"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

9 giugno 2007

I killer di p. Ragheed e dei tre diaconi volevano la loro conversione all’islam

Fonte: Asia News

Arrivano nuovi particolari sull’assassinio del sacerdote caldeo e dei suoi tre amici a Mosul. Una delle massime autorità sunnite in Iraq condanna l’attentato contro i cristiani e addossa ogni responsabilità a “governo e forze d’occupazione”. Ambasciatore iracheno presso la Santa Sede sulla piana di Niniveh: “Lavoriamo per l’unità e non per costruire barriere."
Prima di aprire il fuoco, gli aggressori di p. Raghed Ganni e dei suoi tre diaconi, avevano chiesto loro di convertirsi all’islam. A riferire il particolare dell’omicidio dei 4 caldei è il sito in arabo Ankawa.com che in questi giorni, attraverso testimonianze oculari, sta ricostruendo il feroce attentato di Mosul.

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Il dettaglio andrebbe a confermare l’ipotesi di un’uccisione mirata, studiata all’interno della vasta campagna di persecuzione in atto contro i cristiani iracheni. Al momento ancora nessuna notizia o rivendicazione sulla responsabilità “dell’insensato” gesto, come lo ha definito il Papa, il quale oggi incontra il presidente George W. Bush in Vaticano.
Intanto un comunicato stampa della massima autorità legale sunnita nel Paese, l’Association of Muslim Scholars in Iraq (AMSI), condanna l’assassinio del sacerdote caldeo e dei tre suddiaconi, avvenuta lo scorso 3 giugno dopo la messa domenicale. Nella dichiarazione si attribuisce la colpa di queste morti alle “forze di occupazione” e “all’attuale governo iracheno”. Gli studiosi sunniti denunciano, infine, che l’Iraq sta vivendo “terrore allo stato puro, uccisioni e distruzioni” in una situazione che sempre più evidenzia il “collasso dell’autorità e il deterioramento della sicurezza”.
Mentre la tensione sale, alcuni ambienti cristiani politicizzati negli Stati Uniti tentano di far passare l’idea che una regione autonoma, dove relegare gli “assiri” in Iraq, sia l’unica soluzione per la loro salvezza. Già alcuni vescovi locali si sono espressi contro questo “pericoloso” progetto.
A loro si unisce anche l’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, Albert Yelda, assiro. Sul sacrificio dei 4 caldei di Mosul, il diplomatico ha parlato di “crimine vergognoso, un tragico evento per tutto l’Iraq”. “Il governo – dice – condanna attacchi, repressione e persecuzione contro ogni minoranza”.
In un’intervista ad AsiaNews ha ricordato che la priorità ora è “ripristinare la stabilità, garantire la sicurezza a tutta la popolazione e tenere unito il Paese, non certo creare barriere”. “Non è il momento di parlare di un ‘safe haven’ per i cristiani, idea che peraltro non sostengo nel modo più assoluto”, ha sottolineato. “I cristiani rimarranno nella loro patria e il governo sta facendo il massimo per garantire sicurezza non solo a Baghdad, ma anche nelle zone dove il terrorismo ancora spadroneggia”.
Solo, però, “stando uniti cristiani e musulmani, turcmeni, curdi e yezidi possiamo sradicare questo male dall’Iraq e da tutta la regione”. L’ambasciatore Yelda ricorda che “la questione terrorismo è una questione globale, per questo la comunità internazionale deve provvedere il governo iracheno dei mezzi necessari a sradicare l’ideologia del male che si prova ad imporgli”.
“Elementi esterni – aggiunge – tentano di creare divisione all’interno del governo e della popolazione; per questo il mondo non deve lasciarci soli. La comunità internazionale deve rimanere a fianco dell’Iraq, se non ci sarà pace nel nostro Paese allora non vi sarà pace in tutta la zona”.