By SIR, 25 novembre 2010
“Perché non si leva costantemente la voce di chi ha responsabilità, accanto a quella degli uomini di buona volontà, in difesa di una reale libertà di religione e di coscienza? Quanto altro dolore per le proprie convinzioni dovranno subire persone di ogni età e condizione, di ogni religione e cultura, degne invece del rispetto dovuto indistintamente ad ogni uomo e ad ogni donna?”: è il grido risuonato oggi nella basilica vaticana di san Pietro, dove il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ha celebrato una messa in suffragio delle 58 vittime della strage nella chiesa siro-cattolica di Baghdad dello scorso 31 ottobre. Mai la violenza contro i cristiani in Iraq aveva raggiunto tale barbarie. Secondo quanto riporta il Rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo, curato da Aiuto alla Chiesa che soffre, nella sola città di Mossul sono fuggite per le violenze 1.694 famiglie, ovvero oltre 12 mila persone. Omicidi, autobombe e rapimenti hanno fatto vittime e feriti anche a Baghdad, Kirkuk, Ninive.
Dolore condiviso.
Nella sua omelia il cardinale ha ricordato anche “gli altri innocenti colpiti in Iraq contro ogni giustizia prima e dopo quel drammatico evento” e i feriti ai quali ha rinnovato la solidarietà della Chiesa, riaffermando che “il loro dolore è il nostro dolore”. Il card. Sandri si è rivolto direttamente agli ambasciatori presenti auspicando un loro impegno “presso i rispettivi governi, per favorire ovunque la serena convivenza dei singoli e delle comunità, e il rispetto dei loro diritti, appoggiando ogni intento per ridare al Vicino Oriente il suo volto multireligioso e multiculturale, civile e solidale”. “I cristiani – ha rimarcato il prefetto – debbono poter restare dove sono nati per offrire personalmente e attraverso le opere della Chiesa, senza alcuna discriminazione, il loro insostituibile contributo di carità sul piano educativo e culturale, assistenziale e sociale. Essi desiderano concorrere al progresso del loro amato Paese in generosa apertura verso i musulmani e tutti i loro connazionali. Con quanta riconoscenza apprezzeremo il coinvolgimento dei cristiani e dei loro pastori da parte delle Autorità civili nella adozione di tutte quelle misure che riguardano direttamente le loro persone, la loro sicurezza e il loro futuro”. Il ricordo finale il porporato lo ha dedicato ai 2 sacerdoti uccisi nella chiesa irachena mentre celebravano messa, padre Thaer e padre Wassim, “un’immolazione, seme di vocazioni perché seme della comunione e della testimonianza tanto auspicate dal recente Sinodo per il Vicino Oriente”.
Minacce continue.
Le violenze in Iraq, nel frattempo, sembrano non cessare, come confermato al SIR dal vicario episcopale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni: “È da qualche tempo che sulle case dei nostri fedeli degli sconosciuti affiggono dei volantini in cui si intima ai proprietari di lasciare la propria abitazione e andarsene, pena gravi ritorsioni. La gente ha paura e pensa seriamente ad andarsene. Si respira un’aria pesante qui nella capitale e a nulla servono le promesse di aiuto o la creazione di comitati ad hoc per studiare la situazione dei cristiani”, ha rimarcato mons. Warduni riferendosi alla notizia dell’istituzione da parte del Parlamento nazionale di una Commissione sui problemi relativi alla sicurezza della minoranza cristiana. Il vicario caldeo si è detto anche soddisfatto della risoluzione del Parlamento europeo relativa alle violenze contro le comunità cristiane nel Paese mediorientale giudicandola “un segnale forte della comunità internazionale ma che doveva arrivare molto tempo fa e non solo adesso. Non è in gioco solo la libertà religiosa e i diritti umani dei cristiani ma anche di tutte le minoranze nel Paese. Speriamo che l’Unione europea si faccia portavoce anche delle istanze di tutte le minoranze, indispensabili alla vita e alla rinascita del nostro Paese”.
Una fatwa contro la violenza.
A chiedere alle autorità islamiche irachene di rompere il silenzio sulle violenze contro i cristiani, emanando una fatwa, un decreto, per “aiutare a chiarire” che queste sono “illegittime e contrarie ai principi della religione islamica” è un altro vescovo caldeo, responsabile della diocesi di Kirkuk, mons. Louis Sako, che a Erbil, il 23 novembre, ha coordinato una riunione dell’episcopato caldeo, la prima di una serie a cadenza mensile, dedicata alla grave situazione della comunità ecclesiale. Nel messaggio diffuso al termine dell’incontro, come riporta il sito Baghdadhope, si legge che 60 famiglie cristiane sarebbero fuggite dalla capitale dopo la strage del 31 ottobre nella chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza e le uccisioni mirate compiute a Mosul la scorsa settimana per rifugiarsi a Sulemaniya, altre 80 famiglie avrebbero trovato rifugio ad Erbil, ed ad esse si aggiungono quelle che invece hanno raggiunto i villaggi cristiani nella piana di Ninive. Oltre all'appello al governo perché protegga tutti i suoi cittadini, nel messaggio si sottolinea l'importanza di preservare la presenza della comunità cristiana irachena e quindi della tradizione di cui è portatrice, si invitano gli iracheni cristiani in Iraq a non lasciare il paese, quelli in diaspora ad investire nella madre patria così da creare opportunità di lavoro, e le autorità musulmane perché si esprimano pubblicamente nel vietare lo spargimento di sangue innocente e il furto dei beni altrui.
“Perché non si leva costantemente la voce di chi ha responsabilità, accanto a quella degli uomini di buona volontà, in difesa di una reale libertà di religione e di coscienza? Quanto altro dolore per le proprie convinzioni dovranno subire persone di ogni età e condizione, di ogni religione e cultura, degne invece del rispetto dovuto indistintamente ad ogni uomo e ad ogni donna?”: è il grido risuonato oggi nella basilica vaticana di san Pietro, dove il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ha celebrato una messa in suffragio delle 58 vittime della strage nella chiesa siro-cattolica di Baghdad dello scorso 31 ottobre. Mai la violenza contro i cristiani in Iraq aveva raggiunto tale barbarie. Secondo quanto riporta il Rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo, curato da Aiuto alla Chiesa che soffre, nella sola città di Mossul sono fuggite per le violenze 1.694 famiglie, ovvero oltre 12 mila persone. Omicidi, autobombe e rapimenti hanno fatto vittime e feriti anche a Baghdad, Kirkuk, Ninive.
Dolore condiviso.
Nella sua omelia il cardinale ha ricordato anche “gli altri innocenti colpiti in Iraq contro ogni giustizia prima e dopo quel drammatico evento” e i feriti ai quali ha rinnovato la solidarietà della Chiesa, riaffermando che “il loro dolore è il nostro dolore”. Il card. Sandri si è rivolto direttamente agli ambasciatori presenti auspicando un loro impegno “presso i rispettivi governi, per favorire ovunque la serena convivenza dei singoli e delle comunità, e il rispetto dei loro diritti, appoggiando ogni intento per ridare al Vicino Oriente il suo volto multireligioso e multiculturale, civile e solidale”. “I cristiani – ha rimarcato il prefetto – debbono poter restare dove sono nati per offrire personalmente e attraverso le opere della Chiesa, senza alcuna discriminazione, il loro insostituibile contributo di carità sul piano educativo e culturale, assistenziale e sociale. Essi desiderano concorrere al progresso del loro amato Paese in generosa apertura verso i musulmani e tutti i loro connazionali. Con quanta riconoscenza apprezzeremo il coinvolgimento dei cristiani e dei loro pastori da parte delle Autorità civili nella adozione di tutte quelle misure che riguardano direttamente le loro persone, la loro sicurezza e il loro futuro”. Il ricordo finale il porporato lo ha dedicato ai 2 sacerdoti uccisi nella chiesa irachena mentre celebravano messa, padre Thaer e padre Wassim, “un’immolazione, seme di vocazioni perché seme della comunione e della testimonianza tanto auspicate dal recente Sinodo per il Vicino Oriente”.
Minacce continue.
Le violenze in Iraq, nel frattempo, sembrano non cessare, come confermato al SIR dal vicario episcopale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni: “È da qualche tempo che sulle case dei nostri fedeli degli sconosciuti affiggono dei volantini in cui si intima ai proprietari di lasciare la propria abitazione e andarsene, pena gravi ritorsioni. La gente ha paura e pensa seriamente ad andarsene. Si respira un’aria pesante qui nella capitale e a nulla servono le promesse di aiuto o la creazione di comitati ad hoc per studiare la situazione dei cristiani”, ha rimarcato mons. Warduni riferendosi alla notizia dell’istituzione da parte del Parlamento nazionale di una Commissione sui problemi relativi alla sicurezza della minoranza cristiana. Il vicario caldeo si è detto anche soddisfatto della risoluzione del Parlamento europeo relativa alle violenze contro le comunità cristiane nel Paese mediorientale giudicandola “un segnale forte della comunità internazionale ma che doveva arrivare molto tempo fa e non solo adesso. Non è in gioco solo la libertà religiosa e i diritti umani dei cristiani ma anche di tutte le minoranze nel Paese. Speriamo che l’Unione europea si faccia portavoce anche delle istanze di tutte le minoranze, indispensabili alla vita e alla rinascita del nostro Paese”.
Una fatwa contro la violenza.
A chiedere alle autorità islamiche irachene di rompere il silenzio sulle violenze contro i cristiani, emanando una fatwa, un decreto, per “aiutare a chiarire” che queste sono “illegittime e contrarie ai principi della religione islamica” è un altro vescovo caldeo, responsabile della diocesi di Kirkuk, mons. Louis Sako, che a Erbil, il 23 novembre, ha coordinato una riunione dell’episcopato caldeo, la prima di una serie a cadenza mensile, dedicata alla grave situazione della comunità ecclesiale. Nel messaggio diffuso al termine dell’incontro, come riporta il sito Baghdadhope, si legge che 60 famiglie cristiane sarebbero fuggite dalla capitale dopo la strage del 31 ottobre nella chiesa siro cattolica di Nostra Signora della Salvezza e le uccisioni mirate compiute a Mosul la scorsa settimana per rifugiarsi a Sulemaniya, altre 80 famiglie avrebbero trovato rifugio ad Erbil, ed ad esse si aggiungono quelle che invece hanno raggiunto i villaggi cristiani nella piana di Ninive. Oltre all'appello al governo perché protegga tutti i suoi cittadini, nel messaggio si sottolinea l'importanza di preservare la presenza della comunità cristiana irachena e quindi della tradizione di cui è portatrice, si invitano gli iracheni cristiani in Iraq a non lasciare il paese, quelli in diaspora ad investire nella madre patria così da creare opportunità di lavoro, e le autorità musulmane perché si esprimano pubblicamente nel vietare lo spargimento di sangue innocente e il furto dei beni altrui.