Di Baghdadhope
Le dichiarazioni fatte da Monsignor Avak Asadorian, vescovo della Chiesa Armena Apostolica e Segretario del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghdad, con cui, di fatto, ha negato che la comunità irachena di fede cristiana stia soffrendo proprio in quanto minoritaria, in un paese dove l’estremismo islamico sta avendo la meglio, hanno suscitato sconcerto.
In una dichiarazione telefonica rilasciata a Baghdadhope, Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario dei Caldei, anche a nome del Patriarca Mar Emmanuel III Delly, ha ribadito con forza ciò che negli ultimi mesi è parso chiaro a chiunque.
“Non è persecuzione l’uccisione di diaconi e sacerdoti o il loro rapimento? Non è persecuzione dei cristiani il fatto che le croci vengano tolte dalle chiese? O che le ragazze cristiane vengano obbligate a sposare dei musulmani? O che i cristiani debbano pagare la jizya, la tassa di protezione per non subire violenza o essere uccisi? Non è persecuzione il fatto che intere famiglie sono obbligate a lasciare tutto ciò che hanno e fuggire? Non è persecuzione questa? Come dovremmo chiamarla altrimenti?”
Le parole del vescovo sono un fiume in piena, la voce concitata. “E’ in corso in Iraq un terribile attacco alla cristianità che tutto il mondo deve conoscere. Noi non vogliamo lo scontro, ma il colloquio con i nostri fratelli musulmani. Ci siamo rivolti a tutti: ai capi religiosi, al governo, ma la risposta che vediamo tutti i giorni messa in pratica è che noi dobbiamo pagare la colpa del nostro essere cristiani. Tutti soffrono in Iraq, ma la comunità cristiana è piccola e così se i rapimenti, ad esempio, colpiscono anche i musulmani, per noi hanno un significato particolare perchè contribuiscono alla diffusione del terrore ed alla conseguente fuga.”
E’ necessario porre fine a questa tragedia, non negarla o sottovalutarla come nella dichiarazione di Monsignor Asadorian che l’ha riportata indietro di mesi, quando seppur tragica essa non aveva ancora raggiunto i livelli che l’hanno oramai apertamente qualificata come “persecuzione,” ma la soluzione, per Monsignor Warduni non è certo nella creazione di una zona protetta per la comunità.
Il famoso progetto della “Piana di Ninive” che li vorrebbe riuniti in un’area del governatorato di Mosul per favorirne la protezione, anche se non è chiaro da parte di chi per una comunità che non ha modo nè attitudine a rispondere alla violenza con le stesse armi, la “trappola per i cristiani iracheni” come è stata definita da Monsignor Luis Sako, non è la soluzione ai problemi degli iracheni cristiani. “Noi non possiamo accettare la creazione di un ghetto cristiano” dichiara Monsignor Warduni, “noi cristiani siamo originari di questa terra, noi abbiamo contribuito al suo sviluppo, noi abbiamo sempre vissuto in tutto l’Iraq, noi 'siamo' iracheni.”
Le dichiarazioni fatte da Monsignor Avak Asadorian, vescovo della Chiesa Armena Apostolica e Segretario del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghdad, con cui, di fatto, ha negato che la comunità irachena di fede cristiana stia soffrendo proprio in quanto minoritaria, in un paese dove l’estremismo islamico sta avendo la meglio, hanno suscitato sconcerto.
In una dichiarazione telefonica rilasciata a Baghdadhope, Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario dei Caldei, anche a nome del Patriarca Mar Emmanuel III Delly, ha ribadito con forza ciò che negli ultimi mesi è parso chiaro a chiunque.
“Non è persecuzione l’uccisione di diaconi e sacerdoti o il loro rapimento? Non è persecuzione dei cristiani il fatto che le croci vengano tolte dalle chiese? O che le ragazze cristiane vengano obbligate a sposare dei musulmani? O che i cristiani debbano pagare la jizya, la tassa di protezione per non subire violenza o essere uccisi? Non è persecuzione il fatto che intere famiglie sono obbligate a lasciare tutto ciò che hanno e fuggire? Non è persecuzione questa? Come dovremmo chiamarla altrimenti?”
Le parole del vescovo sono un fiume in piena, la voce concitata. “E’ in corso in Iraq un terribile attacco alla cristianità che tutto il mondo deve conoscere. Noi non vogliamo lo scontro, ma il colloquio con i nostri fratelli musulmani. Ci siamo rivolti a tutti: ai capi religiosi, al governo, ma la risposta che vediamo tutti i giorni messa in pratica è che noi dobbiamo pagare la colpa del nostro essere cristiani. Tutti soffrono in Iraq, ma la comunità cristiana è piccola e così se i rapimenti, ad esempio, colpiscono anche i musulmani, per noi hanno un significato particolare perchè contribuiscono alla diffusione del terrore ed alla conseguente fuga.”
E’ necessario porre fine a questa tragedia, non negarla o sottovalutarla come nella dichiarazione di Monsignor Asadorian che l’ha riportata indietro di mesi, quando seppur tragica essa non aveva ancora raggiunto i livelli che l’hanno oramai apertamente qualificata come “persecuzione,” ma la soluzione, per Monsignor Warduni non è certo nella creazione di una zona protetta per la comunità.
Il famoso progetto della “Piana di Ninive” che li vorrebbe riuniti in un’area del governatorato di Mosul per favorirne la protezione, anche se non è chiaro da parte di chi per una comunità che non ha modo nè attitudine a rispondere alla violenza con le stesse armi, la “trappola per i cristiani iracheni” come è stata definita da Monsignor Luis Sako, non è la soluzione ai problemi degli iracheni cristiani. “Noi non possiamo accettare la creazione di un ghetto cristiano” dichiara Monsignor Warduni, “noi cristiani siamo originari di questa terra, noi abbiamo contribuito al suo sviluppo, noi abbiamo sempre vissuto in tutto l’Iraq, noi 'siamo' iracheni.”