By Avvenire
«Che ne dicono i musulmani moderati? Non si sentono voci di denuncia».
Lo ha chiesto il patriarca maronita Béchara Rai nella sua omelia
domenicale a proposito dell’ultimatum lanciato dallo Stato islamico di
al-Bahghdadi ai cristiani di Mosul. La denuncia del porporato è
condivisa da molti giornalisti arabi, come l’editorialista Basim Tweissi
che ieri esprimeva il suo rammarico per l’imbarazzante silenzio dei
dignitari arabi e musulmani di fronte al dramma di Mosul. Poche
dichiarazioni – scrive sul quotidiano giordano al-Ghad – che
non sono all’altezza dell’accaduto, quando «salvare la cristianità araba
deve essere, invece, la battaglia degli stessi arabi e musulmani contro
l’oscurantismo» dell’Isis.
Non si è ancora udita la voce del grande imam al-Azhar né quelle degli ulema delle “capitali” dell’islam, dalla Mecca a Islamabad e da Casablanca a Giacarta, ma forse qualcosa comincia a muoversi. In Iraq, gli ulema sunniti hanno definito l’ultimatum intimato «un’ingiustizia contro una popolazione innocente e un comportamento che va contro le raccomandazioni del Profeta». Gli ulema hanno, inoltre, ritenuto che la spogliazione delle case, dei soldi e dei beni è considerata dalla sharia islamica alla stregua della rapina, chiedendo agli autori del «grave errore» di rimediare subito con l’autorizzazione al rientro dei cristiani.
Più dure ovviamente le reazioni dalla controparte sciita, anch’essa finita nel mirino dei jihadisti. Lo sceicco Alì al-Khatib, vice presidente dei Beni religiosi in Iraq, ha parlato di «barbarie» e ha definitio le azioni contro i cristiani «comportamenti disumani che non hanno alcun legame con l’islam».
Una condanna senza mezzi termini è stata espressa domenica dal segretario generale della Lega araba. Svuotare Mosul della sua popolazione cristiana , ha dichiarato Nabil al-Arabi in un comunicato, «è una intollerabile infamia. Ciò costituisce un crimine contro l’Iraq e la sua storia, contro i Paesi arabi e anche contro l’islam e l’insieme dei musulmani».
Pure l’Isesco (Organizzazione islamica per l’educazione, le scienze e la cultura, l’equivalente islamico dell’Unesco) ha deplorato ieri le azioni dell’Isis contro i cristiani di Mosul. «Il trattamento incivile del cosiddetto Isis è una prova di corruzione e deviazione dai dettami dell’islam di questa organizzazione». L’Isesco ha chiesto agli Stati membri e agli ulema musulmani di «condannare questo crimine atroce» e di adoperarsi per il rientro dei cristiani sfollati e la «protezione delle loro vite, chiese, beni e dignità».
Ad Amman, cento personalità musulmane e cristiane, tra cui diversi parlamentari, hanno sollecitato le autorità giordane a condannare espliticamente «la pulizia religiosa» in atto contro i cristiani di Mosul e Ninive. In un comunicato comune i firmatari chiedono al governo di esercitare tutta l’influenza di cui gode nelle zone settentrionali e occidentali dell’Iraq per mettere fine «all’azione criminale che influirà sul futuro di tutti i cristiani arabi nel Levante, inclusi i cristiani giordani».
L’esodo forzato dei cristiani di Mosul ha toccato un (pentito) Walid Jumblatt, lui stesso responsabile nel periodo 1983-1985, durante la guerra in Libano, di un simile sfollamento ai danni dei civili cristiani dello Chouf. «Condanno e biasimo con forza quanto è avvenuto ai cristiani di Mosul», scrive il leader druso sul giornale del Partito socialista. «Ciò rappresenta un duro colpo ai concetti di diversità, pluralismo e convivenza che richiama la presenza cristiana in Oriente, una presenza che salvaguardata a qualsiasi prezzo».Ma forse la condanna più sincera, quella espressa non solo a parole, arriva come sempre dalla gente comune. Come da quei musulmani di Mosul che sono cresciuti, hanno studiato o lavorato con cristiani e che hanno aiutato i loro ex compagni o colleghi a salvare i loro risparmi dal saccheggio sistematico operato dall’Isis. Alcuni rifugiati scappati da Mosul raccontano di essersi sentiti proporre dai loro vicini di casa o da amici musulmani di affidare loro i propri soldi o altri beni preziosi prima di lasciare la città. «Questi amici, raccontano, hanno attraversato indisturbati i check point dei terroristi con i nostri averi e ci hanno aspettato per la riconsegna in una zona sicura dicendoci che sperano di rivederci presto a Mosul».
A Baghdad oltre duecento musulmani hanno partecipato domenica, in segno di solidarietà, alla Messa celebrata dal patriarca della Chiesa caldea, monsignor Louis Sako. Molti innalzavano cartelli con la scritta: «Sono un iracheno, sono un cristiano». Altri portavano cartelli con la frase «kulluna masihiyyun», siamo tutti cristiani, con una “N” finale che riproduce la lettera tracciata dai terroristi del califfato sulle abitazioni di cristiani. La stessa lettera, con cui l’Isis intendeva umiliare il nome cristiano, era stampata su alcune magliette.
Non si è ancora udita la voce del grande imam al-Azhar né quelle degli ulema delle “capitali” dell’islam, dalla Mecca a Islamabad e da Casablanca a Giacarta, ma forse qualcosa comincia a muoversi. In Iraq, gli ulema sunniti hanno definito l’ultimatum intimato «un’ingiustizia contro una popolazione innocente e un comportamento che va contro le raccomandazioni del Profeta». Gli ulema hanno, inoltre, ritenuto che la spogliazione delle case, dei soldi e dei beni è considerata dalla sharia islamica alla stregua della rapina, chiedendo agli autori del «grave errore» di rimediare subito con l’autorizzazione al rientro dei cristiani.
Più dure ovviamente le reazioni dalla controparte sciita, anch’essa finita nel mirino dei jihadisti. Lo sceicco Alì al-Khatib, vice presidente dei Beni religiosi in Iraq, ha parlato di «barbarie» e ha definitio le azioni contro i cristiani «comportamenti disumani che non hanno alcun legame con l’islam».
Una condanna senza mezzi termini è stata espressa domenica dal segretario generale della Lega araba. Svuotare Mosul della sua popolazione cristiana , ha dichiarato Nabil al-Arabi in un comunicato, «è una intollerabile infamia. Ciò costituisce un crimine contro l’Iraq e la sua storia, contro i Paesi arabi e anche contro l’islam e l’insieme dei musulmani».
Pure l’Isesco (Organizzazione islamica per l’educazione, le scienze e la cultura, l’equivalente islamico dell’Unesco) ha deplorato ieri le azioni dell’Isis contro i cristiani di Mosul. «Il trattamento incivile del cosiddetto Isis è una prova di corruzione e deviazione dai dettami dell’islam di questa organizzazione». L’Isesco ha chiesto agli Stati membri e agli ulema musulmani di «condannare questo crimine atroce» e di adoperarsi per il rientro dei cristiani sfollati e la «protezione delle loro vite, chiese, beni e dignità».
Ad Amman, cento personalità musulmane e cristiane, tra cui diversi parlamentari, hanno sollecitato le autorità giordane a condannare espliticamente «la pulizia religiosa» in atto contro i cristiani di Mosul e Ninive. In un comunicato comune i firmatari chiedono al governo di esercitare tutta l’influenza di cui gode nelle zone settentrionali e occidentali dell’Iraq per mettere fine «all’azione criminale che influirà sul futuro di tutti i cristiani arabi nel Levante, inclusi i cristiani giordani».
L’esodo forzato dei cristiani di Mosul ha toccato un (pentito) Walid Jumblatt, lui stesso responsabile nel periodo 1983-1985, durante la guerra in Libano, di un simile sfollamento ai danni dei civili cristiani dello Chouf. «Condanno e biasimo con forza quanto è avvenuto ai cristiani di Mosul», scrive il leader druso sul giornale del Partito socialista. «Ciò rappresenta un duro colpo ai concetti di diversità, pluralismo e convivenza che richiama la presenza cristiana in Oriente, una presenza che salvaguardata a qualsiasi prezzo».Ma forse la condanna più sincera, quella espressa non solo a parole, arriva come sempre dalla gente comune. Come da quei musulmani di Mosul che sono cresciuti, hanno studiato o lavorato con cristiani e che hanno aiutato i loro ex compagni o colleghi a salvare i loro risparmi dal saccheggio sistematico operato dall’Isis. Alcuni rifugiati scappati da Mosul raccontano di essersi sentiti proporre dai loro vicini di casa o da amici musulmani di affidare loro i propri soldi o altri beni preziosi prima di lasciare la città. «Questi amici, raccontano, hanno attraversato indisturbati i check point dei terroristi con i nostri averi e ci hanno aspettato per la riconsegna in una zona sicura dicendoci che sperano di rivederci presto a Mosul».
A Baghdad oltre duecento musulmani hanno partecipato domenica, in segno di solidarietà, alla Messa celebrata dal patriarca della Chiesa caldea, monsignor Louis Sako. Molti innalzavano cartelli con la scritta: «Sono un iracheno, sono un cristiano». Altri portavano cartelli con la frase «kulluna masihiyyun», siamo tutti cristiani, con una “N” finale che riproduce la lettera tracciata dai terroristi del califfato sulle abitazioni di cristiani. La stessa lettera, con cui l’Isis intendeva umiliare il nome cristiano, era stampata su alcune magliette.