“Lo spostamento forzato dei cristiani di Mosul è un crimine intollerabile (…). Le atrocità commesse e le pratiche in atto non hanno nulla a che vedere con l’Islam, con i suoi principi di tolleranza e convivenza”: l’Organizzazione della cooperazione islamica (Oci) denuncia con forza le violenze degli insorti sunniti dello Stato islamico, che hanno preso il controllo della seconda città irachena il mese scorso.
Nel comunicato diffuso dal gruppo di 57
paesi musulmani, il segretario generale dell’organizzazione, il saudita
Iyad Madani, ha dato la disponibilità dell’Oci a “fornire l’assistenza
umanitaria necessaria alle persone sfollate, in attesa che possano
rientrare a casa”.
Da settimane il gruppo radicale dello
Stato islamico – che ha creato un califfato a cavallo tra il nord
dell’Iraq e l’est della confinante Siria – ha avvertito che gli abitanti
cristiani di Mosul “devono convertirsi all’Islam e pagare un tassa
speciale”, nel caso contrario rischiano “la pena capitale” e “devono
lasciare” il capoluogo della provincia di Ninive.
Prima dell’assalto dello Stato islamico,
la comunità cristiana di Mosul era costituita da circa 3000 persone, ma
in un mese almeno un terzo di loro ha abbandonato la città
settentrionale.
Secondo l’ultimo bilancio diffuso
dall’Onu, dall’inizio dell’offensiva dei combattenti sunniti, partita da
Fallujah (ovest) lo scorso gennaio, in Iraq almeno 5576 civili sono
stati uccisi, di cui 2400 nel solo mese di giugno, e altri 11.662 sono
rimasti feriti.