carne quanto manca ai patimenti di Cristo, ecco cosa significa essere sacerdoti ieri e oggi. Lo diceva S. Paolo ai cristiani di Colossi: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Essere lieti nelle sofferenze. Questo richiede una mentalità nuova, diversa, eppure solo così possiamo essere autentici sacerdoti. Nelle sofferenze noi vediamo la possibilità di partecipare al sacerdozio di Cristo. Per questo, ogni volta che ci lamentiamo di quanto dobbiamo sopportare, noi ci lamentiamo di Cristo. È Lui, infatti, che ci viene incontro nel dolore. Che si nasconde sotto ogni sofferenza. Ma noi sappiamo che, come ebbe a dire il beato Papa polacco, “Abbracciando nelle prove quotidiane Gesù sofferente, ci si unisce immediatamente con lo Spirito del Risorto e la sua forza corroborante (cf. Rm 6,5; Fil 1,19)” (GP II, omelia, 30 aprile 1982).
La nostra vita, dunque, deve essere una vita gioiosa, espressione della risurrezione che segue la morte. La gioia deve caratterizzare la nostra esistenza. Un sacerdote triste, è un sacerdote che non crede o, meglio, che non vive il mistero pasquale, dove la morte lascia posto alla vita.
Nel già citato videomessaggio inviato ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale ad Ars, Benedetto XVI diceva ancora: “Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza. Agli uomini che non possono concepire che Dio sia puro amore, egli dirà sempre che la vita vale la pena di essere vissuta e che Cristo le dà tutto il suo senso perché Egli ama gli uomini, tutti gli uomini”.


Il sacerdote ministro della riconciliazione
Proprio perché scelto a portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, il sacerdote ha il ministero della riconciliazione. È chiamato ad essere strumento di unità, di comunione. Quanto è necessario questo oggi, e quale compito vi è affidato!
Gesù, che è venuto a riconciliare gli uomini tra loro e con Dio, non l’ha fatto attraverso i miracoli, con un colpo di bacchetta magica, ma, ancora, attraverso la sua offerta sulla croce. È lì il Riconciliatore. Non dobbiamo pensare che la comunione si costruisce per la nostra capacità, ma per la nostra offerta.
Qui ci sarebbe tanto da dire: essere uomini di riconciliazione a tutti i livelli. Forse potremo approfondire questo argomento in una prossima occasione. Soltanto do alcuni titoli:
- essere riconciliati con i propri Vescovi. So che questa è una delle riconciliazioni più difficili da effettuare, forse più eroiche! Eppure se essere sacerdote significa essere pronti a dare la vita, prima di tutto occorre saper dare la vita per i propri Vescovi. Se uno è pronto a dare la vita, deve essere disposto anche a dare tutto quello che è meno della vita!
- essere riconciliati con i propri confratelli, per dare al mondo l’esempio della comunione vissuta con tutti i suoi frutti, che sono: pace, gioia, tranquillità, serenità, etc… infatti siamo invitati ad essere “modelli del gregge” anche in questo (cf. 1 Pt 5,3);
- essere strumenti di riconciliazione nella comunità, a tutti i livelli: nella famiglia, nella parrocchia, nella società, nel mondo. Quanto necessario tutto questo oggi in Iraq! Quale compito possono avere i sacerdoti per la ricostruzione morale della società irachena se sanno essere fedeli alla loro missione di riconciliatori!
Una parola in più vorrei spenderla, tuttavia, sull’aspetto ecumenico della riconciliazione e sulla comunione all’interno della Chiesa cattolica. Nel messaggio al termine dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 14 al 24 ottobre 2010, i Padri sinodali hanno scritto: “Salutiamo le Chiese ortodosse e le Comunità evangeliche nei nostri paesi. Lavoriamo insieme per il bene dei cristiani, perché essi restino, crescano e prosperino. Siamo sulla stessa strada. Le nostre sfide sono le stesse e il nostro avvenire è lo stesso. Vogliamo portare insieme la testimonianza di discepoli di Cristo. Soltanto con la nostra unità possiamo compiere la missione che Dio ha affidato a tutti, malgrado la diversità delle nostre Chiese. La preghiera di Cristo è il nostro sostegno, ed è il comandamento dell’amore che ci unisce, anche se la strada verso la piena comunione è ancora lunga davanti a noi”.
Il messaggio riconosce che la strada è ancora lunga davanti a noi. Vorrei richiamare al dovere di non prendere scorciatoie che non rispettano le identità proprie, creano confusione e portano all’indifferenza e al relativismo. Può essere un dolore partecipare ad una liturgia dei fratelli ortodossi, in caso di un funerale, ad esempio, o di un matrimonio, e astenersi dalla comunione, cioè dal condividere il culmine della celebrazione. Ma là dove non è ancora possibile l’intercomunione, non bisogna fare confusione. Sarà una sofferenza, specie all’interno magari delle stesse famiglie con matrimoni misti. Non prendiamo scorciatoie, vi prego. “In questo coraggioso cammino verso l'unità - ammoniva la Lettera Enciclica Ut unum sint sull’impegno ecumenico, del Papa Giovanni Paolo II, al N. 79 -, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa”. Quel sacrificio che fate, quella divisione che vi fa soffrire, se amata e rispettata porterà i suoi frutti.
Altro discorso, ma simile al primo, si può fare per quanto riguarda la varietà dei riti all’interno della Chiesa cattolica. Mi è stato riferito che alcuni sacerdoti “mescolano” riti diversi. Non è utile, né per salvaguardare la propria identità né per crescere nella comunione. Questa, infatti, si costruisce attraverso l’amore reciproco, attraverso il rispetto dell’altro nella sua diversità. Unità non significa confusione, ma rispetto, amore. “Ama il rito altrui come ami il tuo proprio”, si dovrebbe dire, e proprio per questo devi rispettare il tuo e l’altrui. La diversità è ricchezza, soltanto la divisione è povertà.
Concludendo, desidero ringraziarvi per quanto state facendo, per il prezioso servizio che rendete alle comunità indebolite e sfiduciate e per la testimonianza, spesso sofferta, che date. Siate modelli del gregge in tutto, e non perdetevi d’animo perché non dobbiamo avere paura, il Signore è Risorto ed è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo! (Mt 28,20). Essere sacerdote oggi in Iraq è una sfida entusiasmante ed avvincente. Importante è non dimenticare il momento in cui avete deciso di dare la vostra vita per il Signore e per i fratelli. È una scelta che va rinnovata ogni giorno, ricordando le esigenti parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25).

لقاء السفير البابوي مع الكهنة
القوش، 7 آيار 2012

يسرني أن اتوجه بكلمتي وللمرة الاولى منذُ وصولي إلى العراق إلى مجموعة من الكهنة

اشكر سيادة المطرانين وردة ونونا لدعوتهما وسيادة المطران مقدسي لاستقباله.

يتيج لي هذا الاجتماع الفرصة لأطلعكم على بعض الأفكار المتعلقة بالكهنوت.

الكاهن هو مسيح آخر

كما تعلمون ان الكاهن يُكمل عمل المسيح على الارض بهذا المعنى يُقال انه مسيح آخر.

لقد لفت النظر البابا بندكتوس السادس عشر في عظته خلال الرسامة الكهنوتية لـ 10 شمامسة انجيليين لابرشية روما في الـ 29 من نيسان الماضي إلى إحدى الاسئلة التي تُسال في وقت الرسامة الكهنوتية: "هل تريدون ان تكونوا دوما أكثر وحدة مع المسيح، عظيم الكهنة، الذي قدم ذاته ذبيحة طاهرة للآب بدلاً عنا، مكرساً ذاته وانتم معه لله من اجل خلاص كل البشر؟". شارحاً ذلك بالقول: "بالحقيقة، الكاهن هو الشخص الذي يتم اشراكه بشكل فردي في سر ذبيحة المسيح، باتحاد شخصي معه، كامتداد لرسالته الخلاصية. هذا الاتحاد، الذي يتم من خلال سر الرسامة (الكهنوتية)، يُطلب منه ليكون "دوما اكثر التصاقاً ً" من أجل عطاءاً اكبر من الكاهن ذاته" (بندكتوس السادس عشر، عظة، 29 نيسان 2012).
كيف من الممكن اليوم، ان نكون مسيحاً آخر، هنا في العراق؟ بكلمات أخرى، كيف يريد المسيح ان نحيا كهنوتنا في جماعاتنا، بمشاكلنا، وبالوسائل المتاحة لنا؟

احتفلنا قبل فترة قصيرة بالسنة الكهنوتية، وقد قدم البابا لنا شخصية مثالية للكاهن، وهو القديس خوري آرس. اعترف باني قد تفاجات في البداية. رغم كل التقدير الذي كنت اكنه لهذا القديس الكبير، فقلت لنفسي: ماذا يمكن ان يقول لكهنة اليوم هذا القديس الذي عاش في ظروف مختلفة، ونمط حياة صعب التقليد؟ لم يمتلك لا سيارة لزيارة الخورنة، ولا جهاز فيديو ليقدم احدى الوثائق الرائعة أو فيلم عن الكتاب المقدس، لم يمتلك كمبيوتر لتسجيل ابناء الخورنة، ولا انترنيت للحصول على فكرة ما لكرازاته ولا حتى كتب مطبوعة في لبنان للتعليم المسيحي.
من ثم أدركت أن في كهنوته يوجد شيء جامع (يشمل الجميع). الكون "مسيح" بالنسبة له يتوضح باسلوب يختلف عن اسلوب اليوم، بالتاكيد الوسائل (التوضيحية) كانت محدودة له، ولكن الشيء الاساسي لم يكن الاُطر الخارجية، لم تكن الوسائل، وانما المحتوى (الصميم). لم تكن نوع الذبائح التي كان يقدمها، وانما الذبيحة الذاتية (تقديم نفسه كذبيحة). ليس اسلوب التكلم مع الله، وانما كلماته مع الله. ليس بالطريقة التي كان يعطي ذاته، وانما بحقيقة اعطاء ذاته، ليس بالاسلوب الذي كان يعمل أرادة الله، وانما بحقيقة انه كان يبحث ان يكمل ارادة الله في كل شيء.
بالتالي هذا هو السؤال: كيف يريد يسوع ان يكون ممثله على الارض؟
اولاً وقبل كل شيء، يجب ان نعرف الرسالة السامية والمسؤولية العظيمة (التي وكلت لنا)، ماذا يعني اننا مدعويين ومكرسين لنمثل المسيح على هذه الارض. في الرسالة التصويرية المُرسلة إلى المشاركين في الرياضة الروحية الكهنوتية الدولية، التي تمت في آرس في الـ 27 من أيلول ولغاية 3 تشرين الاول 2009، خلال السنة الكهنوتية – اراد البابا بندكتوس السادس عشر تنشئة و واعطاء رد لمعالجة الفضائح التي ارتكبها العديد من الكهنة – فقال الاب الاقدس: "تأملوا العدد الكبير من الذبائح الافخارستيا التي احتفلتم بها والتي ستحتفلون بها، والتي في كل مرة تجعلون المسيح حاضراً على المذبح. تأملوا عدد المرات التي لا يحص والتي بها اعطيتم او ستعطون الحلَّة (سر الاعتراف)، والسماح بذلك لخاطيء ان يقبل الخلاص. هكذا تدركون الخصوبة اللامتناهية لسر الرسامة (الكهنوتية). اياديكم، شفاهكم، تصبح في لحظة، ايادي وشفاه الله. تحملون المسيح في داخلكم؛ قد دخلتم وبفضل النعمة في الثالوث الاقدس. كما كان يقول قديس آرس: "لو كان لديك ايمان، لكنت رأيت الله المختفي في الكاهن، كنور يختفي خلف الزجاج، كما الخمر الممتزجة بالماء".

اتساق الحياة لدى الكاهن
السبت الماضي، قلت لطلاب الكهنوت والشباب اللذين في طريق البحث عن الدعوة المجتمعين في عينكاوا، انه، لا احد له الحق ان يكونَ كاهناً، لان الكهنوت هو خدمة للكنيسة. وانما الكنيسة، كجسد المسيح على الارض، هي التي تختار المرشحين إلى الكهنوت من بين اؤلئك اللذين يُظهرون استعدادهم لخدمة المسيح في الاخوة. ماذا يعني هذا؟ هذا يعني أنه في الوقت الذي كل المسيحيين، ومن خلال سر المعموذية، هم مدعويين ان يكونوا مسيح آخر، ان يعيشوا على مثاله – بهذا المعنى يتم التحدث عن كهنوت ملوكي، لكل المؤمنيين، البعض هو مُختار لمواصلة عمل المسيح من خلال اسرار الخلاص، والفضل يعود إلى سر الكهنوت. لهذا يتم التحدث عن الافعال التي تتم "ex opere operato"، بحكم التكريس نفسه (الرسامة). حتى لو كنت في حالة خطيئة مميتة واحتفلت بالذبيحة، فذلك الخبز وذلك الخمر يصبحون جسد ودم المسيح، في حين المسيح ميت في حياتي (الشخصية). لهذا السبب استطيع دخول الجحيم ولكن ما اقوم به هو فعَّال ولازلتُ أداةً للخلاص.
حتى في هذا، القديس خوري آرس هو مثال. فقد كتب الطوباوي يوحنا بولس الثاني، بمناسبة الرياضة الروحية للكهنة والشمامسة الانجيليين وطلاب الكهنوت في الكنيسة التحتية في آرس في الـ 10 من تشرين الاول 1986: "الاسرار المقدسة تستمد فاعليتها من المسيح وليس من كرامتنا. نحن ادواتها، فقراء ومتواضعين، لا ينبغي ان ننسب الينا الفضل في النعمة المنقولة، وانما ادوات مسؤولة، والتي ومن خلال قدسية السر،نُُعد النفوس للتعاون الافضل مع النعمة. نرى بالضبط في خوري أرس، كاهن لم يفرح فقط بان يُتكتمل ظاهرياً علامات الخلاص؛ وانما فقد شارك بها بكل كيانه، بحبه للمسيح، في الصلاة الثابتة، بتقديم كل ما تعرض له من تجارب واهانات طوعية".
يجب ان نتذكر ان يسوع هو كاهن وذبيحة. فالمسيح في اللحظة التي علق بها على الصليب قدم كيانه ككاهن بشكل واضح، هناك ضحى من اجل خطايانا. هو كاهن لانه يقدم الذبيحة، ولكنه ايضاً الذبيحة، لان تلك الذبيحة هي المسيح نفسه! في تلك اللحظة قدم هو نفسه بشكل كامل للآب، كانسان وباسم البشرية قائلاً: "انت كل شيء، وانا لا شيء". انا اقدم لك حياتي من اجل خطايا العالم. ولكن يسوع في تللك اللحظة لم يتوقف عن كونه الله، ومثل الله، قائلا لكل البشر: "انتم كل شيء بالنسبة لي، وانا اهب حياتي من اجلكم". هذا هو الكاهن: من يهب حياته لله باسم البشر ويعطي الله للبشر مانحاً ذاته لهم.
الحياة الكهنوتية هي حياة معطاءة، لهذا الكهنوت ليس سلطة بل خدمة.

الكاهن رجل الفرح
الاشتراك بذبيحة المسيح، واكمال في جسدنا ما ينقص من آلام المسيح، هذا ما يعني الكون كاهناً امس واليوم. كان يقوله القديس بولس إلى مسيحيي كولوسي: "وانا الان افرح بالالام التي اعانيها لأجلكم، فاكمل في جسدي ما نقص من آلام المسيح في سبيل جسده الذي هو الكنيسة" (كو 1: 24).
الكون فرحين بالالم. يتطلب عقلية جديدة، مختلفة، وبهذا الشكل فقط نستطيع ان نكون كهنة حقيقين. ففي بالالام نستطيع ان نرى امكانية المشاركة بالام المسيح. لهذا، كل مرة نتذمر بها من كل ما يجب ان نتحمل، فنحن نتذمر من المسيح. فهو بالحقيقة الذي ياتي للقائنا في الالم. هو الذي يختفي تحت كل ألم. ولكننا على علم، كما قال البابا البولوني: "احتضان يسوع المتألم في التجارب اليومية، يوحدنا مباشرة بروح القائم وقوته الحصينة (قارن روم 6: 5؛ فل 1: 19)" (يوحنا بولس الثاني، عظة، 30 نيسان 1982).
لذا، يجب ان تكون حياتنا، حياة مليئة بالفرح، تعبير عن القيامة التي تتبع الموت. الفرح يجب ان يميز كياننا. الكاهن الحزين هو الكاهن الغير المؤمن، او بالاصح الذي لا يحيا السر الفصحي، اينما يسمح للموت أن يترك اثاره على الحياة.
فيما تم ذكره انفاً، الرسالة التصويرية المُرسلة إلى المشاركين بالرياضة الروحية الدولية للكهنة في آرس، البابا بندكتوس السادس عشر قال ايضاً: "الكاهن، بالتاكيد هو رجل الكلمة الالهية والمقدس، يجب ان يكون اكثر من اي لحظة اخرى رجل الفرح والرجاء. إلى الاشخاص اللذين لا يستطيعون ان يدركوا ان الله هو محبة خالصة، هو سيقول دائماً، ان الحياة تستحق ان تُعاش والمسيح يعطيها معناها الكامل لانه يحب البشر، كل البشر".

الكاهن خادم المصالحة
بالذات لان (الكاهن) هو مختار لحمل الله إلى البشر والبشر إلى الله، فهو يمتلك صلاحية المصالحة. وهو مدعو ليكون اداة للوحدة، للاتحاد. كم أن هذا ضروري اليوم، واي دور عُهد اليه!
يسوع الذي جاء ليصالح البشر فيما بينهم ومع الله، لم يقم بذلك من خلال معجزات، او من خلال عصا سحرية، وانما من خلال هبته على الصليب. هناك قامت المصالحة. يجب علينا ألا نُفكر ان الوحدة تتم من خلال قدرتنا، وانما من خلال هبتنا.
هنا يوجد الكثير كيما يقال: كوننا رجال مصالحة على كل المستويات. ربما نستطيع التعمق بهذا الموضوع في مناسبة لاحقة. اعطى فقط بعض العناوين:
- متصالحين مع اساقفتنا. اعرف ان هذا المصالحة هي احدى اصعب المصالحات للتطبيق، ربما الاكثر بطولية! حتى لو ان يكون كاهن، يعني الاستعداد لبذل الحياة، قبل كل شيء يجب ان نعرف بذل الحياة من أجل اساقفتنا. اذا كان احدهم مستعداً أن يبذل الحياة، يجب ان يكون مستعداً ان يبذل كل ما هو أقل من الحياة.
- متصالحين مع اخوتنا (الكهنة). من اجل اعطاء مثال للعالم للوحدة المُعاشة بكل ثمارها، والتي تُمثل: السلام، الفرح، الهدوء، السعادة .... الخ بالحقيقة نحن مدعون أن نكون "مثالاً للقطيع" حتى في هذا (قارن 1بط 5: 3).
- أن نكون ادوات للمصالحة في مجتمعنا. بكل المستويات: في العائلة، في الخورنة، في المجتمع، في العالم. كم هي الحاجة ماسة لكل هذا، اليوم في العراق! اي دور ممكن ان يكون للكهنة في البناء الاخلاقي للمجتمع العراقي اذا ادركوا أن يكونوا امينين إلى رسالة المصالحة.

الوحدة والاختلاف
أود أن أضيف كلمة أخرى، حول الجانب المسكوني للمصالحة وحول الوحدة في داخل الكنيسة الكاثوليكية. في الرسالة المقدمة في ختام سينودس الاساقفة الخاص للشرق الاوسط، المنعقد في روما من الـ 14 ولغاية 24 من تشرين الاول 2012، فقد كتبوا أباء السينودس: "نُسلم على الكنائس الاوثوذكسية والجماعات الانجيلية في بلداننا. نعمل معاً من أجل خير المسيحيين، كيما يبقوا، ينموا ويزدهروا. نحن نسير في ذات الطريق. نواجه ذات التحديات ومستقبلنا واحد. نود أن ننقل شهادة رسل المسيح. بوحدتنا فقط نستطيع أن أن نُكمل الرسالة التي عهدها الله للكل، رغم الاختلاف بين كنائسنا. صلاة يسوع هي قوتنا، ووصية المحبة هي التي توحدنا، حتى لو أن الطريق نحو الوحدة الكاملة لازال طويل امامنا" رسالة، رقم 7.
الرسالة تعترف أن الطريق لا يزال طويل امامنا. أود أن الفت النظر بعدم أتخاذ الطرق المختصرة التي لا تحترم الهوية الخاصة، وتخلق ارتباكات وتحمل على اللامبالات والنسبية. من المؤلم المشاركة في أحدى ليتورجيات اخوتنا الاورثوذكس، كجناز مثلاً، أو زواج والامتناع عن التناول، أي بمعنى الامتناع عن مقاسمة قمة الاحتفال. ولكن هناك، حيث ليست الوحدة بعد ممكنة، لا يجب أن يكون هناك ارتباك. سيكون هناك الالم، وبشكل خاص لربما في داخل العائلة الواحدة بزواجات مختلطة. لذا يجب ان لا ناخذ بالاختصارات، رجاءاً. "في هذه المسيرة الجريئة نحو الوحدة، تحذر الرسالة "Ut unum sint" للبابا يوحنا بولس الثاني، حول الالتزام المسكوني، في العدد 79، الايمان الشفاف والحكيم يتطلب منا أن نتجنب البطولات الكاذبة والاهمال لقوانين الكنيسة". هذه الذبيحة التي تقومون بها، هذه المقاسمة التي تجعلكم تتالمون، اذا احببتم ستحمل ثمارها.
خطاب آخر شبيه بالاول، يمكن عمله فيما يخص الطقوس المختلفة، في داخل الكنيسة الكاثوليكية. تم التنويه لي أن كهنة معينين "يخلطون" طقوس مختلفة. من دون فائدة، لا من أجل حماية الهوية ولا من أجل الارتقاء بالوحدة. هذه (الوحدة) بالحقيقة، تُبنى من خلال المحبة المتبادلة واحترام الاخر في اختلافه. وحدة لا تعني خلط الامور، وانما الاحترام والمحبة. "أحبب طقوس الاخرين كما تُحب نفسك"، أجل يجب أن نقول هذا، ولهذا بالذات يجب أن تحترم طقسك وطقس الاخرين. الاختلاف هو غنى، فقط الانقسام هو فقر.
وختاماً، اود أن اشكركم لكل ما تقومون به، من الخدمة الجلية للجماعات الضعيفة والمرتابة وللشهادة التي تعطونها والتي غالباً ما تكون متالمة. كونوا مثالاً للقطيع المتكامل ولا تخور قلوبكم لاننا لا يجب أن نخاف، فالمسيح قام، وهو معنا كل الايام حتى انقضاء العالم (متى 28: 20). أن تكون كاهناً اليوم في العراق، هو تحدي مثير ومحفز. المهم هو ان لا تنسوا اللحظة التي قررتم بها بذل حياتكم للرب وللاخوة. انه اختيار يتجدد يومياً، ذاكرين كلمات يسوع المتطلبة: "من اراد أن يتبعني، فليزهد بنفسه ويحمل صليبه ويتبعني. لأن الذي يريد أن يخلص حياته يفقدها، وأما الذي يفقد حياته في سبيلي فإنه يجدها" (متى 16: 24- 25