By SIR
"Ci stanno braccando ovunque”: con queste parole il patriarca di Babilonia dei Caldei, il card. Mar Emmanuel III Delly, ha descritto la nuova, ennesima, ondata di violenza che sta scuotendo la comunità cristiana irachena, iniziata ormai il 31 ottobre, giorno della carneficina, ad opera di Al Qaeda, nella chiesa siro-cattolica di Baghdad e culminata negli attacchi alle case dei cristiani di questi ultimi giorni. “Non possiamo fare nulla se non pregare”, ha affermato il cardinale che non ha esitato a dire che “stanno dando la caccia ai fedeli cristiani in ogni quartiere della capitale irachena”.
“Sconcerto” per questi attacchi è stato espresso dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, ha parlato di “sofferenza indicibile” ed ha auspicato che le autorità irachene prendano in seria considerazione la situazione dei cristiani iracheni. Intanto, secondo quanto annunciato dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, il 21 novembre, in tutte le diocesi italiane, si pregherà “per i cristiani perseguitati in Iraq e per i loro persecutori”.
Per aggiornare sulla situazione in Iraq il SIR ha intervistato il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni.
Com’è la situazione oggi a Baghdad?
“Le cose sembrano andare meglio, non abbiamo notizie di attacchi e violenze contro la comunità cristiana. Tuttavia la situazione resta grave. Le case colpite negli ultimi due giorni sono state tredici con un numero imprecisato di vittime, probabilmente non solo cristiane, ma certamente vittime irachene innocenti. La paura è tanta tra la nostra gente, che ormai non esce quasi più, ma cerchiamo di andare avanti e, pregando, di farci coraggio”.
La Cei ha indetto per il 21 novembre una giornata di preghiera per i cristiani iracheni…
“Ringrazio di cuore la Chiesa italiana, nella persona del card. Angelo Bagnasco. La decisione di indire una giornata di preghiera per i cristiani iracheni perseguitati, come anche per i nostri persecutori, ci riempie di gioia. È un segno della vicinanza delle diocesi italiane che a più riprese ci stanno esprimendo la loro solidarietà. Preghiamo a nostra volta per la Chiesa italiana affinché il Signore la fortifichi sempre più”.
Se la vicinanza spirituale non manca, sembra invece latitare l’impegno politico per porre fine a questa situazione. Le vostre pressioni sembrano inutili, perché?
“Difficile dirlo. Non sappiamo più a chi rivolgerci, abbiamo parlato con le Istituzioni, con tanti rappresentanti del Governo e della comunità internazionale ma senza esito. A tutti abbiamo sempre chiesto di cooperare per la pace e per la giustizia. Parlare di pace non basta è urgente costruire la pace, creando lavoro, stabilità e rispetto dei diritti. La soluzione alle sofferenze patite dai cristiani, vorrei aggiungere, non è quella di allontanarli dal loro Paese di origine, come qualcuno, pensa o propone, ma di fare il bene e la sicurezza dell’Iraq, mettendo da parte gli interessi personali o di parte”.
Ma esistono, a suo avviso, delle misure concrete per fronteggiare questa violenza?
“Innanzitutto servirebbe fermare il commercio di armi, la loro fabbricazione. Dobbiamo chiederci dove questi criminali prendono le armi, da chi le comprano, chi le fornisce loro. C’è una gara nel produrre armamenti, piccoli e grandi, che vengono messi in mano a persone senza scrupoli. Altra urgenza è bloccare gli ingressi di stranieri nel nostro Paese, i terroristi non sono iracheni ma vengono da Paesi limitrofi e allora serve controllare al meglio le frontiere. Certamente ci sono anche iracheni tra le fila dei criminali, altrimenti non potrebbero conoscere gli orari delle chiese, le abitazioni dei nostri fedeli, i luoghi da loro frequentati”.
Indubbiamente all’origine di questa violenza c’è anche la mancanza di un’adeguata cornice di sicurezza che dovrebbe essere garantita da una leadership forte. Ora, dopo diversi mesi, sembra sia stato raggiunto l’accordo per la formazione del nuovo Governo che dovrebbe essere guidato ancora da Nuri al-Maliki. Che ne pensa?
“Presto per dire. Qui le cose possono cambiare nel giro di pochissimo tempo, bisognerà attendere i fatti concreti prima di esprimere un giudizio”.
"Ci stanno braccando ovunque”: con queste parole il patriarca di Babilonia dei Caldei, il card. Mar Emmanuel III Delly, ha descritto la nuova, ennesima, ondata di violenza che sta scuotendo la comunità cristiana irachena, iniziata ormai il 31 ottobre, giorno della carneficina, ad opera di Al Qaeda, nella chiesa siro-cattolica di Baghdad e culminata negli attacchi alle case dei cristiani di questi ultimi giorni. “Non possiamo fare nulla se non pregare”, ha affermato il cardinale che non ha esitato a dire che “stanno dando la caccia ai fedeli cristiani in ogni quartiere della capitale irachena”.
“Sconcerto” per questi attacchi è stato espresso dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, mentre il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, ha parlato di “sofferenza indicibile” ed ha auspicato che le autorità irachene prendano in seria considerazione la situazione dei cristiani iracheni. Intanto, secondo quanto annunciato dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, il 21 novembre, in tutte le diocesi italiane, si pregherà “per i cristiani perseguitati in Iraq e per i loro persecutori”.
Per aggiornare sulla situazione in Iraq il SIR ha intervistato il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni.
Com’è la situazione oggi a Baghdad?
“Le cose sembrano andare meglio, non abbiamo notizie di attacchi e violenze contro la comunità cristiana. Tuttavia la situazione resta grave. Le case colpite negli ultimi due giorni sono state tredici con un numero imprecisato di vittime, probabilmente non solo cristiane, ma certamente vittime irachene innocenti. La paura è tanta tra la nostra gente, che ormai non esce quasi più, ma cerchiamo di andare avanti e, pregando, di farci coraggio”.
La Cei ha indetto per il 21 novembre una giornata di preghiera per i cristiani iracheni…
“Ringrazio di cuore la Chiesa italiana, nella persona del card. Angelo Bagnasco. La decisione di indire una giornata di preghiera per i cristiani iracheni perseguitati, come anche per i nostri persecutori, ci riempie di gioia. È un segno della vicinanza delle diocesi italiane che a più riprese ci stanno esprimendo la loro solidarietà. Preghiamo a nostra volta per la Chiesa italiana affinché il Signore la fortifichi sempre più”.
Se la vicinanza spirituale non manca, sembra invece latitare l’impegno politico per porre fine a questa situazione. Le vostre pressioni sembrano inutili, perché?
“Difficile dirlo. Non sappiamo più a chi rivolgerci, abbiamo parlato con le Istituzioni, con tanti rappresentanti del Governo e della comunità internazionale ma senza esito. A tutti abbiamo sempre chiesto di cooperare per la pace e per la giustizia. Parlare di pace non basta è urgente costruire la pace, creando lavoro, stabilità e rispetto dei diritti. La soluzione alle sofferenze patite dai cristiani, vorrei aggiungere, non è quella di allontanarli dal loro Paese di origine, come qualcuno, pensa o propone, ma di fare il bene e la sicurezza dell’Iraq, mettendo da parte gli interessi personali o di parte”.
Ma esistono, a suo avviso, delle misure concrete per fronteggiare questa violenza?
“Innanzitutto servirebbe fermare il commercio di armi, la loro fabbricazione. Dobbiamo chiederci dove questi criminali prendono le armi, da chi le comprano, chi le fornisce loro. C’è una gara nel produrre armamenti, piccoli e grandi, che vengono messi in mano a persone senza scrupoli. Altra urgenza è bloccare gli ingressi di stranieri nel nostro Paese, i terroristi non sono iracheni ma vengono da Paesi limitrofi e allora serve controllare al meglio le frontiere. Certamente ci sono anche iracheni tra le fila dei criminali, altrimenti non potrebbero conoscere gli orari delle chiese, le abitazioni dei nostri fedeli, i luoghi da loro frequentati”.
Indubbiamente all’origine di questa violenza c’è anche la mancanza di un’adeguata cornice di sicurezza che dovrebbe essere garantita da una leadership forte. Ora, dopo diversi mesi, sembra sia stato raggiunto l’accordo per la formazione del nuovo Governo che dovrebbe essere guidato ancora da Nuri al-Maliki. Che ne pensa?
“Presto per dire. Qui le cose possono cambiare nel giro di pochissimo tempo, bisognerà attendere i fatti concreti prima di esprimere un giudizio”.