By Radiovaticana
In Iraq, il Ministero dell’interno fa sapere che sono stati arrestati i presunti responsabili dell'attacco compiuto il 31 ottobre scorso contro la Cattedrale di Baghdad, nel quale sono morti 44 fedeli e due sacerdoti. E dopo le ultime lettere di minaccia inviate da esponenti di Al Qaeda a famiglie di cristiani, il governatore della provincia di Ninive conferma il via libera del governo alla concessione del porto d’armi a tutti i cristiani residenti nella provincia. L’Unione Europea ha invitato le autorità irachene a prendere misure efficaci per contrastare la persecuzione in atto contro i cristiani, ma i provvedimenti dovrebbero andare ben oltre questa iniziativa. La Risoluzione votata dal parlamento europeo due giorni fa prevede un piano di azione concreto e soprattutto la presa di coscienza di cosa ci sia in gioco.
In Iraq, il Ministero dell’interno fa sapere che sono stati arrestati i presunti responsabili dell'attacco compiuto il 31 ottobre scorso contro la Cattedrale di Baghdad, nel quale sono morti 44 fedeli e due sacerdoti. E dopo le ultime lettere di minaccia inviate da esponenti di Al Qaeda a famiglie di cristiani, il governatore della provincia di Ninive conferma il via libera del governo alla concessione del porto d’armi a tutti i cristiani residenti nella provincia. L’Unione Europea ha invitato le autorità irachene a prendere misure efficaci per contrastare la persecuzione in atto contro i cristiani, ma i provvedimenti dovrebbero andare ben oltre questa iniziativa. La Risoluzione votata dal parlamento europeo due giorni fa prevede un piano di azione concreto e soprattutto la presa di coscienza di cosa ci sia in gioco.
Fausta Speranza ne ha parlato con il promotore della Risoluzione, l’europarlamentare Mario Mauro, rappresentante dell’Ocse per la lotta contro il razzismo e la persecuzione dei cristiani:
Si chiedono al governo iracheno azioni immediate, perché il governo iracheno, con un’azione di natura tempestiva, ha la possibilità di essere decisivo per creare le condizioni di sicurezza per il Paese. C’è una proposta di Jalal Talabani, presidente iracheno, che io però contrasto, perché la proposta di Talabani è quella di mettere in sicurezza i cristiani, concentrandoli in un'unica provincia. Ma il problema non è di fare un ghetto cristiano. I cristiani sono i cristiani di Kirkuk, di Mossul e di Baghdad, di Bassora: non sono un’etnia a parte, sono persone tra le persone, comunità nella comunità. Quindi, devono avere garanzie lì dove vivono e devono avere garanzie con un piano che deve essere sostanzialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, per permettere il ritorno dei cristiani in Iraq.
Nella risoluzione si chiedono azioni immediate, un’inchiesta a livello internazionale, ma anche la promozione a Baghdad, in tempi brevi, di una conferenza per promuovere il dialogo…
Il problema della sopravvivenza - ormai di questo si tratta - della comunità cristiana in Iraq è un problema di enorme complessità, cui sono evidentemente legati dei principi che fondano la stessa possibilità della convivenza civile in quel Paese. Intanto, in Iraq si sta consumando una tragedia di proporzioni bibliche, perché sono oltre un milione le persone che hanno dovuto lasciare il Paese perché cristiane e che vivono in condizioni molto difficili soprattutto tra Siria e Giordania. Questo fenomeno è iniziato con la caduta del governo di Saddam, perché i cristiani sono diventati ostaggio nelle tensioni fondamentaliste che hanno scosso il Paese, nello scontro tra sunniti, sciiti e curdi. E sulla pelle dei cristiani si gioca un equivoco tipico della propaganda fondamentalista: i cristiani iracheni sarebbero cioè i crociati, gli occidentali, i colonialisti, gli imperialisti. Nulla di più falso, perché sono arabi che pensano in arabo, parlano arabo e sentono l’Iraq come il proprio Paese e sono in quel Paese da secoli, prima dell’arrivo dell’Islam. E’ vero, invece, che esiste la strategia di utilizzare l’attacco ai cristiani per mandarsi messaggi finalizzati ai propri equilibri di potere. E’ tipica non solo degli ambienti fondamentalisti, ma di tutta la politica irachena del dopo Saddam.
Presidente Mauro, oltre ovviamente alla solidarietà umana per queste persone, che cosa significa per l’Europa difendere il principio di libertà religiosa?
Intanto, significa ribadire al mondo le ragioni per le quali abbiamo fatto l’Unione Europea. L’Unione Europea è stata fatta come antidoto ai fondamentalismi che ci hanno portato all’ultima guerra mondiale. Allora, quei fondamentalismi erano di matrice totalitaria - nazismo, fascismo, comunismo - oggi sono progetti di potere a matrice islamista, teocrazie serpeggianti, che cercano di sottrarre agli iracheni il proprio futuro. Finalmente, però, abbiamo anche una leva su cui fare pressione, per esercitare un condizionamento reale nel processo di sviluppo di democrazia in Iraq. Questa leva è la nascita del primo accordo tra Unione Europea e Iraq, un accordo che vale svariate decine di miliardi, dentro il quale abbiamo la possibilità di ricordare che il primo problema non è di natura economica, ma di natura politica. Senza rispetto dei diritti umani, senza rispetto della libertà religiosa non c’è possibilità di mettere in sintonia l’Europa e l’Iraq e, quindi, di dare quel benessere che solo può garantire il futuro del Paese mediorientale.
Si chiedono al governo iracheno azioni immediate, perché il governo iracheno, con un’azione di natura tempestiva, ha la possibilità di essere decisivo per creare le condizioni di sicurezza per il Paese. C’è una proposta di Jalal Talabani, presidente iracheno, che io però contrasto, perché la proposta di Talabani è quella di mettere in sicurezza i cristiani, concentrandoli in un'unica provincia. Ma il problema non è di fare un ghetto cristiano. I cristiani sono i cristiani di Kirkuk, di Mossul e di Baghdad, di Bassora: non sono un’etnia a parte, sono persone tra le persone, comunità nella comunità. Quindi, devono avere garanzie lì dove vivono e devono avere garanzie con un piano che deve essere sostanzialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, per permettere il ritorno dei cristiani in Iraq.
Nella risoluzione si chiedono azioni immediate, un’inchiesta a livello internazionale, ma anche la promozione a Baghdad, in tempi brevi, di una conferenza per promuovere il dialogo…
Il problema della sopravvivenza - ormai di questo si tratta - della comunità cristiana in Iraq è un problema di enorme complessità, cui sono evidentemente legati dei principi che fondano la stessa possibilità della convivenza civile in quel Paese. Intanto, in Iraq si sta consumando una tragedia di proporzioni bibliche, perché sono oltre un milione le persone che hanno dovuto lasciare il Paese perché cristiane e che vivono in condizioni molto difficili soprattutto tra Siria e Giordania. Questo fenomeno è iniziato con la caduta del governo di Saddam, perché i cristiani sono diventati ostaggio nelle tensioni fondamentaliste che hanno scosso il Paese, nello scontro tra sunniti, sciiti e curdi. E sulla pelle dei cristiani si gioca un equivoco tipico della propaganda fondamentalista: i cristiani iracheni sarebbero cioè i crociati, gli occidentali, i colonialisti, gli imperialisti. Nulla di più falso, perché sono arabi che pensano in arabo, parlano arabo e sentono l’Iraq come il proprio Paese e sono in quel Paese da secoli, prima dell’arrivo dell’Islam. E’ vero, invece, che esiste la strategia di utilizzare l’attacco ai cristiani per mandarsi messaggi finalizzati ai propri equilibri di potere. E’ tipica non solo degli ambienti fondamentalisti, ma di tutta la politica irachena del dopo Saddam.
Presidente Mauro, oltre ovviamente alla solidarietà umana per queste persone, che cosa significa per l’Europa difendere il principio di libertà religiosa?
Intanto, significa ribadire al mondo le ragioni per le quali abbiamo fatto l’Unione Europea. L’Unione Europea è stata fatta come antidoto ai fondamentalismi che ci hanno portato all’ultima guerra mondiale. Allora, quei fondamentalismi erano di matrice totalitaria - nazismo, fascismo, comunismo - oggi sono progetti di potere a matrice islamista, teocrazie serpeggianti, che cercano di sottrarre agli iracheni il proprio futuro. Finalmente, però, abbiamo anche una leva su cui fare pressione, per esercitare un condizionamento reale nel processo di sviluppo di democrazia in Iraq. Questa leva è la nascita del primo accordo tra Unione Europea e Iraq, un accordo che vale svariate decine di miliardi, dentro il quale abbiamo la possibilità di ricordare che il primo problema non è di natura economica, ma di natura politica. Senza rispetto dei diritti umani, senza rispetto della libertà religiosa non c’è possibilità di mettere in sintonia l’Europa e l’Iraq e, quindi, di dare quel benessere che solo può garantire il futuro del Paese mediorientale.