By Baghdadhope*
"Hanno cominciato a segnare le case dei cristiani con la lettera N, la N di Nazarat (Cristiani) ed hanno occupato il vescovado caldeo sul quale ora sventola la loro bandiera".
Il tono del Vicario Patriarcale caldeo, Monsignor Shleimun Warduni, nel parlare a Baghdadhope della situazione a Mosul è triste, quasi rassegnato.
Da esso, più che da molte parole, si intuisce come sia difficile non considerare la città occupata lo scorso mese dai combattenti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante una città ormai "persa".
Da esso, più che da molte parole, si intuisce come sia difficile non considerare la città occupata lo scorso mese dai combattenti dello Stato Islamico dell'Iraq e del Levante una città ormai "persa".
Persa per tutti coloro che fanno parte degli "altri" rispetto ai combattenti ed ai fiancheggiatori dell'ISIS: le minoranze non musulmane, gli sciiti, i curdi e gli stessi sunniti che non riconoscono il potere del "califfato islamico" che ha per ora a Mosul la sua capitale, in attesa e nella speranza di sostituirle Baghdad e da lì di partire alla conquista del mondo.
Il tono si anima solo nel rispondere alla domanda sulle suore ed i tre ragazzi liberati due giorni fa: "Li ho visti e stanno bene, le suore e le ragazze sono a Dohuk mentre il bambino è stato riportato dal padre. Ringraziamo tutti coloro che hanno pregato per la loro liberazione."
"I problemi però sono tanti" continua il prelato, "nei villaggi cristiani che hanno accolto coloro che sono fuggiti dalle zone controllate dall'ISIS mancano le infrastrutture, soprattutto la fornitura di acqua e di energia elettrica e con il clima estivo questo è molto è più che un disagio."
"La Chiesa, in collaborazione con l'UNICEF, ha fatto costruire dei pozzi ma non sono sufficienti e per questa ragione, come direttore della Caritas-Iraq vorrei, anzi devo, lanciare un appello per aiuti che ci consentano di alleviare le difficilissime condizioni di vita di queste persone che in molti casi hanno perso tutto. Abbiamo il dovere di aiutarli ed anche l'acqua sarebbe per loro un segno di speranza."
Il tono si anima solo nel rispondere alla domanda sulle suore ed i tre ragazzi liberati due giorni fa: "Li ho visti e stanno bene, le suore e le ragazze sono a Dohuk mentre il bambino è stato riportato dal padre. Ringraziamo tutti coloro che hanno pregato per la loro liberazione."
"I problemi però sono tanti" continua il prelato, "nei villaggi cristiani che hanno accolto coloro che sono fuggiti dalle zone controllate dall'ISIS mancano le infrastrutture, soprattutto la fornitura di acqua e di energia elettrica e con il clima estivo questo è molto è più che un disagio."
"La Chiesa, in collaborazione con l'UNICEF, ha fatto costruire dei pozzi ma non sono sufficienti e per questa ragione, come direttore della Caritas-Iraq vorrei, anzi devo, lanciare un appello per aiuti che ci consentano di alleviare le difficilissime condizioni di vita di queste persone che in molti casi hanno perso tutto. Abbiamo il dovere di aiutarli ed anche l'acqua sarebbe per loro un segno di speranza."