"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

15 luglio 2014

Patriarca caldeo: Felice per il rilascio delle suore e dei giovani, stanno bene


"Sono molte felice per la liberazione delle due suore e dei tre orfani", perché rappresenta "finalmente una bella notizia" in un quadro di guerra, violenze e divisioni. È quanto afferma ad AsiaNews il Patriarca della Chiesa caldea Mar Louis Raphael I Sako, commentando la notizia del rilascio di Suor Atur, Suor Miskinta e dei tre giovani dal 28 giugno scorso nelle mani di alcuni rapitori. Autori del sequestro sono elementi legati a quello che era lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis, formazione sunnita jihadista già legata ad al Qaeda), ora milizia del califfato islamico. Le due suore caldee, appartenenti alla Congregazione delle Figlie di Maria Immacolata, gestivano insieme alle loro consorelle una casa-famiglia per bambini abbandonati e orfani di Mosul, nei pressi dell'arcivescovado caldeo.
Raggiunto da AsiaNews Sua Beatitudine si dice "contento" per la "bella notizia"; il Patriarca spiega che vi sono stati "contatti con persone della città", che "hanno contribuito alla loro liberazione". Le suore e i giovani, aggiunge Mar Sako, sono stati trattenuti "in una casa di Mosul, ma hanno ricevuto un buon trattamento, erano tutti insieme. Le suore temevano per l'incolumità delle ragazze, ma non vi sono stati problemi". 
Il Patriarca caldeo racconta che le suore "hanno trascorso i 17 giorni di prigionia pregando per la loro liberazione e per la pace in Iraq". Secondo Mar Sako non sono state versate somme di denaro in cambio del rilascio, ma gli islamisti "hanno solo preso la loro macchina, un pick-up nuovo". "Le religiose sono sollevate e felici - conclude sua Beatitudine - hanno preso i loro effetti personali e ora sono tornate a Dohuk", nel Kurdistan irakeno, dove hanno trovato rifugio dalla fuga dal convento. 
Nei giorni scorsi anche l'arcivescovo caldeo della città, mons. Emil Shimoun Nona, aveva lanciato un appello per la loro liberazione, il quale aveva anche auspicato massima prudenza e attenzione sulla vicenda a salvaguardia delle vite degli ostaggi. Dalla seconda città per importanza dell'Iraq -  Mosul è stata la prima a cadere sotto l'offensiva delle milizie islamiste - sono fuggite almeno  500mila persone, cristiani e musulmani, originando una gravissima crisi umanitaria, economica e politica. Il prelato ha confermato che, per il rilascio degli ostaggi, "non è stato pagato alcun riscatto". 
La notizia della liberazione delle suore non cambia però il clima di guerra, divisioni e violenze che caratterizza il Paese; in Parlamento si cerca una difficile mediazione fra i vari fronti, ma le spinte autonomiste - in particolare nel Kurdistan irakeno - si fanno sempre più forti. Fonti delle Nazioni Unite riferiscono che, nel solo mese di giugno, almeno 2417 irakeni, fra cui 1513 civili, sono morti "in atti di violenza o terrorismo". Oltre un milione di persone hanno abbandonato le proprie abitazioni a causa dei combattimenti fra esercito e milizie islamiste. Si tratta del punto più alto di crisi a partire dal dicembre 2011, quando le truppe statunitensi hanno abbandonato il Paese;  nel computo totale non vi sono i morti della provincia di Anbar, nelle mani dei miliziani sunniti.