By Radiovaticana
In Iraq è sempre più drammatica la situazione per cristiani, sciiti e curdi rimasti nelle aree del nord occupate dai jihadisti sunniti dell’Isis. La Chiesa irachena conferma che a Mosul i cristiani subiscono l’occupazione delle loro case e la sospensione di aiuti di prima necessità. Intanto le forze governative vengono respinte nel tentativo di riconquistare Tikrit, mentre il nuovo presidente del parlamento il sunnita Salim Jabouri ha annunciato che si recherà in visita a Teheran per colloqui con le autorità locali. Nel frattempo una delegazione iraniana si è recata ad Erbil per mediare un riavvicinamento tra il governo di Baghdad e la regione del Kurdistan. Ma sulla situazione dei cristiani a Mosul nel nord del Paese, sentiamo, al microfono di Marco Guerra, il nunzio in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua:
Qui la situazione è molto grave; appunto ai cristiani è stato chiesto di convertirsi all’Islam o di pagare la tassa per la religione imposta ai non musulmani oppure di lasciare la città. I vescovi – sia il vescovo caldeo, sia quello siro-cattolico sia quello siro-ortodosso – hanno chiesto ai fedeli di lasciare quanto prima la città.
Ma i cristiani, a sentire quello che era stato detto precedentemente, erano tutti fuggiti nella Piana di Ninive. Quindi, invece, qualcuno era rimasto in città?
Qualcuno era rimasto, quelli che non sapevano dove andare o gli anziani … Adesso, qualcuno in più sta uscendo, ma quei pochi che ancora non sanno dove andare rimangono. E infatti le loro case sono già state segnate con la scritta “proprietà dello Stato islamico”.
Nella Piana di Ninive e nei villaggi che nel Kurdistan iracheno hanno accolto i cristiani, qual è la condizione sanitaria e anche umanitaria?
La situazione è preoccupante perché le temperature sono molto elevate – sopra i 40° - in questo periodo, ed essendoci scarsità di acqua e soprattutto anche di elettricità, le condizioni sono veramente difficili. Per questo è necessario almeno scavare dei pozzi per trovare acqua potabile: la Caritas si è subito data da fare. Si è recata sul posto e ha fatto un’analisi della situazione, ora sta realizzando dei progetti e ha già iniziato a scavare dei pozzi.
C’è ancora qualche chiesa o qualche esponente del clero che riferisce qualcosa dai territori occupati dall’Isil?
Sì: ci sono ancora alcune famiglie di cristiani con cui si è in contatto. E ci sono ancora anche due monaci e un fratello, monaco anche lui, della Comunità di Sant’Efrem: sono nel monastero di Mar Behnam, che è a una trentina di chilometri da Mosul, però in territorio occupato dall’Isil. Dicono di stare bene in questo momento, hanno il permesso di uscire ed entrare però non so come si comporteranno adesso, con queste nuove disposizioni.
Voi che cosa chiedete al governo? Quali saranno i prossimi passi?
Al governo si chiede di far fonte all’emergenza umanitaria che si sta creando per la gente che lascia le case e deve lasciare tutto, senza prendere nulla con sé. Questo infatti è stato quello che hanno imposto: di partire immediatamente senza prendere niente perché tutto è di proprietà dello Stato islamico. Quindi, si chiede al governo di intervenire anche con aiuti umanitari.
Temete una divisione dell’Iraq?
Due giorni fa c’è stata l’elezione del nuovo presidente del Parlamento. Adesso si aspettano le elezioni del presidente della Repubblica, del nuovo governo … Se si optasse per la scelta inclusiva, si potrebbe evitare una tragedia; se ci sarà un governo inclusivo, quelli che hanno aperto le porte all’Isil, perché erano insoddisfatti della politica del governo centrale, potrebbero loro stessi reagire e non accettare questa imposizione che, sono certo, non piacerà a molti, anche tra quelli che sono in quel territorio.
In Iraq è sempre più drammatica la situazione per cristiani, sciiti e curdi rimasti nelle aree del nord occupate dai jihadisti sunniti dell’Isis. La Chiesa irachena conferma che a Mosul i cristiani subiscono l’occupazione delle loro case e la sospensione di aiuti di prima necessità. Intanto le forze governative vengono respinte nel tentativo di riconquistare Tikrit, mentre il nuovo presidente del parlamento il sunnita Salim Jabouri ha annunciato che si recherà in visita a Teheran per colloqui con le autorità locali. Nel frattempo una delegazione iraniana si è recata ad Erbil per mediare un riavvicinamento tra il governo di Baghdad e la regione del Kurdistan. Ma sulla situazione dei cristiani a Mosul nel nord del Paese, sentiamo, al microfono di Marco Guerra, il nunzio in Iraq e Giordania, mons. Giorgio Lingua:
Qui la situazione è molto grave; appunto ai cristiani è stato chiesto di convertirsi all’Islam o di pagare la tassa per la religione imposta ai non musulmani oppure di lasciare la città. I vescovi – sia il vescovo caldeo, sia quello siro-cattolico sia quello siro-ortodosso – hanno chiesto ai fedeli di lasciare quanto prima la città.
Ma i cristiani, a sentire quello che era stato detto precedentemente, erano tutti fuggiti nella Piana di Ninive. Quindi, invece, qualcuno era rimasto in città?
Qualcuno era rimasto, quelli che non sapevano dove andare o gli anziani … Adesso, qualcuno in più sta uscendo, ma quei pochi che ancora non sanno dove andare rimangono. E infatti le loro case sono già state segnate con la scritta “proprietà dello Stato islamico”.
Nella Piana di Ninive e nei villaggi che nel Kurdistan iracheno hanno accolto i cristiani, qual è la condizione sanitaria e anche umanitaria?
La situazione è preoccupante perché le temperature sono molto elevate – sopra i 40° - in questo periodo, ed essendoci scarsità di acqua e soprattutto anche di elettricità, le condizioni sono veramente difficili. Per questo è necessario almeno scavare dei pozzi per trovare acqua potabile: la Caritas si è subito data da fare. Si è recata sul posto e ha fatto un’analisi della situazione, ora sta realizzando dei progetti e ha già iniziato a scavare dei pozzi.
C’è ancora qualche chiesa o qualche esponente del clero che riferisce qualcosa dai territori occupati dall’Isil?
Sì: ci sono ancora alcune famiglie di cristiani con cui si è in contatto. E ci sono ancora anche due monaci e un fratello, monaco anche lui, della Comunità di Sant’Efrem: sono nel monastero di Mar Behnam, che è a una trentina di chilometri da Mosul, però in territorio occupato dall’Isil. Dicono di stare bene in questo momento, hanno il permesso di uscire ed entrare però non so come si comporteranno adesso, con queste nuove disposizioni.
Voi che cosa chiedete al governo? Quali saranno i prossimi passi?
Al governo si chiede di far fonte all’emergenza umanitaria che si sta creando per la gente che lascia le case e deve lasciare tutto, senza prendere nulla con sé. Questo infatti è stato quello che hanno imposto: di partire immediatamente senza prendere niente perché tutto è di proprietà dello Stato islamico. Quindi, si chiede al governo di intervenire anche con aiuti umanitari.
Temete una divisione dell’Iraq?
Due giorni fa c’è stata l’elezione del nuovo presidente del Parlamento. Adesso si aspettano le elezioni del presidente della Repubblica, del nuovo governo … Se si optasse per la scelta inclusiva, si potrebbe evitare una tragedia; se ci sarà un governo inclusivo, quelli che hanno aperto le porte all’Isil, perché erano insoddisfatti della politica del governo centrale, potrebbero loro stessi reagire e non accettare questa imposizione che, sono certo, non piacerà a molti, anche tra quelli che sono in quel territorio.