By SIR
Intervista con mons. Mansueto Bianchi
Domenica 21 novembre, in tutte le diocesi e le parrocchie italiane si prega per i cristiani perseguitati in ogni parte del mondo e per i loro persecutori. Tutte le comunità ecclesiali sono invitate a pregare, nella Solennità di Cristo Re, per i cristiani che soffrono la tremenda prova della testimonianza cruenta della fede.
A mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia e presidente della Commissione per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, abbiamo chiesto di spiegarci il senso della Giornata di preghiera del 21 novembre.
Eccellenza, qual è il significato di questa Giornata di preghiera?
“È una Giornata che ha vari significati che si completano e si sostengono a vicenda. Il primo significato è un gesto di solidarietà, così come lo si esprime tra cristiani nei confronti di una parte della comunità che viene aggredita, massacrata, costretta ad allontanarsi in maniera violenta dalla propria storia, dal proprio ambiente di vita, dal mondo degli affetti in cui la vita di ogni persona si colloca. Allora, il primo gesto è quello di dire la nostra vicinanza umana e spirituale alla loro vicenda e alla loro situazione di difficoltà estrema. E questo lo facciamo con il gesto tipicamente cristiano della preghiera che accomuna insieme i perseguitati e i persecutori, non perché le due categorie siano intercambiabili, ma perché noi sappiamo che il dono della forza e della perseveranza, da un lato, e la capacità di toccare il cuore e la coscienza dell’uomo, dall’altro, sono nelle mani del Signore. Ed è a Lui che chiediamo la forza per questi fratelli perseguitati; il senso dell’umanità, della giustizia e del rispetto con cui toccare i cuori dei loro persecutori; il dono e l’atteggiamento dell’attenzione, della sensibilità, della partecipazione e della testimonianza dei valori cristiani nella nostra vita e nel nostro Occidente per le nostre comunità cristiane”.
Domenica si pregherà non solo per i cristiani perseguitati, ma anche per i musulmani che li perseguitano e per quelli che sono vittime essi stessi della violenza di altri musulmani: quanto conta questo nel dialogo islamo-cristiano? “Credo che le vicende cui stiamo assistendo producono un duplice torto. Il primo torto lo producono nei confronti della fede islamica che non è una fede violenta, aggressiva, intollerante. Queste frange islamiche, che poi spesso fanno della bandiera religiosa una copertura per altre mire, fanno davvero un brutto servizio all’Islam di fronte all’opinione pubblica perché fanno apparire purtroppo come dominante un aspetto che è assolutamente marginale e rigettato dalla coscienza dell’Islam più moderato. Un secondo torto queste vicende lo fanno anche alla fede religiosa in quanto tale perché promuovono l’immagine, in parte accolta da certe sensibilità della cultura occidentale, che la fede religiosa sia di natura sua intollerante, esclusiva, non dialogante e tendenzialmente violenta. Il comportamento contro i cristiani, dunque, fa un pessimo servizio all’esperienza religiosa, a prescindere che sia islamica o cristiana. La preghiera per i cristiani perseguitati e i loro persecutori, promossa dalla Conferenza episcopale italiana, è un annuncio chiaro, una testimonianza luminosa che la fede religiosa è una fede che nel nome di Dio rispetta e rinsalda i diritti dell’uomo, il diritto alla libera convivenza con altre persone e all’accoglienza e al rispetto di altre opzioni culturali e religiose. Quindi, la fede religiosa è una forza che spinge nella direzione della dignità e del livello umano della civiltà”.
La testimonianza dei cristiani perseguitati per la loro fede cosa dice ai cristiani dell’Occidente? Il loro esempio ravviva la nostra fede?
“Noi occidentali a volte abbiamo la sensazione di essere cristiani più indeboliti per quanto riguarda la forza delle convinzioni e anche la capacità di tradurle in comportamenti e scelte di vita. La testimonianza dei cristiani perseguitati, la fedeltà alla loro terra, alla loro storia e alla loro fede che poi s’intrecciano e diventano la fedeltà alla loro vita, è un richiamo forte per noi a essere delle presenze identificabili, riconoscibili e avere delle proposte sul piano civile, valoriale, culturale attraverso le quali possiamo essere riconosciuti e rimanere significativamente dentro il dialogo e la cultura occidentale”.
I cristiani che hanno preferito la morte piuttosto che rinunciare alla propria fede, quando è stato proposto loro di salvare la vita al prezzo di convertirsi all’Islam, possono considerarsi confessori della fede?
“Questi cristiani sono testimoni della fede e nella misura in cui hanno subito l’estrema violenza contro la vita in nome della fede a cui non hanno voluto rinunciare sono testimoni fino al grado più alto, a prescindere dal giudizio che appartiene all’autorità ecclesiastica. Certamente siamo di fronte a testimoni radicali, persone che hanno ritenuto di dover rinunciare alla vita piuttosto che rinunciare alla loro fede, a Gesù, perché Cristo era ed è la loro vita e senza di Lui la vita non è vita, non lo è in maniera adeguata e soddisfacente. Credo che questi siano testimoni forti che scuotono certe nostre pigrizie e fragilità e certe forme un po’ sonnacchiose di vivere il cristianesimo nell’Occidente”.