"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 novembre 2007

Luci, profumi e colori: arriva il mercatino di Casbeno anche per gli iracheni cristiani

Fonte: Varese News

Trovare regali curiosi e originali per i vostri amici e, contemporaneamente, fare una buona azione. Iniziano a moltiplicarsi in provincia i mercatini di Natale
e, tra questi, quello di Casbeno (VA) è uno dei più attesi. L'appuntamento è fissato per sabato 1 (dalle 15 alle 22) e domenica 2 (dalle 10 alle 20).
Prodotti artigianali, gastronomia e golosità: al mercatino di Casbeno, che si estende lungo le vie Conciliazione, Ariberto e Monastero Vecchio, potrete trovare di tutto, compresa la musica e i canti natalizi.
L'utile dell'edizione 2007 sarà devoluto alla San Vincenzo Paoli, all'episcopato Caldeo di Beirut e all'Associaone SOS Malnate Onlus. La San Vincenzo Paoli userà i fondi per la conduzione dell’appartamento sito nella casa di Viale Ariberto, di proprietà della Parrocchia, attualmente oggetto di ristrutturazione per poter accogliere mamme in difficoltà.
L’Episcopato Caldeo di Beirut aiuterà il vescovo mons. Michel Kassarji nell’iniziativa di accoglienza e sostegno dei cristiani iracheni che, perseguitati nel loro paese, si rifugiano in Libano dove vivono in situazione di indigenza e precarietà.
S.O.S. Malnate Onlus penserà all’acquisto di una vettura attrezzata per il trasporto di organi da impiantare e della necessaria equipe medica.Oltre al mercatino saranno tanti gli eventi offerti a Casbeno. Sabato, alle 1.e0 in oratorio, il laboratorio per ragazzi "Sale, aceto, zucchero e... cannella!", a cura di Coop Lombardia. Alle 18 la S. Messa prefestiva animata dalle corali di Casbeno e di Crugnola. Alle 21, sempre in chiesa, lo straordinario concerto dell'Orchestra Giovanile Studentesca di Varese e alle 22, sul sagrato, si accenderà l'albero di Natale. Domenica in oratorio cinema per ragazzi dalle 15 e poi, alle 17, l'incontro con Maurizio De Bortoli "Cristiani in Medio Oriente, perseguitati e dimenticati". Per tutta la durate del mercatino ci sarà un banco gastronomico e poi Babbo Natale con la sua renna farà le foto con i bambini mentre, in chiesa, ci sarà una mostra di presepi messi a disposizione da Andreoni di Biumo Inferiore.

I vescovi cattolici del Medio Oriente, riuniti a Parigi, sulla difficile condizione dei cristiani in Iraq

Fonte: Radiovaticana

Parla di emorragia mons. Georges Casmoussa, arcivescovo di Mosul, riferendosi all’esodo che quotidianamente priva l’Iraq di molti dei suoi figli, in fuga dalle violenze. Nel suo intervento, tenuto a Parigi nel corso della tavola rotonda dal titolo “Cristiani d’Iraq: voci, realtà, sfide”, il presule ha sottolineato che la violenza minaccia tutte le comunità ma i cristiani, in quanto minoranza, si sentono particolarmente vulnerabili. “La Siria ha accolto non meno di 1,2 milioni di iracheni, tra cui decine di migliaia di cristiani; persone che hanno perso tutto e con pochissimi risparmi per sostenersi” ha raccontato mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo. In Giordania - ha aggiunto mons. Salim Sayegh, vicario del Patriarcato latino di Amman - il governo passa da un atteggiamento severo all’indulgenza, e i rifugiati si confrontano sempre più con l’esigenza di ottenere permessi di soggiorno. Suona come un grido di allerta, infine, l’intervento di mons. Francois Yakan, vescovo caldeo di Istanbul. Ricordando che la Turchia accoglie circa 10.000 rifugiati iracheni, il presule ha sottolineato infine che "bisogna agire e reagire, domandare ai nostri governi di avere un atteggiamento responsabile riguardo alle politiche sul Medioriente”. Segnali positivi arrivano nelle ultime settimane dal progressivo rientro in Iraq di un numero crescente di profughi. In queste ore - riferisce l’agenzia Asianews - un convoglio di autobus messo a disposizione dal governo di Baghdad permette a 800 rifugiati in Siria di tornare a casa in un clima di maggiore sicurezza. Secondo i dati diffusi dal governo iracheno a metà novembre sarebbero migliaia i rientri quotidiani incoraggiati da incentivi di natura economica.
Tra i motivi del rientro, l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR) invita a non trascurare il peso delle difficili condizioni economiche che grava sui rifugiati in terra straniera.

Iraq: Card. Delly, la sicurezza migliora anche per i cristiani

Fonte: ADNkronos

Baghdad, 30 nov. -(Aki) - "La situazione della sicurezza in Iraq sta migliorando per tutti, anche per noi cristiani": lo afferma il Patriarca caldeo iracheno, Emmanuel III Delly, in un'intervista rilasciata ad AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL in occasione della sua recente nomina a Cardinale. "I cristiani in Iraq non sono separati dagli altri membri della società - spiega Delly - per questo se la situazione della sicurezza migliora ne beneficiano tutti". Il Patriarca sottolinea l'importanza dell'unità dell'Iraq e della coesione tra le diverse componenti del paese. A proposito del dialogo interreligioso il prelato iracheno ha detto di "sperare che il Vaticano continui a dialogare con le altre religioni: il nostro obiettivo non è fare proseliti ma collaborare e convivere insieme agli altri". Infine il neo cardinale ricorda come la Chiesa caldea non si trovi solo in Iraq ma anche in altri paesi del mondo. "Abbiamo chiese negli Stati Uniti, Iran,Turchia, Siria, Libano ed Egitto ed anche una in Australia" ha ricordato Delly.

Iraq: Security improving for Christians, says Chaldean patriarch

Source: ADNkronos

The Iraqi-born head of the Chaldean Christian church Emmanuel Delly III says security is improving for Christians and others in his war-torn country. Emmanuel Delly III became the first Iraqi cardinal in Rome last Saturday. He was among 23 senior church leaders named cardinals in a special ceremony at the Vatican."The security situation in Iraq is improving for everyone, including us Christians," he said in an interview with Adnkronos International (AKI).
"Christians in Iraq are not separated from other members of society so if the security situation improves, everyone will benefit." The patriarch stressed the importance of unity in Iraq and cohesion between diverse groups in the country. Around 70 percent of Iraqi Christians belong to the Chaldean community. An autonomous church aligned with eastern rite churches, the Chaldean church has its own liturgy and leadership but recognises the authority of the Pope. Regarding inter-religious dialogue, the new cardinal said: "I hope that the Vatican continues to speak to other religions." Our objective is not to proselytise but to collaborate and live together with others. "The new cardinal said the Chaldean church was not only found in Iraq but also in other countries of the world. We have churches in the US, Iran, Turkey, Syria, Lebanon and Egypt and also one in Australia." There are an estimated 600,000 to 800,000 Christians in Iraq - 3 percent of the population. Many Chaldeans and other Christians fled the country after the Allied invasion in March 2003, in fear of sectarian violence.

Vescovo siriano chiede assistenza per i rifugiati iracheni.Gli sfollati si aggrappano all’identità di cristiani caldei

Fonte: Zenit

Di Carrie Gress

I rifugiati iracheni hanno perso tutto e possono fare affidamento solo sulla Chiesa e sulla loro identità di caldei, ha affermato il Vescovo Antoine Audo di Aleppo (Siria).
Il presule, gesuita e membro del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, nel corso di una visita a Londra ha esortato a mobilitarsi rapidamente per assistere i rifugiati cristiani iracheni che vivono attualmente in Siria.
La sua visita è stata promossa dall’organizzazione “
Iraqi Christians in Need” nata agli inizi di quest’anno per assicurare ai cristiani le risorse di base.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha affermato che il 44% dei richiedenti asilo che raggiunge la Siria da quando è iniziata la loro registrazione, nel 2003, è costituito da cristiani, nonostante questi rappresentino solo il 4% della popolazione irachena.
Il Vescovo Audo, responsabile della comunità cattolica caldea della Siria, ha parlato a ZENIT della situazione dei rifugiati cristiani.
“In Siria abbiamo molti iracheni di ogni denominazione. Ce ne sono circa 1,2 milioni, con 60.000 cristiani, per la maggior parte caldei. Anche se queste persone hanno perso tutto, hanno dalla loro la Chiesa e qualcosa della loro identità caldea”, ha spiegato.
Celebrare la liturgia in lingua caldea esprime la loro identità. La Chiesa ha un importante ruolo da giocare, soprattutto per aiutare le famiglie e dare un senso di dignità”.

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Il presule ha sottolineato tre motivi per cui i cristiani diventano un bersaglio. “In primo luogo sono un gruppo debole, senza molta autodifesa. Vengono facilmente attaccati per denaro. C’è una nuova economia in Iraq, e attaccare i cristiani è un nuovo modo di fare soldi”.
Lo testimoniano i tanti rapimenti che avvengono nel Paese. I sequestri “non riguardano solo i cristiani, ma anche i musulmani ricchi. Tuttavia, se si può guadagnare di più per un sacerdote o un Vescovo, si farà”, ha detto il presule 61enne.
“In secondo luogo – ha proseguito –,
gli aggressori identificano i cristiani con gli americani, che stanno occupando il Paese, e quindi per esprimere il loro odio e la loro opposizione attaccano i cristiani”.
“In terzo luogo, c’è un’aggressione storica contro i cristiani e alcuni fanatici agiscono aggressivamente contro di loro”
ricorrendo a pretesti.
Ciò di cui c’è bisogno in Siria, ha proseguito il Vescovo Audo, è
“una maggiore professionalità nel fornire aiuti. La Caritas sta facendo molto per organizzare gli aiuti, ma la gente soffre. Abbiamo bisogno di professionisti che possano ascoltare, e garantire assistenza”.
“Inoltre, abbiamo bisogno di una soluzione di pace e stabilità”
. Confidiamo che “il Santo Padre farà quanto è nelle sue possibilità per stabilire la pace, la fiducia tra le parti, gli ebrei e gli arabi. I musulmani e i cristiani devono preparare il futuro”, ha affermato il presule siriano.
Interpellato sull’incontro di questa settimana ad Annapolis, il Vescovo Audo ha detto:
“Non posso fare un’analisi perché non è il mio settore di competenza, ma secondo me, per quanto posso vedere, ognuno si sta muovendo per fare qualcosa”.
“In Francia, c’è stata una conferenza con tre Vescovi di Iraq, Siria e Giordania e sacerdoti della Turchia per discutere la situazione dei rifugiati iracheni. Da parte mio, sto facendo lo stesso qui a Londra”.
“Un mese fa sono stato invitato dal Mufti della Siria ad andare con lui in visita ufficiale in Germania per parlare di come è la convivenza tra musulmani e cristiani, per dare un messaggio di dialogo”.
“Abbiamo bisogno di qualcosa per evitare la violenza e il terrore”,
e la gente sta cercando vie per la pace, ha spiegato il Vescovo Audo.
“Attualmente stiamo assistendo a qualcosa di inedito in certe zone dell’Iraq. Ora ci sono alcune aree sicure. E’ un fenomeno nuovo e il Governo iracheno sta aiutando i rifugiati a tornare nelle proprie case”, ha detto.
“Di fronte all’ambasciata a Damasco si stanno organizzando dei pullman che vanno in Iraq per aiutare la gente. Per incoraggiare il ritorno si offrono 800 dollari a ogni famiglia”, ha aggiunto.
Quanto alle popolazioni cristiane, ha concluso il Vescovo Audo, in generale
“stanno ancora aspettando, e questo è un fatto nuovo. Vogliono essere certi che sia sicuro”.
[Traduzione di Roberta Sciamplicotti]

Syrian Bishop Asks for Help With Iraqis.Says Displaced Hold Fast to Identity as Chaldean Christians

Source: Zenit

Displaced Iraqi Christians are doing what they can to hold on to their identity, and the Chaldean Church is a big help, says the bishop of Aleppo, in northern Syria. But, he says, more help is needed. Jesuit Bishop Antoine Audo of Aleppo, a member of the Pontifical Council for Interreligious Dialogue, is visiting London to appeal for assistance to Iraqi Christian refugees now living in Syria. His visit is sponsored by
Iraqi Christians in Need, an aid organization established earlier this year to provide Christians with basic resources. Some 44% of asylum seekers in Syria are Christian, reported the United Nations' refugee agency, which has been registering refugees since 2003. Bishop Audo, of Syria's Chaldean Catholic community, spoke with ZENIT about the Christian refugees' situation. "In Syria, we have a big number of Iraqis of all denominations. There are around 1.2 million Iraqis in Syria, with 60,000 Christians, mostly Chaldeans. Though these people have lost everything, they have the Church and something of their identity as Chaldeans," Bishop Audo explained. "Celebrating the liturgy in the Chaldean language expresses their identity. The Church has an important role to play especially to help the families and to provide a sense of dignity."

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Violent motivation
Bishop Audo, outlining three reasons why Christians are targeted, said: "First, they are a weak group, without much self-defense. They are easily attacked for money. There is a new economy in Iraq, and attacking Christians is a new way to get money." This can be seen with all the kidnappings in the country, the bishop explained. The abductions happen "not only to Christians, but to rich people from the Muslim populations. But if one can get more money for a priest or bishop, then they will do it," said the 61-year-old prelate. "Second," Bishop Audo continued, "the aggressors identify Christians with the Americans; the Americans are occupying the country, so to express their hate and opposition, they attack Christians." "Third," he said, "there is historical aggression against Christians. In this, some fanatics act aggressively against Christians" while using the other reasons as an excuse.
Further assistance
What we need in Syria, Bishop Audo said, is "more professionalism in helping. Caritas is doing a lot in organizing the help, but people are suffering. We need professionals who can listen, to give counseling."
"Second, we need a solution of peace, and stability,"
said the Syrian prelate. We trust "the Holy Father to do what he can to establish peace, to establish confidence between the counties, the Jews and the Arabs. The Muslims and Christians must prepare the future." Asked about this week's meeting in Annapolis, Maryland, Bishop Audo said: "I cannot give an analysis because it is not my area of expertise, but my feeling is that everyone is moving to do something, from what I am seeing." In France, there was a conference with three bishops from Iraq, Syria, Jordan, and priests from Turkey to discuss the situation of Iraqi refugees. I am doing the same here in London. "A month ago I was invited by the mufti of Syria to go with him on an official visit to Germany to express our way of living between Muslims and Christians, to give a message of dialogue." "We need something to avoid violence and terror," and people are looking to find ways to peace, Bishop Audo explained. Something newBishop Audo did report that "we are seeing something new in parts of Iraq.""There are now some safe areas," he said. "This is a new phenomenon and the Iraqi government is helping the refugees return to their homes. They are organizing bus trips back to Iraq in front of the embassy in Damascus to help people. And $800 is offered to each family to encourage them to return."As for the Christian populations, Bishop Audo concluded, "Generally, the Christians are still waiting; this a new thing. They want to be sure that it is safe."

29 novembre 2007

Diario di un Concistoro. Roma 24/26 novembre 2007

By Baghdadhope

Sabato 24 novembre 2007
Nonostante le previsioni il cielo a Roma, almeno a quest’ora del mattino, sembra voler risparmiare la pioggia annunciata ai pellegrini arrivati da tutto il mondo per il secondo Concistoro dell’era di Benedetto XVI. Alle 8.00 le file alle tre entrate in Piazza San Pietro sono già lunghissime. Un gruppo di donne canta l’Ave Maria, un altro di polacchi ne comprende alcuni vestiti con un abito tradizionale che li fa somigliare a pastori sardi non fosse per l’effige di Papa Giovanni Paolo II riprodotta sulla medaglia appesa al collo di ognuno. Alle 8,30 i varchi vengono aperti e tutti i pellegrini sono obbligati a passare al controllo dei metal detectors, le bandiere sventolano per tenere uniti i gruppi, gli incaricati del Vaticano chiedono, in italiano ed in inglese, di mostrare ai poliziotti i biglietti d’ingresso anche se, ne siamo testimoni, sono molti i fedeli che sono entrati sprovvisti di biglietto nella speranza di riuscire comunque a passare. Bianchi, azzurri, arancioni e verdi. Questi sono i colori dei biglietti. In possesso di uno arancione, contraddistinto dalla scritta: “Reparto speciale” veniamo indirizzati verso la navata centrale al cui termine solerti funzionari ci indirizzano verso i posti alla destra dell’altare. Le nostre richieste di poter raggiungere il gruppo di iracheni già sistemati nell’ala destra viene respinta con cortese fermezza. Siamo in cinque ma, come tutti, occupiamo qualche posto in più nella certezza che prima o poi spunterà un caldeo in ritardo da sistemare e nel giro di mezz’ora, infatti, i posti sono tutti occupati.
Il brusio nella Basilica è incessante mentre la zona davanti all’altare inizia progressivamente a colorarsi della porpora dei cardinali e dal viola dei vescovi. Ma la luce è ancora fioca e quella del sole che dovrebbe entrare dai finestroni del “Cupolone” è ormai nascosta dalle nuvole.
Alle 10.30 però tutto cambia e la Basilica viene illuminata a giorno tanto da rendere inutili i flash delle migliaia di macchine fotografiche. Benedetto XVI, vestito con un piviale di seta dorata avanza lento. E lentamente procede la cerimonia interamente celebrata in latino.
“.. intrepidi testimoni di Cristo e del suo Vangelo nella Città di Roma e nelle regioni più lontane.” Sono queste le parole che Benedetto XVI usa per descrivere “questi nostri fratelli” nuovi “Cardinali di Santa Romana Chiesa” che vengono poi elencati in ordine di nomina insieme all’Ordine Presbiteriale o Diaconale al quale vengono assegnati.
Dei 23 nuovi “Principi della Chiesa” il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Emanuel III Delly, è diciannovesimo nella lista e primo dei “non elettori” quei Cardinali cioè che, avendo superato gli 80 anni, non partecipano ai conclavi elettivi (Motu Proprio di Papa Paolo VI, Ingravescentem aetatem, 1970 ) e secondo quanto disposto sempre da Paolo VI nel 1965 con il Motu Proprio Ad Porpuratorum Patrum non hanno diritto, proprio in quanto Patriarchi di Rito Orientale e non appartenenti al clero di Roma, a titoli o diaconie.

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All’udire il nome del Patriarca caldeo gli iracheni presenti nella Basilica liberano un caloroso applauso e le donne emettono il tipico urlo beduino che nelle regioni mediorientali sottolinea i momenti di festa.
Ad indirizzare al Pontefice il discorso di omaggio e gratitudine è il primo dei nuovi cardinali, Monsignor Leonardo Sandri, Arcivescovo di Cittanova e Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, che dedica
“una menzione speciale (alla) scelta di un venerato rappresentante delle Chiese orientali cattoliche, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, trovato a svolgere il servizio patriarcale tra lacrime e sangue e nel doloroso esodo di tanti cristiani dalla terra che vide un tempo partire Abramo, padre comune nella fede e nella speranza, una terra che fu tra le prime ad avere la grazia di udire l’annuncio del Santo Vangelo.”
Se l’udire il nome del Patriarca Caldeo aveva suscitato entusiasmo tra gli iracheni presenti la menzione di Abramo rende l’applauso ancora più caldo. Agli iracheni cristiani che sono e si sentono eredi della cristianità delle origini e ne vanno giustamente fieri si aggiunge infatti quello di molti fedeli che sembrano aver ricordato ora le notizie che in questi anni hanno segnato le tappe della sofferenza di quei loro fratelli lontani: chiese distrutte, sacerdoti rapiti ed uccisi, famiglie costrette a fuggire dalle proprie case ed a divenire profughe nel proprio paese o all’estero.
Ma è l’omelia di Benedetto XVI che suscita vera commozione e gli applausi diventano lacrime trattenute negli occhi di molti. “Penso ora con affetto alle comunità affidate alle vostre cure” dice Benedetto XVI indirizzandosi ai nuovi cardinali “ed in maniera speciale a quelle più provate dalla sofferenza, da sfide e da difficoltà di vario genere. Tra queste, come non volgere lo sguardo con apprensione ed affetto, in questo momento di gioia , alle care comunità cristiane che si trovano in Iraq? Questi nostri fratelli e sorelle nella fede sperimentano nella propria carne le conseguenze drammatiche di un perdurante conflitto e vivono al presente in una quanto mai fragile e delicata situazione politica. Chiamando ad entrare nel Collegio dei cardinali il patriarca della Chiesa Caldea ho inteso esprimere in modo concreto la mia vicinanza spirituale ed il mio affetto per quelle popolazioni. Vogliamo insieme, cari e venerati fratelli, riaffermare la solidarietà della Chiesa intera verso i cristiani di quella amata terra ed invitare ad invocare Dio misericordioso, per tutti i popoli coinvolti, l’avvento dell’auspicata riconciliazione e della pace.”
Dopo l’omelia la cerimonia continua fino ad arrivare al momento da tutti atteso: l’imposizione della berretta cardinalizia che ogni cardinale riceve inginocchiandosi davanti al Papa con cui scambia l’abbraccio di pace. Con passo fermo i più giovani, lentamente i più anziani, i neo cardinali salgono le scale che conducono dal Pontefice negli applausi di chi li ha accompagnati dalle proprie città o paesi in questa giornata di festa e che, contrariamente a quanto ho letto su
La Stampa,
che parla di cinque (5) persone, sono tante anche per Mar Emmanuel: una delegazione formata da 8 vescovi, una ventina di sacerdoti, almeno 200 fedeli provenienti da Iraq, Francia, Germania, Svezia, Stati Uniti, Canada ed Australia e rappresentanti sia del governo iracheno che di quello regionale curdo.
Nell’ala dove ci troviamo la folla, che fino a quel momento si è alzata e seduta a proprio piacimento, segue una regola non stabilita ma giusta. Ad alzarsi per fotografare, filmare o semplicemente ad applaudire sono di volta in volta i sostenitori di questo o quel cardinale. Ciò permette anche a me di poter filmare Mar Emmanuel mentre riceve la berretta che è diversa da quella degli altri cardinali a sottolineare la sua appartenenza ad una chiesa di rito orientale: un tamburello rosso bordato di nero sulla sommità.
Al momento di alzarsi il neo cardinale iracheno ci regala anche un attimo di suspense: sembra infatti non farcela, ma viene prontamente aiutato e lentamente lascia l’altare verso la navata sinistra.
Dopo la consegna della berretta la cerimonia prosegue con la preghiera universale che dispiace non preveda neanche una parte in arabo. Alla luce delle dichiarazioni di orgoglio nazionale espresse ufficialmente dal governo centrale iracheno che si è detto felice della nomina del primo cardinale nella storia del paese, infatti, ed ipotizzando che spezzoni della cerimonia verranno trasmessi e riportati dai media di lingua araba, proprio l’uso della stessa lingua avrebbe rimarcato l’importanza ed il peso della nomina. Magari si sarebbe potuto scegliere la parte della preghiera che invece è stata letta in tedesco: “Per i capi delle nazioni e per coloro che le governano: affinché sappiano realizzare concretamente le attese di libertà, di giustizia, di pace e di solidarietà che sono nel cuore di tutti i popoli.” Si sarebbe in questo modo sottolineato l’importanza che la Chiesa da’ a tali valori che sono anche quelli che lo stesso governo iracheno, formato nella sua quasi totalità da fedeli islamici, dichiara di voler seguire ma che faticano a trovare applicazione pratica, una cosa che gli iracheni cristiani, come ha detto il Papa nell’omelia, ben sanno.
La celebrazione termina con la benedizione papale ed il congedo del Diacono. La folla inizia a scemare verso le porte della Basilica che sono però ancora chiuse. Si attende nella luce di nuovo fioca e davanti a noi, sopra un mare di teste, brilla la cappella della Pietà di Michelangelo che però sfortunatamente non possiamo ammirare.
Finalmente le porte si aprono e la piazza ed il cielo grigio ci attendono. La confusione regna. I gruppi e le persone si cercano, i cellulari squillano, le bandiere sventolano. Proprio davanti all’obelisco due bandiere irachene ci fanno da guida. Sono grandi e belle ma, noto, quelle, come la maggior parte delle altre, non hanno la scritta “Allah Akbar”come a voler sottolineare la specificità non araba e non islamica dei proprietari. Una presa di posizione che contrasta con le parole del Cardinale Delly che proprio ieri durante la conferenza stampa è tornato a sottolineare come non ci sia una persecuzione dei cristiani in Iraq che soffrono della stessa violenza di cui sono vittime i “fratelli musulmani” attribuendo le sue dichiarazioni contrarie risalenti allo scorso maggio alla specificità del momento anche se, per dovere di cronaca esse erano precedenti all’episodio più efferato di cui la comunità cristiana irachena è stata vittima: l’uccisione a sangue freddo di un sacerdote, Padre Ragheed Ganni, e di tre diaconi senza neanche la “giustificazione “ di un rapimento.
In ogni caso, con scritta o senza scritta, le bandiere irachene aumentano e convergono verso il lato destro della piazza dove accompagnati da canti e grida delle donne alcuni iracheni esprimono la loro felicità con una danza improvvisata. Vengono da tanti paesi quegli iracheni. I paesi dove sono emigrati già molti anni fa e dove si sono rifatti una vita con lavoro e sacrificio, ripagato ora da questo viaggio che è sì celebrazione me anche pellegrinaggio e vacanza: in fondo siamo a Roma!
Dopo circa mezz’ora una certa agitazione segnala l’arrivo del neo cardinale scortato da uno dei suoi vicari, Monsignor Shleimun Warduni, dal Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede, Monsignor Philip Najim e da Mr. Yousef Aziz, segretario personale di Sarkis Aghajan, il Ministro delle Finanze del Governo Regionale Curdo che, non fanno altro che ripetere tutti, tanto ha fatto per gli iracheni cristiani che sono fuggiti nel nord.
A decine le persone si stringono attorno al nuovo cardinale formando un muro invalicabile che mi permette di scattare solo una foto: quella della famosa nuova berretta!
Mi allontano pensando che a volte un qualche centimetro in più non ci starebbe male ed a questo punto non so se a far scomparire quel muro sia l’andar via del Cardinale o il tempo.
Comincia piano infatti, ma nel giro di pochi minuti la pioggia diventa violenta. A centinaia i fedeli ancora in piazza si radunano sotto il colonnato che, alto com’è ferma solo in parte l’acqua. Tra i capannelli che si formano nella parte occupata dagli iracheni che finalmente si sono riuniti arrivano i vescovi. C’è Monsignor Warduni, vescovo vicario di Baghdad, Monsignor Jibrail Kassab, vescovo dell’Australia e della Nuova Zelanda, i due vescovi dell’Iran, Monsignor Ramzi Garmou da Teheran e Monsignor Thomas Meran da Urmia, Monsignor Ibrahim Ibrahim, vescovo di Detroit, Monsignor Faraj P. Rahho, vescovo di Mosul e Monsignor Hanna Zora, vescovo del Canada.
Cosa si fa? I gruppi si dividono per il pranzo ma la parola d’ordine è una sola: oggi pomeriggio tutti alla Porta di Bronzo a San Pietro per le visite ai cardinali, quelle che una volta si chiamavano “visite di calore” previste dalle 16.30 alle 18.30.
Alle 16,00 la fila inizia già da Porta Sant’Anna. A balzi si procede verso il primo controllo di polizia e si esce in piazza per constatare che è già piena. Un procedere relativamente veloce mi fa illudere, ma la mia speranza si esaurisce ad un passo dal colonnato dove tutto si ferma per un’ora.
C’è tempo per guardarsi intorno. Attorno a me un gruppo di sacerdoti e suore francesi che indossano dei pesanti mantelli di lana nera che sprigionano calore solo a guardarli, degli spagnoli e dei tedeschi, due amiche italiane che approfittano per raccontarsi con dovizia di particolari i propri figli, un indiano con il turbante tipico degli indù che continua a guardare male chiunque senza volerlo lo sfiora. Approfitto dell’attesa per chiamare qualcuno e scoprire che un gruppo ha già passato il secondo posto di controllo ma che è ancora in attesa sotto il colonnato. Alle 17.00, mezz’ora dopo l’apertura della Porta di Bronzo, ci si comincia ad agitare a vedere ancora tutto fermo. La disorganizzazione appare già evidente. Al di là delle transenne che bloccano gli accesi tra le colonne i poliziotti sono irremovibili con chi cerca di entrare accampando una qualsiasi motivazione, ora un bambino in passeggino, ora un anziano, non fosse che gli stessi poliziotti spariscono quando, prima una e poi un’altra, alcune persone capiscono che il modo migliore per entrare è proprio solo spingere quelle stesse invalicabili transenne. Nella folla, come è chiaro dai discorsi che pur non volendo arrivano alle orecchie, ci sono quelli che devono incontrare i cardinali e quelli che devono entrare in basilica, e solo una misteriosa logica vaticana a noi ignota fa sì che migliaia di persone dirette in due luoghi diversi debbano fare la fila insieme all’unica entrata. Mi guardo intorno e mi consolo: Monsignor Hanna Zora ed il gruppo di iracheni dal Canada sono circa duecento persone dopo di me. Ma no, improvvisamente alla mia destra i poliziotti rimuovono una transenna tra due colonne ed il gruppo riesce ad entrare sotto il colonnato mentre noi, già sulle scale, rimaniamo bloccati.
Dopo circa un quarto d’ora la situazione appare sbloccarsi: metal detector e via, di nuovo in fila!
Il nervosismo è ormai palpabile. Sono le 17.30 e la Porta di Bronzo neanche si vede. Arrabbiati come siamo tutti blocchiamo delle suore che, quatte quatte, cercano di saltare la fila. Sono americane e vorrebbero raggiungere i sacerdoti che sono proprio lì davanti. La fortuna, la Provvidenza e la pietà umana a questo punto però non le aiutano ed in diverse lingue si eleva la stessa protesta: Ferme lì sorelle, la fila non si salta!
A fianco a me due ragazze, anch’esse americane, approfittano per ripassare la lezione di italiano: siamo ai pronomi dimostrativi, mentre delle ragazzine italiane fanno quello fanno le ragazzine alla loro età: gridano, ridono e mandano messaggini alle amiche ormai perse tra la folla. Ormai in dirittura d’arrivo vedo i poliziotti che regolano l’accesso e che respingono la richiesta di due loro colleghi che in borghese provano a passare prima mostrando i tesserini.
Proprio prima di passare vedo che un signore davanti a me ha in mano un foglio e sta dicendo che il cardinale X riceverà i suoi ospiti nella sala Y. In questo caos derogo sulla buona educazione e provo a sbirciare: in quale sala sarà Delly? Non faccio in tempo però a vedere nulla che i poliziotti ci fanno entrare. Lo scalone al di là della Porta di Bronzo del Palazzo Apostolico è lunghissimo, a destra e sinistra a bloccare l’accesso le guardie svizzere che vengono assalite con la stessa richiesta: dov’è il cardinale X? Impassibili e gentili i giovani elvetici con perentorio gesto della mano invitano tutti a continuare a salire. Facendolo rivedo il signore della lista e lo placco: dov’è Delly? Gentile controlla e mi dice: Sala delle Benedizioni. Ma dove diavolo avrà trovato quella lista?
Si sale ancora una doppia rampa di scale superando una colorata e numerosa delegazione senegalese che avanza dietro un’enorme bandiera e si arriva in una sala splendidamente affrescata. In realtà la prima cosa che si vede entrandovi non sono gli affreschi ma altre due gigantesche guardie svizzere che hanno il compito di smistare il pubblico verso le diverse sale. Delly? Sala delle Benedizioni. A destra in fondo. Stringato ma efficente lo svizzero! Eccola. Un’ultima rampa e ci sono. Ad alzare gli occhi si capisce che per apprezzare tanta bellezza ci vorrebbero anni, non fosse altro che per gli enormi finestroni che affacciano direttamente su Piazza San Pietro. Ma non c’è tempo. Nella sala ci sono ben sette cardinali e si deve proseguire zigzagando tra le file che la tagliano in senso trasversale. Mar Emmanuel è invisibile ma se ne intuisce la presenza dalle persone che affollano il fondo della sala. Mi metto ordinatamente in fila e, come sempre succede in questi casi, c'è chi mi rivolge la parola in arabo. Scambiamo due chiacchiere sul caldo e la folla mentre ci guardiamo in giro per il solito gioco del “chi c’è.” Riconosco alcuni vescovi, molti sacerdoti, la madre superiore delle suore caldee di Roma, Mr. Abdallah Naufali, che come responsabile dell’ufficio per gli affari dei non musulmani è uno dei rappresentanti del governo iracheno, la Signora Wijdam Michael, ministro dei diritti umani dello stesso governo e Mr. Yonadam Kanna, segretario generale del’Assyrian Democratic Movement ed unico cristiano nel parlamento eletto nel 2005. Il solito muro di gente si dissolve davanti a noi e possiamo vedere il cardinale che, seduto, riceve le congratulazioni dei suoi ospiti mentre il suo vicario, Monsignor Warduni ed il Procuratore presso la Santa Sede, Monsignor Philip Najim, gli suggeriscono, quando necessario, qualcosa su chi lo saluta. Dietro Mar Delly, quasi a ribadire lo stretto legame tra la chiesa ed il Governo Regionale Curdo, Mr. Yousef Aziz, lo stesso che al mattino lo aveva accompagnato in piazza dopo la cerimonia, questa volta però con una onorificenza appuntata alla giacca. L’avrà ricevuta tempo fa o oggi? Mmah!
Terminato il saluto non rimane che compiere a ritroso il percorso ed uscire nella sera calda ed umida di Roma dopola pioggia. Ora basta cerimonie. Ne riparleremo domani.

Domenica 25 novembre 2007
Ore 8.30. Solita fila e trafila. Navata sinistra però oggi. A Sua Eminenza Mar Emmanuel III Delly viene concessa una posizione privilegiata: non solo è il primo a ricevere l’anello cardinalizio “segno di dignità, di sollecitudine pastorale e di più salda comunione con la Sede di Pietro” quanto è anche il primo tra i due concelebranti che recitano in latino la preghiera per la Chiesa universale ed i suoi pastori. A differenza di ieri però alla preghiera dei fedeli gli spettatori possono udire la lingua araba da un sacerdote libanese che legge: “Concedi, Signore, che il tuo Regno di vita diventi per tutti autentica esperienza di comunione e le comunità familiari e religiose ricerchino sempre le vie della riconciliazione.”
La Santa Messa e la cerimonia, per quanto accompagnate dai canti della Schola Cantorum, sono oggi più brevi perchè si devono rispettare i tempi televisivi dell’Angelus domenicale che il Papa pronuncia non dalla finestra ma dal colonnato centrale facendo un lungo riferimento alla prossima riunione di Annapolis sul Medio Oriente.

Lunedì 26 novembre 2007
Alle 11.30, nell’Aula Paolo VI, da tutti conosciuta come “Sala Nervi” dal nome del famoso architetto italiano che l’ha progettata, Papa Benedetto XVI rivolge un saluto ai nuovi cardinali ed alle 8.000 persone presenti e Mar Delly, seduto alla testa della prima fila davanti ed a sinistra del Pontefice, è il primo a ricevere il suo fraterno abbraccio.
Al pomeriggio un altro evento importante: alle 16.30 nella chiesa di Santa Maria alla Traspontina di Via della Conciliazione, il neo cardinale presiede una toccante cerimonia secondo il rito caldeo. Presenti, oltre a circa un centinaio di fedeli, alcune suore delle Figlie dell’Immacolata Concezione e del Sacro Cuore, i vescovi Ibrahim Ibrahim, Ramzi Garmou, Hanna Zora e Jibrail Kassab come concelebranti e Faraj Rahho tra i fedeli, ed il coro formato dai seminaristi e guidati da un diacono.
E' con la musicalità della lingua di Gesù che si concludono quindi i tre giorni di celebrazioni dedicati al primo cardinale della chiesa caldea. Giorni che hanno visto anche incontri formali ed informali, persone riunirsi dopo lunghe separazioni forzate, racconti di eventi tragici ma anche voglia di vivere in modo normale. Resta solo da vedere se tale nomina avrà un qualche riflesso sulla vita della comunità irachena cristiana, e se sì, quale. Servirà a migliorarne le sorti in quanto, come molti hanno detto, è un segno di rispetto ed onore per l'Iraq intero o, al contrario, un tale riconoscimento verrà interpretato come una sorta di "protettorato occidentale" di ottomana memoria? Tutti si augurano che la prima ipotesi sia quella giusta e che davvero gli iracheni di fede cristiana possano tornare a vivere nel loro paese dal quale sono stati costretti a fuggire.

28 novembre 2007

CARDINALE MAR EMMANUEL III DELLY PATRIARCA DI BABILONIA DEI CALDEI

27 11 2007

CARDINAL EMMANUEL III DELLY PATRIARCH OF BABYLON OF THE CHALDEANS



27 11 2007

CARDINAL MAR EMMANUEL III DELLY PATRIARCHE DE BABYLONE DE CHALDEENS


CARDENAL MAR EMMANUEL III DELLY PATRIARCA DE BABILONIA DE LOS CALDEOS



26 11 2007
25 11 2007

CARDEAL EMMANUEL III DELLY PATRIARCA DA BABILONIA DOS CALDEUS

26 11 2007
22 11 2007

22 novembre 2007

Chaldean Bishop to make urgent appeal of behalf of Iraqi Christians


Bishop Antoine Audo SJ
is to visit London to call for urgent assistance for Iraqi Christians who are now refugees in Syria.
Bishop Audo, who is based in Aleppo, is responsible for Syria's Chaldean Catholic community. There has been a huge rise in the Chaldean population in Syria since the US-led invasion in 2003. Next Thursday, he and Suha Rassam, author of Christianity in Iraq, will be giving a press conference at the Catholic Bishops' Conference of England and Wales in Eccleston Square.
The United Nations Refugee Agency (UNHCR) has reported that 44% of asylum seekers reaching Syria since their register started in 2003 are Christians, despite the fact that Christians form only 4% of the Iraqi population. Many families live in overcrowded conditions and have lost their livelihoods. Some rely on help from family members abroad; others meagre state rations. Before the invasion, Iraq's Christian population was estimated to be around 800,000, the majority living in Baghdad or in and around Mosul in the north. But bombings, violence, kidnappings, and threats have forced many to flee.

Click on "leggi tutto" for the article by ICN
Bishop Audo will also be delivering a lecture and taking questions at the Centre for Christianity and Interreligious Dialogue, Heythrop College, Kensington Square, W8, at 2pm on Wednesday, 28 November. That evening, he will be speaking at the 6pm Mass at the Church of the Immaculate Conception, Farm Street, W1. Bishop Audo will be a guest of Iraqi Christians in Need (ICIN), which was set up earlier this year to provide Christians with money for food, medicine and education. Bishop Audo was born in Aleppo in 1946 and entered the Society of Jesus in 1969. He was ordained a priest in 1979. He commenced his academic formation with a licence de lettres arabes from the University of Damascus in 1972, followed by a doctorate in contemporary Muslim political thought at the Sorbonne University, Paris in 1979. He completed his philosophical and theological formation with biblical studies at the Pontifical Biblical Institute in Rome, and was for a time professor in biblical exegesis at University of Saint Joseph, Kaslik, Lebanon. In 1992 he was ordained Bishop of Aleppo. On 8 March 2007 Pope Benedict XVI appointed a member of the Pontifical Council for Interreligious Dialogue.

20 novembre 2007

Christians leaving Basra despite decades of co-existence

Source: Voices of Iraq

"From the tens of thousands of Christian families that used to live in Basra before 2003, only about five hundred remain in the southern city with their eyes on assistance coming from relatives living abroad," Sami Basheer, a Christian from Basra said.
Basra, a predominantly Shiite city in southern Iraq, once a secular city that dealt with people of all religious affiliation with tolerance, has since the U.S.-led invasion of Iraq in March 2003 become a conservative society with Muslim extremists. "The civic lifestyle in Basra has retreated into a more conservative one, mainly imposed on the society by the Muslim extremists," Amir Shaaya, a Christian, told the independent news agency Voices of Iraq Christians, most from the early Assyrian sect and Catholic Chaldean churches, immigrated from northern Iraqi mountainous villages to Ninewa, Baghdad, and Basra during the Ottoman reign. Although some challenged the percentage, Basra police chief Major General Abdul Jaleel Khalaf said in early November 2007, "more than 50% of Basra Christians have left the city."

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Christians began leaving Iraq before 2003, based mainly on economic reasons, and in small numbers. The uncertain future in post-war Iraq forced large part of the world's oldest Christian communities to abandon their homes. Shaaya, the only Christian teacher left at Ashar Prepatory Teachers' Institute, added “Our numbers have started to seriously decrease during the 12 years of sanctions from 1991-2003. Previously, hundreds of Iraqi Christian soldiers were killed in the Iraqi – Iranian eight year war.""Large numbers of Christian families immigrated to the U.S., Australia and Canada, while some returned to the birthplaces of their ancestors in Mosul, northern Iraq," he added. While Iraqi laws banned Muslims from owning alcoholic drinks shops, many Christians have been involved in the business for quite some time. Christians, who once made up some 3 percent of Iraq's population of about 25 million, shrank in numbers after attacks on purveyors of alcohol and music had already rattled Iraq's tiny Christian community. "Not all the Christians are barmen, or wine shopkeepers, a lot of them were doctors, engineers, technicians, and victims of wars orchestrated by generals and idiot politicians!" Amir Azzo, a Christian, said in a rejecting tone. In Basra, Muslims and Christians lived together in peace for decades leading to an undeclared pact of co-existence. Dr. Nabeel Edward, an anthropologist, who was formerly a citizen of Basra and now a resident of Stutgart , Germany, revives some of his school and neighborhood memories with Basra's Muslim families, "During the Eids , we used to take part in their religious celebrations. At school, if there was a Muslim religious lesson, we were free to leave the class into the school open air yard or stay but many of us would prefer to stay and listen to Muslim teachings! " Some Christians, proud of their roots in their country, preferred to stay and face the difficulties also shared by their Muslim neighbors. Anees, son of the Metropolean Archbishop Michael Kassab of the Assyrian Church in Ashar, told VOI "We are facing threats the same way as Muslims would be. We are part of a society encountering threats from everywhere.""He is mistaken who thinks that immigrating Christians walk on a silk road to America, Canada, or Australia. On the contrary, so many Christians went back home escaping from the various obstacles they met in some of the neighboring countries," Anees explained adding, "We are still Iraqis, and a large number of us bear Arabic names. I am merely one example in hundreds."

Keeping Christianity alive in Iraq

Source: CNN

By Frederik Pleitgen and Saad Abedine

"Peace for all believers"
the congregation at the Sacred Heart church in Eastern Baghdad sings, as the Patriarch, Emmanuel III Delly, holds a heavy cross in his hands, his eyes closed.
Cardinal Emmanuel III says he is confident Christianity in Iraq will flourish again.
He seems focused on the hard work that lies ahead.
Pope Benedict XVI recently appointed the Patriarch of the Chaldean Church for Babylon, an ancient denomination with roots in the age of Jesus Christ, a cardinal.
Emmanuel III is the first Iraqi to be elevated to that status and will receive his ordination on November 24 in Rome.
That means somewhere down the line, Emmanuel III could become Pope.
But the task at hand now is more pressing. The Vatican has charged Emmanuel III with nothing less than keeping Christianity alive in war-torn Iraq, where thousands of Christians, most of them Chaldeans and Assyrians, have fled the country and hundreds have been killed.
Iraq's Christian Community is shrinking fast and the bloodletting becomes clear even at the Cardinal's
service at the Sacred Heart Church.
The room is only half full with those who have braved the danger of an early morning Baghdad commute to pray for peace for their fellow Christians, for Iraq, and for the entire world.
Some of them were in tears as they sang songs of hope in this time of despair.
"In the last few years there was an increase in the number of the cases of kidnapping, robbery, theft, killing, car bombs and explosive devices, and that scared so many," the cardinal told reporters at an interview at the Chaldean Church's headquarters in western Baghdad.

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The cardinal's residence is a simple bungalow structure and the visitors' room is almost bare -- a wall carpet depicting Jesus Christ on the cross is practically the only decoration.
"A gift from Iran," the Cardinal's assistant says with a smile as we wait for Emmanuel III to arrive.
The 80-year-old cardinal is only about 1.6 meters (5ft 3in) tall, and his body seems frail as he moves slowly across the room, but his eyes are wide-awake and penetrating as he gleams through his large gold-framed glasses.
Right from the start he makes it clear, this won't be an interview about Christian hardship in Iraq alone.
"In reality this is a question I don't like very much and I know journalists always ask me that question," he says, a little uneasy.
"What's happening to the Christian is happening to the Muslims as well."
Emmanuel III was born in 1927 in the tiny village Talkif near Mosul in Northern Iraq, where Christians have been practicing their religion for around 2,000 years and some still speak Aramaic, the language of Jesus.
"The Christians are natives to this country," the Cardinal says. "Our civilization has been deeply rooted in this country for thousands of years."
In 1946, he went to Rome to study religion. The Italian capital lay in ruins and Delly recalls seeing the destruction caused by World War II, and the human suffering, first hand.
It was during his time in Italy that two of his life's guiding principles evolved: His distaste for war and his deep commitment to dialogue between Christians and Muslims.
Delly wrote his PhD thesis on the relationship between Catholicism and Islam, discussing, "the existence of God according to Abu Nasr Al-Farabi," a Muslim philosopher.
"We are brothers and we have been living together for 14 centuries, all of us need to work together to advance the Iraqi family," Cardinal Delly says, but he realizes things aren't that simple in today's Iraq.
"Even an earthworm, if touched, will cringe fearing it will get hurt," he says in a serious voice as he talks about the thousands of Christians who have fled their homes since Saddam Hussein's regime was toppled in 2003.
At least some of the violence in Iraq today is directed at the country's Christians. Churches have been bombed, priests kidnapped and killed.
Christianity in Iraq is in a fight for survival and Emmanuel III is trying to use his clout to make a difference.
He has lobbied Iraq's Prime Minister Nouri Al Maliki to do more to protect Christians and has held talks with influential Muslim leaders, like the powerful Shiite cleric Grand Ayatollah Ali al Sistani.
"We will do all we can so they can live a good life and enjoy freedom and we hope they will return to the motherland, but if we want them to return, we must carry out giant steps starting now," the cardinal says, moving forward in his chair to emphasize his point.
The "giant steps" the cardinal talks about do not only involve better security for the country's Christians. "We must build factories, small factories, small projects in our villages," he says, emphasizing his belief that not just faith, but prosperity will lead the country out of its current crisis.
"We need to start with a few projects in our villages in the north and south so the youth will stay, and the youth will work so they can earn their living and only then will they come back to the country."
And Cardinal Emmanuel III says he is confident Christianity in Iraq will make a comeback and flourish again.
His message is a message of hope and reconciliation, which he preaches to those at the service at the Sacred Heart Church in Eastern Baghdad. Many of those singing along have little more than hope left in their lives.


17 novembre 2007

A Vienna si discutono i rapporti tra Chiesa d'Oriente ed Islam

Iniziati il 14 novembre all’università di Salisburgo i tre giorni di incontri organizzati dalla Fondazione Pro Oriente austriaca sul tema “Le Chiese di lingua siriaca e l’Islam”. Alle riunione partecipano studiosi provenienti da Libano, Siria, Iraq, Turchia, Israele, India, Germania, Olanda, Francia e Stati Uniti.
La conferenza si è aperta al mattino alla presenza di 17 partecipanti tra cui i vescovi siro-ortodossi di Aleppo (Siria) Mor Gregorious Yohanna Ibrahim, Mardin (Turchia) Mor Philexinos Saliba Özmen, Mor Kuriakose Theophilos (Diocesi Malankarese d’Europa), Monsignor Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), l'Arcivescovo Mikhail Jamil, Procuratore per il Patriarcato dei Siri di Antiochia presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico in Europa, Padre Karim Rizk, monaco maronita e direttore del dipartimento di storia dell’università maronita Saint Esprit Kaslik (Libano), Monsignor Joseph Boitel (Kerala- India), ed esperti provenienti dalla Francia, dalla Germania e dall’Olanda.
Nella stessa giornata Mor Gregorious Yohanna Ibrahim, Monsignor Louis Sako, e Padre Karim Rizk hanno illustrato la particolare situazione delle comunità cristiane e dei loro rapporti con l’Islam nei tre rispettivi paesi di provenienza.
Al pomeriggio del 14 novembre la riunione, presieduta da Monsignor Boitel, ha visto gli interventi di Mor Gregorious Yohanna Ibrahim “La Chiesa Siriaca durante il califfato Ommayade” e del Professor Dietmar Winkler dell'Università di SAlisburgo.
Al mattino del 15 novembre relazioni di Padre George Houshaba “Il contributo dei Cristiani nella Mesopotamia dell’Era Abbaside” e del Professore olandese Herman Noëlie “Rinascimento Siriaco”.
La sessione pomeridiana ha visto invece le relazioni di Monsignor Mikhail Jamil: “Lo status dei cristiani nel periodo ottomano” e del professore tedesco Martin Tamcke: “La Chiesa Siriaca nel periodo Ottomano”

16 novembre 2007

Parlamento Europeo: Garantire la sicurezza delle comunità cristiane e la libertà di culto

Fonte: Parlamento Europeo

Il Parlamento condanna tutti gli atti di violenza contro le comunità cristiane nel mondo. Chiede quindi ai paesi interessati di fornire garanzie adeguate e effettive nel campo della libertà di religione e di migliorare la sicurezza delle comunità cristiane. Appoggiando il dialogo interreligioso, invita le autorità religiose a promuovere la tolleranza e ad agire contro l'estremismo. La situazione dei cristiani, inoltre, deve essere tenuta in conto dall'UE nella sua politica estera e di sviluppo.

Approvando con due soli voti contrari e un astenuto (i due voti contrari sono dei Verdi Hélène Flautre (francese) e Raul Romeva i Rueda (spagnolo), l'astensione è della deputata portoghese socialista (PSE) Ana Maria Gomes)* una risoluzione comune promossa da Mario Mauro (PPE/DE, IT) e sostenuta da tutti i gruppi (eccetto i Verdi/ALE), il Parlamento «condanna risolutamente tutti gli atti di violenza contro comunità cristiane, ovunque essi si verifichino, ed esorta i governi interessati a tradurre in giudizio gli autori di tali reati». In proposito, elenca tutti i recenti casi di persecuzione e violenza subiti dai cristiani in Pakistan, a Gaza, in Turchia, in Cina, in Vietnam, in Sudan, in Iraq e in Siria. A quest'ultimo proposito, esprime anche preoccupazione per l'esodo di cristiani dall'Iraq e sottolinea che il 24% dei 38.000 iracheni registrati dall'UNHACR in Siria erano cristiani, mentre la gran parte dei due milioni di sfollati in Siria appartiene a minoranze cristiane. Deplora inoltre il rapimento nelle Filippine del sacerdote cattolico Giancarlo Bossi. Il Parlamento sottolinea che, in alcuni casi, la situazione delle comunità cristiane è tale «da compromettere la loro sopravvivenza» e che, qualora esse scomparissero, «una parte significativa del patrimonio religioso dei paesi in questione andrebbe perduta». Ricordando peraltro di essersi espresso a più riprese a favore delle comunità religiose e della tutela delle loro identità, ovunque nel mondo, così come a favore del riconoscimento della protezione delle minoranze religiose, senza distinzioni di sorta, condanna fermamente tutte le forme di discriminazione e intolleranza basate sulla religione o il credo, come pure gli atti di violenza contro tutte le comunità religiose. Esorta quindi i paesi interessati a far sì che il loro ordinamento giuridico e costituzionale offra «garanzie adeguate ed effettive» per quanto riguarda la libertà di religione o di credo, nonché vie di ricorso per le vittime in caso di violazione di questa libertà. Sottolinea infatti che il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione «è un diritto umano fondamentale garantito da vari strumenti giuridici internazionali». Il Parlamento sollecita pertanto i governi dei paesi interessati a migliorare la sicurezza delle comunità cristiane e sottolinea che le autorità pubbliche «hanno il dovere di tutelare tutte le comunità religiose, incluse quelle cristiane, dalla discriminazione e dalla repressione». Raccomanda poi che le sue commissioni competenti esaminino la situazione delle comunità cristiane, «in particolare in Medio Oriente». Appoggia peraltro «risolutamente» tutte le iniziative volte a incoraggiare il dialogo e il rispetto reciproco tra le religioni. Invita pertanto tutte le autorità religiose a promuovere la tolleranza e a prendere iniziative contro l'odio e la radicalizzazione violenta ed estremista. Commissione e Consiglio sono inoltre invitati a sollevare la questione della situazione delle comunità cristiane nel quadro del dialogo politico con i paesi in cui tali comunità sono minacciate, «promuovendo un impegno strategico da parte dei paesi in questione sulla base delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani». E a prestare particolare attenzione a tale questione nell'elaborazione ed implementazione di programmi di cooperazione ed aiuto allo sviluppo con quegli stessi paesi.
* Fonte Federico Rossetto. Addetto Stampa Commissione Parlamentare Petizioni

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Risoluzione del Parlamento europeo del 15 settembre 2007 su gravi episodi che mettono a repentaglio l'esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose
Il Parlamento europeo ,
– visto l'articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (UDHR), del 1948,
– visto l'articolo 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (ECHR), del 1950,
– visto l'articolo 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), del 1966,
– vista la dichiarazione delle Nazioni unite sull'eliminazione di ogni forma di intolleranza e di discriminazione fondata sulla religione e sul credo, del 1981,
– visti i documenti elaborati dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di credo, in particolare quelli dell'8 marzo 2007, del 20 luglio 2007 e del 20 agosto 2007,
– viste le sue relazioni annuali sulla situazione dei diritti umani nel mondo e le sue precedenti risoluzioni sulle minoranze religiose nel mondo,
– viste le sue risoluzioni del 25 ottobre 2007 sul Pakistan
(1) e sull'Iran(2) ,
– vista la sua risoluzione del 28 aprile 2005 sulla relazione annuale sui diritti umani nel mondo nel 2004 e sulla politica dell'UE in materia
(3) ,
vista la sua risoluzione del 6 luglio 2005 sull'Unione europea e l'Iraq concernente un quadro per l'impegno(4) ,
vista la sua risoluzione del 6 aprile 2006 sull'Iraq concernente la comunità assira e la situazione nelle prigioni irachene
(5) ,
– vista la sua risoluzione del 10 maggio 2007 sulle riforme nel mondo arabo e la strategia dell'Unione europea: quale strategia per l'Unione europea?
(6) ,
– visto l'articolo 115, paragrafo 5, del suo regolamento,
A. ricordando che, nelle sue relazioni con il resto del mondo, l'Unione europea afferma e promuove i propri valori e contribuisce alla pace, al rispetto reciproco tra i popoli e alla salvaguardia dei diritti dell'uomo,
B. sottolineando che si è espresso a più riprese a favore dei diritti delle comunità religiose e della tutela della loro identità, ovunque nel mondo, così come a favore del riconoscimento e della protezione delle minoranze religiose, senza distinzioni di sorta,
C. dichiarandosi vivamente preoccupato, in tale contesto, per il moltiplicarsi di episodi di intolleranza e repressione nei confronti delle comunità cristiane, in particolare in alcuni paesi dell'Africa, dell'Asia e del Medio Oriente,
D. ricordando la sua profonda adesione ai principi della libertà di pensiero, di coscienza, di religione e di culto, ovunque nel mondo, nonché al principio della laicità dello Stato e delle sue istituzioni pubbliche; sottolineando che tali autorità hanno il compito, ovunque nel mondo, di garantire dette libertà, compresa la libertà di cambiare la propria fede religiosa,
E. sottolineando l'importanza del dialogo tra le religioni per promuovere la pace e la comprensione tra i popoli,
F. ricordando che è compito dei leader politici e religiosi, a tutti i livelli, combattere l'estremismo e promuovere il rispetto reciproco,
G. considerando che, secondo la normativa internazionale in materia di diritti umani, e in particolare secondo l'articolo 18 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti,
H. considerando che la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di credo richiama l'attenzione su situazioni preoccupanti di violazione della libertà di adottare una religione o un credo, di cambiarli o di rinunciare ad essi, oltre a segnalare numerosi casi di discriminazione e violenza tra religioni diverse, di uccisioni e di arresti arbitrari per ragioni legate alla religione o al credo,
I. considerando che anche altre categorie di persone, come i profughi, gli sfollati interni, i richiedenti asilo, i migranti, le persone private della libertà, le minoranze etniche, religiose e linguistiche e i figli di credenti subiscono sempre più di frequente violazioni del diritto alla libertà di religione o di credo; ricordando a tale proposito il principio di non-refoulement conformemente all'articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati,
J. esprimendo preoccupazione per i recenti episodi di violenza in Iraq, fra cui il rapimento di due sacerdoti cattolici, padre Pius Afas e padre Mazen Ishoa, il 14 ottobre 2007 a Mosul; l'uccisione di due cristiani assiri, Zuhair Youssef Astavo Kermles e Luay Solomon Numan, entrambi membri dell'organizzazione National Union of Bet-Nahrin , avvenuta a Mosul il 28 giugno 2007; l'uccisione di un sacerdote caldeo, padre Ragheed Ganni, e dei tre diaconi che lo assistevano, avvenuta il 3 giugno 2007 a Mosul,
K. deplorando la situazione dei villaggi assiri situati in prossimità del confine turco, come il villaggio di Kani Masi,
L. dichiarandosi preoccupato per i recenti episodi di violenza in Pakistan, fra cui l'assalto contro una chiesa cristiana il 10 ottobre 2007 a Godwinh, alla periferia di Lahore; la bomba che il 15 settembre 2005 ha seriamente danneggiato una scuola, la "Saint John Bosco Model School ", gestita dai missionari di Mill Hill nel distretto di Bannu; l'uccisione del vescovo protestante Arif Khan e di sua moglie il 29 agosto 2007 a Islamabad,
M. deplorando l'uccisione di Rami Khader Ayyad, titolare di una libreria cristiana, avvenuta il 7 ottobre 2007 a Gaza,
N. dichiarandosi profondamente addolorato per l'uccisione di due giovani copti, Wasi Sadek Ishaq e Karam Klieb Endarawis, avvenuta il 3 ottobre 2007 ad Awlad Toq Garb, in Egitto,
O. dichiarandosi inorridito per l'attacco perpetrato il 18 aprile 2007 contro la casa editrice cristiana Zirve a Malatya, in Turchia, con l'uccisione di tre cristiani, Tilmann Geske, Necati Aydin e Ugur Yuksel; ricordando la sua risoluzione del 24 ottobre 2007 sulle relazioni UE-Turchia
(7) e la sua viva condanna dell'assassinio di Hrant Dink e del sacerdote cattolico Andrea Santoro,
P. deplorando il rapimento nelle Filippine del sacerdote cattolico padre Giancarlo Bossi,
Q. sottolineando in particolare la gravità della situazione delle comunità cristiane del Sudan, i cui membri continuano ad essere oggetto della repressione delle autorità di Khartoum,
R. considerando che negli ultimi anni centinaia di famiglie assiro-cristiane che vivono nei zona di Dora, a sud di Baghdad, hanno lasciato la città a seguito di intimidazioni, minacce e violenze,
S. considerando che l'esodo dei cristiani dall'Iraq è fonte di serie preoccupazioni, come sottolinea il fatto che, nel 2006, circa il 24% dei 38.000 iracheni complessivamente registrati dall'Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) in Siria erano cristiani e che la gran parte degli sfollati interni in Iraq - che sono più di due milioni - appartiene a minoranze cristiane dirette per lo più verso la piana di Ninive,
T. sottolineando la gravità della situazione per quanto concerne la libertà religiosa nella Repubblica popolare cinese, dove le autorità continuano a reprimere qualsiasi manifestazione religiosa, soprattutto nei confronti della chiesa cattolica, molti dei cui fedeli e vescovi sono detenuti da anni e in alcuni casi sono morti in carcere,
U. sottolineando che anche in Vietnam si registra una forte repressione contro le attività della chiesa cattolica e di altre religioni, come dimostra la grave situazione in cui versano le comunità dei montagnard vietnamiti,
V. sottolineando che in alcuni casi la situazione delle comunità cristiane è tale da compromettere la loro sopravvivenza e che, qualora esse scomparissero, una parte significativa del patrimonio religioso dei paesi in questione andrebbe perduta,
1. condanna risolutamente tutti gli atti di violenza contro comunità cristiane, ovunque essi si verifichino, ed esorta i governi interessati a tradurre in giudizio gli autori di tali reati;
2. condanna fermamente tutte le forme di discriminazione e intolleranza basate sulla religione o il credo, come pure gli atti di violenza contro tutte le comunità religiose; esorta i paesi interessati a far sì che il loro ordinamento giuridico e costituzionale offra garanzie adeguate ed effettive per quanto riguarda la libertà di religione o di credo, nonché vie di ricorso per le vittime in caso di violazione della libertà di religione o di credo;
3. sottolinea che il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione è un diritto umano fondamentale garantito da vari strumenti giuridici internazionali; ribadisce nel contempo la sua profonda adesione al concetto fondamentale dell'interdipendenza dei diritti umani;
4. appoggia risolutamente tutte le iniziative volte a incoraggiare il dialogo e il rispetto reciproco tra le religioni; invita tutte le autorità religiose a promuovere la tolleranza e a prendere iniziative contro l'odio e la radicalizzazione violenta ed estremista;
5. sollecita i governi dei paesi interessati a migliorare la sicurezza delle comunità cristiane; sottolinea di conseguenza che le autorità pubbliche hanno il dovere di tutelare tutte le comunità religiose, incluse quelle cristiane, dalla discriminazione e dalla repressione;
6. invita la Commissione e il Consiglio a sollevare la questione della situazione delle comunità cristiane nel quadro del dialogo politico con i paesi in cui tali comunità sono minacciate, promuovendo un impegno strategico da parte dei paesi in questione sulla base delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani;
7. invita la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri a contribuire ulteriormente al rafforzamento dei diritti umani e dello stato di diritto attraverso gli strumenti di politica estera dell'UE;
8. chiede alla Commissione e al Consiglio di prestare particolare attenzione alla situazione delle comunità religiose, ivi comprese le comunità cristiane, in quei paesi dove sono minacciate, nel momento dell'elaborazione ed implementazione di programmi di cooperazione ed aiuto allo sviluppo con quegli stessi paesi;
9. chiede all'Unione europea e agli Stati membri di destinare maggiori fondi alle attività dell'UNHCR e agli aiuti umanitari gestiti da questa organizzazione;
10. raccomanda che le sue commissioni competenti esaminino la situazione delle comunità cristiane, in particolare in Medio Oriente;
11. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Segretario generale delle Nazioni Unite e al Consiglio per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite.





14 novembre 2007

Arcivescovo di Mosul alla MISNA: "Musulmani e cristiani vittime di comuni violenze"

Fonte: MISNA

"Metà dei cristiani di Mosul ha lasciato la città per sfuggire alle violenze; e lo stesso hanno fatto i musulmani":
lo ha detto alla MISNA monsignor Basile Georges Casmoussa, minimizzando le voci di discriminazioni religiose e inquadrando la questione in un contesto generale all'interno del quale i cristiani non sono un'eccezione. "Qui siamo tutti discriminati – ha aggiunto l'arcivescovo siro-cattolico della città che si trova 400 chilometri a nord di Baghdad – cristiani e musulmani. Da mesi due fedeli della mia diocesi sono in ostaggio di criminali che chiedono il pagamento di un riscatto, ma la stessa situazione riguarda un numero ancora maggiore di musulmani". Nei giorni scorsi, il vescovo di Erbil, Rabban al-Qas, aveva riferito di molti villaggi del Kurdistan ripopolati da cristiani provenienti dalle regioni meridionali del paese ancora teatro delle violenze della guerra. Casmoussa parlando con la MISNA e confermando la partenza di cristiani di Mosul verso il più tranquillo Kurdistan iracheno, ha detto che tra le altre destinazioni ci sono Giordania, Turchia e Siria: "Se la situazione migliorerà probabilmente una parte di loro farà ritorno". Un primo segnale positivo c'è stato: "Nelle ultime settimane – ha concluso l'arcivescovo aprendo le porte alla speranza - il governo ha preso una serie di iniziative per garantire maggiore sicurezza, chiedendo inoltre alle autorità di convincere la nostra piccola comunità cristiana a restare. Quel che io posso dire è che i cristiani andati via da Mosul lo hanno fatto per la guerra, perché non c'è lavoro, per evitare di essere rapiti da bande criminali, ma non certo per eventuali discriminazioni. A Mosul ci sono venti chiese, perché tornino a riempirsi serve molto semplicemente la pace".


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MOSUL ARCHBISHOP TO MISNA: “MUSLIMS AND CHRISTIANS VICTIMS OF SAME VIOLENCE”
“Half of the Christians of Mosul have left the city to escape the violence; as have the Muslims”, said to MISNA the Syrian-Catholic Archbishop of Mosul, Basile Georges Casmoussa, minimising rumours of religious discrimination and catagorising the situation in a general context in which Christians are not an exception. “Here we are all discriminated, Christians and Muslims alike. Two faithful of my diocese have been held hostage for months by criminals demanding a ransom, but an even greater number of Muslims are in the same situation”, added the Syrian-Catholic Archbishop of Mosul, a northern Iraqi city 400km north of Baghdad. The Bishop of Erbil, Rabban al-Qas, in the past days referred of many villages of Kurdistan repopulated by Christians from the strife-redden southern regions of the nation. In confirming to MISNA the departure of Mosul’s Christians toward the calmer Iraqi Kurdistan, Archbishop Casmoussa said that other destinations include Jordan, Turkey and Syria: “If the situation improves, most will probably return”. There has been a first positive sign: “In the past weeks the government has taken a series of measures to guarantee major security, also calling on authorities to encourage our small Christian community to remain. I assure that the Christians left Mosul due to the war, because there is no work, to avoid being abducted by criminal gangs, and certainly not due to eventual discrimination. There are twenty churches in Mosul, and for these to fill up again there must very simply be peace”, concluded the Archbishop, giving a glimpse of hope.

ARCHEVÊQUE DE MOSSOUL À MISNA: "CHRÉTIENS ET MUSULMANS VICTIMES DES MÊMES VIOLENCES"
"La moitié des chrétiens de Mossoul a quitté la ville pour fuir les violences ; et les musulmans font la même chose", a déclaré à notre agence MISNA Monseigneur Basile Georges Casmoussa, archevêque syro-catholique de Mossoul, à 400 km au nord de Bagdad, démentant ainsi les rumeurs de discriminations religieuses et plaçant le sujet dans un cadre général à l'intérieur duquel les chrétiens ne sont pas une exception. "Ici, nous sommes tous victimes de discriminations – a ajouté l'archevêque –, chrétiens et musulmans. Depuis plusieurs mois, deux fidèles de mon diocèse ont été pris en otages par des criminels qui demandent le paiement d'une rançon, mais cette même situation concerne un nombre encore plus important de musulmans". Ces jours-ci, l'évêque d'Erbil, Rabban al-Qas, avait révélé que de nombreux villages du Kurdistan avaient été repeuplés par des chrétiens en provenance des régions méridionales du pays où sévissent encore les violences de la guerre. Confirmant le départ des chrétiens de Mossoul en direction du Kurdistan irakien, Monseigneur Casmoussa a déclaré à notre agence MISNA que la Jordanie, la Turquie et la Syrie se trouvent également parmi les autres destinations des réfugiés: "Si la situation s'améliore, une partie d'entre eux reviendra sûrement". Un premier signe positif s'est déjà fait entrevoir: "Au cours des dernières semaines – a conclu l'archevêque, laissant la place à l'espoir –, le gouvernement a pris toute une série de mesures pour garantir plus de sécurité et a demandé aux autorités de convaincre notre petite communauté chrétienne de rester. Ce que je peux dire, c'est que les chrétiens qui sont partis de Mossoul l'ont fait à cause de la guerre, parce qu'il n'y a pas de travail ou pour éviter d'être enlevés par des bandes criminelles, mais sûrement pas à cause de discriminations éventuelles… Il y a vingt églises à Mossoul : pour qu'elles se remplissent de nouveau, on a tout simplement besoin de la paix".

ARZOBISPO DE MOSUL: "MUSULMANES Y CRISTIANOS VÍCTIMAS DE LA MISMA VIOLENCIA "
“La mitad de los cristianos de Mosul ha dejado la ciudad para huir a la violencia; y lo mismo han hecho los musulmanes”: lo dijo a la MISNA Monseñor Basile Georges Casmoussa, minimizando las voces que hablan de discriminación religiosa y enmarcando el tema en un contexto general en el que los cristianos no son una excepción. “Aquí somos todos discriminados -agregó en arzobispo sirio-católico de la ciudad que se encuentra 400 kilómetros al norte de Bagdad- cristianos y musulmanes. Hace meses que dos fieles de mi diócesis son rehenes de criminales que piden el pago de un rescate. Pero la misma situación afecta a un número aún mayor de musulmanes”. En los últimos días el obispo de Erbil, Rabban al-Qas, había mencionado que muchas aldeas del Kurdistán han sido repobladas por cristianos provenientes de las regiones meridionales del país, todoavía escenario de la guerra. Casmoussa, al hablar con la MISNA y confirmar la partida de cristianos de Mosul hacia el más tranquilo Kurdistán iraquí, dijo que otras destinaciones han sido Jordania, Turquía y Siria: “Si la situación mejora, probablemente parte de ellos regresarán”. Una primera señal positiva ha sido que “en las últimas semanas -concluyó el prelado abriendo las puertas a la esperanza- el gobierno ha tomado una serie de iniciativas para garantizar mayor seguridad, pidiendo además a las autoridades que convenzan a nuestra pequeña comunidad a quedarse. Lo que puedo decir es que los cristianos que se fueron de Mosul, lo hicieron por la guerra, porque no hay trabajo, para evitar ser secuestrados por bandas criminales, pero con certeza no se fueron por eventuales discriminaciones... En Mosul hay 20 iglesias. Para que vuelvan a llenarse, muy simplemente hace falta la paz”.