Il direttore del quotidiano panarabo pubblicato a Londra, Al Sharq Al Awsat, prende spunto dalla dichiarazione di padre Youssef Mirki, un domenicano, subito dopo il massacro: “il complotto è stato preparato da molto tempo, considerando le armi e le munizioni trovate nella cattedrale…ci vuole tempo per metterle insieme”. E riporta anche le parole del vicario della Chiesa cattolica siriaca, Pius Kasha: “è chiaro ora che i cristiani lasceranno tutti l’Iraq”.
L'editoriale si chiede: “Oggi la questione è: che cosa è stato fatto dal 2008, se non dal 2003, dal governo iracheno per proteggere una componente del popolo iracheno dalla repressione e dalla violenza organizzata? Sfortunatamente la risposta è: nulla”.
Tariq Alhomayed afferma che è facile accusare Al Qaeda, che non esita certo a commettere massacri e atrocità. Ma i cristiani in Iraq rimangono bersagli pubblici, e chiedono ad alta voce protezione dal governo. E’ ben noto sin dal 2008, continua il commento, che i cristiani dell’Iraq, metà dei quali hanno lasciato il paese, si stanno rivolgendo alle chiese (piuttosto che al governo) in cerca di protezione dalla violenza. I cristiani non hanno milizie per l’autodifesa, e la chiese bersaglio dell’attacco era sotto la protezione del personale della sicurezza. “Come hanno fatto i terroristi a entrare”?E conclude: “Prendere a bersaglio le minoranze, cristiani iracheni inclusi, significa la disintegrazione dell’Iraq, e uno sbriciolamento del suo tessuto culturale e politico. Dobbiamo essere sicuri che le minoranze non siano tagliate fuori su basi settarie o etniche, perché questo aprirebbe le porte dell’inferno…E dobbiamo essere sicuri che questi stessi eventi non accadano ai cristiani libanesi, Dio non voglia. Allora diciamo: proteggete i cristiani nella nostra regione, per proteggere la virtù della coesistenza”.