Fratelli e
sorelle “perseguitati”, “cacciati via” dalle loro case, “spogliati di
tutto”. Sono i cristiani di Mossul, e in generale dell’Iraq, nelle
parole del Papa, in occasione dell’Angelus domenicale. Il Pontefice ha
pregato ancora una volta per la riconciliazione e la pace nel Paese in
preda alle violenze e agli attacchi dei miliziani jihadisti dello Stato
islamico. Il servizio di Giada Aquilino:
"Un crimine contro l'umaità". Sulle persecuzioni dei cristiani di Mossul per mano dei miliziani jihadisti dell’Isil e dei gruppi armati ad esso legati interviene anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Dopo che nella seconda città d’Iraq è stato bruciato il palazzo episcopale dei siro-cattolici, nelle ultime ore gli estremisti dell’auto-proclamato ‘Califfato islamico’ si sono impossessati dell’antico monastero di Mar Behnam,, vicino Qaraqosh, fino ad ora affidato ai monaci siro cattolici.
Lo ha confermato l’arcivescovo siro cattolico di Mossul, Yohanna Petros Moshe, all’agenzia Fides. Sull’emergenza dei cristiani di Mossul, oggi è in programma ad Ankawa, vicino Erbil, nel Kurdistan iracheno, una riunione dei vescovi locali con diplomatici stranieri e politici del Paese. Mentre in tutto l’Iraq continuano le violenze e gli attacchi, con 16 vittime solo stanotte a Mahmoudiya e ad Abu Ghraib, sobborgo occidentale di Baghdad, la comunità cristiana d’Iraq appare sempre più a rischio sopravvivenza. Anche il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha rivolto un appello a tutti i Paesi del mondo perché "reagiscano uniti contro l'ultimo crimine dello Stato islamico, che ha espulso con la forza i cristiani da Mossul".
E "immenso dolore per la sorte disperata di tante persone innocenti" è stato espresso dal cardinale Leonardo Sandri , prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, alla Messa celebrata ieri a Los Angeles in occasione della festa maronita di San Charbel e di Sant'Elia. Il porporato, che ha ricordato pure le sofferenze dei cristiani di Siria e di tutto il Medio Oriente, ha ricordato le parole di Papa Francesco subito dopo l’Angelus di domenica. “La violenza si vince con la pace”, aveva ribadito il Pontefice. Sulla preghiera del Santo Padre per i cristiani d’Iraq, la testimonianza di mons. Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, che nei giorni scorsi aveva lanciato un vibrante appello di pace anche attraverso Aiuto alla chiesa che soffre:
L’appello del Papa è venuto proprio nel momento giusto, perché sono davvero perseguitati: sono stati cacciati dalle loro case, dal loro territorio, dalla loro città solo perché sono cristiani! Una persona viene quindi maltratta e perseguitata per la sua religione, per la sua confessione.
Queste famiglie cristiane adesso dove si trovano?Alcune sono andate verso nord, verso il Kurdistan; altre verso Erbil; altre ancora nei villaggi cristiani che si trovano nella piana di Ninive. Dunque sono vari i posti in cui queste famiglie si trovano oggi. Sono in una situazione molto difficile, perché non hanno niente: sono state derubate della loro macchina, dei loro soldi, della loro casa, del loro lavoro. E non possono tornare. Quindi la situazione è molto critica; c’è bisogno di un intervento urgente per aiutare tali famiglie a superare questa tragedia, questa sofferenza.
Hanno saputo delle parole del Papa?
La sofferenza è così grande nel loro cuore, nelle loro case oggi, che a volte non ascoltano tutte le notizie…
Quindi attraverso di voi riceveranno questo pensiero del Papa…
Certamente. La nostra è una responsabilità come preti, vescovi, autorità. Il nostro patriarca ha fatto più di un appello per calmare la situazione, che però è molto critica.
Negli ultimi giorni è stato bruciato il palazzo episcopale dei siro-cattolici a Mossul. Anche a Qaraqosh il monastero - fino a ieri affidato ai monaci siro cattolici - è stato occupato dai jihadisti… Più di un monastero è stato derubato da questi gruppi, che hanno cacciato via i monaci. Hanno preso il monastero di San Giorgio, la Casa delle suore del Sacro Cuore, il monastero dei domenicani, il monastero dei siro-cattolici, che si trovano tutti a Mossul.
Si può dire che la comunità cristiana è a rischio sopravvivenza?
È a rischio sopravvivenza a Mossul, perché ormai nessun cristiano si trova lì, le poche famiglie che sono rimaste forse si trovano nei villaggi al confine con la città.
I vostri appelli hanno avuto un riscontro presso le autorità? Ci sono contatti per permettere, in futuro, un ritorno di questa gente?
La situazione politica è molto complicata. Il disaccordo che c’è tra i partiti politici rende difficile arrivare ad una soluzione per tutto il Paese, perché la soluzione per queste famiglie dipende - in qualche modo - anche dalla situazione politica in generale. Gli appelli non hanno ancora giovato in questo senso. Speriamo che le personalità politiche, anche ragionevoli, possano arrivare ad un accordo per mettere fine a questa tragedia. Tante famiglie hanno perso la speranza; sono disperate per il futuro e forse sceglieranno anche di non rimanere. Questo è il grande pericolo che noi affrontiamo oggi: la migrazione di questa comunità, o di ciò che rimane di questa comunità.
“La violenza si vince con la pace”, ha detto il Pontefice. Come risuonano quindi queste parole in Iraq?
Noi portiamo con responsabilità le parole del nostro Papa, perché sono le parole del Vangelo. Noi tutti siamo portatori e fattori di pace; vogliamo lavorare e vivere in pace con tutti i nostri concittadini. Però, purtroppo, questo fanatismo che è cresciuto nel nostro Paese rende difficile la convivenza pacifica tra le genti e noi vogliamo lavorare in questo senso. Abbiamo fatto tanti appelli. Ieri c’è stato un incontro a Baghdad tra musulmani e cristiani; abbiamo sempre questi contatti con la comunità moderata. Abbiamo rapporti, abbiamo amici che sanno che tutto ciò è sbagliato. Certamente noi coltiviamo questi rapporti pacifici, per costruire una convivenza sociale più giusta per tutti.
"Un crimine contro l'umaità". Sulle persecuzioni dei cristiani di Mossul per mano dei miliziani jihadisti dell’Isil e dei gruppi armati ad esso legati interviene anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Dopo che nella seconda città d’Iraq è stato bruciato il palazzo episcopale dei siro-cattolici, nelle ultime ore gli estremisti dell’auto-proclamato ‘Califfato islamico’ si sono impossessati dell’antico monastero di Mar Behnam,, vicino Qaraqosh, fino ad ora affidato ai monaci siro cattolici.
Lo ha confermato l’arcivescovo siro cattolico di Mossul, Yohanna Petros Moshe, all’agenzia Fides. Sull’emergenza dei cristiani di Mossul, oggi è in programma ad Ankawa, vicino Erbil, nel Kurdistan iracheno, una riunione dei vescovi locali con diplomatici stranieri e politici del Paese. Mentre in tutto l’Iraq continuano le violenze e gli attacchi, con 16 vittime solo stanotte a Mahmoudiya e ad Abu Ghraib, sobborgo occidentale di Baghdad, la comunità cristiana d’Iraq appare sempre più a rischio sopravvivenza. Anche il primo ministro iracheno, Nuri al Maliki, ha rivolto un appello a tutti i Paesi del mondo perché "reagiscano uniti contro l'ultimo crimine dello Stato islamico, che ha espulso con la forza i cristiani da Mossul".
E "immenso dolore per la sorte disperata di tante persone innocenti" è stato espresso dal cardinale Leonardo Sandri , prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, alla Messa celebrata ieri a Los Angeles in occasione della festa maronita di San Charbel e di Sant'Elia. Il porporato, che ha ricordato pure le sofferenze dei cristiani di Siria e di tutto il Medio Oriente, ha ricordato le parole di Papa Francesco subito dopo l’Angelus di domenica. “La violenza si vince con la pace”, aveva ribadito il Pontefice. Sulla preghiera del Santo Padre per i cristiani d’Iraq, la testimonianza di mons. Saad Syroub, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, che nei giorni scorsi aveva lanciato un vibrante appello di pace anche attraverso Aiuto alla chiesa che soffre:
L’appello del Papa è venuto proprio nel momento giusto, perché sono davvero perseguitati: sono stati cacciati dalle loro case, dal loro territorio, dalla loro città solo perché sono cristiani! Una persona viene quindi maltratta e perseguitata per la sua religione, per la sua confessione.
Queste famiglie cristiane adesso dove si trovano?Alcune sono andate verso nord, verso il Kurdistan; altre verso Erbil; altre ancora nei villaggi cristiani che si trovano nella piana di Ninive. Dunque sono vari i posti in cui queste famiglie si trovano oggi. Sono in una situazione molto difficile, perché non hanno niente: sono state derubate della loro macchina, dei loro soldi, della loro casa, del loro lavoro. E non possono tornare. Quindi la situazione è molto critica; c’è bisogno di un intervento urgente per aiutare tali famiglie a superare questa tragedia, questa sofferenza.
Hanno saputo delle parole del Papa?
La sofferenza è così grande nel loro cuore, nelle loro case oggi, che a volte non ascoltano tutte le notizie…
Quindi attraverso di voi riceveranno questo pensiero del Papa…
Certamente. La nostra è una responsabilità come preti, vescovi, autorità. Il nostro patriarca ha fatto più di un appello per calmare la situazione, che però è molto critica.
Negli ultimi giorni è stato bruciato il palazzo episcopale dei siro-cattolici a Mossul. Anche a Qaraqosh il monastero - fino a ieri affidato ai monaci siro cattolici - è stato occupato dai jihadisti… Più di un monastero è stato derubato da questi gruppi, che hanno cacciato via i monaci. Hanno preso il monastero di San Giorgio, la Casa delle suore del Sacro Cuore, il monastero dei domenicani, il monastero dei siro-cattolici, che si trovano tutti a Mossul.
Si può dire che la comunità cristiana è a rischio sopravvivenza?
È a rischio sopravvivenza a Mossul, perché ormai nessun cristiano si trova lì, le poche famiglie che sono rimaste forse si trovano nei villaggi al confine con la città.
I vostri appelli hanno avuto un riscontro presso le autorità? Ci sono contatti per permettere, in futuro, un ritorno di questa gente?
La situazione politica è molto complicata. Il disaccordo che c’è tra i partiti politici rende difficile arrivare ad una soluzione per tutto il Paese, perché la soluzione per queste famiglie dipende - in qualche modo - anche dalla situazione politica in generale. Gli appelli non hanno ancora giovato in questo senso. Speriamo che le personalità politiche, anche ragionevoli, possano arrivare ad un accordo per mettere fine a questa tragedia. Tante famiglie hanno perso la speranza; sono disperate per il futuro e forse sceglieranno anche di non rimanere. Questo è il grande pericolo che noi affrontiamo oggi: la migrazione di questa comunità, o di ciò che rimane di questa comunità.
“La violenza si vince con la pace”, ha detto il Pontefice. Come risuonano quindi queste parole in Iraq?
Noi portiamo con responsabilità le parole del nostro Papa, perché sono le parole del Vangelo. Noi tutti siamo portatori e fattori di pace; vogliamo lavorare e vivere in pace con tutti i nostri concittadini. Però, purtroppo, questo fanatismo che è cresciuto nel nostro Paese rende difficile la convivenza pacifica tra le genti e noi vogliamo lavorare in questo senso. Abbiamo fatto tanti appelli. Ieri c’è stato un incontro a Baghdad tra musulmani e cristiani; abbiamo sempre questi contatti con la comunità moderata. Abbiamo rapporti, abbiamo amici che sanno che tutto ciò è sbagliato. Certamente noi coltiviamo questi rapporti pacifici, per costruire una convivenza sociale più giusta per tutti.