By Corriere della Sera, 11 novembre 2010
intervista a Jean Sleiman, arcivescovo latino di Bagdad, a cura di Lorenzo Cremonesi
«Ormai la media delle famiglie cristiane che viene a chiedermi il certificato di battesimo si aggira
sulle sette al giorno. Prima dell'attacco contro la cattedrale siriaco-cattolica il 31 ottobre erano forse tre o quattro al mese. È il segno della fuga che cresce. Il certificato di battesimo serve per ottenere il visto alle ambasciate occidentali».
Parla per telefono dalla sua residenza nei pressi della chiesa cattolica l'arcivescovo latino di Bagdad, Jean Sleiman. Con i suoi collaboratori sta ancora cercando di capire le conseguenze degli ultimi attentati.
«Non so con precisione quante vittime. Mi dicono che tra i morti ci sono alcuni poliziotti di guardia alle zone cristiane», osserva.
Maronita, nato in Libano nel 1946, carmelitano, docente universitario a Parigi, autore tre anni fa di un volume il cui titolo appare tragicamente premonitore, Nella trappola irachena, Sleiman è anche un intellettuale lucido, attento osservatore della tragedia che investe il Paese dalla guerra del 2003.
Tanti cristiani sostengono che si stava infinitamente meglio ai tempi di Saddam Hussein.
«In generale direi che la miglior garanzia per sicurezza e libertà è lo Stato di diritto. Ma questo
certamente oggi non esiste. La tirannia baathista difendeva i cristiani nella misura in cui esigeva la massima sicurezza nell'ordine militare. La dittatura è la morte dell'anima. Ma è indubbio che ai
tempi di Saddam i cristiani erano protetti. Per il regime la sicurezza era una cosa sacra, intoccabile.
Oggi tutto questo non c'è».
Difenderle è difficile. Negli ultimi giorni sono state aggiunte guardie armate di fronte alle istituzioni cristiane. Dovrebbero però aumentare le pattuglie volanti della polizia anche nelle zone abitate dai cristiani. So che è complesso. Molti vivono in quartieri misti».
Perché proprio ora?
«Non escluderei un collegamento con il protrarsi dei negoziati per la formazione del governo. Si vuole fare pressione sulla controparte».
Chi, gli estremisti sunniti sul fronte sciita di Maliki?
«Possibile. Ma possibile anche l'opposto. Per esempio gli estremisti sciiti contro l'inclusione dei
sunniti».
Ci vede un ruolo dell'Iran?
«Non lo escludo affatto. La situazione è complessa. Il Paese è profondamente destabilizzato. Le
bombe contro i cristiani sono un modo per alzare il prezzo. La violenza paga e noi ne facciamo le spese».
Si sente minacciato?
«Come tutti i cristiani. Anche questa mattina mi hanno detto di non uscire di casa. Negli ultimi
giorni, a parte le bombe, almeno due cristiani sono stati assassinati nella capitale in circostanze ancora tutte da chiarire. Ma c'è anche chi nella nostra comunità sta organizzandosi per la difesa.
Tanti vorrebbero partire. Qualcuno pensa però che la nostra tradizione antica duemila anni vada garantita in ogni modo».
intervista a Jean Sleiman, arcivescovo latino di Bagdad, a cura di Lorenzo Cremonesi
«Ormai la media delle famiglie cristiane che viene a chiedermi il certificato di battesimo si aggira
sulle sette al giorno. Prima dell'attacco contro la cattedrale siriaco-cattolica il 31 ottobre erano forse tre o quattro al mese. È il segno della fuga che cresce. Il certificato di battesimo serve per ottenere il visto alle ambasciate occidentali».
Parla per telefono dalla sua residenza nei pressi della chiesa cattolica l'arcivescovo latino di Bagdad, Jean Sleiman. Con i suoi collaboratori sta ancora cercando di capire le conseguenze degli ultimi attentati.
«Non so con precisione quante vittime. Mi dicono che tra i morti ci sono alcuni poliziotti di guardia alle zone cristiane», osserva.
Maronita, nato in Libano nel 1946, carmelitano, docente universitario a Parigi, autore tre anni fa di un volume il cui titolo appare tragicamente premonitore, Nella trappola irachena, Sleiman è anche un intellettuale lucido, attento osservatore della tragedia che investe il Paese dalla guerra del 2003.
Tanti cristiani sostengono che si stava infinitamente meglio ai tempi di Saddam Hussein.
«In generale direi che la miglior garanzia per sicurezza e libertà è lo Stato di diritto. Ma questo
certamente oggi non esiste. La tirannia baathista difendeva i cristiani nella misura in cui esigeva la massima sicurezza nell'ordine militare. La dittatura è la morte dell'anima. Ma è indubbio che ai
tempi di Saddam i cristiani erano protetti. Per il regime la sicurezza era una cosa sacra, intoccabile.
Oggi tutto questo non c'è».
Come paragona questa nuova ondata di attentati anti-cristiani a quella contro le chiese
nell'estate del 2004?
«È il crescendo della destabilizzazione. Vogliono indurre i cristiani a scappare. Mirano a diffondere la paura. E c'è un salto di qualità. Prima attaccavano le basiliche, adesso anche le abitazioni private.nell'estate del 2004?
Difenderle è difficile. Negli ultimi giorni sono state aggiunte guardie armate di fronte alle istituzioni cristiane. Dovrebbero però aumentare le pattuglie volanti della polizia anche nelle zone abitate dai cristiani. So che è complesso. Molti vivono in quartieri misti».
Perché proprio ora?
«Non escluderei un collegamento con il protrarsi dei negoziati per la formazione del governo. Si vuole fare pressione sulla controparte».
Chi, gli estremisti sunniti sul fronte sciita di Maliki?
«Possibile. Ma possibile anche l'opposto. Per esempio gli estremisti sciiti contro l'inclusione dei
sunniti».
Ci vede un ruolo dell'Iran?
«Non lo escludo affatto. La situazione è complessa. Il Paese è profondamente destabilizzato. Le
bombe contro i cristiani sono un modo per alzare il prezzo. La violenza paga e noi ne facciamo le spese».
Si sente minacciato?
«Come tutti i cristiani. Anche questa mattina mi hanno detto di non uscire di casa. Negli ultimi
giorni, a parte le bombe, almeno due cristiani sono stati assassinati nella capitale in circostanze ancora tutte da chiarire. Ma c'è anche chi nella nostra comunità sta organizzandosi per la difesa.
Tanti vorrebbero partire. Qualcuno pensa però che la nostra tradizione antica duemila anni vada garantita in ogni modo».