"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

27 settembre 2023

Tra le vittime del rogo di Qaraqosh anche 8 familiari di un sacerdote siro cattolico: Padre Boutrous Shitou

By Baghdadhope* - Asia News - Patriarcato siro cattolico - Patriarcato caldeo

In un'intervista rilasciata ad Asia News a proposito del rogo scoppiato nella sala di Qaraqosh dove si stava svolgendo una festa di matrimonio il Cardinale Mar Louis Raphael Sako ha ricordato come tra le vittime ci siano stati anche alcuni familiari di una sacerdote di nome Petros.
Si tratta di Padre Boutrous Shitou che ha perso ben 8 familiari e che ha ricevuto la visita di condoglianze del patriarca della chiesa siro cattolica cui appartenevano la maggior parte dei partecipanti alla festa finita in tragedia.
Il patriarca, Mar Ignatius Yousef IIIarrivato stasera a Qaraqosh per esprimere la sua vicinanza ai sopravvissuti ed il cordoglio per le vittime, ha fatto visita al sacerdote accompagnato da una delegazione di vescovi e sacerdoti. 
Questa mattina invece era stato il patriarca caldeo, Mar Louis Raphael Sako, anch'egli accompagnato da una delegazione di vescovi, a porgere le condoglianze per quanto successo presso la sede dell'arcidiocesi siro cattolica.
Nel pomeriggio poi Mar Sako ha partecipato ad una cerimonia funebre affermando che una tale tragedia rimarrà viva non nella sola memoria degli abitanti di Qaraqosh ma in quella di tutti i cristiani iracheni. 
Ha poi rivolto un rimprovero al governo che deve stabilire controlli nel campo dell'edilizia perché non si deve concedere il permesso di costruire senza controllare i lavori ed i materiali impiegati. Nella tragedia in questione, ha sottolineato Mar Sako, le condizioni di sicurezza erano assenti e la sala non era dotata neanche di un sistema antincendio. 
L'unica consolazione, ha concluso il patriarca, è la solidarietà dimostrata da tutti gli iracheni a dispetto di fede e etnia tanto che la celebrazione prevista per oggi per ricordare la nascita del profeta Maometto è stata annullata in tutto il paese.
La consolazione per la solidarietà dimostrata è stata però cancellata subito dopo da Mar Sako che ha retoricamente espresso amarezza chiedendo ai presenti:
"
Aspettiamo che si verifichino i disastri per rafforzare la coesione nazionale, per essere solidali e costruire uno stato  forte e democratico, uno stato basato sul diritto e sull'uguaglianza e che garantisca i diritti, la vita e la dignità dei cittadini? 

  

Centinaia di morti e feriti a un matrimonio a Qaraqosh. Card. Sako: cordoglio e vicinanza

By Asia News - Reuters - El Nashra - Al Jazeera 

“Una vera strage”. Così il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, descrive ad AsiaNews la tragedia dalla portata devastante che si è consumata nella serata di ieri a Qaraqosh, il più importante centro cristiano della piana di Ninive, nel nord dell’Iraq.
Un dramma che si è consumato mentre erano in corso i festeggiamenti per un matrimonio, quando all’improvviso all’interno della struttura è divampato un enorme incendio che ha sorpreso i presenti. “Il bilancio ancora provvisorio - racconta il porporato raggiunto al telefono - è di almeno 114 morti e oltre 200 feriti [alcune fonti parlano di 500], ma è destinato ad aumentare perché alcuni feriti sono in condizioni molto gravi”. “Ho visto di persona la grande aula dove si svolgeva la festa - prosegue - e non è rimasto nulla, tutto distrutto, ma appare evidente che la costruzione non era a norma”.
“Ho incontrato un prete, che si chiama Petros* racconta il card. Sako - che ha perso almeno 10 persone della sua famiglia nell’incidente. Sono morti suoi nipoti ancora bambini, fratelli, una tragedia”. Quanto è successo è “una catastrofe” prosegue il primate, che ha voluto portare di persona la propria solidarietà e vicinanza (unita a quella della Chiesa siriaca) alle vittime e ai familiari in un momento travagliato della Chiesa caldea col trasferimento della sede patriarcale, e che ha finito per investire l’intera comunità cristiana.
“I feriti sono curati negli ospedali di Mosul ed Erbil, ma quello che impressiona - afferma il porporato - è il numero delle vittime, altissimo. È la prima volta che si conta un numero così elevato di morti per la nostra comunità, nella strage alla cattedrale [del 2010] si sono contati una cinquantina di morti, qui il numero è raddoppiato”.
Secondo quanto ha riferito alla Reuters il vice-governatore di Ninive Hassan al-Allaq il rogo sarebbe divampato intorno alle 22.45 di ieri ora locale, cogliendo di sorpresa le persone intente nei festeggiamenti seguiti alle nozze.
L’incidente ha sconvolto il più importante centro cristiano del nord dell’Iraq e, dal clima di festa, l’intera cittadina di Qaraqosh è oggi avvolta da un silenzio misto di dolore e cordoglio mentre si cerca di risalire alle cause che hanno innescato le fiamme.
Questa mattina è intervenuto anche il governatore di Ninive, il quale ha sottolineato che non vi sono ancora dati definiti dei morti e il numero è destinato ad aumentare nelle prossime ore. Il rogo ha investito e semidistrutto una sala dedicata agli eventi. In una nota la Protezione civile irachena riferisce che alla base del rogo vi sarebbero i fuochi d’artificio usati durante la festa, i quali hanno innescato l’incendio esteso poi alla struttura.
L’uso dei giochi pirotecnici è una prassi comune durante le celebrazioni nuziali in Iraq e secondo le prime informazioni almeno mille persone erano presenti all’interno della struttura quando è divampato l’incendio. Ad aggravare il bilancio l’uso di materiale infiammabile in fase di costruzione, oltre al fatto che l’edificio non disponeva di adeguate misure di sicurezza fra le quali uscite di emergenza in caso di incidente, come è poi avvenuto. Fra gli elementi che hanno alimentato le fiamme vi sarebbero anche pannelli prefabbricati all’interno della sala “altamente infiammabili” e in “palese violazione” delle più elementari norme di sicurezza.
Nelle immagini e video successivi all’incendio riprese dai presenti si vedono i soccorritori arrampicarsi sopra i resti delle macerie, fra cui un tetto crollato e resti di metalli (e di corpi) carbonizzati. Fra questi pannelli in fiamme che cadono dal soffitto e gli invitati presenti che tentano una fuga disperata per sfuggire alle fiamme. Il primo ministro Mohammed Shia al-Sudani ha ordinato un’inchiesta e esortato le forze di sicurezza a prestare i soccorsi, mentre camion carichi di aiuti e medicine sono in arrivo a Ninive da Baghdad e da altre province.
Nella tragedia che si è consumata e la cui portata non è ancora definita nei numeri, il patriarca caldeo sottolinea anche un elemento di speranza: “Sto vedendo - racconta - la solidarietà degli iracheni, di tutti: cristiani, musulmani, curdi, arabi che hanno espresso vicinanza, che si sono offerti per ospitare i bisognosi, che hanno inviato aiuti”. Atteso nei prossimi giorni a Roma per il Sinodo, il card. Sako si fermerà ancora per qualche ora a Qaraqosh “per partecipare ai funerali di un primo gruppo di persone, almeno una quarantina, anche se è ancora adesso difficile identificare le vittime perché i cadaveri sono carbonizzati. Al momento non si sa nemmeno quale sia la sorte degli sposi”.
La solidarietà degli iracheni, conclude, “è un segno di speranza, ma non bisogna aspettare queste stragi perché si verifichi, ma va rafforzata ogni giorno, nella quotidianità, che è anche il modo per evitare che tragedie simili si possano consumare in futuro”.
In Iraq gli standard di sicurezza sono poco rispettati sia nel settore delle costruzioni che in quello dei trasporti. Dopo decenni di conflitto, le infrastrutture fatiscenti del Paese sono regolarmente teatro di incendi o incidenti domestici mortali. Nel luglio 2021 un incendio nell’unità Covid di un ospedale nel sud ha causato la morte di oltre 60 persone. Pochi mesi prima, ad aprile, le bombole di ossigeno sono esplose in un incendio in un ospedale di Baghdad, uccidendo più di 80 persone.

26 settembre 2023

Elezione dell’Arcivescovo di Teheran dei Caldei. (Iran) S.E. Imad Khoshaba Gargees


Foto Patriarcato caldeo


Il Sinodo della Chiesa Patriarcale di Baghdad dei Caldei ha eletto Arcivescovo di Teheran dei Caldei (Iran) il Rev.do Imad Khoshaba Gargees, del clero dell’Eparchia di Duhok, al quale il Santo Padre ha concesso il Suo Assenso.

Curriculum vitae
S.E. Imad Khoshaba Gargees è nato il 4 aprile 1978 a Komane-Amadiyah-Duhok nella regione del Kurdistan iracheno.
Ha studiato Filosofia e Teologia presso il Babel College di Baghdad (1997-2004).
L’8 giugno 2004 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale a Komane ed è stato ascritto all’Eparchia di Duhok dei Caldei.
Dal 2004 al 2010 è stato segretario del Vescovo e al contempo Parroco di Amadiyah.
Da lì si è recato a Roma dove ha conseguito la licenza e il dottorato in Diritto canonico presso il Pontificio Istituto Orientale.
Dal 2016 al 2022 ha ricoperto l’incarico di Protosincello e di Parroco della Cattedrale Mar Ith Alaha a Duhok.
Nel 2016 è stato nominato Direttore dell’Istituto di Catechesi a Duhok.
Dal 2022 è Parroco a Mangesh.

Verso il Sinodo: card. Sako (patriarca Baghdad), “catechismo e liturgia due temi vitali per il sinodo. Parlare di Dio con audacia”

Daniele Rocchi

Catechismo e liturgia: sono due “temi vitali” sui quali, secondo il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, dovrebbe concentrarsi l’imminente sinodo sulla sinodalità che si svolgerà in Vaticano dal 4al 29 ottobre.
In una riflessione, fatta pervenire al Sir, il patriarca auspica una “formulazione del catechismo, espressione della fede, con parole semplici e comprensibili e con un vocabolario accuratamente selezionato, simile a quello che gli apostoli e i primi Padri fecero con l’insegnamento di Cristo nella loro predicazione”.
La Chiesa, sottolinea il patriarca, “deve parlare di Dio con audacia, soprattutto alle nuove generazioni in modo che non vacillino, nonostante le difficoltà e le sfide”. Sfide che riguardano sii i cristiani occidentali che quelli orientali: “I cristiani in Occidente vivono adattandosi alla loro società, che garantisce loro la libertà, nonostante il suo orientamento verso il pieno liberalismo laico, lontano dei valori religiosi, mentre in Oriente i cristiani vivono in uno stato di esclusione e persecuzione a causa di correnti ideologiche estremiste”.
Per quanto riguarda la liturgia, spiega Mar Sako, “l’antica liturgia e le antiche leggi portano il nucleo di una nuova liturgia, di nuove leggi e di nuove strutture che conservano fedelmente il deposito della fede e tengono in debita considerazione le esigenze del momento presente. La storia infatti costituisce una catena continua e l’esperienza degli antenati è una lezione da preservare”.
La Chiesa, “Madre e Maestra, che rappresenta Gesù e la sua autorità”, per il cardinale “deve rendersi conto di ciò che accade oggi nel mondo, affinché sappia predicare Gesù Cristo e instillare la fede nel cuore e nell’anima dei credenti in modo che possano attingere a Lui e preservare la loro dignità e identità. La Chiesa è fatta dai credenti”. Per questo motivo, scrive il patriarca Sako “la Chiesa deve essere attenta allo spirito del Vangelo, aperta al bisogno del mondo di fede, di amore, di bontà, di pace, di gioia e di speranza, dell’amore paterno di Dio e capace di ritornare costantemente alla sua memoria viva per chiarire la visione, comprendere gli errori e correggerli, citando, ad esempio, gli scismi antichi e attuali. La memoria – conclude – ci aiuta a stare in questa storia sacra e a fare crescere la comunione”.

Iraq: card. Sako (patriarca), “i cristiani iracheni vedono violati i loro legittimi diritti umani e nazionali”

23 settembre
Daniele Rocchi

“I cristiani iracheni vedono violati i loro legittimi diritti umani e nazionali”. A ribadirlo con forza è il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che, in una nota diffusa questa mattina, ricorda gli abusi patiti dalla comunità cristiana irachena che vanno dall’“esclusione dal lavoro all’appropriazione delle loro risorse e proprietà, fino al sistematico cambiamento demografico delle loro città nella Piana di Ninive” il tutto “sotto gli occhi dello Stato iracheno” e nonostante “la lealtà e l’impegno dei cristiani verso la loro patria”.
Mar Sako ricorda anche che “un milione di cristiani ha lasciato l’Iraq dopo la caduta del regime, dopo la loro cacciata da Mosul e dalle città della Piana di Ninive operata da parte di elementi dell’Isis nel 2014, emigrati per motivi di sicurezza (milizie incontrollate), politici (la logica del settarismo e delle quote che hanno riversato l’inferno sull’Iraq), economici (corruzione) e sociali (estremismo religioso)”.
Il patriarca, citando anche alcune statistiche dell’Organizzazione Hammurabi e del Movimento democratico assiro, ricorda oltre 1200 cristiani uccisi, i religiosi e rapiti e uccisi a Mosul e Baghdad, come l’arcivescovo caldeo di Mosul, Boulos Faraj Rahho, e poi 85 chiese e monasteri a Baghdad, Mosul e Bassora bombardati dagli estremisti e poi dall’Isis, il sequestro di beni dei cristiani ad opera delle mafie locali. Rientra in questo elenco del cardinale anche il ritiro “ingiustificato”, da parte del Presidente della Repubblica irachena, Abdul Latif Rashid, del decreto presidenziale n. 147 del 2013 che riconosce il patriarca, nominato dalla Santa Sede, capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo”, oltre che “responsabile e custode delle proprietà della Chiesa”.
Una decisione che, ha sempre dichiarato Mar Sako, “è un attacco alla minoranza cristiana” e che rivela manovre politiche per mettere le mani sui beni ecclesiastici. Non meno significative appaiono altre violazioni come le conseguenze “della legge sullo status personale e dell’islamizzazione dei minori, che – spiega il cardinale – hanno fatto perdere ai cristiani la fiducia”.
Davanti a questa situazione, scrive il patriarca, “la Chiesa ha mobilitato tutte le sue energie e compiuto sforzi straordinari per aiutare e incoraggiare i cristiani rimasti (stimati in mezzo milione, scesi dal 4 all’1%), ma la Chiesa non è un sostituto dello Stato. Da qui la domanda: “Come mantenere i cristiani in Iraq e rafforzare la loro presenza, radicata nel Paese dal oltre 2000 anni?”.
Per Mar Sako “le dichiarazioni di solidarietà e le promesse non servono a nulla se non ci sono azioni reali e dirette per fermare queste violazioni, indipendentemente da chi le emette. Crediamo che la soluzione sia trattare le componenti etniche e religiose emarginate secondo il principio dell’uguaglianza davanti alla legge, che garantisce ad ogni cittadino di vivere la sua vita nel quadro delle leggi del Paese. È in base al diritto che i cittadini perseguono liberamente lo sviluppo economico, sociale e culturale del loro paese”.
Chiudendo la sua nota il patriarca respinge al mittente le accuse di “interferire nella politica. Non sono un politico di parte – scrive – non ho alcuna ambizione politica. Come uomo di religione, porto le preoccupazioni delle persone e sento la responsabilità umana, sociale e spirituale nei loro confronti. Difendere i loro diritti, la loro dignità e condannare l’ingiustizia come Cristo ha fatto chiaramente è per me imperativo. Le persone vengono da me e si lamentano delle ingiustizie subite. Questa difesa è parte essenziale della mia missione evangelica. C’è una differenza tra difendere il popolo e il paese e la partigianeria e impegnarsi in politica. Il compianto cardinale Martini – conclude Mar Sako – ha detto: ‘Il più grande atto d’amore è la politica quando si esercita per la crescita del bene comune e della vera sicurezza’”.

Iraq Il Patriarca caldeo Sako si rifugia nel Kurdistan e chiede sostegno. Papa Francesco dovrebbe chiarire la sua posizione e rompere il silenzio

21 settembre 2023 
L.B., R.C. - a cura Redazione "Il sismografo"

 Il Papa, seppure sovrano assoluto, è prima di tutto il Vescovo di Roma che presiede nella carità i suoi confratelli, e tra i suoi doveri c'è quello supremo di difendere le chiese particolari. Per fare questo serve la parresia profetica e non il silenzio ammiccante 
In sostanza, quanto Kevin Clarke scrive sulla rivista dei gesuiti statunitensi America, è verissimo: "Il capo della Chiesa cattolica caldea irachena, il Patriarca Sako, è stato cacciato da Baghdad".
La gravità di questo fatto è enorme al punto che per capire bene, scrive Clarke, occorre ricordare che "l'ultima volta che la leadership caldea fuggì da Baghdad, secondo la Iraqi Christian Foundation, fu nel 1259 d.C. quando un esercito mongolo stava consolidando il controllo della città".
Ma nonostante questa situazione inverosimile, il Vaticano tace.
Il 17 luglio scorso il Patriarca Louis Raphaël Sako spedì all'organizzazione pontificio 'Aiuto alla Chiesa che soffre', un comunicato in cui raccontava e spiegava quanto stava succedendo – e che succede tuttora – nel suo martoriato e disastrato Paese visitato da Papa Francesco dal 5 all'8 marzo 2021.

Le manovre del Presidente iracheno Rashid
L'origine immediato della crisi è stata una decisione del Presidente iracheno Abdul Latif Rashid che, nella sostanza, revoca un decreto del 2013, firmato dall'allora Presidente Jalal Talabani, che riconosceva al cardinale Sako la guida della Chiesa Caldea. Ora il Presidente Rashid, militante dell'Unione Patriottica del Kurdistan, dice di ritenere che quel decreto di dieci anni fa è incostituzionale.
La stampa in generale, tranne qualche eccezione, non ha reagito di fronte a questi eventi. Anzi ha taciuto, diminuito o ignorato i fatti. Washington reagì subito con fermezza. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, criticò la decisione di Abdul Latif Rashid di revocare un decreto che aveva riconosciuto il cardinale Louis Sako come capo della Chiesa cattolica caldea in Iraq e gli aveva permesso di sovrintendere ai suoi beni. "Dirò che siamo turbati dalle vessazioni al cardinale Sako... e turbati dalla notizia che ha lasciato Baghdad", ha sottolineato Miller durante una conferenza stampa. Poi ha aggiunto: "Non vediamo l'ora che ritorni sano e salvo. La comunità cristiana irachena è una parte vitale dell'identità irachena e una parte centrale della storia irachena fatta di diversità e tolleranza".
A Baghdad il presidente Rashid si è infastidito facendo sapere di essere "deluso dalle accuse mosse contro il governo iracheno" da Miller e quindi avrebbe convocato l'ambasciatore USA per un colloquio.

La reazione del Vaticano
Ma, sino ad oggi, non si trova una sola riga in cui il Papa, il cardinale Parolin o mons. Gallagher, oppure il Dicastero per le Chiese Orientali, scendano in difesa di una chiesa martoriata d'anni come quella caldea in Iraq dove le molte vicissitudini in vent'anni – spesso terribili – hanno ridotto i fedeli da 1,5 milioni a 150mila. Dal Vaticano in questi mesi non è mai arrivato nulla. Si è visto il solito copione di situazioni precedenti di conflitto fra il potere e la chiesa locale: Bielorussia, Cina, Nicaragua, Venezuela e altre situazioni simili ma più discrete o circoscritte.
Dal Vaticano è arrivato solo un curioso documento della Sala stampa: una ossequiosa e rispettosa smentita a Rayan al-Kildani, capo della Brigata Babilonia nemico dichiarato del cardinale Sako, suo calunniatore seriale e considerato da numerosi Paesi occidentali persona pericolosa sulla quale pesano sanzioni statunitensi e canadesi. Questo attivista, potente alleato dell'Iran, amico di numerosi ayatollah della teocrazia di Teheran, che si dice anche lui cristiano, con l'inganno – o forse con qualche complicità vaticana sulla quale s'indaga tuttora – è riuscito ad avvicinare il Pontefice, farsi fotografare mentre si rivolgeva a Francesco, e tutto ciò per dire poi che era stato ricevuto dal Papa di Roma. L'inghippo aveva un solo scopo: fuorviare l'attenzione pubblica irachena e accreditarsi come uno che ha facilmente accesso al Pontefice, in modo di far passare l'idea insensata che tra Sako e Rayan, il Papa preferisce il secondo.
Il 12 settembre, una settimana dopo, mentre la foto della presunta udienza papale circolava ampiamente, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni ha dichiarato: «Durante l’udienza generale in piazza San Pietro del 6 settembre scorso, Sua Santità Francesco ha salutato alcune persone presenti, come avviene di consueto. Tra di esse vi era anche un gruppo di iracheni con il signor Rayan Al-Kildani, con il quale c’è stato un breve saluto di circostanza».

Tutte parole felpate anche se la vittima della montatura è il Papa. Curioso!
Se in Vaticano si trova tempo e idee per correggere Rayan Al-Kildani, non si potrebbe fare un sforzo per trovare tempo e idee per difendere i cristiani caldei dell'Iraq e il loro Patriarca? A questo punto il silenzio del Papa, e dei suoi collaboratori autorizzati a parlare, significa che non hanno nessuna spiegazione convincente.
Ma perché?
Card. Sako: "se Roma tace a rischio il futuro dei cristiani iracheni" Dario Salvi, in un'intervista per AsiaNews, ha chiesto al cardinale Sako: Il silenzio finisce per legittimare gli attacchi contro la sua persona e l’intera Chiesa caldea?
Risposta del Patriarca: "Esatto! La Santa Sede poteva prendere parola, dire che la propaganda di questo signore non è vera, poteva cercare di calmare la gente, i moltissimi cristiani e musulmani in Iraq che stanno soffrendo per questi nuovi attacchi, per queste bugie che fanno del male prima di tutto alla nostra comunità. Il nunzio apostolico mi invita a dialogare, a non umiliare il presidente… ma qui è il presidente a umiliare la Chiesa e il suo popolo. Dice che bisogna lasciare il decreto e accettare una sentenza del tribunale. Ma deve capire la mentalità locale e sostenere la Chiesa: poteva smentire la strumentalizzazione e le bugie di Rayan, chiedere ai vescovi che ricevono soldi da lui di fermarsi, trovare una soluzione che non fosse contro la Chiesa caldea".

Iraq, card. Sako: se Roma tace a rischio il futuro dei cristiani iracheni

By Asia News
19 settembre 2023 
Dario Salvi

Preoccupato per il futuro dei cristiani che oggi devono affrontare una “minaccia diversa”, ma non per questo “meno grave” rispetto a quella rappresentata dallo Stato islamico. Amareggiato per il silenzio della Santa Sede di fronte alle mistificazioni di Rayan il Caldeo, il leader di una milizia locale sedicente cristiana (ma al soldo di Teheran) che ne contesta apertamente la legittimità. Ma anche consapevole del sostegno di una comunità, quella cristiana irachena, e della vicinanza del mondo musulmano, per una lotta che abbraccia il futuro stesso del Paese e dei suoi abitanti. È lo stato d'animo che il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, confida in questa intervista ad AsiaNews in cui ripercorre le ultime, drammatiche settimane contraddistinte da calunnie, attacchi personali, minacce, ricorsi in tribunale e lo scontro frontale col presidente della Repubblica. Proprio per le udienze in tribunale che sono parte di questa campagna non è potuto partire per prendere parte all'incontro dei vescovi del Mediterraneo a Marsiglia, dove venerdì e sabato si recherà papa Francesco.
Come si ricorderà a metà luglio il porporato aveva trasferito in via temporanea la sede patriarcale dalla capitale a Erbil, nel Kurdistan iracheno, per protesta contro l’annullamento da parte del capo dello Stato del decreto - che riguarda “la sola Chiesa caldea, ed è questa la questione di fondo” precisa il patriarca - che ne riconosce il ruolo e l’autorità. Una decisione sorprendente: Abdul Latif Rashid, infatti, ha sconfessato una tradizione secolare colpendo la massima autorità cattolica locale, che è anche responsabile della gestione del patrimonio e dei beni ecclesiastici. Ed è qui che ruota la questione: il controllo delle proprietà finite nel mirino del sedicente leader cristiano “Rayan il caldeo” e delle milizie filo-iraniane che lo sostengono (una galassia variegata che comprende sciiti, cristiani, sunniti...), minaccia per la pace e la convivenza per la nazione. In risposta, il cardinale non ha escluso il boicottaggio delle prossime elezioni. Ecco, di seguito, l’intervista al patriarca caldeo:

Beatitudine, da settimane sta conducendo una battaglia personale e a nome di tutta la comunità cristiana - per la sua stessa sopravvivenza - contro le massime istituzioni irachene e sedicenti leader cristiani. Come spiega questa vicenda?
Alla base vi è un progetto che ha come obiettivo quello di far tacere la voce della Chiesa e della mia persona. In questi 10 anni da patriarca [la nomina risale al gennaio 2013, ndr] ho sempre difeso i diritti umani, senza distinzioni di fede o appartenenza etnico-religiosa, ho cercato di proteggere i cristiani e non ho mai voluto giustificare la formazione di una milizia cosiddetta “cristiana”. Ho rifiutato tutto questo, da qui nasce il proposito di vendetta da parte di una fazione [le Brigate Babilonia di Rayan al-Kildani] che ha uno scopo ulteriore: spingere i cristiani a partire, fare in modo che emigrino per impossessarsi delle loro case, beni, proprietà. Anche per questo si vuole creare un ambiente non stabile, anche per questo viene osteggiata l’idea di cittadinanza che da sempre rivendico come base per l’appartenenza alla nazione. Tuttavia, nel Paese prevale una mentalità settaria in cui si lotta per avere più potere, visibilità e guadagnare di più. Non vi è la volontà di costruire uno Stato fondato su diritto e giustizia, ma prevalgono confusione e anarchia.
Una confusione che emerge anche nei ruoli e nei poteri delle massime istituzioni?
Questo è uno degli elementi di fondo: il presidente della Repubblica non ha il potere di ritirare decreti emessi in passato, può emetterli ma non può certo cancellarli in modo arbitrario. Andando peraltro contro una tradizione secolare, che risale al tempo del califfato abbaside, poi all’impero ottomano, infine la Repubblica. In un secondo il capo dello Stato ha inteso cancellare 14 secoli di storia e tradizione, ma io non ho paura e non ho nulla da perdere… forse la vita, ma sono pronto anche a questo. Tutto ciò viene fatto per intimidire i cristiani, per fare in modo che lascino il Paese ed è per questo che io li incoraggio nuovamente, e con maggiore forza, a restare e sperare!
 La sua, quindi, è una lotta fondata sul diritto a favore di tutto il Paese, non solo per i cristiani…
Certo! Io non mi sto battendo solo per loro, ma per tutti gli iracheni. E devo riconoscere che, come popolo, la comunità cristiana è al mio fianco e mi sostiene in questa lotta. Non solo, di recente anche un gruppo formato da 13 avvocati musulmani ha presentato una petizione presso la Corte suprema contro il ritiro del decreto presidenziale deciso dal presidente della Repubblica. In questa fase sperimentiamo una coesione, un sostegno forte e una unità a livello di popolo e di comunità cristiana, mentre vi sono divisioni fra le Chiese. Un esempio fra i tanti, le parole di un patriarca che ha definito ‘saggio e con visione chiara’ il presidente della Repubblica, o altri ancora [vescovi e sacerdoti] che traggono profitto dalla vendita di case e di beni.
Dopo l’invasione Usa, la scia di attentati e violenze e l’ascesa dello Stato islamico, con la sua logica di terrore e morte, una nuova minaccia incombe sul futuro?
Questo è un altro stile, un’altra modalità forse più nascosta e subdola ma con lo stesso obiettivo: spingere i cristiani a partire. Un approccio diverso dall’Isis, ma con la medesima logica di fondo.
Vi sono realtà, istituzioni, anche all’interno della Chiesa, dalle quali si aspettava maggiore solidarietà e vicinanza?
Sono deluso dalla posizione della Santa Sede, che in quasi cinque mesi non è intervenuta per sconfessare l’operato del presidente della Repubblica, per respingere gli attacchi contro la persona del patriarca, per prendere le distanze da chi si definisce leader cristiano. La visita a Roma di questo signore [il riferimento è al “breve saluto di circostanza” di Rayan il caldeo al termine di un'udienza generale a inizio settembre, come descritto successivamente in una stringata nota di chiarimento vaticana ndr] e l’incontro con papa Francesco in piazza San Pietro al termine dell’udienza del mercoledì. Che egli ha poi rilanciato a gran voce sui propri canali social, cercando legittimazione usando una autorità ecclesiale ma finendo per mostrare una profonda ignoranza perché ha parlato di Angelus… il mercoledì! Le sue parole sono state un vero e proprio shock per cristiani e musulmani in Iraq, perché si è presentato una volta di più come il vero rappresentante dei cristiani; lui e non il patriarca di cui [secondo quanto dice Rayan il caldeo] il papa avrebbe accettato le dimissioni. Stare in silenzio di fronte a queste dichiarazioni è inammissibile.
Il silenzio finisce per legittimare gli attacchi contro la sua persona e l’intera Chiesa caldea?
Esatto! La Santa Sede poteva prendere parola, dire che la propaganda di questo signore non è vera, poteva cercare di calmare la gente, i moltissimi cristiani e musulmani in Iraq che stanno soffrendo per questi nuovi attacchi, per queste bugie che fanno del male prima di tutto alla nostra comunità. Il nunzio apostolico mi invita a dialogare, a non umiliare il presidente… ma qui è il presidente a umiliare la Chiesa e il suo popolo. Dice che bisogna lasciare il decreto e accettare una sentenza del tribunale. Ma deve capire la mentalità locale e sostenere la Chiesa: poteva smentire la strumentalizzazione e le bugie di Rayan, chiedere ai vescovi che ricevono soldi da lui di fermarsi, trovare una soluzione che non fosse contro la Chiesa caldea. Con cadenza quasi settimanale ormai vengono presentate denunce a mio carico nei tribunali, e nei prossimi giorni dovrò presentarmi in aula e non potrò partecipare ai “Rencontres Méditerranéennes” a Marsiglia. Ho scritto a papa Francesco dopo la visita di Rayan in Vaticano, non ha ancora risposto. Siamo una Chiesa perseguitata, da tempo… che lotta per sopravvivere ma per far questo abbiamo bisogno anche di sostegno, vicinanza, solidarietà.
In questa prospettiva il Sinodo in programma a Roma, a ottobre, potrà essere di aiuto?
La nostra è una questione particolare, ma il Sinodo può essere comunque di aiuto per trovare una soluzione. La Chiesa deve mostrare la propria presenza, la vicinanza, deve trovare la parola che è stata fortemente carente sinora. La Chiesa sono i suoi credenti.

15 settembre 2023

In meeting with Austrian Foreign Minister Schallenberg, Chaldean Patriarch Louis Sako raises concerns over coexistence in Iraq amidst corruption and armed militias

By Syriac Press
September 14, 2023

Photo Chaldean Patriarchate
During a meeting with Austrian Minister of Foreign Affairs Alexander Schallenberg in Erbil, Kurdistan Region of Iraq (KRI), Chaldean Patriarch Mar Louis Raphael Sako shed light on the precarious situation of Christians in Iraq.
During their meeting, Minister Schallenberg and Patriarch Sako candidly discussed the challenges facing Christians in the country, highlighting the troubling factors that erode coexistence
The meeting comes in the aftermath of recent controversies surrounding the ownership of Chaldean Church properties in Iraq. In July, President of Iraq Abdul Latif Rashid issued a decision to withdraw the presidential decree recognizing Patriarch Sako as head of Church endowments.
Patriarch Sako emphasized that coexistence in Iraq has been significantly weakened by pervasive corruption, the presence of militias, the widespread proliferation of weapons, and a concerning lack of respect for human dignity and fundamental rights. These issues collectively contribute to a challenging environment for the Christian community and other minority groups in Iraq.
During a recent visit to the headquarters of the District Commissioner of Ankawa, employees told him that for three months they had not received their salaries. Officials do not consider how these citizens live, he said, especially those who have a rented house, students, etc. If there are some problems between politicians, it is not permissible for the average person to be held accountable, he added.
“A political official is known for his actions, not his speeches,” said the Patriarch. “When I visit them, they give me nice words, but they are not followed by action.”

12 settembre 2023

Bruni: tra il Papa e Al-Kildani “breve saluto di circostanza”

By Vatican News

Ai giornalisti che gli chiedevano una precisazione, il direttore della Sala Stampa vaticana, Matteo Bruni, ha detto che durante l’udienza generale di mercoledì 6 settembre scorso in Piazza San Pietro, “Francesco ha salutato alcune persone presenti, come avviene di consueto” e che “tra di esse vi era anche un gruppo di iracheni con il Sig. Rayan Al-Kildani, con il quale c’è stato un breve saluto di circostanza”.

Il capo della milizia irachena si apposta in Vaticano. Così ha finto un incontro con papa Francesco

Francesco Peloso
9 settembre 2023 

Al Kildani è a capo del gruppo Babilonia, sotto sanzioni degli Stati Uniti per la violazione dei diritti umani e le persecuzioni dei cristiani.
Si è appostato in piazza San Pietro per scattare una foto con il pontefice. È un mistero come sia riuscito ad entrare in Italia.
È riuscito a simulare un incontro privato con il papa che non c’è mai stato, almeno in questa modalità.
Eppure il capo miliziano iracheno Rayan al Kildani, sotto sanzioni da parte degli Stati Uniti per violazione dei diritti umani e corruzione, mercoledì si trovava in piazza san Pietro dove, al termine dell’udienza generale ha potuto salutare brevemente il papa.
Tanto è bastato per far circolare in Iraq la fotografia che lo ritraeva insieme a Francesco il quale, con ogni probabilità, era ignaro della vera identità del personaggio che aveva di fronte.
Anche perché solo nell’aprile scorso il papa si era rifiutato di concedere a al Kildani un’udienza privata, senza contare che quest’ultimo è un acerrimo nemico del cardinale Louis Raphael Sako, patriarca di Baghdad e capo della Chiesa caldea dal luglio scorso costretto all’esilio a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno.
Sako è una delle personalità della chiesa del medio oriente più vicina a Francesco. Resta da capire, tuttavia, come è stato possibile che un personaggio simile abbia potuto avvicinare il papa, senza contare il fatto che sia entrato in Italia invitato «da imprenditori e istituzioni italiane», secondo quanto riportato dai media iracheni. Sta di fatto che Rayan al Kildani, Rayan il caldeo, è entrato e uscito dal nostro paese, e ha raggiunto addirittura in piazza san Pietro per vedere di persona, sia pure per pochi momenti, il pontefice.

L’orecchio tagliato
Nel 2019, il governo degli Stati Uniti stabiliva di sottoporre al Kildani a sanzioni economiche e misure restrittive in quanto «responsabile o complice e coinvolto direttamente o indirettamente in gravi violazioni dei diritti umani».
«Al Kildani – si legge nelle motivazioni del provvedimento – è il leader della milizia della 50a Brigata. Nel maggio 2018, tra le organizzazioni irachene della società civile per i diritti umani è circolato un video in cui al Kildani tagliava l’orecchio a un detenuto ammanettato». «Secondo quanto riferito – prosegue il testo del dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti – la 50a Brigata costituisce il principale ostacolo al ritorno degli sfollati interni nella pianura di Ninive (storicamente sede delle comunità cristiane, ndr). La 50a Brigata ha sistematicamente saccheggiato le case di Batnaya, che sta lottando per riprendersi dal brutale dominio dell'Isis. La 50a Brigata ha sequestrato e venduto illegalmente terreni agricoli e la popolazione locale ha accusato il gruppo di intimidazioni, estorsioni e molestie nei confronti delle donne».
La notizia che al Kildani abbia potuto vedere il papa, spiega il cardinale Sako a Domani, «è stata uno shock per tutti gli iracheni, anche le sue milizie mi chiamano, i capi politici e i ministri del governo e anche i leader religiosi; come mai questo personaggio è stato ricevuto dal papa si chiedono, questo uomo è un delinquente. Ora sta cercando una un'autorità religiosa cristiana come ombrello per coprire tutto ciò che sta facendo, che lo riconosca come rappresentante dei cristiani. Ha “comprato” anche alcuni vescovi e preti a Baghdad, perché io sono fin dall'inizio contro una milizia cristiana e lui è responsabile di tanti crimini, compresa la corruzione» .
Si tratta, spiega ancora il cardinale, di «un uomo che non ha niente di morale e questa visita è uno scandalo. Certo, non so come abbia ottenuto il visto per entrare in Italia considerato che al Kildani è sotto le sanzioni americane. E poi come abbia ottenuto un biglietto per il baciamano con il papa. Su questo incontro ha potuto costruire tanta propaganda e diffondere menzogne».

L’alleanza con gli sciiti
Al Kildani emerge come leader cristiano intorno al 2014 nella guerra per liberare l’Iraq dall’Isis, fonda il movimento Babilonia e la sua ala militare, la brigata Babilonia; quest’ultima però si pone sotto il controllo delle milizie sciite che combattono l’Isis ma puntano a prendersi il paese per conto di Teheran. Iniziano così i contrasti con la chiesa caldea che disconosce l’azione della brigata Babilonia, mentre il braccio politico del movimento si organizza e alle elezioni legislative del 2021, complice una serie di revisioni delle circoscrizioni elettorali, ottiene 4 dei 5 parlamentari spettanti alla minoranza cristiana, solo che i voti provengono in larga parte dalla componente sciita. Poi, nel luglio scorso, lo scontro definitivo fra patriarcato e il governo di Baghdad e lo stesso al Kildani che lo sostiene. il presidente iracheno Abdul Latif Rashid revoca il decreto n. 147, emanato dal suo predecessore Jalal Talabani, il 10 luglio 2013, che riconosceva il patriarca, nominato dalla Santa sede, capo della chiesa caldea «in Iraq e nel mondo», oltre che «responsabile e custode delle proprietà della Chiesa».
E proprio quest’ultimo aspetto sarebbe quello più rilevante secondo il patriarca Sako perché l’obiettivo finale delle milizie è quello di appropriarsi dei beni dei cristiani e di costringerli nei fatti a farli andare via.
Il decreto, secondo il patriarca Sako, è incostituzionale e il capo della Chiesa caldea si è rivolto alla giustizia irachena per ricorrere contro il provvedimento.

Diritti umani negati
Dietro la contesa giuridica, c’è tuttavia una realtà drammatica. I cristiani prima della guerra erano almeno un milione e mezzo, il 4 per cento della popolazione, forse di più; solo a Baghdad ce n’erano un milione con interi quartieri cristiani. Ora ne restano sì è no mezzo milione, e molti continuano a lasciare il paese. C’è stato l’isis, certo, ma non solo. Le milizie che oggi spadroneggiano nel paese, come la milizia Babilonia, e rappresentano una sorta di stato nello stato, contribuiscono con le loro violenze alla fuga dei cristiani. «Già prima dell'Isis i cristiani hanno molto sofferto, quella cui assistiamo è una persecuzione diciamo così non dichiarata ma nella vita quotidiana c'è, esiste una discriminazione contro i cristiani, certo».
Poi le scuole e gli ospedali del paese, senza distinzione, sono ridotti in uno stato miserabile, mancano elettricità e medicinali. «In occidente – osserva ancora il cardinale Sako – si parla dei diritti dell'uomo, qui non ci sono diritti dell'uomo, non vengono rispettati. Senza contare tutto questo fondamentalismo che punta all’eliminazione dell’altro. Di fronte a tutto questo la chiesa deve fare un po’ di più, è un po’ troppo timida, ma anche l'occidente deve fare pressione su questi regimi affinché rispettino i diritti dell'uomo. Certo, ci vuole tempo e un cambiamento della cultura e anche un aggiornamento della religione».
In quanto al fatto che lui stesso possa rischiare la vita o la prigione per le posizioni che assume pubblicamente, il patriarca risponde: «No, io non ho paura. Poi sono un consacrato e non ho paura di essere ammazzato per una giusta causa. Io sono pronto per ogni evenienza perché ho una causa e il mio scopo è difendere i cristiani. È la mia responsabilità, ma anche, allo stesso tempo, chiedere una vita dignitosa per tutti gli iracheni, cioè la costruzione di uno stato fondato sulla cittadinanza e non settario. È quello che ho sempre chiesto e tutti lo sanno».

2 settembre 2023

Dove Dovrebbe Portare il Prossimo Cammino Sinodale


Patriarca Cardinale  Louis R. Sako

La prima sessione del Sinodo della sinodalità nella Chiesa cattolica del mondo si terrà all’inizio di ottobre 2023 e la seconda sessione l’anno prossimo. Il Sinodo, come espresso più volte da Sua Santità Papa Francesco, è quello di camminare insieme come comunità fedele, impegnata e responsabile per partecipare attivamente allo studio di argomenti e questioni molto importanti che riguardano la vita fondamentale dei fedeli nel quadro della riforma e per trovare nuove strategie per la Chiesa per affrontare le sfide.
Ho seguito da vicino i preparativi per il sinodalità, ho partecipato in Iraq alla fase di “ascolto e discernimento”, ho letto il documento di lavoro instrumentum laboris, che contiene belle idee importanti, e ho letto le dichiarazioni e le critiche che a volte colpiscono. Ho anche partecipato con rappresentanti della Chiesa caldea all’incontro continentale locale delle Chiese cattoliche del Medio Oriente, che comprendeva laici di entrambi i sessi.
Ho sentito davvero che, come i primi discepoli del Cenacolo, eravamo sotto la profusione dello Spirito, scambiandoci idee, esperienze e aspirazioni perché la Chiesa potesse esprimere la sua missione, il suo orientamento e le sue attività, in un linguaggio nuovo e comprensibile, e annunciare e dare una testimonianza efficace della verità della sua fede liberante in forme appropriate.
In un tempo di instabilità, di difficoltà incontrate dalla cultura attuale in questioni difficili, e in particolare dal predominio del liberalismo secolare, la Chiesa, madre e maestra, ed il Papa successore di Pietro, roccia su cui poggia la Chiesa e garantische la sua unità, deve avvalersi della sua autorità didattica nel processo di autorinnovamento e delle sue strutture con piena convinzione, conservando fedelmente il deposito della fede e della morale di base. Occorre distinguere tra ciò che è reale ed esprimere lo spirito che non si può abbandonare, e ciò che è immediato-pratico legato alle condizioni del tempo e dello spazio, che va aggiornato.
Il Sinodo dovrebbe dare priorità all’annuncio (del Vangelo) alla luce dei segni dei tempi “annuncia la Parola, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna” (2 Tm 4,2), in modo che la Chiesa possa presentare la fede a tutti con chiarezza, linguaggio comprensibile, stile diverso, forme nuove, e affrontare la liturgia della celebrazione dei sacramenti e alcune strutture con maggiore partecipazione per rendere alcune strutture più efficienti e meno burocratiche, in modo che i cristiani si sentano a casa, abbiano il loro ruolo e non si sentano emarginati. E necessario aggiornare la formazione del clero al livello umano, psicologico, spirituale, teologico, liturgico, pastorale, ma anche la disciplina.
Papa Francesco con la sua intuizione può aiutare ad ascoltare la voce di Dio, la voce dello Spirito leggendo la Bibbia, parlando dello Spirito, dell’amore e della misericordia di Dio, del servizio, del pentimento e del perdono verso tutti nel quadro del lavoro pastorale, leggendo i segni dei tempi per scoprire la volontà di Dio e lavorare per una crescita umana e cristiana armoniosa.

Come Patriarca orientale,
 in ritiro nel seminario di Erbil, 
lontano dalla sua sede di Baghdad, 
auspico che ci sia un vero rinnovamento, studiato in tutti gli aspetti, 
della vita della Chiesa, della sua attività e dei suoi obiettivi con efficacia straordinaria, 
con la partecipazione attiva 
e la consultazione dei fedeli, 
ma senza annullare la partecipazione “collegiale” della gerarchia ecclesiastica
 e della sua autorità.
 Le speranze dei fedeli cristiani attendono un nuovo orizzonte aperto dal 
“cammino sinodale” nella vita della Chiesa, 
rafforzato dalla coesione teologica, amministrativa e pastorale 
in perfetta sintonia con la missione essenziale della Chiesa e lo “spirito
 sinodale”. 
Mi auguro che il Sinodo, e Sua Santità il Santo Padre ed i dicasteri romani 
prestino un’attenzione particolare alle Chiese orientali, culla del 
cristianesimo che sentono minacciate la propria esistenza!
 Auspico anche che la Chiesa svolga un ruolo profetico e vitale nella creazione 
di un mondo più umano, pacifico, giusto e dignitoso.

Patriarca assiro Mar Awa III: la visita di Papa Francesco incrocia le vie della grande avventura missionaria della antica Chiesa d’Oriente

Gianni Valente
1 Settembre 2023

Il viaggio apostolico di Papa Francesco in Mongolia è “un’iniziativa gradita”, che aiuta a riscoprire anche “la storia ben documentata e conosciuta del cristianesimo in quel Paese e tra il popolo mongolo”.
Lo sottolinea Mar Awa III, Patriarca della Chiesa assira d’Oriente, che ha condiviso con l’Agenzia Fides alcune considerazioni sulla portata ecumenica della visita che il Vescovo di Roma sta compiendo nel grande Paese asiatico.
La visita di Papa Francesco in Mongolia – sottolinea Mar Awa – “è, senza dubbio, un’iniziativa gradita, una visita realizzata per incontrare uno dei greggi più piccoli e periferici del mondo”. Inoltre, “Sebbene oggi la comunità cattolica in Mongolia sia molto esigua, ci viene ricordata la storia ben documentata e conosciuta del cristianesimo in quel Paese e tra il popolo mongolo. Apprendiamo dagli annali della storia della Chiesa che il primo incontro tra la Chiesa e le tribù mongole fu infatti dovuto all’opera di annuncio del Vangelo dei missionari della Chiesa assira dell'Oriente. Già alla fine del VI secolo il cristianesimo cominciò a diffondersi tra i popoli delle steppe euroasiatiche, grazie ai monaci della Chiesa d'Oriente”.
Nell'anno 1281 - ricorda il Patriarca Mar Awa III – “la Chiesa assira d'Oriente aveva un Patriarca turco-mongolo, Mar Yahb'Alaha III (1281-1317). A quel tempo, la presenza ecclesiastica della Chiesa assira in quello che adesso è lo Stato mongolo e la provincia cinese della Mongolia era molto robusta”.
Oggi – riferisce il Patriarca – “c'è una crescente consapevolezza tra i mongoli della loro antica eredità cristiana che risale a prima dell'arrivo dei missionari occidentali, giunti agli inizi del 1200. Molti in Mongolia oggi cercano di ristabilire l’antica Chiesa dei loro antenati, vale a dire la Chiesa assira dell’Oriente”.
In una precedente intervista rilasciata all’Agenzia Fides, il patriarca Mar Awa ha accennato con espressioni suggestive ai tratti distintivi della grande avventura missionaria della antica Chiesa d’Oriente, di cui si continuano a trovare tracce – resti di chiese e monasteri anche nella Penisola arabica : “I missionari della antica Chiesa d’Oriente” ha sottolineato in quell’occasione il Patriarca assiro “erano un ‘esercito’ di tipo spirituale. Erano soprattutto monaci e monache, e si recavano in contesti plasmati da altri pensieri, da antiche culture e mentalità religiose. Avvincevano i cuori delle persone con dolcezza, e non per dinamiche di conquista. E poi aiutavano le popolazioni locali a trovare i segni grafici per mettere in forma scritta le loro lingue e le loro parlate. E ogni urgenza, ogni problema concreto della vita diveniva occasione per fare il bene, diventando amici e fratelli con tutti”.

Why Christians in Iraq are in profound danger?

Ano Jawhar Abdoka *
August 30, 2023

Nightmare of the Christian community
What the Christian community in Iraq faces can only be defined as intense hatred and hostility. Since 2003, Christians in central and southern Iraq have been subjected to killing, abuse, kidnapping, discrimination, and forced displacement. Over a hundred of their churches have been attacked, and a dozen of their clergy members, including bishops, priests, and deacons, have been killed, kidnapped, and tortured. Around 1,350 Christian civilians lost their lives. Out of a Christian population of 2.1 million, a staggering 80 percent fled the country, seeking refuge abroad, while others were internally displaced to the Kurdistan Region, following the historic initiative by President Masoud Barzani in 2003, which aimed to provide sanctuary to all Iraqi religious minorities.

More than a Patriarch's struggle
The ongoing turmoil faced by Christians today mirrors the trials previously endured by Jews in Iraq. The emergence of militias intent on occupying Christian lands and properties in areas like the Nineveh Plains and other Iraqi cities encountered a significant obstacle in their path — Cardinal Louis Raphael Sako, Patriarch of the Chaldean Catholic Church.
As the spiritual leader of Iraq's largest church, representing approximately 80 percent of Iraqi Christians, Patriarch Sako opposed the creation of Christian militias. His beatitude consistently urged the Iraqi government to prevent the existence of such groups, as Christians inherently advocate for a robust and stable government, not a fragile one.
Influential figures like the bishops of the (Nineveh Bishops Council) also opposed militia formation and the acquisition of Christian political representation in the Iraqi parliament through tens of thousands of votes outside of the Christian house gathered by militias to support their proxies and impose them on Christians , intended to consolidate the political power of these militias.
The resilience of Christians shocked the militias, prompting them to target the head of the most powerful church, aiming to set an example that would discourage others from opposing their expansionist policies in the Nineveh Plains. This culminated in efforts to compel their allies to affect the decision of the presidential institution of Iraq, by issuing a presidential decree by the Iraqi president Abdul Latif Rashid, to withdraw the presidential dated for more than 10 years ago, only concerning Patriarch Sako.

Suppressing the Christian voice
While numerous other decrees by the Iraqi presidency for various bishops and churches leaders remain in place, exclusively targeting Patriarch Sako serves the purpose of conveying a clear message: Christians must remain silent and cooperative during the militias' efforts to alter the demographics of their ancestral lands in the Nineveh Plains. This silence is also expected regarding the multitude of human rights violations and abuses committed by these militias.
Since July 2023, Patriarch Sako has sought refuge in Erbil, where he was warmly welcomed by the government and the people. His choice signifies a protest against the actions of the Iraqi president and the militias, with thousands of Christians across Iraq, the Kurdistan Region, and elsewhere raising their voices against these unjust decisions. Despite the protests, neither the Iraqi government nor the presidency has taken steps to address this plight or end the ongoing demographic changes in Christian territories within the Nineveh Plains.

Nineveh Plains held hostage by militias
On August 4th, 2023, the (Nineveh Bishops Council) organized a protest demanding immediate action by the Iraqi government to stop the continuous demographic alterations in the Nineveh Plains, threatening the Christian community's presence. Additionally, the council sought the enactment of an electoral law ensuring genuine Christian representation in the Iraqi parliament. The bishops, and thousands of Christians in the protest were shocked that the militias reacted by closing checkpoints and preventing journalists, as well as Christians from other towns and villages, from joining the protest.

What should Christians do?
Christians and other minorities in Iraq need to unite efforts, and organize their movement on both levels international, and local. Christian parties; Chaldean, Assyrian, Syriac, and Armenian, with Ezidi, Kakaye, and Turkmens need to understand that alone they lose, together they have a very strong chance to prevail, and guarantee their existence in their historic ancestral homeland.

To be or not to be
It is imperative for the United Nations and its Security Council to take steps to safeguard the imperiled Christian community in Iraq, particularly in the Nineveh Plains. Establishing an internationally protected and closely monitored zone emerges as the most effective solution. Especially by the implementation of Sinjar agreement. Failure to act risks the world losing one of its oldest Christian communities. The international community must comprehend that Christians in Iraq face profound danger, a continuous hushed Genocide!

* Ano Jawhar Abdoka is the Kurdistan Regional Government’s Minister of Transport and Communications.