"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 giugno 2007

L'appello del rappresentante caldeo in Europa: i Cristiani in Irak non vogliono il ghetto

Fonte: Petrus

di Angela Ambrogetti

In Svezia sono 20mila, soprattutto tra Goteborg e Stoccolma, quattro sacerdoti ne curano la pastorale e il Governo li ha inserti nel lavoro e nelle scuole. Sono i cristiani irakeni, principalmente Caldei. Negli anni hanno abbandonato la loro terra, dove vivevano da millenni, per cercare la pace, la libertà religiosa. Un esodo biblico, per i numeri e per la regione che lasciano: l’antica terra dei patriarchi. La diaspora dei cristiani caldei in Europa, America, Canada Australia oggi è più drammatica. Si fugge da vere e proprie persecuzioni, da violenze che uccidono e distruggono, che vogliono costruire muri abbattendo la collaborazione che da secoli unisce la gente irakena. Come ci racconta il corepisocopo caldeo Philip Najim, Procuratore del Patriarcato Caldeo di Babilonia presso la Santa Sede e Visitatore Apostolico dei Caldei in Europa. “La nostra comunità vive in Irak da migliaia di anni, è nata in questo Paese, ha sempre contribuito alla costruzione dell’Irak, allo sviluppo, i cristiani sono stati i primi in molte professioni. Le suore caldee avevano scuole dove hanno studiato migliaia di irakeni e non solo cristiani. Quella dei cristiani caldei e di tutti i cristiani in Irak è una comunità che ha vissuto sempre nel rispetto e nella tolleranza con i fratelli musulmani, curdi e di tutte le etnie. Non c’è mai stata divisione in Irak, non si distingueva tra un cristiano, un curdo, un musulmano, un sunnita o uno sciita, non si è mai vista la divisione che stiamo vivendo oggi”.

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Le migliaia di profughi che cercano rifugio nei vicini paesi Arabi, dalla Siria al Libano alla Giordania o in Europa, fuggono da un Paese che non riconoscono più, ma che è il loro Paese. Vorrebbero davvero che il futuro dello Stato fosse in mano agli irakeni, me senza divisioni, e naturalmente senza violenza. “Purtroppo - prosegue padre Najim - c’è fondamentalismo, ci sono terroristi, ci sono integralisti che vogliono creare queste divisioni nel popolo irakeno, affinchè l‘Irak non possa raggiungere la sua meta di pace, di sviluppo, di democrazia, e che possa tornare ad essere una presenza valida nella comunità internazionale. Sono ormai anni che è stata allontanata dal panorama internazionale, dagli anni dell’embargo”. E attualmente c’è di più: un vero e proprio martirio per la testimonianza di fede. “La nostra comunità cristiana soffre ogni giorno, paga con il martirio perché ha questa fede cristiana; in molti lasciano le case che hanno costruito con tanti sacrifici, lasciano la terra con l’amarezza nel cuore perché la amano profondamente, avrebbero voluto continuare la loro vita lì. E ci sono state tante vittime, distruzioni, rapimenti di sacerdoti, sono state bombardate molte chiese e anche l’arcivescovado di Mousul. E poi l’assassinio di padre Ragheed che aveva 34 anni, ha studiato a Roma dove è stato ordinato sacerdote, proprio a Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove si riunisce la Chiesa Caldea di Roma”. Una comunità piccola, quella italiana e romana, che però è legatissima alle tradizioni. Una Chiesa cattolica orientale, legata a Roma e alle radici medio-orientali, bibliche. Prosegue il rappresentate del patriarcato caldeo. “Si vuole creare una paura nel cuore dei cristiani, degli irakeni, e si vogliono cacciare i cristiani perché considerano che il Paese debba essere totalmente musulmano. Ma neanche questo si realizza. Ci sono forze oscure che vogliono creare divisioni tra sunniti e sciiti. Non credo che questa sia una caratteristica del popolo irakeno, che è sempre stato un popolo pacifico, tollerante ed era conosciuto per la sua ospitalità verso gli stranieri, la sua generosità. Oggi emergono aspetti che consideriamo estranei alla nostra società, non fanno parte del nostro carattere e della nostra educazione irakena. Per questo chiedo alla comunità internazionale, chiedo ai nostri fratelli irakeni che vivono in Europa, in America, in Canada, che alzino la voce contro la sofferenza che ogni giorno sopportano i cristiani e per creare una pace vera e autentica in Irak”. L’impegno dei leaders religiosi è sempre grande, cristiani e musulmani, uomini di vera fede, lavorano insieme per la gente. “La Chiesa intera accompagna con affetto e ammirazione tutti i suoi figli e le sue figlie e li sostiene in quest’ora di autentico martirio per il nome di Cristo”, ha detto il Papa al patriarca caldeo Emmanuel III Delly la scorsa settimana in occasione dell’incontro con la ROACO, la Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali, in Vaticano. “Il nostro patriarca - dice Padre Najim - ha avuto sempre la sua sede a Bagdad e sempre ripete “Verserò la mia ultima goccia di sangue rimanendo a Bagdad con la mia gente, vicino alla mia gente”. Non ha mai cessato di continuare il dialogo con gli altri capi religiosi, sciiti, sunniti, curdi di tutte le etnie. Questo dimostra che ancora esiste una forte collaborazione tra i leaders religiosi, una solidarietà tra di loro perché si considerano parte di un solo popolo, uniti dalla stessa terra irakena, la loro patria, e vogliono lavorare per questa patria”. Negli ultimi tempi si è proposta la creazione di una enclave cristiana nel nord del paese. Ma la proposta non piace a molti, come spiega il Visitatore Apostolico. “Il patriarcato e i vescovi caldei e gli altri cristiani che esistono in Irak, non hanno mai voluto un “ghetto” in un angolo dell’Irak. L’Irak è per tutti gli irakeni e in ogni parte dell’Irak si trovino i cristiani, devono essere garantiti i loro diritti, con una costituzione democratica che riconosca i diritti di tutti gli irakeni a vivere nel Paese. Il problema è che al momento non vediamo una vera responsabilità dello Stato verso i suoi cittadini, manca tutto dall’acqua all’elettricità alla sicurezza”. Ormai sono migliaia i cristiani cha hanno lasciato l’Irak. La comunità, che contava su un milione e mezzo di persone, si è praticamente dimezzata. Padre Najim, da Roma, lancia un appello: “Che la comunità internazionale con una coscienza vera ed autentica faccia qualcosa per quello che succede ogni giorno in Irak, per tutti ma specialmente per i cristiani che soffrono un vero martirio”.