By Roma Sette
di Francesco Indelicato
Li hanno chiamati «i martiri di Ognissanti»: sono i 46 fedeli uccisi domenica scorsa nell’attacco alla cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del perpetuo soccorso, a Baghdad. Con loro sono morti anche 7 agenti di polizia, insieme ai 5 membri del commando dello «Stato islamico in Iraq», la cellula di Al Qaeda nel Paese. Circa 60 i feriti. Una strage destinata a passare alla storia come il peggiore attacco contro la minoranza cristiana da quando nel 2003 è caduto il regime di Saddam Hussein. Tra le vittime anche due sacerdoti di 32 anni e 27 anni, mentre un terzo è deceduto in ospedale. Il primo stava leggendo un passo della Bibbia quando sono entrati gli uomini armati che gli hanno sparato un proiettile alla tempia. Intanto il sedicente ministero dello Stato islamico iracheno ha dichiarato che tutte le organizzazioni e i fedeli cristiani sono da considerarsi da ora in poi «bersagli legittimi».
Purtroppo i cristiani in Iraq sono obiettivi legittimi «da almeno 5 o 6 anni», afferma padre Ghazwan Baho, della diocesi di Alquoch dei Caldei, docente di lingue semitiche all’Università Urbaniana.
«In questo periodo si è passati da un milione di cristiani a poco meno di 500mila, di cui la maggior parte al nord, nella zona del Kurdistan. Quel che è successo nella cattedrale di Nostra Signora del perpetuo soccorso non è una novità. È quanto succede quasi ogni giorno, sebbene in Occidente non se parli abbastanza. La novità è che gli estremisti ora hanno cambiato strategia, agendo non più fuori dalle chiese ma dentro. I cristiani non possono che aver paura: quelli che potevano scappare al nord l’hanno fatto. A Baghdad è rimasto solo chi non ha scelta».
Di fronte alla violenza del fanatismo religioso la comunità cattolica in Iraq sente la vicinanza della Chiesa universale e del Papa?
I cattolici sentono forte la vicinanza dei loro fratelli nel resto del mondo e anche quella di Benedetto XVI, ma hanno bisogno di essere protetti fisicamente, e di fronte al vuoto di governo che vivono si sentono soli.
C’è chi sostiene che nonostante fosse un dittatore spietato, Saddam Hussein ha saputo mantenere pace tra le etnie e confessioni religiose irachene. Che ne pensa?
In una dittatura è normale che tutti abbiano paura del dittatore e facciano ciò che vuole. I cristiani sono visti come gente di fiducia, che non tradisce. Saddam Hussein li «proteggeva» solo perché non facevano politica contro di lui. Ma molti sono stati anche i massacri contro di loro. Oggi ancora non c’è stabilità e la gente è nostalgica non di Saddam ma della sicurezza. C’è grande sfiducia.
Quali sono le responsabilità dell’Occidente nell’infinita guerra in Iraq e come potrebbe apportare un contributo di pace in questo scenario che pare incontrollabile?
La principale colpa è proprio nella guerra, sempre ingiusta. Altro errore è stato quello di imporre la democrazia: una forma di governo può funzionare meglio in uno Stato e meno in un altro. La democrazia ad esempio non viene accettata dal mondo arabo, che ha una cultura differente da quella occidentale. Il bene che si può fare per noi sta anche semplicemente nel parlare più spesso e correttamente del mondo arabo, che non è solo musulmano. I cristiani nel nostro Paese sono l’etnia più antica e quelli rimasti nonostante le persecuzioni danno una testimonianza di cui si dovrebbe tener conto.
In che modo un prete iracheno realizza la sua missione quotidiana?
Essere prete in Iraq vuol dire celebrare Messa al mattino e pensare al proprio sangue mischiato con quello di Cristo. Il parroco non è solo un capo religioso: è il capo di una comunità per la quale lotta in prima fila. Per questo è visto come il primo obiettivo da colpire, come dice la Bibbia: percuoterò il pastore e il gregge si disperderà.
di Francesco Indelicato
Li hanno chiamati «i martiri di Ognissanti»: sono i 46 fedeli uccisi domenica scorsa nell’attacco alla cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del perpetuo soccorso, a Baghdad. Con loro sono morti anche 7 agenti di polizia, insieme ai 5 membri del commando dello «Stato islamico in Iraq», la cellula di Al Qaeda nel Paese. Circa 60 i feriti. Una strage destinata a passare alla storia come il peggiore attacco contro la minoranza cristiana da quando nel 2003 è caduto il regime di Saddam Hussein. Tra le vittime anche due sacerdoti di 32 anni e 27 anni, mentre un terzo è deceduto in ospedale. Il primo stava leggendo un passo della Bibbia quando sono entrati gli uomini armati che gli hanno sparato un proiettile alla tempia. Intanto il sedicente ministero dello Stato islamico iracheno ha dichiarato che tutte le organizzazioni e i fedeli cristiani sono da considerarsi da ora in poi «bersagli legittimi».
Purtroppo i cristiani in Iraq sono obiettivi legittimi «da almeno 5 o 6 anni», afferma padre Ghazwan Baho, della diocesi di Alquoch dei Caldei, docente di lingue semitiche all’Università Urbaniana.
«In questo periodo si è passati da un milione di cristiani a poco meno di 500mila, di cui la maggior parte al nord, nella zona del Kurdistan. Quel che è successo nella cattedrale di Nostra Signora del perpetuo soccorso non è una novità. È quanto succede quasi ogni giorno, sebbene in Occidente non se parli abbastanza. La novità è che gli estremisti ora hanno cambiato strategia, agendo non più fuori dalle chiese ma dentro. I cristiani non possono che aver paura: quelli che potevano scappare al nord l’hanno fatto. A Baghdad è rimasto solo chi non ha scelta».
Di fronte alla violenza del fanatismo religioso la comunità cattolica in Iraq sente la vicinanza della Chiesa universale e del Papa?
I cattolici sentono forte la vicinanza dei loro fratelli nel resto del mondo e anche quella di Benedetto XVI, ma hanno bisogno di essere protetti fisicamente, e di fronte al vuoto di governo che vivono si sentono soli.
C’è chi sostiene che nonostante fosse un dittatore spietato, Saddam Hussein ha saputo mantenere pace tra le etnie e confessioni religiose irachene. Che ne pensa?
In una dittatura è normale che tutti abbiano paura del dittatore e facciano ciò che vuole. I cristiani sono visti come gente di fiducia, che non tradisce. Saddam Hussein li «proteggeva» solo perché non facevano politica contro di lui. Ma molti sono stati anche i massacri contro di loro. Oggi ancora non c’è stabilità e la gente è nostalgica non di Saddam ma della sicurezza. C’è grande sfiducia.
Quali sono le responsabilità dell’Occidente nell’infinita guerra in Iraq e come potrebbe apportare un contributo di pace in questo scenario che pare incontrollabile?
La principale colpa è proprio nella guerra, sempre ingiusta. Altro errore è stato quello di imporre la democrazia: una forma di governo può funzionare meglio in uno Stato e meno in un altro. La democrazia ad esempio non viene accettata dal mondo arabo, che ha una cultura differente da quella occidentale. Il bene che si può fare per noi sta anche semplicemente nel parlare più spesso e correttamente del mondo arabo, che non è solo musulmano. I cristiani nel nostro Paese sono l’etnia più antica e quelli rimasti nonostante le persecuzioni danno una testimonianza di cui si dovrebbe tener conto.
In che modo un prete iracheno realizza la sua missione quotidiana?
Essere prete in Iraq vuol dire celebrare Messa al mattino e pensare al proprio sangue mischiato con quello di Cristo. Il parroco non è solo un capo religioso: è il capo di una comunità per la quale lotta in prima fila. Per questo è visto come il primo obiettivo da colpire, come dice la Bibbia: percuoterò il pastore e il gregge si disperderà.