Fonte: Asia News
di Bernardo Cervellera
La difficile situazione di tanti cristiani in Medio Oriente, giunta in vari casi fino al martirio, occupa da sempre l’impegno e le pagine di AsiaNews. Da qualche tempo occupa anche i cuori e i pensieri di diverse persone di buona volontà, tanto che fra breve, in Italia, ci sarà pure una manifestazione per ricordare i cristiani perseguitati nel mondo islamico.
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La difficile situazione di tanti cristiani in Medio Oriente, giunta in vari casi fino al martirio, occupa da sempre l’impegno e le pagine di AsiaNews. Da qualche tempo occupa anche i cuori e i pensieri di diverse persone di buona volontà, tanto che fra breve, in Italia, ci sarà pure una manifestazione per ricordare i cristiani perseguitati nel mondo islamico.
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Non vogliamo spegnere nessun lumicino, ma se la difesa dei cristiani avviene sullo stile della difesa di una minoranza etnica, come un’entità separata dal resto della società, ogni passo in questa direzione rischia di essere controproducente e di acuire le loro difficoltà.
Le sorti dei cristiani in Medio Oriente dipendono anzitutto dalla mancanza di pace e di sicurezza che grava sulla regione.
I palestinesi cristiani che fuggono all’estero, emigrano anzitutto per l’insostenibile occupazione militare israeliana, per l’anarchia diffusa nelle città, per la mancanza di futuro dei figli. In questo senso essi condividono in tutto la sorte di molti palestinesi musulmani. Solo in modo accessorio essi fuggono per vessazioni legate al loro essere cristiani.
Per i cristiani in Iraq è lo stesso. Non siamo di quelli che mitizzano l’epoca di Saddam Hussein come un’era di pace per i cristiani. Anche sotto il defunto dittatore non vi era libertà religiosa per le scuole, né di chiamare con nomi cristiani i propri figli. Ma il problema attuale – come ha spesso messo in luce mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – non è semplicemente quello di una tensione fra cristiani e musulmani. Il punto è la crescita di fondamentalismo a cui contribuisce la mancanza di sicurezza e di vigilanza delle truppe straniere e di quelle locali; la sordità di un governo impotente alle richieste della popolazione – cristiana e musulmana, sunnita e sciita – di garantire l’ordine e la democrazia. Tale fondamentalismo colpisce tutti, e inevitabilmente ancora più i cristiani.
Voler “salvare” i cristiani come un corpo separato, rischia di generare idee come quella proposta negli Stati Uniti e in Svezia, di garantire un’enclave , un “safe haven” per gli assiri (cristiani), idea combattuta da tutti i vescovi e i cristiani irakeni, che la rifiutano proprio per l’evidente isolazionismo di tipo razzista.
Le sorti dei cristiani irakeni dipendono da un’equa pace regionale. In questo siamo confortati dall’insegnamento di Benedetto XVI. Proprio ieri, al Roaco (Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali), rivolgendosi ai rappresentanti cattolici di tante chiese perseguitate, il pontefice non si è preoccupato solo dei cristiani, ma di tutte le popolazioni medio-orientali, cristiane e musulmane.
Parlando della “delicata situazione in cui versano vaste aree del Medio Oriente”, egli ha sottolineato che “la pace, tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa. E’ offesa nel cuore dei singoli, e ciò compromette le relazioni interpersonali e comunitarie. La debolezza della pace si acuisce ulteriormente a motivo di ingiustizie antiche e nuove. Così essa si spegne, lasciando spazio alla violenza, che spesso degenera in guerra più o meno dichiarata fino a costituire, come ai nostri giorni, un assillante problema internazionale”.
Benedetto XVI si è pure rivolto a “coloro che hanno specifiche responsabilità” perché “aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica o geografica”.
Quest’ultima sottolineatura dice anche che i cristiani non cercano garanzie specifiche, ma solo uno stato che sia sufficientemente “laico” da garantire per tutti “senza discriminazione religiosa” la possibilità di vivere e prosperare. La posizione dei cristiani, infatti, non può mai essere realisticamente stralciata dalla situazione generale dei paesi in cui vivono, né la libertà religiosa dall’insieme dei diritti umani.
Rivolgendosi a “coloro che hanno specifiche responsabilità”, il papa si rivolge in effetti all’Onu e ai governi d’oriente e d’occidente perché prendano l’iniziativa di gesti concreti verso la pace.
È auspicabile, ad esempio che nasca in Italia e in Europa una vigorosa iniziativa per i diritti umani e la libertà religiosa, che ne verifichi lo status, prema per il loro allargamento anche con conseguenze politiche ed economiche. Ma soprattutto è importante varare una nuova Conferenza e giungere a trattati di pace in cui coinvolgere tutte le nazioni della regione.
Se si vuol raggiungere lo scopo di salvare i cristiani dalla persecuzione in Medio Oriente, occorre anzitutto trovare delle vie per attuare una pace equa e giusta nella regione.
Le sorti dei cristiani in Medio Oriente dipendono anzitutto dalla mancanza di pace e di sicurezza che grava sulla regione.
I palestinesi cristiani che fuggono all’estero, emigrano anzitutto per l’insostenibile occupazione militare israeliana, per l’anarchia diffusa nelle città, per la mancanza di futuro dei figli. In questo senso essi condividono in tutto la sorte di molti palestinesi musulmani. Solo in modo accessorio essi fuggono per vessazioni legate al loro essere cristiani.
Per i cristiani in Iraq è lo stesso. Non siamo di quelli che mitizzano l’epoca di Saddam Hussein come un’era di pace per i cristiani. Anche sotto il defunto dittatore non vi era libertà religiosa per le scuole, né di chiamare con nomi cristiani i propri figli. Ma il problema attuale – come ha spesso messo in luce mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – non è semplicemente quello di una tensione fra cristiani e musulmani. Il punto è la crescita di fondamentalismo a cui contribuisce la mancanza di sicurezza e di vigilanza delle truppe straniere e di quelle locali; la sordità di un governo impotente alle richieste della popolazione – cristiana e musulmana, sunnita e sciita – di garantire l’ordine e la democrazia. Tale fondamentalismo colpisce tutti, e inevitabilmente ancora più i cristiani.
Voler “salvare” i cristiani come un corpo separato, rischia di generare idee come quella proposta negli Stati Uniti e in Svezia, di garantire un’enclave , un “safe haven” per gli assiri (cristiani), idea combattuta da tutti i vescovi e i cristiani irakeni, che la rifiutano proprio per l’evidente isolazionismo di tipo razzista.
Le sorti dei cristiani irakeni dipendono da un’equa pace regionale. In questo siamo confortati dall’insegnamento di Benedetto XVI. Proprio ieri, al Roaco (Riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali), rivolgendosi ai rappresentanti cattolici di tante chiese perseguitate, il pontefice non si è preoccupato solo dei cristiani, ma di tutte le popolazioni medio-orientali, cristiane e musulmane.
Parlando della “delicata situazione in cui versano vaste aree del Medio Oriente”, egli ha sottolineato che “la pace, tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa. E’ offesa nel cuore dei singoli, e ciò compromette le relazioni interpersonali e comunitarie. La debolezza della pace si acuisce ulteriormente a motivo di ingiustizie antiche e nuove. Così essa si spegne, lasciando spazio alla violenza, che spesso degenera in guerra più o meno dichiarata fino a costituire, come ai nostri giorni, un assillante problema internazionale”.
Benedetto XVI si è pure rivolto a “coloro che hanno specifiche responsabilità” perché “aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica o geografica”.
Quest’ultima sottolineatura dice anche che i cristiani non cercano garanzie specifiche, ma solo uno stato che sia sufficientemente “laico” da garantire per tutti “senza discriminazione religiosa” la possibilità di vivere e prosperare. La posizione dei cristiani, infatti, non può mai essere realisticamente stralciata dalla situazione generale dei paesi in cui vivono, né la libertà religiosa dall’insieme dei diritti umani.
Rivolgendosi a “coloro che hanno specifiche responsabilità”, il papa si rivolge in effetti all’Onu e ai governi d’oriente e d’occidente perché prendano l’iniziativa di gesti concreti verso la pace.
È auspicabile, ad esempio che nasca in Italia e in Europa una vigorosa iniziativa per i diritti umani e la libertà religiosa, che ne verifichi lo status, prema per il loro allargamento anche con conseguenze politiche ed economiche. Ma soprattutto è importante varare una nuova Conferenza e giungere a trattati di pace in cui coinvolgere tutte le nazioni della regione.
Se si vuol raggiungere lo scopo di salvare i cristiani dalla persecuzione in Medio Oriente, occorre anzitutto trovare delle vie per attuare una pace equa e giusta nella regione.